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 inserito:: Aprile 22, 2025, 06:56:44 pm 
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Marco M. Freddi
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MEDIA E STAMPA – ITALIANA, ISPANICA E INTERNAZIONALE –
DESCRIVONO IL PAPA COME UN UOMO DI GRANDE BONTÀ, CAPACE DI AVER RIPORTATO AL CENTRO DEL MESSAGGIO DELLA CHIESA CATTOLICA LA QUESTIONE DEI POVERI.

Ma buono è anche il mio panettiere Bruno, e rimettere i poveri al centro dovrebbe essere il dovere imprescindibile per una Chiesa che si ispira a Cristo. Dunque, cosa c'è stato di davvero rivoluzionario nell'opera di Papa Francesco?
Alla morte di ogni pontefice emergono racconti, aneddoti e persino presunti miracoli, spesso rimasti chiusi nei cassetti degli uffici vaticani. Se ne parlerà per mesi: si disquisirà sulla sua missione pastorale e, come sempre, si sottolineerà che servirà tempo – tanto tempo – per misurare davvero la portata della sua eredità e permettere all'istituzione Chiesa di evolvere.
Francesco è stato definito "il papa dei poveri, degli ultimi, dei carcerati, delle periferie del mondo". Ma non è il suo titolo a spiegare il suo valore. È il frutto dell'impegno di don Jorge Mario Bergoglio, sacerdote prima ancora che Vescovo di Roma.
Don Jorge Mario Bergoglio ha scelto gli ultimi fin dal primo giorno di sacerdozio, ed è per questo che è stato il Papa più contestato, ostacolato e talvolta odiato all'interno della Curia.
Da prete lottava per restare fedele a se stesso, ma da pontefice si è ritrovato intrappolato nell'immobilismo ereditato dai suoi predecessori, in un sistema che tutela il potere anziché servire i fedeli che vivono le complessità e le sofferenze della vita reale: divorzi, scelte sul fine vita, orientamenti sessuali, identità di genere e altre realtà esistenziali che la Chiesa fatica a riconoscere.
Non è arrivata alcuna riforma coraggiosa su parità di genere, sacerdozio femminile, diritti delle persone LGBT, riconoscimento dei matrimoni gay, aborto, divorzio, eutanasia, rinnovamento della formazione sacerdotale, lotta alla pedofilia, tutela delle consacrate dalla violenza dei sacerdoti o trasparenza finanziaria. Su tutti questi fronti non c'è stato un atto risolutivo, soltanto mere dichiarazioni di principio che forse il suo successore riprenderà.
Don Jorge Mario Bergoglio, diventato Papa Francesco, ha vissuto la contraddizione di guidare l'istituzione Chiesa distante dal Vangelo e dagli ultimi, pur essendo un prete convintamente anticlericale. Come i suoi predecessori, non ha saputo compiere quel gesto decisivo capace di avvicinare davvero l'istituzione alle sofferenze dei fedeli.
Di Papa Francesco resteranno solo i gesti e le parole. E tra cento anni si ripeterà ancora che alla Chiesa serve tempo per cambiare. Ma è nella natura delle religioni monoteiste, con le loro dottrine rigide scritte nei secoli da uomini "ispirati da Dio", che ogni trasformazione radicale diventa un miraggio: i fedeli – cristiani, musulmani o ebrei – resteranno sempre intrappolati da dottrine e regole che soffocano la libertà di vivere pienamente la propria spiritualità.
Non basta più proclamare gesti simbolici o encicliche. Occorrono azioni concrete, atti di rottura, ma se non è accaduto con Papa Francesco che veniva dalla periferia del mondo, come potrà avvenire con il prossimo pontefice?
Non sta a me, laico liberato dalle catene della fede, pretendere un cambiamento radicale qui e ora, ma è mia responsabilità chiedere, in nome di chi – come mia madre – ha creduto per l'intera vita nell'istituzione della Chiesa, che il Papa e tutti i vescovi agiscano congiuntamente.
Chiedo al successore di Pietro e al collegio episcopale di assumersi la responsabilità storica di quella rivoluzione che parta dall'istituzione del sacerdozio femminile, come antidoto fondamentale alla violenza innata di un sistema clericale chiuso e machista. È questo il primo baluardo contro la pedofilia che è stata ed è un esercizio di potere, di dominio sui minori e sulle consacrate.
In nome di mia madre e di tutti coloro che hanno sperato nel Vangelo, nel paradiso e nella risurrezione della carne, incoraggio il prossimo papa e tutti i vescovi a mettere al centro della loro opera la giustizia, la libertà e la sofferenza di singoli e famiglie, di tutti i singoli e di tutte le famiglie, ad avere finalmente il coraggio di leggere la realtà del mondo.
Solo così sarà restituita alla Chiesa credibilità e speranza: caro nuovo pontefice, cari vescovi, non conteranno più le parole, solo le vostre azioni.

da FB del 22 aprile 2025

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 inserito:: Aprile 22, 2025, 06:49:14 pm 
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Post della sezione Notizie

Massimiliano Bondanini
Preferiti  · Soropenstdi310m1ic61971t60 l9m07a7mi10h01c2f8ug80f37la24n8i0  ·
Roberto Damico
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La guerra in Ucraina: perché Putin ha già perso (e l’Italia è vittima della disinformazione)
1. L’intossicazione del dibattito italiano
L’Italia è oggi terreno fertile di una guerra ibrida combattuta a colpi di:
Fake news sistematiche: oltre 5.000 account filo-russi censiti da EUvsDisinfo (Report 2024), con contenuti che minimizzano l’invasione o giustificano le azioni del Cremlino.
Narrazioni tossiche, spesso veicolate da opinionisti e programmi televisivi:
Il mantra pacifista “la guerra è sempre sbagliata” — che rimuove la differenza tra aggressore e aggredito, tra invasione e autodifesa.
La retorica dell' “avanzata travolgente” — ignorando che la Russia controllava il 27% del territorio ucraino nel 2022, oggi ridotto a circa il 17% (Istituto per lo Studio della Guerra, aprile 2024).
Casse di risonanza culturale: da Santoro a Canfora, un certo “neutralismo” mediatizzato che:
Crea una falsa equivalenza morale tra invasore e vittima.
Ripropone il mito della “NATO provocatrice”, nonostante l’alleanza atlantica abbia rifiutato l’ingresso ucraino nel 2008 (Vertice di Bucarest).
Dato allarmante: secondo un sondaggio SWG (marzo 2024), il 42% degli italiani crede che “l’Ucraina abbia già perso” — una percezione frutto della disinformazione.
2. Gli obiettivi originari di Putin: un fallimento strategico
La guerra non è cominciata nel 2022, ma nel 2014, con l’annessione illegale della Crimea. Tuttavia, nel febbraio 2022, il Cremlino ha rilanciato con nuovi obiettivi:
Annessione totale dell’Ucraina: come espresso nel saggio di Putin “Sull’unità storica di russi e ucraini” (2021), che nega l’esistenza dell’identità ucraina.
Cambio di regime a Kiev (“denazificazione”) entro 72 ore, come da discorso del 24 febbraio 2022.
Risultati attuali:
1. Militare:
Perso almeno il 70% dei carri armati pre-invasione
Fallito il blitz su Kiyv e l’obiettivo di conquistare l’intero Donbas
2. Politico:
L’Ucraina è più unita, patriottica e occidentalizzata che mai
La NATO si è espansa con Finlandia e Svezia (2023), ribaltando gli intenti iniziali del Cremlino
3. Economico:
Sanzioni durature su energia, tecnologia e finanza (oltre 13.000 misure attive)
PIL russo contratto del 6,9% tra 2022 e 2023 secondo il FMI, e cresciuto solo grazie a spesa militare e triangolazioni con Paesi “amici”
Paradosso: Putin dichiarava di voler fermare la NATO, ma ha ottenuto l’effetto opposto. Voleva dimostrare la potenza imperiale russa: ha fallito
3. I veri parametri per valutare una guerra
La vittoria si misura sugli obiettivi iniziali, come ricorda lo storico Mirko Campochiari.
Obiettivi russi:
❌ Caduta di Kiyv in 3 giorni
❌ Imposizione di un governo fantoccio
❌ Smilitarizzazione dell’Ucraina
✅ Occupazione parziale del Donbas, ma a costo di oltre 500.000 vittime russe (stime occidentali, Pentagono 2024)
Obiettivi ucraini:
✅ Sopravvivenza come Stato indipendente
✅ Integrazione con l’Occidente
❌ Perdita temporanea di alcuni territori
4. Il prezzo della sconfitta russa
Putin non ha solo fallito: ha ipotecato il futuro della Russia:
Demografico: 900.000 tra morti, feriti gravi e disertori (US Pentagon leaks)
Industriale: Carenza di microchip, sanzioni su aeronautica e cantieristica navale
Militare: Mosca dipende da droni iraniani e munizioni nordcoreane — una disfatta tecnologica
Reputazionale: La Russia è oggi un paria globale, esclusa da forum come il G7, senza alleanze vere tranne con regimi isolati (Iran, Corea del Nord)
5. Perché l’Ucraina resiste (e perché conta)
Dietro la propaganda, l’Ucraina incarna una resistenza civile, tecnologica e culturale:
Militare: Droni navali hanno colpito basi russe in Crimea e affondato navi nel Mar Nero (2023–2024)
Culturale: De-russificazione dell’istruzione e rinascita della lingua ucraina
Strategica: Piano di ricostruzione da 50 miliardi € dell’UE, fondi già attivati per il 2025
Verità essenziale:
Zelensky governa ancora da Kiyv
“Slava Ukraini” non è solo uno slogan, ma il simbolo di una nazione viva
Se davvero — come dice Travaglio — l’Ucraina sta perdendo, allora bisogna riscrivere la grammatica della storia.
Ha tenuto testa alla seconda potenza militare mondiale.
Ha ricompattato l’Occidente (fino alla vittoria di Trump).
Ha dimostrato che democrazia e libertà non sono slogan, ma valori per cui si combatte.
Se questa è una sconfitta ucraina… chissà come sarebbe una vittoria.

