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 inserito:: Febbraio 22, 2024, 11:48:37 am 
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SONO ALLA RICERCA DI 30 VOLONTEROSI DELLA COMUNICAZIONE INFORMATA. 

Uno per ognuna delle 20 Regioni (20).

Dieci (10) come team direzionale della Piattaforma Indipendente "OLIVO POLICONICO E TERRITORIO"

Un progetto che nasce dal mio antico ForumUlivismo (ULIVO una idea sociale e politica nata bene e fatta vivere male, sino ad abbatterlo come partito).

Oggi la voglio rilanciare (l'Idea non il Partito) soprattutto per motivare Giovani capaci di vivere il sociale per il sociale, in una VERA DEMOCRAZIA.

Gianni Gavioli (Arlecchino Euristico).
ciaooo


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 inserito:: Febbraio 22, 2024, 11:43:26 am 
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SONO ALLA RICERCA DI 30 VOLONTEROSI DELLA COMUNICAZIONE INFORMATA.

Uno per ognuna delle 20 Regioni (20).

Dieci (10) come team direzionale della Piattaforma Indipendente "OLIVO POLICONICO E TERRITORIO"

Un progetto che nasce dal mio antico ForumUlivismo (ULIVO, una idea sociale e politica nata bene e fatta vivere male, sino ad abbatterlo come partito).

Oggi la voglio rilanciare (l'Idea non il Partito) soprattutto per motivare giovani capaci di vivere il sociale per il sociale, in una VERA DEMOCRAZIA.

Gianni Gavioli (Arlecchino Euristico).
ciaooo

ggianni41@gmail.com

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 inserito:: Febbraio 22, 2024, 11:29:09 am 
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Attivo su FB:

SOCIALESIMO. PROLEGOMENI della DEMOCRAZIA Prima dell'ALTRO SOCIALISMO.

Gianni Gavioli
L'ha detto per primo papa Francesco, a ragione, ma con scopi ben precisi di ricerca della Pace.
La Terza Guerra, mondiale a pezzi, e già in atto da sempre ma non virulenta come oggi. 

E' bene, quindi, sentire e leggere anche altri pareri al riguardo ma, per persone non "irretite da prese di parte", non spostando il nostro asse di sostenitori della Pace Attiva.

Posizione che NON é "inutilmente" PACIFISTA, NON é anti o contro nessuno, in quanto tale.
Ma certamente contraria e avversaria delle pessime azioni subUmane e assassine dei guerrafondai,
compiute per ingordigia neocolonialista, oppure per una Odiosa, Cattiva, Naturale Disposizione a delinquere o per antico Atavismo. 

ggiannig

 94 
 inserito:: Febbraio 21, 2024, 06:41:02 pm 
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IN PRIMO PIANO

RUSSIA  13 gennaio 2024
Confermata la morte del giornalista Gonzalo Lira, detenuto in Ucraina dal regime di Kiev