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 inserito:: Aprile 21, 2025, 11:29:09 pm 
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La bolla di metano, che ha risalito la colonna di 5600 metri veloce come un proiettile, sfondando sigilli e barriere di sicurezza, è arrivata in superficie, dove finalmente può espandersi.
In condizioni normali un gas in espansione tende a raffreddarsi e a diminuire la pressione (come suggerisce la legge dei gas perfetti pV = nRT), ma questo vale se non ci sono reazioni chimiche. Purtroppo in questo caso il gas è altamente infiammabile e sulla piattaforma ci sono fornelli, generatori diesel, svariate parti in metallo che possono fare scintille e la sigaretta dell’ingegner McNamara. Inoltre siamo negli USA, dove le cose per qualche strana legge fisica tendono a finire in un solo modo…
KABOOOOOOOOM!
La rapida espansione e l’ignizione del gas provocano un’esplosione devastante, molto probabilmente causata dal fatto che i generatori diesel immettono aria satura di metano nella camera di combustione. Dieci lavoratori muoiono uccisi dall’esplosione, un undicesimo morirà tra le fiamme del conseguente incendio.
Le altre 115 persone a bordo riescono a evacuare sulle scialuppe e si allontanano guardando la piattaforma trasformarsi in una gigantesca torcia sull’oceano.
Accorrono le navi antincendio e iniziano la battaglia con le fiamme, che viene vinta in parte: l’incendio viene domato dopo 36 lunghissime ore, ma non c’è modo di salvare la piattaforma. Deepwater Horizon affonda nel Golfo del Messico il 22 aprile 2010.
Da qualche parte in un ufficio a New York.
“I nostri operai sono morti difendendo i valori più sacri di questo paese” dice il direttore marketing e diffamazione alla stagista appena assunta.
“La libertà e la democrazia?” chiede lei.
“Il petrolio. E per questo andranno ricordati con la più alta onorificenza mai concessa”
“La medaglia d’oro al valor civile?”
“Un film con attori americani che muovono molto le possenti spalle”. (cit.)
Un altro ufficio, qualche piano sopra.
Il direttore del dipartimento finanze di BP sta snocciolando numeri: “solo per rimborsare la piattaforma dovremo pagare 560 milioni di dollari, presumibilmente le famiglie dei defunti ci faranno causa e saranno portate in trionfo dai giornalisti tipo Erin Brockovich, per cui consideriamo qualche miliardo per un accordo extragiudiziale, il pozzo esplorativo andrà rifatto da un’altra parte e poi bisognerà considerare le perdite in borsa”.
Il vice-presidente esecutivo delle operazioni ufficiali e ufficiose nonché direttore del dipartimento borsa, banca e cazzeggio: “il livello di radiazioni è nella norma?”
“Signore, non usiamo materiali radioattivi”.
“Bene, quello è l’importante. Ora cerchiamo di far passare la tempesta e di metterci questa storia alle spalle. Il peggio è passato”.
Ma il peggio NON è passato: nel pomeriggio del 22 aprile una nave della guardia costiera avvisa che dal pozzo sta fuoriuscendo petrolio. Il 23 aprile una nuova ispezione della guardia costiera non trova nulla e solo il 24 aprile viene ufficializzato il fatto che è in corso un “very serious oil spill” (“fuoriuscita di petrolio molto seria”), la cui portata viene stimata da BP in 160 metri cubi al giorno [7].
È l’eufemismo del secolo: la stima ufficiale viene rivista il 29 aprile a 790 metri cubi al giorno, poi il 27 maggio si correggono: sono tra 1900 e 3000 metri cubi al giorno.
Il 10 giugno Ops, scusate, volevamo dire tra 4000 e 4800 metri cubi al giorno. Il 17 giugno esce il report della task force creata in fretta e furia dal governo americano per studiare l’incidente e la stima è ancora peggiore: stanno fuoriuscendo tra i 5600 e i 9500 metri cubi di petrolio al giorno.
Anche loro sbagliano per difetto, di poco: la perdita è di 9857 metri cubi al giorno… per 87 giorni.
Già, perché chiudere una perdita su un fondale a 1600 metri di profondità non è proprio semplice: bisogna operare da remoto, sott’acqua, con la visibilità limitata dal petrolio stesso e vincendo l’enorme pressione del giacimento. Inizia subito lo scavo di pozzi di relief per raggiungere il pozzo principale e iniettare fanghi e cemento per chiudere la perdita, ma è un lavoro lungo. Intanto si cerca di sigillare il buco con ogni mezzo: tappi di calcestruzzo, schiume cementizie, colonne di risalita che dirigano il petrolio verso un punto di collezione, ma la pressione è troppo alta e l’elevata presenza di metano causa reazioni chimiche che rendono inefficaci alcune soluzioni. Qualcuno propone di usare Giuliano Ferrara, ma viene prontamente licenziato per grassofobia.
Il 7 maggio il CEO dichiara pubblicamente che “la quantità di petrolio dispersa è tutto sommato piccola se comparata A TUTTO L’OCEANO” [8]. In fondo è appena l'equivalente di 5-6 petroliere di grossa stazza che si ribaltano contemporaneamente, dai.
L’11 maggio BP, Halliburton e Transocean testimoniano davanti al congresso degli USA dandosi la colpa a vicenda. Il 17 maggio il direttore del Minerals Management Service annuncia il suo pensionamento anticipato. Intanto il popolo americano inizia a farsi domande intelligenti, del tipo: “e se risolvessimo il problema con le bombe?” oppure “e se risolvessimo il problema con una bomba atomica?”, per cui BP è costretta a spiegare al New York Times che non sarebbe una buona idea [9] - tenete presente che negli USA le soluzioni ai problemi richiedono necessariamente psicofarmaci, avvocati o armi da fuoco, tanto che qualche anno dopo gli sceriffi dovranno diffondere comunicati stampa per chiedere alle persone di non sparare all’uragano Irma [10]. Per una curiosa coincidenza, l’articolo del NYT esce a firma di William J. Broad, meglio noto in Italia come “William J. A-M-P-I-O” grazie alle possenti abilità linguistiche del vermilinguo della LUISS.
La fuoriuscita di petrolio viene fermata temporaneamente solo il 15 luglio, mentre la soluzione definitiva verrà implementata solo il 19 settembre, giorno in cui il pozzo verrà dichiarato “completamente morto”. Il 24 luglio BP afferma che, a seguito di una rigorosissima indagine interna, hanno verificato che sono tutti innocenti [11].
Alla fine, l’ammontare di petrolio greggio complessivamente fuoriuscito in mare è di 780.000 metri cubi, sufficienti a configurare uno dei peggiori disastri ambientali della storia dell’umanità.
Nel tentativo di arginare l’impatto mediatico, BP affida il report sulle conseguenze ambientali del disastro al cugino Yankee dell’Ingegner Cane, che prontamente stima che il numero di animali morti coincida col numero di carcasse recuperate (più di 6800, di cui oltre 6000 uccelli marini, 600 tartarughe e 100 cetacei), ma i primi studi scientifici fanno stime 50 volte più alte [12]. Le chiazze di petrolio, lunghe svariati km, raggiungono il delta del Mississippi, dove svernano diverse specie di uccelli migratori, col risultato che nel 2012 residui chimici di petrolio e solventi vari vengono ritrovati all’interno della catena alimentare IN MINNESOTA, cioè a 3000 km (circa la distanza tra Roma e Mosca) [13].
Il presidente di BP fissa pensieroso lo schermo con gli indici di borsa: ci vorrà Felix Baumgartner due anni dopo per replicare un tuffo come quello che stanno facendo le azioni della compagnia in quel trimestre. Chiama il responsabile del responsabile del dipartimento insabbiamenti:
“sono già arrivate le stime sui danni ambientali?”
“sì capo, niente di grave: abbiamo danneggiato 8 riserve naturali [14], minacciato l’esistenza di 400 specie animali e vegetali [15], dalle alghe agli squali balena, abbiamo rischiato di estinguere 54 specie in un colpo solo, 14 delle quali protette dalla legislazione federale [16], abbiamo contaminato circa 2000 km di spiagge (immaginate tutto il litorale italiano da Sanremo a Sapri, nda) e in alcuni punti abbiamo cambiato completamente la morfologia della costa, uccidendo le piante che contrastano l’erosione marina [17]”
“i livelli di radiazione almeno sono normali?”
“signorsì, tutto nella norma”
“bene”
Tre anni dopo il disastro un servizio dell’NBC mostra che l’area attorno al pozzo in un raggio di 50-80 km è completamente priva di vita animale [18] - si tratta all’incirca di una superficie pari a quella dell’Abruzzo, 5-6 volte maggiore rispetto alla zona di esclusione di Chernobyl (che comunque oggi è tra le aree a più alta biodiversità d’Europa).
“Ok, però non ci sono radiazioni vero?”
“No, capo”
“Tutto bene allora”.
Non è solo il petrolio a causare danni alla fauna: anche i solventi sono altamente tossici. Ma necessari, per evitare che la marea nera si espanda in un’area troppo grande. Vengono utilizzate in totale 7000 tonnellate di Corexit, un solvente per oli pesanti altamente tossico e cancerogeno. Oltre a questo si mettono in mare vascelli che cercano di recuperare o bruciare in maniera controllata il petrolio superficiale e si utilizzano batteri in grado di consumare il metano. In totale nei giorni di lavoro più intensi vengono impiegate nelle operazioni di pulizia 48mila persone, 6000 vascelli, 82 elicotteri e 20 aerei.
Nonostante questo, si riesce a recuperare solo il 25-40% (le stime variano) del petrolio fuoriuscito.
Per proteggere le coste vengono installati 1300 km di barriere marine (come dire da Latina a Reggio Calabria), ma si rivelano inefficaci. Uno studio del 2012 mostra che il tasso di tumori e di malformazioni nei pesci è passato dallo 0,1% al 20-50% a seconda della specie (un aumento di un fattore 500) [19], ma almeno quello per BP non ha conseguenze mediatiche: le foto dei pesci malati vengono infatti usate dagli ambientalisti per diffondere fake news sull’incidente di Fukushima [20].
Nel dicembre del 2010 la guardia costiera dichiara che negli ultimi mesi solo l’1% dei campioni ha livelli di contaminazione superiori alle normative, ma due anni dopo, nel settembre 2012, l’uragano Isaac deposita sulle spiagge ancora centinaia di tonnellate di detriti oleosi, trasformando intere spiagge in distese di catrame. Si stima che almeno 160.000 metri cubi di frazioni pesanti del petrolio siano ancora sul fondale del golfo del Messico, dove impiegheranno decenni a degradarsi. Gli impatti sulla catena alimentare sono imprevedibili, perché a tutti i livelli vengono favorite dal punto di vista evolutivo le specie che consumano idrocarburi o resistono meglio ad essi; inoltre il metano ha un’elevata capacità di consumare l’ossigeno sottomarino, creando delle vere e proprie “zone morte”, e poi ci sono tutti gli idrocarburi policiclici aromatici e un sacco di altra roba il cui impatto è difficile da stimare [21].
“...e il conto finale è di 68,5 miliardi di dollari tra multe, compensazioni e rimborsi”, conclude il vice-vice-mega-direttore dell’ufficio per la gestione delle pratiche costose [22]
“che dice l’assicurazione?” chiede il CEO
“pagherà 3,5 miliardi”
“...”
“però da ora in avanti il premio assicurativo per tutte le piattaforme petrolifere offshore sul pianeta è aumentato di 15.000 dollari AL GIORNO” [23]
“Capisco…”
“inoltre il settore turistico della zona ha perso 23 miliardi di dollari di introiti su 32 di media annua, il valore delle azioni si è dimezzato in tre mesi facendoci perdere la bellezza di 105 miliardi di dollari e le agenzie di rating hanno declassato le nostre obbligazioni [24]. Con la stessa produzione di sei mesi fa siamo passati dall’essere la seconda compagnia petrolifera privata al mondo ad essere la quarta”
Il CEO aggrotta la fronte e poi fa spallucce: “e le radiazioni?”
“Nessuna radiazione signore…”
“Bene così, puoi andare”.
“Scusi capo…”
“...”
“Perché continuate tutti a chiedere continuamente delle radiazioni?"
Il CEO sorride e guarda il suo dipendente ingenuo.
“Perché se non ci sono radiazioni, tra 15 anni di tutta questa storia non fregherà più un cazzo a nessuno”.
-Luca
[1] https://web.archive.org/.../ALeqM5iVLeScIs1hliTdPPSAWxykK...
[2] https://www.washingtonpost.com/.../04/AR2010050404118.html
[3]
https://www.reuters.com/article/idUSN0621334420100506/...
[4] https://www.nytimes.com/2010/07/22/us/22transocean.html
[5] https://edition.cnn.com/.../oil.rig.warning.signs/index.html
[6] https://web.archive.org/.../Gulf.../Article/201007415669165?
[7] https://en.wikipedia.org/.../Timeline_of_the_Deepwater...
[8] https://www.theguardian.com/.../bp-boss-admits-mistakes...
[9] https://www.nytimes.com/2010/06/03/us/03nuke.html
[10] https://www.washingtonpost.com/.../please-dont-shoot-at.../
[11] https://www.theguardian.com/.../25/bp-oil-spill-sole-blame
[12] https://www.reefrelieffounders.com/.../conservation.../
[13] https://web.archive.org/.../migratory-birds-carry...
[14] https://web.archive.org/.../http://www.npca.org/oilspill/
[15] https://www.cbsnews.com/news/gulf-oil-spill-by-the-numbers/
[16] https://www.sciencedaily.com/rel.../2011/05/110511134221.htm
[17] https://zenodo.org/records/1229064
[18] https://www.nbcnews.com/.../mystery-oil-sheen-grows-near...
[19] https://www.aljazeera.com/.../gulf-seafood-deformities...
[20] https://www.facebook.com/AvvocatoAtomico/posts/252342979765233
[21] https://web.archive.org/.../gulf-oil-spill-killed.../2113157
[22] https://www.theguardian.com/.../bps-deepwater-horizon...
[23] https://www.theguardian.com/.../oil-rig-insurance-costs-soar
[24] https://www.theguardian.com/.../bp-credit-rating-downgraded
[Nota: qualche lettore potrebbe aver correttamente notato che vi sono citazioni prese dalle opere di Nicolò “Nebo” Zuliani, al cui stile è vagamente ispirato tutto il racconto. La cosa è totalmente intenzionale e va intesa come omaggio, ed è stata preventivamente sottoposta all'attenzione dell'autore]
[Nota2: sì, è presente una battuta politicamente scorretta su Giuliano Ferrara, il quale è famoso per accettare questo tipo di ironia di buon grado (basta vedere il suo @ su Twitter). Risparmiatemi l'indignazione a buon mercato per conto terzi]

Da FB del 21 aprile 2025

 64 
 inserito:: Aprile 21, 2025, 11:26:15 pm 
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La bolla di metano, che ha risalito la colonna di 5600 metri veloce come un proiettile, sfondando sigilli e barriere di sicurezza, è arrivata in superficie, dove finalmente può espandersi.
In condizioni normali un gas in espansione tende a raffreddarsi e a diminuire la pressione (come suggerisce la legge dei gas perfetti pV = nRT), ma questo vale se non ci sono reazioni chimiche. Purtroppo in questo caso il gas è altamente infiammabile e sulla piattaforma ci sono fornelli, generatori diesel, svariate parti in metallo che possono fare scintille e la sigaretta dell’ingegner McNamara.
Inoltre siamo negli USA, dove le cose per qualche strana legge fisica tendono a finire in un solo modo…

KABOOOOOOOOM!

La rapida espansione e l’ignizione del gas provocano un’esplosione devastante, molto probabilmente causata dal fatto che i generatori diesel immettono aria satura di metano nella camera di combustione. Dieci lavoratori muoiono uccisi dall’esplosione, un undicesimo morirà tra le fiamme del conseguente incendio.
Le altre 115 persone a bordo riescono a evacuare sulle scialuppe e si allontanano guardando la piattaforma trasformarsi in una gigantesca torcia sull’oceano.
Accorrono le navi antincendio e iniziano la battaglia con le fiamme, che viene vinta in parte: l’incendio viene domato dopo 36 lunghissime ore, ma non c’è modo di salvare la piattaforma. Deepwater Horizon affonda nel Golfo del Messico il 22 aprile 2010.
Da qualche parte in un ufficio a New York.
“I nostri operai sono morti difendendo i valori più sacri di questo paese” dice il direttore marketing e diffamazione alla stagista appena assunta.
“La libertà e la democrazia?” chiede lei.
“Il petrolio. E per questo andranno ricordati con la più alta onorificenza mai concessa”
“La medaglia d’oro al valor civile?”
“Un film con attori americani che muovono molto le possenti spalle”. (cit.)
Un altro ufficio, qualche piano sopra.
Il direttore del dipartimento finanze di BP sta snocciolando numeri: “solo per rimborsare la piattaforma dovremo pagare 560 milioni di dollari, presumibilmente le famiglie dei defunti ci faranno causa e saranno portate in trionfo dai giornalisti tipo Erin Brockovich, per cui consideriamo qualche miliardo per un accordo extragiudiziale, il pozzo esplorativo andrà rifatto da un’altra parte e poi bisognerà considerare le perdite in borsa”.
Il vice-presidente esecutivo delle operazioni ufficiali e ufficiose nonché direttore del dipartimento borsa, banca e cazzeggio: “il livello di radiazioni è nella norma?”
“Signore, non usiamo materiali radioattivi”.
“Bene, quello è l’importante. Ora cerchiamo di far passare la tempesta e di metterci questa storia alle spalle. Il peggio è passato”.
Ma il peggio NON è passato: nel pomeriggio del 22 aprile una nave della guardia costiera avvisa che dal pozzo sta fuoriuscendo petrolio. Il 23 aprile una nuova ispezione della guardia costiera non trova nulla e solo il 24 aprile viene ufficializzato il fatto che è in corso un “very serious oil spill” (“fuoriuscita di petrolio molto seria”), la cui portata viene stimata da BP in 160 metri cubi al giorno [7].
È l’eufemismo del secolo: la stima ufficiale viene rivista il 29 aprile a 790 metri cubi al giorno, poi il 27 maggio si correggono: sono tra 1900 e 3000 metri cubi al giorno.
Il 10 giugno Ops, scusate, volevamo dire tra 4000 e 4800 metri cubi al giorno. Il 17 giugno esce il report della task force creata in fretta e furia dal governo americano per studiare l’incidente e la stima è ancora peggiore: stanno fuoriuscendo tra i 5600 e i 9500 metri cubi di petrolio al giorno.
Anche loro sbagliano per difetto, di poco: la perdita è di 9857 metri cubi al giorno… per 87 giorni.
Già, perché chiudere una perdita su un fondale a 1600 metri di profondità non è proprio semplice: bisogna operare da remoto, sott’acqua, con la visibilità limitata dal petrolio stesso e vincendo l’enorme pressione del giacimento. Inizia subito lo scavo di pozzi di relief per raggiungere il pozzo principale e iniettare fanghi e cemento per chiudere la perdita, ma è un lavoro lungo. Intanto si cerca di sigillare il buco con ogni mezzo: tappi di calcestruzzo, schiume cementizie, colonne di risalita che dirigano il petrolio verso un punto di collezione, ma la pressione è troppo alta e l’elevata presenza di metano causa reazioni chimiche che rendono inefficaci alcune soluzioni. Qualcuno propone di usare Giuliano Ferrara, ma viene prontamente licenziato per grassofobia.
Il 7 maggio il CEO dichiara pubblicamente che “la quantità di petrolio dispersa è tutto sommato piccola se comparata A TUTTO L’OCEANO” [8]. In fondo è appena l'equivalente di 5-6 petroliere di grossa stazza che si ribaltano contemporaneamente, dai.
L’11 maggio BP, Halliburton e Transocean testimoniano davanti al congresso degli USA dandosi la colpa a vicenda. Il 17 maggio il direttore del Minerals Management Service annuncia il suo pensionamento anticipato. Intanto il popolo americano inizia a farsi domande intelligenti, del tipo: “e se risolvessimo il problema con le bombe?” oppure “e se risolvessimo il problema con una bomba atomica?”, per cui BP è costretta a spiegare al New York Times che non sarebbe una buona idea [9] - tenete presente che negli USA le soluzioni ai problemi richiedono necessariamente psicofarmaci, avvocati o armi da fuoco, tanto che qualche anno dopo gli sceriffi dovranno diffondere comunicati stampa per chiedere alle persone di non sparare all’uragano Irma [10]. Per una curiosa coincidenza, l’articolo del NYT esce a firma di William J. Broad, meglio noto in Italia come “William J. A-M-P-I-O” grazie alle possenti abilità linguistiche del vermilinguo della LUISS.
La fuoriuscita di petrolio viene fermata temporaneamente solo il 15 luglio, mentre la soluzione definitiva verrà implementata solo il 19 settembre, giorno in cui il pozzo verrà dichiarato “completamente morto”. Il 24 luglio BP afferma che, a seguito di una rigorosissima indagine interna, hanno verificato che sono tutti innocenti [11].
Alla fine, l’ammontare di petrolio greggio complessivamente fuoriuscito in mare è di 780.000 metri cubi, sufficienti a configurare uno dei peggiori disastri ambientali della storia dell’umanità.
Nel tentativo di arginare l’impatto mediatico, BP affida il report sulle conseguenze ambientali del disastro al cugino Yankee dell’Ingegner Cane, che prontamente stima che il numero di animali morti coincida col numero di carcasse recuperate (più di 6800, di cui oltre 6000 uccelli marini, 600 tartarughe e 100 cetacei), ma i primi studi scientifici fanno stime 50 volte più alte [12]. Le chiazze di petrolio, lunghe svariati km, raggiungono il delta del Mississippi, dove svernano diverse specie di uccelli migratori, col risultato che nel 2012 residui chimici di petrolio e solventi vari vengono ritrovati all’interno della catena alimentare IN MINNESOTA, cioè a 3000 km (circa la distanza tra Roma e Mosca) [13].
Il presidente di BP fissa pensieroso lo schermo con gli indici di borsa: ci vorrà Felix Baumgartner due anni dopo per replicare un tuffo come quello che stanno facendo le azioni della compagnia in quel trimestre. Chiama il responsabile del responsabile del dipartimento insabbiamenti:
“sono già arrivate le stime sui danni ambientali?”
“sì capo, niente di grave: abbiamo danneggiato 8 riserve naturali [14], minacciato l’esistenza di 400 specie animali e vegetali [15], dalle alghe agli squali balena, abbiamo rischiato di estinguere 54 specie in un colpo solo, 14 delle quali protette dalla legislazione federale [16], abbiamo contaminato circa 2000 km di spiagge (immaginate tutto il litorale italiano da Sanremo a Sapri, nda) e in alcuni punti abbiamo cambiato completamente la morfologia della costa, uccidendo le piante che contrastano l’erosione marina [17]”
“i livelli di radiazione almeno sono normali?”
“signorsì, tutto nella norma”
“bene”
Tre anni dopo il disastro un servizio dell’NBC mostra che l’area attorno al pozzo in un raggio di 50-80 km è completamente priva di vita animale [18] - si tratta all’incirca di una superficie pari a quella dell’Abruzzo, 5-6 volte maggiore rispetto alla zona di esclusione di Chernobyl (che comunque oggi è tra le aree a più alta biodiversità d’Europa).
“Ok, però non ci sono radiazioni vero?”
“No, capo”
“Tutto bene allora”.
Non è solo il petrolio a causare danni alla fauna: anche i solventi sono altamente tossici. Ma necessari, per evitare che la marea nera si espanda in un’area troppo grande. Vengono utilizzate in totale 7000 tonnellate di Corexit, un solvente per oli pesanti altamente tossico e cancerogeno. Oltre a questo si mettono in mare vascelli che cercano di recuperare o bruciare in maniera controllata il petrolio superficiale e si utilizzano batteri in grado di consumare il metano. In totale nei giorni di lavoro più intensi vengono impiegate nelle operazioni di pulizia 48mila persone, 6000 vascelli, 82 elicotteri e 20 aerei.
Nonostante questo, si riesce a recuperare solo il 25-40% (le stime variano) del petrolio fuoriuscito.
Per proteggere le coste vengono installati 1300 km di barriere marine (come dire da Latina a Reggio Calabria), ma si rivelano inefficaci. Uno studio del 2012 mostra che il tasso di tumori e di malformazioni nei pesci è passato dallo 0,1% al 20-50% a seconda della specie (un aumento di un fattore 500) [19], ma almeno quello per BP non ha conseguenze mediatiche: le foto dei pesci malati vengono infatti usate dagli ambientalisti per diffondere fake news sull’incidente di Fukushima [20].
Nel dicembre del 2010 la guardia costiera dichiara che negli ultimi mesi solo l’1% dei campioni ha livelli di contaminazione superiori alle normative, ma due anni dopo, nel settembre 2012, l’uragano Isaac deposita sulle spiagge ancora centinaia di tonnellate di detriti oleosi, trasformando intere spiagge in distese di catrame. Si stima che almeno 160.000 metri cubi di frazioni pesanti del petrolio siano ancora sul fondale del golfo del Messico, dove impiegheranno decenni a degradarsi. Gli impatti sulla catena alimentare sono imprevedibili, perché a tutti i livelli vengono favorite dal punto di vista evolutivo le specie che consumano idrocarburi o resistono meglio ad essi; inoltre il metano ha un’elevata capacità di consumare l’ossigeno sottomarino, creando delle vere e proprie “zone morte”, e poi ci sono tutti gli idrocarburi policiclici aromatici e un sacco di altra roba il cui impatto è difficile da stimare [21].
“...e il conto finale è di 68,5 miliardi di dollari tra multe, compensazioni e rimborsi”, conclude il vice-vice-mega-direttore dell’ufficio per la gestione delle pratiche costose [22]
“che dice l’assicurazione?” chiede il CEO
“pagherà 3,5 miliardi”
“...”
“però da ora in avanti il premio assicurativo per tutte le piattaforme petrolifere offshore sul pianeta è aumentato di 15.000 dollari AL GIORNO” [23]
“Capisco…”
“inoltre il settore turistico della zona ha perso 23 miliardi di dollari di introiti su 32 di media annua, il valore delle azioni si è dimezzato in tre mesi facendoci perdere la bellezza di 105 miliardi di dollari e le agenzie di rating hanno declassato le nostre obbligazioni [24]. Con la stessa produzione di sei mesi fa siamo passati dall’essere la seconda compagnia petrolifera privata al mondo ad essere la quarta”
Il CEO aggrotta la fronte e poi fa spallucce: “e le radiazioni?”
“Nessuna radiazione signore…”
“Bene così, puoi andare”.
“Scusi capo…”
“...”
“Perché continuate tutti a chiedere continuamente delle radiazioni?"
Il CEO sorride e guarda il suo dipendente ingenuo.
“Perché se non ci sono radiazioni, tra 15 anni di tutta questa storia non fregherà più un cazzo a nessuno”.
-Luca
[1] https://web.archive.org/.../ALeqM5iVLeScIs1hliTdPPSAWxykK...
[2] https://www.washingtonpost.com/.../04/AR2010050404118.html
[3]
https://www.reuters.com/article/idUSN0621334420100506/...
[4] https://www.nytimes.com/2010/07/22/us/22transocean.html
[5] https://edition.cnn.com/.../oil.rig.warning.signs/index.html
[6] https://web.archive.org/.../Gulf.../Article/201007415669165?
[7] https://en.wikipedia.org/.../Timeline_of_the_Deepwater...
[8] https://www.theguardian.com/.../bp-boss-admits-mistakes...
[9] https://www.nytimes.com/2010/06/03/us/03nuke.html
[10] https://www.washingtonpost.com/.../please-dont-shoot-at.../
[11] https://www.theguardian.com/.../25/bp-oil-spill-sole-blame
[12] https://www.reefrelieffounders.com/.../conservation.../
[13] https://web.archive.org/.../migratory-birds-carry...
[14] https://web.archive.org/.../http://www.npca.org/oilspill/
[15] https://www.cbsnews.com/news/gulf-oil-spill-by-the-numbers/
[16] https://www.sciencedaily.com/rel.../2011/05/110511134221.htm
[17] https://zenodo.org/records/1229064
[18] https://www.nbcnews.com/.../mystery-oil-sheen-grows-near...
[19] https://www.aljazeera.com/.../gulf-seafood-deformities...
[20] https://www.facebook.com/AvvocatoAtomico/posts/252342979765233
[21] https://web.archive.org/.../gulf-oil-spill-killed.../2113157
[22] https://www.theguardian.com/.../bps-deepwater-horizon...
[23] https://www.theguardian.com/.../oil-rig-insurance-costs-soar
[24] https://www.theguardian.com/.../bp-credit-rating-downgraded
[Nota: qualche lettore potrebbe aver correttamente notato che vi sono citazioni prese dalle opere di Nicolò “Nebo” Zuliani, al cui stile è vagamente ispirato tutto il racconto. La cosa è totalmente intenzionale e va intesa come omaggio, ed è stata preventivamente sottoposta all'attenzione dell'autore]
[Nota2: sì, è presente una battuta politicamente scorretta su Giuliano Ferrara, il quale è famoso per accettare questo tipo di ironia di buon grado (basta vedere il suo @ su Twitter). Risparmiatemi l'indignazione a buon mercato per conto terzi]

Da FB del 21 aprile 2025

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 inserito:: Aprile 21, 2025, 12:05:36 am 
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Manifestazioni in Europa, popoli che tornano in piazza. E in Italia?
•   14 Aprile 2025
•   Nicoletta Labarile
•   Polis
 