La Redazione de l'AntiDiplomatico
 
Confermata la morte del giornalista Gonzalo Lira, detenuto in Ucraina dal regime di Kiev
I nostri articoli saranno gratuiti per sempre. Il tuo contributo fa la differenza: preserva la libera informazione. L'ANTIDIPLOMATICO SEI ANCHE TU!
Il giornalista cileno-statunitense Gonzalo Lira, che copriva il conflitto in Ucraina ed era critico le pratiche del regime di Kiev, è morto in una prigione ucraina, secondo quanto riferito da diverse fonti, che citano il padre. Successivamente, il Dipartimento di Stato USA e il Ministero degli Esteri cileno hanno confermato la sua morte.
"È stato torturato, vittima di estorsione, tenuto in isolamento per 8 mesi e 11 giorni e l'ambasciata statunitense non ha fatto nulla per aiutare mio figlio. Il responsabile di questa tragedia è il dittatore Zelenski, con il consenso di un presidente statunitense " ...", Joe Biden", ha scritto il padre.
Secondo la lettera pubblicata dal giornalista Alex Rubinstein, Lira aveva una polmonite bilaterale, uno pneumotorace e un caso molto grave di edema. Nella lettera si legge che le malattie si sono aggravate a metà ottobre e le autorità carcerarie lo hanno ignorato fino al 22 dicembre.
"Gonzalo Lira, padre, dice che suo figlio è morto all'età di 55 anni in una prigione ucraina, dove era detenuto per il reato di aver criticato i governi Zelenski e Biden. Gonzalo Lira era un cittadino statunitense, ma l'amministrazione Biden ha chiaramente appoggiato la sua detenzione e la sua tortura", ha scritto il giornalista statunitense Tucker Carlson sul suo account X.
Dopo le prime notizie sulla sorte del giornalista, il Dipartimento di Stato nordamericano ha confermato a Sputnik che Gonzalo Lira è morto in Ucraina. Tuttavia, si è rifiutato di fornire ulteriori informazioni, citando la necessità di rispettare la famiglia del defunto.
Lira viveva a Kharkov e curava un blog con lo pseudonimo di "CoachRedPill", ma è passato ai commenti su YouTube dopo lo scoppio del conflitto ucraino. Nel maggio 2023 è stato arrestato dal Servizio di sicurezza dell'Ucraina (SBU) con l'accusa di "screditare" le autorità e le forze armate ucraine.
La portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha ricordato che questa non era la prima volta che Lira scompariva, poiché il 15 aprile 2022 era stato arrestato da membri dell'SBU.
Per poi aggiungere che "hanno confiscato i suoi computer portatili e lo hanno privato dell'accesso a tutti i suoi account, ma poi lo hanno rilasciato a causa dell'ampia pubblicità che i media hanno dato alla sua scomparsa".
La Russia è convinta che le autorità del regime di Kiev siano le principali responsabili della morte del giornalista cileno-statunitense, ha dichiarato la rappresentanza diplomatica russa presso le Nazioni Unite.
Secondo i diplomatici di Mosca, gli Stati Uniti, alleati dell'Ucraina, cercheranno di mettere a tacere la morte del loro cittadino, che criticava la politica occidentale.
Diverse personalità pubbliche, secondo quanto riporta Sputnik, hanno fatto reagito alla morte in un carcere del regime di Kiev di Gonzalo Lira.
"L'amministrazione Biden avrebbe potuto recuperare Gonzalo Lira con una telefonata, ma non ha mosso un dito. Il governo ucraino sapeva quindi di poter agire impunemente. Tuttavia, la pura sfacciataggine di uccidere un cittadino statunitense in custodia rivela un regime criminale", ha denunciato l'uomo d'affari, autore e investitore David Sacks.
Il miliardario statunitense Elon Musk ha risposto a questo messaggio, definendo la situazione "un disastro".
Il figlio dell'ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, Donald Trump Jr, ha affermato di sperare in una copertura adeguata dell'accaduto da parte dei media statali, ma si è detto sicuro che questo non accadrà mai.
"Quindi ora permettiamo ai nostri beneficiari di assistenza sociale stranieri come Zelenski di uccidere i nostri cittadini e i nostri giornalisti?", ha chiesto Donald Trump Jr.
L'inazione del governo statunitense nel caso di Gonzalo Lira ha fatto arrabbiare anche lo scienziato e analista economico statunitense Chris Martenson, che ha definito l'amministrazione Biden "pura malvagità e un disastro morale".
“Gonzalo era uno dei buoni, assassinato da un dittatore da quattro soldi e dalla negligenza degli Stati Uniti”, ha poi aggiunto.
"Gonzalo Lira è morto oggi in una prigione ucraina per la sola colpa di essere un giornalista che voleva che il mondo conoscesse la vera natura del regime nazista in Ucraina (...) Voleva solo la verità, voleva solo la giustizia. Riposa in pace amico mio", ha affermato l’analista Angelo Giuliano.
Il commentatore politico statunitense, Jackson Hinkle, ha affermato che la situazione di Gonzalo Lira lo ha ispirato a "esporre la verità sull'impero guerrafondaio degli Stati Uniti".
"Non dimenticherò mai ciò che Zelenski e il suo governo nazista ucraino ti hanno fatto per volere dell'amministrazione Biden. Sei stato imprigionato, torturato, e infine ucciso per aver detto la verità", ha denunciato Hinkle.
Il primo vicepresidente della Commissione per lo sviluppo dei Mass Media e delle Comunicazioni di Massa della Camera civica russa, Alexandr Malevich, ha proposto di candidare il giornalista al Premio mondiale per la libertà di stampa. "Presenteremo la nostra candidatura all'UNESCO nei prossimi giorni".