Si organizzano dal basso, prendono forma attraverso piccole reti e fanno leva su temi specifici: le proteste in Europa cambiano volto. Come sottolinea il rapporto “Poco tutelato e troppo ostacolato: lo stato del diritto di protesta in 21 stati europei“ di Amnesty International, nonostante il diritto di manifestare pacificamente sia poco tutelato e ostacolato in 21 stati europei, il controllo spesso oppressivo delle autorità statali non ferma le voci delle piazze che si organizzano e cambiano forma: diventano strade, villaggi, marce, gruppi orizzontali di attivismo e divulgazione.
«Quello che emerge dalle nuove ondate di movimenti in Europa è che il ruolo dei movimenti sociali cambia a seconda delle condizioni del sistema politico» spiega ad Alley Oop la sociologa Donatella Della Porta, prima preside della facoltà di Scienze politico sociali e coordinatrice del dottorato in Political science and Sociology alla Scuola Normale Superiore a Firenze, dove dirige il Centre on social movement studies.
Dalle proteste in Serbia contro il presidente Aleksandar Vučić, alle manifestazioni in Grecia per rivendicare la responsabilità politica del tragico scontro ferroviario di Tempe che il 28 febbraio 2023 costò la vita a 57 persone, quello che muove il dissenso – evidenzia Della Porta – è una percezione di insoddisfazione condivisa: «I partiti politici si presentano come estremamente deboli e i movimenti sociali diventano l’unica forma per presentare ragioni di insoddisfazione e insofferenza rispetto ai governi».
Il 4 aprile il consiglio dei ministri italiano ha approvato il decreto sicurezza che sostituisce e supera il Ddl all’esame del Senato, ricalcandone integralmente i 38 articoli: dal reato di «detenzione di materiale con finalità di terrorismo» alle tutele rafforzate per agenti e militari, il provvedimento interviene sul diritto di protesta in Italia che, ostacolato e in linea con quello che sta accadendo in Europa, cambia forma ma non si arresta.
Serbia, gli studenti marciano contro il governo corrotto
Dal 2017, anno in cui il presidente della repubblica Aleksandar Vučić ha vinto le elezioni per la prima volta, la Serbia sembrava essere in stallo: Vučić ha sempre vinto le elezioni, consolidando un sistema di potere difficilissimo da scalfire. Fino al mese scorso, quando il 15 marzo a Belgrado centinaia di migliaia di persone hanno protestato contro il governo serbo: la più grande manifestazione pacifica nella storia del Paese, organizzata dal movimento studentesco, a cui hanno partecipato oltre 300 mila persone riempiendo le piazze della capitale.
Ad accendere la protesta il crollo di una pensilina alla stazione di Novi Sad che, pur essendo stata ristrutturata poco tempo prima, il primo novembre 2024 ha ucciso 15 persone: l’incidente era stato fin da subito considerato emblematico della corruzione diffusa in Serbia. Presto le manifestazioni sono diventate le più ampie proteste antigovernative in Serbia degli ultimi trent’anni.
Partite dalle facoltà universitarie, molte delle quali sono state occupate da novembre, le proteste si sono allargate alle scuole superiori e continuano a coinvolgere il resto della società. Quando non esplicitamente ostile, il racconto delle manifestazioni da parte di diversi media serbi è stato parziale e scarso: per aggirare l’ostacolo e ottenere visibilità pubblica, gli studenti hanno deciso di organizzare marce in tutto il Paese. Si sono organizzati nelle assemblee di decine di facoltà occupate in tutta la Serbia, hanno creato comitati con competenze diverse, programmato i percorsi stabilendo contatti con le amministrazioni e associazioni locali.
Le proteste hanno avuto il loro impatto, sebbene non riescano ancora ad intaccare totalmente il potere di Vučić: a fine gennaio si è dimesso il primo ministro Miloš Vučević, sostituito da  Djuro Macut, un medico privo di esperienza in politica. Intanto, gli studenti hanno mostrato un modo inedito di protestare: «I movimenti di protesta oggi non hanno la forma e le modalità delle rivoluzioni del secolo scorso – spiega la sociologa Della Porta – Ma riescono ad agire strategicamente rispetto alle condizioni politiche attuali, sensibilizzando le persone in modi diversi: le marce degli studenti in Serbia lo dimostrano, hanno marciato nei piccoli villaggi e nelle campagne per spiegare alle persone perché si opponevano al governo e lo consideravano corrotto».
Grecia, le proteste rivendicano giustizia
Anche in Grecia, ad accendere le proteste, è stato un “incidente” che richiama alla responsabilità politica: 57 persone, soprattutto studenti, morirono il 28 febbraio 2023 quando un treno passeggeri si scontrò con un treno merci vicino alla gola di Tempe, nella Grecia centrale. L’incidente ha provocato decine di feriti denunciando le carenze dell’infrastruttura di trasporto del paese. I parenti delle vittime hanno lanciato le proteste di massa, affermando che i politici dovrebbero essere ritenuti responsabili: finora, infatti, solo i funzionari delle ferrovie sono stati accusati di reati e non è stato ancora celebrato alcun processo.
A 2 anni dall’incidente le proteste riprendono vigore e, per il suo anniversario, in Grecia hanno scioperato i lavoratori del settore pubblico e privato: ristoranti, supermercati, teatri e molte altre attività hanno chiuso. Si sono uniti allo sciopero anche avvocati, operatori sanitari e insegnanti. In molte città è stato ridotto il servizio del trasporto pubblico locale per permettere ai manifestanti di raggiungere i cortei. Anche i tassisti hanno espresso solidarietà e partecipato allo sciopero, lavorando solo per offrire corse gratuite ai manifestanti.
La tensione a Piazza Syntagma, nel centro della capitale, è sfociata in un campo di battaglia: molotov e pietre contro gli agenti in tenuta antisommossa fuori dal Parlamento. Granate stordenti e lacrimogeni contro i manifestanti. Come testimonia un sondaggio pubblicato a fine gennaio, la fiducia per il governo è bassissima: più dell’80% delle persone ritiene che non abbia fatto abbastanza per fare luce sulle cause del disastro.
«Le mobilizzazioni molto forti e radicate, sia in Serbia che in Turchia, rifiutano la visione di presunte catastrofi come eventi naturali o casuali – sottolinea Della Porta- Si individuano invece delle responsabilità politiche. È questo che porta le persone a manifestare: un’insofferenza e insoddisfazione profonda rispetto alla classe dirigente che si percepisce come corrotta e ingiusta».
Gli obiettivi comuni guidano l’organizzazione delle proteste, che arrivano sempre più dal basso: «Sono guidate da attori sociali poco organizzati, con una struttura semplice: gli studenti in Serbia, i genitori delle vittime in Grecia – aggiunge Delle Porta – Le proteste si organizzano dal basso, in reazione a quello che viene definito un fallimento dello Stato. Sia in Grecia che in Serbia si è parlato di “failed state” (stato fallito): il fallimento dello stato non solo in relazione a problemi specifici, come ad esempio i tagli al welfare, ma riguardo la sua reputazione considerata corrotta».
Dall’Ungheria alla Romania, i manifestanti pro-Ue protestano contro i leader filorussi
I cittadini chiedono di più ai loro leader e hanno a cuore il futuro del loro paese. Difenderne le sorti dall’autoritarismo, esprimendo opposizione e dissenso al sentimento nazionalista e antieuropeo, è quello che ha portato lo scorso mese centinaia di migliaia di persone a scendere tra le strade di Bucarest e Budapest. L’obiettivo, pur in due manifestazioni separate, è lo stesso: manifestare contro i leader con posizioni vicine alla Russia.
 
Budapest on April 13, 2025. (Attila KISBENEDEK / AFP)
Se in Ungheria almeno 50mila persone hanno marciato per chiedere la fine del governo di Viktor Orban, in carica da 15 anni e considerato il più stretto alleato di Vladimir Putin tra i leader dell’Unione europea, e il partito Tisza porta in piazza il popolo che vuole ascoltare per fissare le priorità del Paese (13 aprile a Budapest); in Romania migliaia di persone sono scese in piazza a Bucarest per una manifestazione a favore dell’Unione europea e per ribadire l’appoggio all’esclusione di Georgescu dalle prossime elezioni, politico accusato di presunti legami con la Russia e arrestato nei giorni scorsi.
Secondo quanto riportato da Agerpres, agenzia di stampa nazionale della Romania, la manifestazione sarebbe stata organizzata dal gruppo pro-Ue “Euromanifest” e dall’associazione “Declic, resistance and corruption kills” con l’obiettivo di essere un incontro pacifico e solidale per il rispetto dei valori europei.
 Anche in Georgia il popolo vuole l’Unione europea. A Tbilisi, nella capitale georgiana, nonostante gli arresti e gli attacchi fisici contro attivisti e figure dell’opposizione, i manifestanti si sono radunati davanti alla sede del Parlamento: cantano e bloccano le strade per protestare contro la sospensione dei colloqui di adesione all’Ue. A ottobre 2024 il partito Sogno Georgiano, che governa il Paese da ormai 12 anni, ha vinto le elezioni legislative ottenendo quasi 54% dei voti. La coalizione d’opposizione filoeuropea, composta da quattro partiti e guidata dalla presidente della Repubblica, Salome Zourabichvili, si è fermata al 37% circa dei consensi. Zourabichvili ha dichiarato che il paese è stato vittima di una «operazione speciale russa», finalizzata a distogliere la repubblica caucasica dal suo percorso di avvicinamento all’Europa.
«La percezione dei leader come violenti, unita a rivendicazioni di tipo sociale, economico e politico, guida le proteste: il timore non riguarda solo la svolta autoritaria dei singoli Paesi, ma anche la rinuncia ai principi fondamentali della democrazia» fa notare ad Alley Oop Della Porta, esperta di movimenti sociali. E questo avviene anche fuori dall’Europa, dove la democrazia rischia di vacillare in provvedimenti che minano i diritti: «Anche negli Stati Uniti c’è un’organizzazione molto orizzontale e comunitaria nei piccoli luoghi, con rivendicazioni diverse da un posto all’altro che tuttavia riescono a mettere richieste diverse: quelle delle persone licenziate da Trump e Musk, quelle degli studenti sui temi della Palestina, le rivendicazioni da parte delle associazioni per la protezione dell’ambiente o quelle dei sindacati per i diritti del lavoro».
Contro il razzismo, si mobilitano le proteste da Parigi ad Amsterdam
 
Place de la Republique in Paris April 12, 2025 REUTERS/Stephanie Lecocq
Non solo per manifestare il proprio dissenso. Ma anche per chiedere di ampliare i diritti.  In concomitanza con la Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, osservata ogni anno il 21 marzo dalla sua dichiarazione del 1966 da parte delle Nazioni Unite, più di diecimila persone si sono riunite sabato in Piazza Dam, nella capitale olandese Amsterdam, per partecipare a una massiccia protesta contro il razzismo, il fascismo e le politiche di estrema destra.
Lo stesso è accaduto in Francia: in un centinaio di città – da Parigi, Marsiglia a Rennes – diversi cortei antirazzisti, organizzati da centinaia di sindacati e associazioni locali e nazionali, hanno contestato l’estrema destra e anche il governo del presidente Emmanuel Macron. Nella capitale francese sono state dispiegate unità antisommossa per mantenere la pace e sedare i disordini: i manifestanti hanno espresso il loro rifiuto nei confronti dei partiti di estrema destra, in un contesto politico nazionale in cui  il governo si è recentemente impegnato a reprimere l’immigrazione e a rafforzare i controlli alle frontiere. Per l’ong Ligue des Droits de l’Homme, gli episodi di razzismo sono in aumento allarmante in Francia. Sia qui che in Olanda, moltissime bandiere palestinesi hanno accompagnato le proteste.
Diritto di protesta e spirito critico, qual è la situazione in Italia
Se in tutta Europa le proteste cambiano volto ma non perdono vigore, cosa accade in Italia? «Lo spirito di critica e protesta continua a esistere – afferma Della Porta – ma non si è catalizzata in momenti intensi di creazione di reticoli, come è accaduto in Serbia o in Grecia».
Nel nostro Paese sono soprattutto i temi specifici a riunire le persone: «C’è una rinascita di rivendicazioni riguardo i conflitti sul lavoro, soprattutto riguardo i lavoratori con background migratorio nel settore logistico» fa notare la sociologa, che aggiunge: «Il caso dello sciopero dei lavoratori di Mondo Convenienza per chiedere turni meno duri e stipendi più alti è un esempio. Ma pensiamo anche al licenziamento dei dipendenti della Gkn Driveline Firenze, che da quasi quattro anni tiene con il fiato sospeso centinaia di lavoratori, le loro famiglie e un’intera comunità».
Il 9 luglio di 4 anni fa, senza preavviso, il fondo Melrose che la controllava Gkn ha inviato una mail di licenziamento ai 422 dipendenti della fabbrica. Il giorno stesso è iniziata la più lunga assemblea permanente nella storia sindacale italiana: è ancora in corso. Il 18 settembre dello stesso anno 40mila persone hanno sfilato a Firenze per chiedere il ritiro del licenziamento. Il tribunale di Firenze ha annullato la procedura di licenziamento per condotta antisindacale. Ma i licenziamenti sono rinviati, non cancellati. Anche in questo caso, l’organizzazione delle proteste a riguardo parte dal basso e si muove in modalità inedite. Il Collettivo di Fabbrica, dal 4 al 6 aprile, ha organizzato la terza edizione del Festival di Letteratura Working Class trasformando il piazzale di fronte alla fabbrica, sede del presidio permanente, in una grande piazza per intrecciare esperienze e sguardi diversi su forme e significati della lotta operaia.
Lo stesso accade su altri temi e servizi per fornire una risposta alle carenze dello Stato: «Già dai tempi della pandemia, facendo ricerca, abbiano notato che si creano reticoli di autoproduzione di servizi – spiega Della Porta – Per esempio, nel caso della salute, si stanno creando gruppi che si richiamano ai concetti di medicina democratica e alle proposte di salute pubblica, radicata sul territorio, che riprendono azioni e pensieri degli anni ‘70 già elaborati dal medico Giulio Mattacaro»
La ritualità delle manifestazioni assume un significato politico
In Italia la ritualità di alcune manifestazioni sta assumendo un significato politico importante: «L’8 marzo e il 25 novembre, attorno al movimento Non una di meno, ci sono state in tutta Italia manifestazioni di parecchie centinaia di migliaia di persone – sottolinea Della Porta – Non sono sporadiche ma distribuite in tutto il paese. Le proteste lottano contro i femminicidi ma, allo stesso tempo, portano alla luce anche altri temi intersecati».
 