Da – https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-confermata_la_morte_del_giornalista_gonzalo_lira_detenuto_in_ucraina_dal_regime_di_kiev/45289_52314/
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PER NOI dell'Olivo Policonico - Giusto riportare la notizia. MA le fonti dei commenti non sono "pacifiche".
Usare gli uccisi per fare Propaganda "contro", per NOI é Ingiusto e Infame.

ggg



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 inserito:: Febbraio 21, 2024, 12:50:42 pm 
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Né destra né sinistra: verso una politica adulta

Giacomo COSTA

L’appannarsi della contrapposizione tra le categorie di “destra” e “sinistra” nel contesto politico non implica il venir meno delle situazioni conflittuali. Imparare a leggere emozioni e passioni politiche, in un confronto fondato sul dialogo, aiuta a generare una società più armonica.

Fascicolo: gennaio 2016

Tags: dialogo ; ideologia ; opinione pubblica ; partecipazione politica ; partiti politici ; politica italiana ; rappresentanza

Né di destra, né di sinistra: sembra essere questo lo slogan della politica attuale, e non solo in Italia. Se ne sono appropriati nel Regno Unito lo UK Independence Party di Nigel Farage e in Francia il Front National di Marine Le Pen (formazioni tradizionalmente considerate di estrema destra), e in Spagna Podemos (frequentemente avvicinato invece alla sinistra). In Italia è la posizione del M5S fin dalle sue origini, assunta ormai anche da esponenti di partiti assai più tradizionali come il PD, tanto che il sindaco di Firenze Dario Nardella, in occasione dell’apertura della Leopolda 2015, ha affermato che esso «Deve essere un partito capace di parlare a tutti gli italiani, superando i vecchi paradigmi dei partiti del secolo scorso. Lo schema della contrapposizione tra destra e sinistra non è più sufficiente a leggere il nostro tempo. Dobbiamo costruire un’alternativa del tutto nuova» (Corriere della Sera, 11 dicembre 2015). Lo stesso Matteo Renzi, pur consapevole della valenza identitaria del termine “sinistra” per una parte del suo elettorato, ha cercato più volte di smarcarsene, come quando ha dichiarato: «Abbassare le tasse non è di destra né di sinistra. È giusto» (La Stampa, 16 ottobre 2015). Tutto lascia pensare che la questione emergerà con forza crescente con l’avvicinarsi delle prossime scadenze elettorali locali, anche in relazione alla scelta dei candidati sindaci e alla formazione delle relative coalizioni.

Queste posizioni, anche se non mancano di suscitare la reazione di quanti ancora ritengono importante richiamarsi al patrimonio ideale dello scenario ideologico del XX secolo, rispecchiano i numerosi sondaggi dell’opinione pubblica, in particolare giovanile: al disinteresse e alla sfiducia verso la politica si associano il rifiuto di collocarsi sull’asse destra-sinistra e la mancanza di idee chiare in merito al voto. Prevale la logica – o la retorica – della cittadinanza attiva e della partecipazione, dell’importanza di affrontare e risolvere i problemi concreti: almeno in parte, l’antipolitica si configura non come disinteresse, ma come rifiuto a riconoscersi nelle costruzioni tradizionali del mondo della politica, a partire dall’opposizione destra-sinistra, e nel loro modo di fare. Le affermazioni dei leader sopra ricordate sono anche un modo per cercare di catturare il consenso di questa parte dell’elettorato.