Manifestazione Friday for Future – Roma 11 Aprile 2025 (Cecilia Fabiano/LaPresse)
Sono periodiche anche le manifestazioni per Gaza che, afferma Della Porta, «sottolineano la violazione dei diritti umani in Palestina». L’intreccio di tematiche unisce piazze diverse: «Ad esempio, Non una di meno parla anche di precarietà sul lavoro e Palestina». Per far sì che le proteste si consolidino, nell’analisi dei movimenti sociali, si parla di “momenti di opportunità”: «Possono essere le elezioni, durante cui i movimenti sociali acquisiscono maggiormente la capacità di influenzare le dinamiche della competizione elettorale – spiega Della Porta – Ma questo ora si verifica poco: primeggia la percezione di grave minaccia. Non di opportunità».
Come nel resto di Europa, anche in Italia le giovani generazioni hanno un ruolo di primo piano nel coltivare la capacità di dissentire, con una specificità: «C’è un’importante e inaspettata diversificazione di genere nella dimensione generazionale delle proteste: le donne hanno posizioni molto più progressiste rispetto agli uomini, con differenze anche di 20 punti percentuali su molti temi – sottolinea Della Porta – Un gap che potrebbe consolidarsi anche nelle proteste perché, se è vero che nascono soprattutto nelle università, è qui che i giovani vengono socializzati e mettono a frutto valori e credenze».
Manifestazioni in Europa, popoli che tornano in piazza. E in Italia?

    14 Aprile 2025 Nicoletta Labarile Polis

Si organizzano dal basso, prendono forma attraverso piccole reti e fanno leva su temi specifici: le proteste in Europa cambiano volto. Come sottolinea il rapporto “Poco tutelato e troppo ostacolato: lo stato del diritto di protesta in 21 stati europei“ di Amnesty International, nonostante il diritto di manifestare pacificamente sia poco tutelato e ostacolato in 21 stati europei, il controllo spesso oppressivo delle autorità statali non ferma le voci delle piazze che si organizzano e cambiano forma: diventano strade, villaggi, marce, gruppi orizzontali di attivismo e divulgazione.

«Quello che emerge dalle nuove ondate di movimenti in Europa è che il ruolo dei movimenti sociali cambia a seconda delle condizioni del sistema politico» spiega ad Alley Oop la sociologa Donatella Della Porta, prima preside della facoltà di Scienze politico sociali e coordinatrice del dottorato in Political science and Sociology alla Scuola Normale Superiore a Firenze, dove dirige il Centre on social movement studies.

Dalle proteste in Serbia contro il presidente Aleksandar Vučić, alle manifestazioni in Grecia per rivendicare la responsabilità politica del tragico scontro ferroviario di Tempe che il 28 febbraio 2023 costò la vita a 57 persone, quello che muove il dissenso – evidenzia Della Porta – è una percezione di insoddisfazione condivisa: «I partiti politici si presentano come estremamente deboli e i movimenti sociali diventano l’unica forma per presentare ragioni di insoddisfazione e insofferenza rispetto ai governi».

Il 4 aprile il consiglio dei ministri italiano ha approvato il decreto sicurezza che sostituisce e supera il Ddl all’esame del Senato, ricalcandone integralmente i 38 articoli: dal reato di «detenzione di materiale con finalità di terrorismo» alle tutele rafforzate per agenti e militari, il provvedimento interviene sul diritto di protesta in Italia che, ostacolato e in linea con quello che sta accadendo in Europa, cambia forma ma non si arresta.
Serbia, gli studenti marciano contro il governo corrotto

Dal 2017, anno in cui il presidente della repubblica Aleksandar Vučić ha vinto le elezioni per la prima volta, la Serbia sembrava essere in stallo: Vučić ha sempre vinto le elezioni, consolidando un sistema di potere difficilissimo da scalfire. Fino al mese scorso, quando il 15 marzo a Belgrado centinaia di migliaia di persone hanno protestato contro il governo serbo: la più grande manifestazione pacifica nella storia del Paese, organizzata dal movimento studentesco, a cui hanno partecipato oltre 300 mila persone riempiendo le piazze della capitale.

Ad accendere la protesta il crollo di una pensilina alla stazione di Novi Sad che, pur essendo stata ristrutturata poco tempo prima, il primo novembre 2024 ha ucciso 15 persone: l’incidente era stato fin da subito considerato emblematico della corruzione diffusa in Serbia. Presto le manifestazioni sono diventate le più ampie proteste antigovernative in Serbia degli ultimi trent’anni.

Partite dalle facoltà universitarie, molte delle quali sono state occupate da novembre, le proteste si sono allargate alle scuole superiori e continuano a coinvolgere il resto della società. Quando non esplicitamente ostile, il racconto delle manifestazioni da parte di diversi media serbi è stato parziale e scarso: per aggirare l’ostacolo e ottenere visibilità pubblica, gli studenti hanno deciso di organizzare marce in tutto il Paese. Si sono organizzati nelle assemblee di decine di facoltà occupate in tutta la Serbia, hanno creato comitati con competenze diverse, programmato i percorsi stabilendo contatti con le amministrazioni e associazioni locali.

Le proteste hanno avuto il loro impatto, sebbene non riescano ancora ad intaccare totalmente il potere di Vučić: a fine gennaio si è dimesso il primo ministro Miloš Vučević, sostituito da  Djuro Macut, un medico privo di esperienza in politica. Intanto, gli studenti hanno mostrato un modo inedito di protestare: «I movimenti di protesta oggi non hanno la forma e le modalità delle rivoluzioni del secolo scorso – spiega la sociologa Della Porta – Ma riescono ad agire strategicamente rispetto alle condizioni politiche attuali, sensibilizzando le persone in modi diversi: le marce degli studenti in Serbia lo dimostrano, hanno marciato nei piccoli villaggi e nelle campagne per spiegare alle persone perché si opponevano al governo e lo consideravano corrotto».
Grecia, le proteste rivendicano giustizia

Anche in Grecia, ad accendere le proteste, è stato un “incidente” che richiama alla responsabilità politica: 57 persone, soprattutto studenti, morirono il 28 febbraio 2023 quando un treno passeggeri si scontrò con un treno merci vicino alla gola di Tempe, nella Grecia centrale. L’incidente ha provocato decine di feriti denunciando le carenze dell’infrastruttura di trasporto del paese. I parenti delle vittime hanno lanciato le proteste di massa, affermando che i politici dovrebbero essere ritenuti responsabili: finora, infatti, solo i funzionari delle ferrovie sono stati accusati di reati e non è stato ancora celebrato alcun processo.

A 2 anni dall’incidente le proteste riprendono vigore e, per il suo anniversario, in Grecia hanno scioperato i lavoratori del settore pubblico e privato: ristoranti, supermercati, teatri e molte altre attività hanno chiuso. Si sono uniti allo sciopero anche avvocati, operatori sanitari e insegnanti. In molte città è stato ridotto il servizio del trasporto pubblico locale per permettere ai manifestanti di raggiungere i cortei. Anche i tassisti hanno espresso solidarietà e partecipato allo sciopero, lavorando solo per offrire corse gratuite ai manifestanti.

La tensione a Piazza Syntagma, nel centro della capitale, è sfociata in un campo di battaglia: molotov e pietre contro gli agenti in tenuta antisommossa fuori dal Parlamento. Granate stordenti e lacrimogeni contro i manifestanti. Come testimonia un sondaggio pubblicato a fine gennaio, la fiducia per il governo è bassissima: più dell’80% delle persone ritiene che non abbia fatto abbastanza per fare luce sulle cause del disastro.

«Le mobilizzazioni molto forti e radicate, sia in Serbia che in Turchia, rifiutano la visione di presunte catastrofi come eventi naturali o casuali – sottolinea Della Porta- Si individuano invece delle responsabilità politiche. È questo che porta le persone a manifestare: un’insofferenza e insoddisfazione profonda rispetto alla classe dirigente che si percepisce come corrotta e ingiusta».

Gli obiettivi comuni guidano l’organizzazione delle proteste, che arrivano sempre più dal basso: «Sono guidate da attori sociali poco organizzati, con una struttura semplice: gli studenti in Serbia, i genitori delle vittime in Grecia – aggiunge Delle Porta – Le proteste si organizzano dal basso, in reazione a quello che viene definito un fallimento dello Stato. Sia in Grecia che in Serbia si è parlato di “failed state” (stato fallito): il fallimento dello stato non solo in relazione a problemi specifici, come ad esempio i tagli al welfare, ma riguardo la sua reputazione considerata corrotta».
Dall’Ungheria alla Romania, i manifestanti pro-Ue protestano contro i leader filorussi

I cittadini chiedono di più ai loro leader e hanno a cuore il futuro del loro paese. Difenderne le sorti dall’autoritarismo, esprimendo opposizione e dissenso al sentimento nazionalista e antieuropeo, è quello che ha portato lo scorso mese centinaia di migliaia di persone a scendere tra le strade di Bucarest e Budapest. L’obiettivo, pur in due manifestazioni separate, è lo stesso: manifestare contro i leader con posizioni vicine alla Russia.

Budapest on April 13, 2025. (Attila KISBENEDEK / AFP)

Se in Ungheria almeno 50mila persone hanno marciato per chiedere la fine del governo di Viktor Orban, in carica da 15 anni e considerato il più stretto alleato di Vladimir Putin tra i leader dell’Unione europea, e il partito Tisza porta in piazza il popolo che vuole ascoltare per fissare le priorità del Paese (13 aprile a Budapest); in Romania migliaia di persone sono scese in piazza a Bucarest per una manifestazione a favore dell’Unione europea e per ribadire l’appoggio all’esclusione di Georgescu dalle prossime elezioni, politico accusato di presunti legami con la Russia e arrestato nei giorni scorsi.

Secondo quanto riportato da Agerpres, agenzia di stampa nazionale della Romania, la manifestazione sarebbe stata organizzata dal gruppo pro-Ue “Euromanifest” e dall’associazione “Declic, resistance and corruption kills” con l’obiettivo di essere un incontro pacifico e solidale per il rispetto dei valori europei.

Anche in Georgia il popolo vuole l’Unione europea. A Tbilisi, nella capitale georgiana, nonostante gli arresti e gli attacchi fisici contro attivisti e figure dell’opposizione, i manifestanti si sono radunati davanti alla sede del Parlamento: cantano e bloccano le strade per protestare contro la sospensione dei colloqui di adesione all’Ue. A ottobre 2024 il partito Sogno Georgiano, che governa il Paese da ormai 12 anni, ha vinto le elezioni legislative ottenendo quasi 54% dei voti. La coalizione d’opposizione filoeuropea, composta da quattro partiti e guidata dalla presidente della Repubblica, Salome Zourabichvili, si è fermata al 37% circa dei consensi. Zourabichvili ha dichiarato che il paese è stato vittima di una «operazione speciale russa», finalizzata a distogliere la repubblica caucasica dal suo percorso di avvicinamento all’Europa.

«La percezione dei leader come violenti, unita a rivendicazioni di tipo sociale, economico e politico, guida le proteste: il timore non riguarda solo la svolta autoritaria dei singoli Paesi, ma anche la rinuncia ai principi fondamentali della democrazia» fa notare ad Alley Oop Della Porta, esperta di movimenti sociali. E questo avviene anche fuori dall’Europa, dove la democrazia rischia di vacillare in provvedimenti che minano i diritti: «Anche negli Stati Uniti c’è un’organizzazione molto orizzontale e comunitaria nei piccoli luoghi, con rivendicazioni diverse da un posto all’altro che tuttavia riescono a mettere richieste diverse: quelle delle persone licenziate da Trump e Musk, quelle degli studenti sui temi della Palestina, le rivendicazioni da parte delle associazioni per la protezione dell’ambiente o quelle dei sindacati per i diritti del lavoro».
Contro il razzismo, si mobilitano le proteste da Parigi ad Amsterdam

Place de la Republique in Paris April 12, 2025 REUTERS/Stephanie Lecocq

Non solo per manifestare il proprio dissenso. Ma anche per chiedere di ampliare i diritti.  In concomitanza con la Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, osservata ogni anno il 21 marzo dalla sua dichiarazione del 1966 da parte delle Nazioni Unite, più di diecimila persone si sono riunite sabato in Piazza Dam, nella capitale olandese Amsterdam, per partecipare a una massiccia protesta contro il razzismo, il fascismo e le politiche di estrema destra.

Lo stesso è accaduto in Francia: in un centinaio di città – da Parigi, Marsiglia a Rennes – diversi cortei antirazzisti, organizzati da centinaia di sindacati e associazioni locali e nazionali, hanno contestato l’estrema destra e anche il governo del presidente Emmanuel Macron. Nella capitale francese sono state dispiegate unità antisommossa per mantenere la pace e sedare i disordini: i manifestanti hanno espresso il loro rifiuto nei confronti dei partiti di estrema destra, in un contesto politico nazionale in cui  il governo si è recentemente impegnato a reprimere l’immigrazione e a rafforzare i controlli alle frontiere. Per l’ong Ligue des Droits de l’Homme, gli episodi di razzismo sono in aumento allarmante in Francia. Sia qui che in Olanda, moltissime bandiere palestinesi hanno accompagnato le proteste.
Diritto di protesta e spirito critico, qual è la situazione in Italia

Se in tutta Europa le proteste cambiano volto ma non perdono vigore, cosa accade in Italia? «Lo spirito di critica e protesta continua a esistere – afferma Della Porta – ma non si è catalizzata in momenti intensi di creazione di reticoli, come è accaduto in Serbia o in Grecia».

Nel nostro Paese sono soprattutto i temi specifici a riunire le persone: «C’è una rinascita di rivendicazioni riguardo i conflitti sul lavoro, soprattutto riguardo i lavoratori con background migratorio nel settore logistico» fa notare la sociologa, che aggiunge: «Il caso dello sciopero dei lavoratori di Mondo Convenienza per chiedere turni meno duri e stipendi più alti è un esempio. Ma pensiamo anche al licenziamento dei dipendenti della Gkn Driveline Firenze, che da quasi quattro anni tiene con il fiato sospeso centinaia di lavoratori, le loro famiglie e un’intera comunità».

Il 9 luglio di 4 anni fa, senza preavviso, il fondo Melrose che la controllava Gkn ha inviato una mail di licenziamento ai 422 dipendenti della fabbrica. Il giorno stesso è iniziata la più lunga assemblea permanente nella storia sindacale italiana: è ancora in corso. Il 18 settembre dello stesso anno 40mila persone hanno sfilato a Firenze per chiedere il ritiro del licenziamento. Il tribunale di Firenze ha annullato la procedura di licenziamento per condotta antisindacale. Ma i licenziamenti sono rinviati, non cancellati. Anche in questo caso, l’organizzazione delle proteste a riguardo parte dal basso e si muove in modalità inedite. Il Collettivo di Fabbrica, dal 4 al 6 aprile, ha organizzato la terza edizione del Festival di Letteratura Working Class trasformando il piazzale di fronte alla fabbrica, sede del presidio permanente, in una grande piazza per intrecciare esperienze e sguardi diversi su forme e significati della lotta operaia.

Lo stesso accade su altri temi e servizi per fornire una risposta alle carenze dello Stato: «Già dai tempi della pandemia, facendo ricerca, abbiano notato che si creano reticoli di autoproduzione di servizi – spiega Della Porta – Per esempio, nel caso della salute, si stanno creando gruppi che si richiamano ai concetti di medicina democratica e alle proposte di salute pubblica, radicata sul territorio, che riprendono azioni e pensieri degli anni ‘70 già elaborati dal medico Giulio Mattacaro»
La ritualità delle manifestazioni assume un significato politico

In Italia la ritualità di alcune manifestazioni sta assumendo un significato politico importante: «L’8 marzo e il 25 novembre, attorno al movimento Non una di meno, ci sono state in tutta Italia manifestazioni di parecchie centinaia di migliaia di persone – sottolinea Della Porta – Non sono sporadiche ma distribuite in tutto il paese. Le proteste lottano contro i femminicidi ma, allo stesso tempo, portano alla luce anche altri temi intersecati».

Manifestazione Friday for Future – Roma 11 Aprile 2025 (Cecilia Fabiano/LaPresse)

Sono periodiche anche le manifestazioni per Gaza che, afferma Della Porta, «sottolineano la violazione dei diritti umani in Palestina». L’intreccio di tematiche unisce piazze diverse: «Ad esempio, Non una di meno parla anche di precarietà sul lavoro e Palestina». Per far sì che le proteste si consolidino, nell’analisi dei movimenti sociali, si parla di “momenti di opportunità”: «Possono essere le elezioni, durante cui i movimenti sociali acquisiscono maggiormente la capacità di influenzare le dinamiche della competizione elettorale – spiega Della Porta – Ma questo ora si verifica poco: primeggia la percezione di grave minaccia. Non di opportunità».

Manifestazioni in Europa, popoli che tornano in piazza. E in Italia?

    14 Aprile 2025 Nicoletta Labarile Polis

Si organizzano dal basso, prendono forma attraverso piccole reti e fanno leva su temi specifici: le proteste in Europa cambiano volto. Come sottolinea il rapporto “Poco tutelato e troppo ostacolato: lo stato del diritto di protesta in 21 stati europei“ di Amnesty International, nonostante il diritto di manifestare pacificamente sia poco tutelato e ostacolato in 21 stati europei, il controllo spesso oppressivo delle autorità statali non ferma le voci delle piazze che si organizzano e cambiano forma: diventano strade, villaggi, marce, gruppi orizzontali di attivismo e divulgazione.

«Quello che emerge dalle nuove ondate di movimenti in Europa è che il ruolo dei movimenti sociali cambia a seconda delle condizioni del sistema politico» spiega ad Alley Oop la sociologa Donatella Della Porta, prima preside della facoltà di Scienze politico sociali e coordinatrice del dottorato in Political science and Sociology alla Scuola Normale Superiore a Firenze, dove dirige il Centre on social movement studies.

Dalle proteste in Serbia contro il presidente Aleksandar Vučić, alle manifestazioni in Grecia per rivendicare la responsabilità politica del tragico scontro ferroviario di Tempe che il 28 febbraio 2023 costò la vita a 57 persone, quello che muove il dissenso – evidenzia Della Porta – è una percezione di insoddisfazione condivisa: «I partiti politici si presentano come estremamente deboli e i movimenti sociali diventano l’unica forma per presentare ragioni di insoddisfazione e insofferenza rispetto ai governi».

Il 4 aprile il consiglio dei ministri italiano ha approvato il decreto sicurezza che sostituisce e supera il Ddl all’esame del Senato, ricalcandone integralmente i 38 articoli: dal reato di «detenzione di materiale con finalità di terrorismo» alle tutele rafforzate per agenti e militari, il provvedimento interviene sul diritto di protesta in Italia che, ostacolato e in linea con quello che sta accadendo in Europa, cambia forma ma non si arresta.
Serbia, gli studenti marciano contro il governo corrotto

Dal 2017, anno in cui il presidente della repubblica Aleksandar Vučić ha vinto le elezioni per la prima volta, la Serbia sembrava essere in stallo: Vučić ha sempre vinto le elezioni, consolidando un sistema di potere difficilissimo da scalfire. Fino al mese scorso, quando il 15 marzo a Belgrado centinaia di migliaia di persone hanno protestato contro il governo serbo: la più grande manifestazione pacifica nella storia del Paese, organizzata dal movimento studentesco, a cui hanno partecipato oltre 300 mila persone riempiendo le piazze della capitale.

Ad accendere la protesta il crollo di una pensilina alla stazione di Novi Sad che, pur essendo stata ristrutturata poco tempo prima, il primo novembre 2024 ha ucciso 15 persone: l’incidente era stato fin da subito considerato emblematico della corruzione diffusa in Serbia. Presto le manifestazioni sono diventate le più ampie proteste antigovernative in Serbia degli ultimi trent’anni.

Partite dalle facoltà universitarie, molte delle quali sono state occupate da novembre, le proteste si sono allargate alle scuole superiori e continuano a coinvolgere il resto della società. Quando non esplicitamente ostile, il racconto delle manifestazioni da parte di diversi media serbi è stato parziale e scarso: per aggirare l’ostacolo e ottenere visibilità pubblica, gli studenti hanno deciso di organizzare marce in tutto il Paese. Si sono organizzati nelle assemblee di decine di facoltà occupate in tutta la Serbia, hanno creato comitati con competenze diverse, programmato i percorsi stabilendo contatti con le amministrazioni e associazioni locali.

Le proteste hanno avuto il loro impatto, sebbene non riescano ancora ad intaccare totalmente il potere di Vučić: a fine gennaio si è dimesso il primo ministro Miloš Vučević, sostituito da  Djuro Macut, un medico privo di esperienza in politica. Intanto, gli studenti hanno mostrato un modo inedito di protestare: «I movimenti di protesta oggi non hanno la forma e le modalità delle rivoluzioni del secolo scorso – spiega la sociologa Della Porta – Ma riescono ad agire strategicamente rispetto alle condizioni politiche attuali, sensibilizzando le persone in modi diversi: le marce degli studenti in Serbia lo dimostrano, hanno marciato nei piccoli villaggi e nelle campagne per spiegare alle persone perché si opponevano al governo e lo consideravano corrotto».
Grecia, le proteste rivendicano giustizia

Anche in Grecia, ad accendere le proteste, è stato un “incidente” che richiama alla responsabilità politica: 57 persone, soprattutto studenti, morirono il 28 febbraio 2023 quando un treno passeggeri si scontrò con un treno merci vicino alla gola di Tempe, nella Grecia centrale. L’incidente ha provocato decine di feriti denunciando le carenze dell’infrastruttura di trasporto del paese. I parenti delle vittime hanno lanciato le proteste di massa, affermando che i politici dovrebbero essere ritenuti responsabili: finora, infatti, solo i funzionari delle ferrovie sono stati accusati di reati e non è stato ancora celebrato alcun processo.

A 2 anni dall’incidente le proteste riprendono vigore e, per il suo anniversario, in Grecia hanno scioperato i lavoratori del settore pubblico e privato: ristoranti, supermercati, teatri e molte altre attività hanno chiuso. Si sono uniti allo sciopero anche avvocati, operatori sanitari e insegnanti. In molte città è stato ridotto il servizio del trasporto pubblico locale per permettere ai manifestanti di raggiungere i cortei. Anche i tassisti hanno espresso solidarietà e partecipato allo sciopero, lavorando solo per offrire corse gratuite ai manifestanti.

La tensione a Piazza Syntagma, nel centro della capitale, è sfociata in un campo di battaglia: molotov e pietre contro gli agenti in tenuta antisommossa fuori dal Parlamento. Granate stordenti e lacrimogeni contro i manifestanti. Come testimonia un sondaggio pubblicato a fine gennaio, la fiducia per il governo è bassissima: più dell’80% delle persone ritiene che non abbia fatto abbastanza per fare luce sulle cause del disastro.

«Le mobilizzazioni molto forti e radicate, sia in Serbia che in Turchia, rifiutano la visione di presunte catastrofi come eventi naturali o casuali – sottolinea Della Porta- Si individuano invece delle responsabilità politiche. È questo che porta le persone a manifestare: un’insofferenza e insoddisfazione profonda rispetto alla classe dirigente che si percepisce come corrotta e ingiusta».

Gli obiettivi comuni guidano l’organizzazione delle proteste, che arrivano sempre più dal basso: «Sono guidate da attori sociali poco organizzati, con una struttura semplice: gli studenti in Serbia, i genitori delle vittime in Grecia – aggiunge Delle Porta – Le proteste si organizzano dal basso, in reazione a quello che viene definito un fallimento dello Stato. Sia in Grecia che in Serbia si è parlato di “failed state” (stato fallito): il fallimento dello stato non solo in relazione a problemi specifici, come ad esempio i tagli al welfare, ma riguardo la sua reputazione considerata corrotta».
Dall’Ungheria alla Romania, i manifestanti pro-Ue protestano contro i leader filorussi

I cittadini chiedono di più ai loro leader e hanno a cuore il futuro del loro paese. Difenderne le sorti dall’autoritarismo, esprimendo opposizione e dissenso al sentimento nazionalista e antieuropeo, è quello che ha portato lo scorso mese centinaia di migliaia di persone a scendere tra le strade di Bucarest e Budapest. L’obiettivo, pur in due manifestazioni separate, è lo stesso: manifestare contro i leader con posizioni vicine alla Russia.

Budapest on April 13, 2025. (Attila KISBENEDEK / AFP)

Se in Ungheria almeno 50mila persone hanno marciato per chiedere la fine del governo di Viktor Orban, in carica da 15 anni e considerato il più stretto alleato di Vladimir Putin tra i leader dell’Unione europea, e il partito Tisza porta in piazza il popolo che vuole ascoltare per fissare le priorità del Paese (13 aprile a Budapest); in Romania migliaia di persone sono scese in piazza a Bucarest per una manifestazione a favore dell’Unione europea e per ribadire l’appoggio all’esclusione di Georgescu dalle prossime elezioni, politico accusato di presunti legami con la Russia e arrestato nei giorni scorsi.

Secondo quanto riportato da Agerpres, agenzia di stampa nazionale della Romania, la manifestazione sarebbe stata organizzata dal gruppo pro-Ue “Euromanifest” e dall’associazione “Declic, resistance and corruption kills” con l’obiettivo di essere un incontro pacifico e solidale per il rispetto dei valori europei.

Anche in Georgia il popolo vuole l’Unione europea. A Tbilisi, nella capitale georgiana, nonostante gli arresti e gli attacchi fisici contro attivisti e figure dell’opposizione, i manifestanti si sono radunati davanti alla sede del Parlamento: cantano e bloccano le strade per protestare contro la sospensione dei colloqui di adesione all’Ue. A ottobre 2024 il partito Sogno Georgiano, che governa il Paese da ormai 12 anni, ha vinto le elezioni legislative ottenendo quasi 54% dei voti. La coalizione d’opposizione filoeuropea, composta da quattro partiti e guidata dalla presidente della Repubblica, Salome Zourabichvili, si è fermata al 37% circa dei consensi. Zourabichvili ha dichiarato che il paese è stato vittima di una «operazione speciale russa», finalizzata a distogliere la repubblica caucasica dal suo percorso di avvicinamento all’Europa.

«La percezione dei leader come violenti, unita a rivendicazioni di tipo sociale, economico e politico, guida le proteste: il timore non riguarda solo la svolta autoritaria dei singoli Paesi, ma anche la rinuncia ai principi fondamentali della democrazia» fa notare ad Alley Oop Della Porta, esperta di movimenti sociali. E questo avviene anche fuori dall’Europa, dove la democrazia rischia di vacillare in provvedimenti che minano i diritti: «Anche negli Stati Uniti c’è un’organizzazione molto orizzontale e comunitaria nei piccoli luoghi, con rivendicazioni diverse da un posto all’altro che tuttavia riescono a mettere richieste diverse: quelle delle persone licenziate da Trump e Musk, quelle degli studenti sui temi della Palestina, le rivendicazioni da parte delle associazioni per la protezione dell’ambiente o quelle dei sindacati per i diritti del lavoro».
Contro il razzismo, si mobilitano le proteste da Parigi ad Amsterdam

Place de la Republique in Paris April 12, 2025 REUTERS/Stephanie Lecocq

Non solo per manifestare il proprio dissenso. Ma anche per chiedere di ampliare i diritti.  In concomitanza con la Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, osservata ogni anno il 21 marzo dalla sua dichiarazione del 1966 da parte delle Nazioni Unite, più di diecimila persone si sono riunite sabato in Piazza Dam, nella capitale olandese Amsterdam, per partecipare a una massiccia protesta contro il razzismo, il fascismo e le politiche di estrema destra.

Lo stesso è accaduto in Francia: in un centinaio di città – da Parigi, Marsiglia a Rennes – diversi cortei antirazzisti, organizzati da centinaia di sindacati e associazioni locali e nazionali, hanno contestato l’estrema destra e anche il governo del presidente Emmanuel Macron. Nella capitale francese sono state dispiegate unità antisommossa per mantenere la pace e sedare i disordini: i manifestanti hanno espresso il loro rifiuto nei confronti dei partiti di estrema destra, in un contesto politico nazionale in cui  il governo si è recentemente impegnato a reprimere l’immigrazione e a rafforzare i controlli alle frontiere. Per l’ong Ligue des Droits de l’Homme, gli episodi di razzismo sono in aumento allarmante in Francia. Sia qui che in Olanda, moltissime bandiere palestinesi hanno accompagnato le proteste.
Diritto di protesta e spirito critico, qual è la situazione in Italia

Se in tutta Europa le proteste cambiano volto ma non perdono vigore, cosa accade in Italia? «Lo spirito di critica e protesta continua a esistere – afferma Della Porta – ma non si è catalizzata in momenti intensi di creazione di reticoli, come è accaduto in Serbia o in Grecia».

Nel nostro Paese sono soprattutto i temi specifici a riunire le persone: «C’è una rinascita di rivendicazioni riguardo i conflitti sul lavoro, soprattutto riguardo i lavoratori con background migratorio nel settore logistico» fa notare la sociologa, che aggiunge: «Il caso dello sciopero dei lavoratori di Mondo Convenienza per chiedere turni meno duri e stipendi più alti è un esempio. Ma pensiamo anche al licenziamento dei dipendenti della Gkn Driveline Firenze, che da quasi quattro anni tiene con il fiato sospeso centinaia di lavoratori, le loro famiglie e un’intera comunità».

Il 9 luglio di 4 anni fa, senza preavviso, il fondo Melrose che la controllava Gkn ha inviato una mail di licenziamento ai 422 dipendenti della fabbrica. Il giorno stesso è iniziata la più lunga assemblea permanente nella storia sindacale italiana: è ancora in corso. Il 18 settembre dello stesso anno 40mila persone hanno sfilato a Firenze per chiedere il ritiro del licenziamento. Il tribunale di Firenze ha annullato la procedura di licenziamento per condotta antisindacale. Ma i licenziamenti sono rinviati, non cancellati. Anche in questo caso, l’organizzazione delle proteste a riguardo parte dal basso e si muove in modalità inedite. Il Collettivo di Fabbrica, dal 4 al 6 aprile, ha organizzato la terza edizione del Festival di Letteratura Working Class trasformando il piazzale di fronte alla fabbrica, sede del presidio permanente, in una grande piazza per intrecciare esperienze e sguardi diversi su forme e significati della lotta operaia.

Lo stesso accade su altri temi e servizi per fornire una risposta alle carenze dello Stato: «Già dai tempi della pandemia, facendo ricerca, abbiano notato che si creano reticoli di autoproduzione di servizi – spiega Della Porta – Per esempio, nel caso della salute, si stanno creando gruppi che si richiamano ai concetti di medicina democratica e alle proposte di salute pubblica, radicata sul territorio, che riprendono azioni e pensieri degli anni ‘70 già elaborati dal medico Giulio Mattacaro»
La ritualità delle manifestazioni assume un significato politico

In Italia la ritualità di alcune manifestazioni sta assumendo un significato politico importante: «L’8 marzo e il 25 novembre, attorno al movimento Non una di meno, ci sono state in tutta Italia manifestazioni di parecchie centinaia di migliaia di persone – sottolinea Della Porta – Non sono sporadiche ma distribuite in tutto il paese. Le proteste lottano contro i femminicidi ma, allo stesso tempo, portano alla luce anche altri temi intersecati».

Manifestazione Friday for Future – Roma 11 Aprile 2025 (Cecilia Fabiano/LaPresse)

Sono periodiche anche le manifestazioni per Gaza che, afferma Della Porta, «sottolineano la violazione dei diritti umani in Palestina». L’intreccio di tematiche unisce piazze diverse: «Ad esempio, Non una di meno parla anche di precarietà sul lavoro e Palestina». Per far sì che le proteste si consolidino, nell’analisi dei movimenti sociali, si parla di “momenti di opportunità”: «Possono essere le elezioni, durante cui i movimenti sociali acquisiscono maggiormente la capacità di influenzare le dinamiche della competizione elettorale – spiega Della Porta – Ma questo ora si verifica poco: primeggia la percezione di grave minaccia. Non di opportunità».

Come nel resto di Europa, anche in Italia le giovani generazioni hanno un ruolo di primo piano nel coltivare la capacità di dissentire, con una specificità: «C’è un’importante e inaspettata diversificazione di genere nella dimensione generazionale delle proteste: le donne hanno posizioni molto più progressiste rispetto agli uomini, con differenze anche di 20 punti percentuali su molti temi – sottolinea Della Porta – Un gap che potrebbe consolidarsi anche nelle proteste perché, se è vero che nascono soprattutto nelle università, è qui che i giovani vengono socializzati e mettono a frutto valori e credenze».

***

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Come nel resto di Europa, anche in Italia le giovani generazioni hanno un ruolo di primo piano nel coltivare la capacità di dissentire, con una specificità: «C’è un’importante e inaspettata diversificazione di genere nella dimensione generazionale delle proteste: le donne hanno posizioni molto più progressiste rispetto agli uomini, con differenze anche di 20 punti percentuali su molti temi – sottolinea Della Porta – Un gap che potrebbe consolidarsi anche nelle proteste perché, se è vero che nascono soprattutto nelle università, è qui che i giovani vengono socializzati e mettono a frutto valori e credenze».

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Da ilsole240re del 16 aprile 2025

 66 
 inserito:: Aprile 20, 2025, 11:58:54 pm 
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Pinù Chiari

Mario Pedica

BRAVO ADRIANO, CONDIVIDO
Dovremmo togliere le sanzioni alla Russia.                                                                                                            Dovremmo aiutare Trump e Putin a fermare la guerra in Ucraina.                                                            Dovremmo trattare sui dazi con Trump come faranno gli altri Paesi.
Dovremmo riprendere a importare gas direttamente dalla Russia.
Ascolto Elly Schlein e mi rendo conto che il sole picchia anche a primavera.
I dazi sono un disastro. Crollate le borse. Dai grandi crolli borsistici il mondo si è sempre ripreso e si spera che la bufera passi in fretta. Tutti i rappresentanti di governo vogliono parlare con Trump per trovare una soluzione. Si troverà. Ma le armi, gli eserciti e le guerre producono devastazioni irrimediabili con milioni di morti. 
Queste le parole di Elly Schlein: “Difesa comune sì, riarmo no” “Esercito europeo sì, riarmo no”. In altre parole vuole un'Europa che si difenda e per questo si deve armare, ma anche no… E pensare che non è nemmeno abbronzata. Con questa dichiarazione sembra Biden che stringe la mano al vento o che vuole uscire da una porta che non c’è. E il gran caldo non è ancora arrivato.
Putiniano o filorusso io non lo sono, ma c’è un fatto storico del quale tutti, anche le nuove generazioni dovrebbero essere consapevoli. Nel 1962 i sovietici avevano istallato dei missili a Cuba e gli americani non tolleravano che a poca distanza da casa loro potessero esserci armamenti nucleari sovietici. Iniziò un braccio di ferro che portò il mondo sull’orlo della catastrofe nucleare. In caso di conflitto gran parte dell’umanità non sarebbe sopravvissuta. Solo la lungimiranza di due grandi capi di Stato, Nikita Kruscev e John Fitzgerald Kennedy evitò il peggio.
Si accordarono all’ultimo momento sulla base di un compromesso: entrambi non ascoltarono il parere dei rispettivi consiglieri e decisero di fidarsi l’uno dell’altro. Con un accordo segreto tra loro, Kruscev ordinò alle navi che trasportavano nuovi missili a Cuba di invertire la rotta; e in cambio ebbe da Kennedy la rassicurazione che avrebbe tolto dalla Turchia i missili istallati dagli americani. Nonostante le televisioni parlassero dell’argomento, solo pochi sapevano del reale rischio che l’umanità stava correndo. E solo pochi sapevano dell’ordine imminente di una guerra nucleare.
Nemmeno Fidel Castro era informato delle reali decisioni che, sia pure prese all’ultimo momento, salvarono Cuba e il resto del mondo. Il 27 ottobre 1962, un U2 fu abbattuto sopra Cuba, mentre una forza di invasione era pronta a lasciare le coste americane per l’isola. Nella notte tra il 27 e il 28 la decisione era tra la guerra e la pace. Prevalse la ragione. Grazie a Kruscev e a Kennedy i cittadini di tutto il mondo poterono proseguire la loro vita. 
Oggi la Russia è circondata da basi Nato. In questi giorni al Parlamento Europeo hanno votato a favore del ReArm Europe: Fratelli D’Italia e Forza Italia, astenuta la Lega; ma quelli della sinistra che per anni hanno tenuto i cartelli in mano e che in tutte le piazze gridavano Pace, hanno votato a favore della guerra in Ucraina fino alla vittoria militare contro la Russia. (Auguri!). Hanno votato anche a favore degli investimenti nella difesa fino al 3% del PIL, per la guerra. Si tratta di scombinati della politica italiana: Stefano Bonaccini, Giorgio Gori, Dario Nardella (particolarmente inutile), Antonio De Caro, Matteo Ricci, Nicola Zingaretti, Lucia Annunziata, Sandro Ruotolo, Annalisa Corrado, Pierfrancesco Maran, Camilla Laureti, Giuseppe Lupo, Pina Picerno, Irene Tinagli, Raffaele Topo, e Alessandro Zan.
Questa accozzaglia di parolai e di guerrafondai va ricordata nelle urne e non solo, assieme a tutti quelli che ci vogliono armati gli uni contro gli altri. Nessuna vittoria militare ha mai vinto veramente. Ricordate: “Se Atene piange, Sparta non ride.” Putin, Trump, Zelensky: senza mediazione non si torna alla clava, si passa all’atomica. E di fronte all’atomica, Schlein e Von Der Truppen, non c’è esercito europeo che tenga.
Adriano Primo Baldi

da Facebook del 10 aprile 2025

Mestatori?!

 67 
 inserito:: Aprile 20, 2025, 11:51:49 pm 
Aperta da Admin - Ultimo messaggio da Admin
Massimiliano Bondanini
 Preferiti  · prSsedoont31m0:h 12u4 9 5p 3017r8eraua1l7lg07ea8u6t8g6l4eio7  ·

 



Andrea Esposito
prSsedoont31m0:h 12u4 9 5p 3017r8eraua1l7lg03ea8u8t8g6l4eio7  ·
PAROLA D'ORDINE: SCAPPARE!
QUANDO LA VERITA' NON LA VOGLIAMO
Ci sono 2 costanti irrinunciabili quando parli di DONBAS con gli haters e i lemmings filorussi che te lo vogliono spiegare dall'alto dei loro corsi immersivi nei tutorial di boiate targate barbero, travaglio, orsini e schiuma varia. Sono 2 fondamenta cardine che non ti sbagli, manco se sbagli per sbaglio...
1) NON HANNO MAI MESSO PIEDE IN UCRAINA: non sanno il Donbas dove sia, cosa sia, se sia una entita' geografica, toponomastica, amministrativa, politica, ideale ecc. Ti bastano 2 domande in croce per accorgerti che tentano di spiegarti un qualcosa che non hanno la minima idea di cosa sia.
2) IL RIFUTO DEL CONFRONTO DIRETTO: quando per smontargli i tappeti di puttan4te che hanno sugli occhi, li metti educatamente davanti al confronto diretto con l'argomento e i protagonisti di cui parlano (vuoi parlare con questi miei amici? Sono di Donetsk, sono di Luhansk, vengono da li, sono russofoni, gli vuoi chiedere se si sentono liberati dai russi o li odiano disperatamente? gli vuoi chiedere se giustificano il fatto che le loro cittadine siano crateri lunari, che le loro case nn esistano piu', che la mamma, la moglie, la nonna, i loro figli e nipoti, sono morti ammazzati dai missili russi..."perchè la Nato abbaiava ai confini o perchè gli ucraini so tutti n4zisti" come continui a ripetermi?
NON SIA MAI!
Scappano a gambe levate, fuggono terrorizzati.
Tutto cio' a conferma di quanto scriveva un grande narratore contemporaneo di cui mi sfugge il nome, ma il cui intervento ritrovero' e citero': "viviamo in un epoca nella quale l'analfabetismo funzionale, i bias cognitivi, la disinformazione eterodiretta (tipo quella russa) non sono piu' deficit dai quali si puo' uscire curando e selezionando le fonti, i documenti, verificando e comprovando le nostre convinzioni in primis relazionandoci DIRETTAMENTE con l'argomento sul quale ci stiamo formando, ma il contrario.
Non solo non utilizziamo i mezzi per indagare e CAPIRE.
Ma neppure VOGLIAMO farlo, ci abbiamo rinunciato".
L'istinto, lo sfogo di pancia che conferma le nostre piu' basse meschinita' nel tentativo di esorcizzare i nostri complessi irrisolti di inferiorità, non è piu barbarie e disvalore, ma VALORE da coltivare!
Tempi infami.
Da  FB 11 aprile 2025

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 inserito:: Aprile 20, 2025, 11:48:29 pm 
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La pericolosa normalizzazione del sorriso perfetto

Il punto sul sorriso "di Hollywood", ovvero la nuova ossessione della dentatura perfetta e bianchissima.

Di Alessandra Vescio Pubblicato: 11/04/2025
ossessione sorriso perfetto hollywood smile pinterest

Douglas Sacha//Getty Images

Dopo i capelli, il corpo e la pelle del viso, sui social media anche i denti sono diventati un target di consigli su pratiche e prodotti che promettono di renderli perfetti. Dentifrici e kit per sbiancare i denti in poco tempo, dispositivi che garantiscono un allineamento perfetto senza la necessità di una supervisione medica, fino a pratiche fai-da-te e low cost dai rischi altissimi. Tra queste c’è ad esempio chi suggerisce di utilizzare degli elastici di gomma per chiudere i gap dentali, chi di strofinare un limone o la buccia di una banana per rendere i denti più bianchi, chi di usare una lima per unghie sui denti per cambiarne la forma e l’allineamento. “Sempre più persone, soprattutto giovani nativi digitali, si rivolgono ai social media per ottenere trattamenti odontoiatrici cosmetici e ‘trucchi per i denti’ che sono nel migliore dei casi inefficaci e nel peggiore pericolosi”, ha commentato la dottoressa Sonia Szamocki, che si è formata all’università di Oxford e ha lavorato in diversi ospedali universitari e per il sistema sanitario pubblico prima di fondare l’azienda di allineatori per denti 32Co. L’utilizzo degli elastici di gomma per chiudere i gap dentali, ad esempio, dice la dottoressa Szamocki, “può portare a danni irreversibili alle strutture dentali, con il rischio di perdita dei denti, senza contare che la fessura si aprirà quasi subito senza un’adeguata attenzione ortodontica”; mentre per quanto riguarda strofinare la frutta sui denti “oltre a danneggiare lo smalto, non c’è alcuna evidenza” che funzioni.

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Nonostante le conseguenze anche pericolose, che, come ha spiegato la dottoressa Szamocki, possono poi portare ad “anni di costosi trattamenti correttivi e, in alcuni casi, la perdita precoce dei denti”, i rimedi fai-da-te e low cost continuano ad avere un certo seguito, perché promettono di ottenere i risultati desiderati in modo veloce ed economico. I costi delle cure odontoiatriche rappresentano certamente un fattore per molte persone che scelgono soluzioni a basso costo: secondo alcuni dati recenti, d’altronde, molte famiglie hanno detto di aver dovuto rinunciare o ritardare cure odontoiatriche perché troppo care. A rendere certe pratiche così popolari online però c’è anche la nuova normalizzazione del cosiddetto “sorriso di Hollywood”, e cioè la dentatura perfetta e bianchissima ricostruita ad hoc e sfoggiata da molti attori e attrici fin dagli anni Novanta e che negli ultimi tempi è diventato un vero e proprio canone di bellezza. Basti pensare che nel 2021 il mercato globale dei trattamenti sbiancanti per i denti avrebbe raggiunto i 6,9 miliardi di dollari, con dentifrici specifici, gel e dispositivi tra i prodotti più acquistati. Per ottenere il famoso “sorriso di Hollywood” però non basta usare un semplice prodotto da banco, ma bisogna piuttosto sottoporsi a un intervento complesso e anche costoso che consiste nell’incollare sui denti delle protesi di ceramica o di materiale composito, note con il nome di faccette. Si tratta di una procedura estetica utilizzata principalmente in caso di denti spezzati, rotti o malformati, ma che oggi sempre più di frequente viene richiesta per coprire le naturali variazioni dentali e che celebrities, influencer e star dei reality show sfoggiano e promuovono online. Non è però un intervento senza rischi: prima di applicare le faccette in molti casi è necessario limare lo strato superficiale dello smalto che, una volta rimosso, non si ripristina naturalmente; in alcuni casi questo intervento può rendere i denti più sensibili al caldo e al freddo; le faccette possono inoltre rompersi o staccarsi e hanno comunque una durata limitata nel tempo, per cui dopo circa 10-15 anni vanno sostituite. Anche nella sua versione più economica, e cioè in materiale composito, l’intervento ha comunque un costo importante, considerando che una sola faccetta può costare da qualche centinaia a oltre mille euro, e a ciò bisogna aggiungere poi i costi dei controlli regolari, che sono necessari proprio per la delicatezza dell’intervento e la manutenzione prevista.
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los angeles premiere of hbo original series "the white lotus" season 3 arrivals
pinterest

Steve Granitz//Getty Images
Aimee Lou Wood, protagonista di White Lotus 3, criticata e ammirata per la sua dentatura "imperfetta". Lei ne ha fatto il suo tratto distintivo.

A causa dei prezzi elevati nei centri specializzati, è diventato molto comune scegliere allora di andare in alcuni Paesi che offrono questo tipo di procedura a un costo più contenuto: è il caso della Turchia, ad esempio, che è oggi una delle destinazioni più popolari, accessibili e discusse online per i trattamenti cosmetici. A questo proposito, l’hashtag #TurkeyTeeth su TikTok ha superato i 24mila post, tra video-racconto dell’intervento, Q&A di influencer sulla procedura e dentisti che mettono in guardia dai potenziali rischi. Può succedere infatti che per velocizzare le procedure, gli standard di qualità in alcune di queste cliniche si abbassino drasticamente portando a problemi e conseguenze a lungo termine: “Si tratta di procedure irreversibili che hanno lasciato migliaia di pazienti con dolore cronico, perdita precoce dei denti e un risultato estetico molto peggiore”, ha detto la dottoressa Szamocki. In un sondaggio condotto dalla British Dental Association e pubblicato nel 2022, infatti, l’86% dei dentisti intervistati ha dichiarato di aver dovuto trattare pazienti che avevano sviluppato problemi in seguito ad alcuni trattamenti effettuati all’estero, con costi molto elevati per le persone e il servizio sanitario pubblico.
chanel cruise 2023 collection : front row in monte carlo
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Stephane Cardinale - Corbis//Getty Images
Vanessa Paradis con il suo celebre diastema.
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“Una buona regola da seguire”, ha detto allora il Professor Ama Johal, ortodontista esperto e responsabile clinico per la 32Co, “è quella di fidarsi del proprio istinto e se una cosa sembra troppo bella per essere vera, spesso lo è. Se qualcuno promette ‘un unico semplice consiglio’ per ottenere denti più bianchi, dovreste giustamente essere scettici”. Perciò, suggerisce “di seguire con cautela i consigli odontoiatrici online di chi non è un dentista registrato e formato. Avete solo questi denti, il lavoro di riparazione può costare molto e le decisioni a breve termine per ottenere una soluzione rapida possono causare anni di danni irreversibili. In caso di dubbio, consultate il vostro dentista di fiducia. Forse costerà un po’ di più, ma a lungo termine un trattamento professionale darà sempre un risultato più duraturo”.
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Al tempo stesso, è importante anche riconoscere che molti di questi trattamenti non sono affatto necessari, ma rappresentano piuttosto il frutto di azioni commerciali che inducono a desiderare ciò di cui non si ha effettivamente bisogno: “Un potente lavoro di marketing sui social media e pubblicità mirate ritraggono immagini di sorrisi perfetti ma irraggiungibili, inducendo le persone a fare qualcosa al riguardo”, ha spiegato il Professor Johal. A questo proposito, ha commentato la dottoressa Szamocki, “credo che un bel sorriso dovrebbe essere accessibile a tutti” sia per una questione di “salute che di fiducia in se stessi”. Però, aggiunge l’esperta, “non credo che esista una definizione univoca di un bel sorriso. Abbiamo visto pazienti che volevano allineare i loro denti ma lasciare il loro diastema (lo spazio in mezzo ai denti anteriori), perché è una parte importante della loro identità”

da - https://www.marieclaire.it/bellezza/viso-corpo/a64362179/denti-perfetti-ossessione-hollywood-smile/?utm_source=firefox-newtab-it-it

 69 
 inserito:: Aprile 20, 2025, 11:45:00 pm 
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FrasiCelebri.it
Martedì 15 aprile 2025
Frasi di Albert Einstein   

“Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido.”

ALBERT EINSTEIN

 70 
 inserito:: Aprile 20, 2025, 11:41:09 pm 
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Ruggero Ferrarini
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La parola di un medico che opera nella sanità veneta.

"Come si fa politicamente a passare da un sistema sanitario pubblico ad uno privato senza dirlo ai cittadini? Come si fa a chiudere reparti facendo finta di non chiuderli, come sta facendo Zaia in Veneto?
Lo fai un po' alla volta. Lo fai obbligando i professionisti a pagarsi l'assicurazione da soli, così tagli quella spesa.
Poi non assumi personale dove serve.

Poi non paghi gli straordinari o gli acquisti di prestazione dicendo che li pagherai più avanti.
Intanto i medici si trovano a spendere soldi per assicurazioni, non avere più straordinari pagati e ad essere sempre in meno a fare lo stesso lavoro che copre 24 h tutti i giorni.
Poi dai direttive come in fabbrica, pretendendo una visita ogni dieci minuti quando ne servirebbero almeno venti, in media, per avere il tempo di dire buongiorno e buonasera.
I pazienti sono scontenti perché aspettano, si innervosiscono, aggrediscono i medici che si trovano pagati male o addirittura con ore non pagate, con turni di lavoro impossibili, pazienti nervosi ed aggressivi che fanno causa per mille motivi e la tua azienda non ti copre. E vai di spese legali.
Le liste di attesa si allungano, la gente va nel privato.
La Regione intanto fa convenzioni col privato, aiutandolo. Così i medici si rendono conto che lo stesso lavoro viene loro pagato il doppio da un'altra parte senza fare 10 notti al mese o avere impegnati due weekend su 4.
In tutto questo, i medici sono pure pochi perché un imbuto impedisce ai neolaureati di specializzarsi.
Ad un certo punto, tra pensionamenti e licenziamenti non hai più medici e il reparto non c'è più, come ginecologia a Piove di Sacco o Pediatria a Camposampiero. Pian piano tagli i servizi territoriali, appaltando alle coop per non assumere nuovi infermieri. Dai un disservizio alla popolazione e tanti infermieri neolaureati vanno in Inghilterra o Germania. O vanno nel privato che cresce pian piano al decrescere del pubblico.
Questa è stata la strategia di gestione del Sistema Sanitario Veneto di Luca Zaia. E non sono stati avvenimenti casuali, è un uomo troppo intelligente per accusarlo di incapacità, è stata proprio una sua scelta, condivisa dalla maggioranza in Veneto. Quello di cui non sono sicura, invece, è che i cittadini veneti lo abbiano votato convinti che avrebbe fatto tutto questo".
[Laura Frigo]

da FB del 18 aprile 2025

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