Ideologie sfilacciate

La crisi del binomio che sta alla base della vita politica delle democrazie moderne è un fenomeno assai complesso, che interseca una pluralità di livelli, dalle riflessioni filosofiche e politologiche sulla fine delle ideologie alla interpretazione del sentire comune. Soffermarsi sulle sue implicazioni richiede di procedere con una indispensabile cautela: serve uno sforzo deliberato per trattenere giudizi affrettati e cogliere la logica di posizioni diverse dalla propria. Se infatti da un lato è superficiale la posizione post-ideologica che ritiene semplicemente sorpassato quello che per altri rappresenta un patrimonio di identità e valori, dall’altro è banale tacciare affrettatamente di incoerenza chi di volta in volta assume posizioni che tradizionalmente facevano capo a poli ideologici opposti.

Il binomio destra-sinistra ha rappresentato l’asse strutturante dello spazio politico delle democrazie a partire dalla Rivoluzione francese, al cui interno per la prima volta appare: fu agli Stati generali francesi del 1789 e successivamente all’Assemblea nazionale che i conservatori si collocarono nell’emiciclo alla destra del presidente e i progressisti in quello alla sua sinistra. In radice – è la fondamentale lezione di Norberto Bobbio (Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Donzelli, Roma 1994) – la linea di demarcazione è rappresentata dalla posizione assunta rispetto all’egualitarismo e al perseguimento dell’obiettivo della rimozione di tutto ciò che ostacola l’uguaglianza dei cittadini (come afferma anche l’art. 3 della nostra Costituzione); ci sono state però stagioni in cui la contrapposizione è diventata così pervasiva da rappresentare una etichetta di valore associata di fatto a qualunque cosa, dal modo di vestirsi alla musica ascoltata, ai film preferiti.

Con un certo grado di semplificazione, destra e sinistra rappresentavano un quadro di riferimento ideologico al cui interno prendere posizione rispetto a ogni questione, diventando quindi un fattore identitario. Questo valeva soprattutto rispetto alle situazioni conflittuali di cui la politica è sempre intessuta e alle reazioni emotive che suscitano: che si trattasse della rabbia per qualche tipo di sfruttamento o della paura di perdere il proprio benessere, dell’anelito a una maggiore libertà o a una maggiore giustizia, le energie che queste emozioni inevitabilmente scatenano trovavano un vettore in cui collocarsi e trasformarsi in risorse di impegno, di lotta, di cambiamento.

L’esistenza di un quadro di riferimento organico non eliminava certo contraddizioni e incoerenze, spesso nella forma della “doppia morale”: quella alla base dei comportamenti individuali in contraddizione con i principi affermati e quella con cui valutare gli avvenimenti storici. In modo speculare a seconda della collocazione dell’osservatore, le stesse repressioni o violazioni dei diritti umani trovavano giustificazione o suscitavano indignazione a seconda che fossero commesse da regimi di destra (ad esempio in America latina) o di sinistra (ad esempio in Europa orientale). Con forme e gradi diversi, l’assetto del tempo delle ideologie implicava una dipendenza della base dal vertice, nel momento in cui la formulazione delle valutazioni della realtà era affidata ai livelli apicali degli schieramenti. In questo senso destra e sinistra, e le ideologie sottostanti, costituivano anche lo strumento attraverso cui il singolo poteva (o doveva) trascendere il proprio punto di vista per inserirlo in un orizzonte più ampio.

Tali ideologie hanno perso il loro riferimeno strutturante, ma non per questo si elimina il conflitto dalla politica, che continua a emergere e ad essere rappresentato – anche a fini identitari ed elettorali – attraverso opposizioni bipolari: si pensi, per fare alcuni esempi attuali, a europeisti vs euroscettici, accoglienza vs respingimenti, statalismo vs antistatalismo, regole vs mercato, locale vs globale, Nord vs Sud, pubblico vs privato, religione vs laicità, occidentali vs islamici, ecc. Né vengono meno tutte le passioni ed emozioni che i conflitti politici suscitano: paura, ansia, rabbia, entusiasmo, speranza, ecc. Sparisce però il vettore in cui inserirli, anche se con fatica: il fattore alla base dell’assunzione di una posizione pare diventare l’interesse personale. Non tanto e non solo nel senso di tornaconto individualistico, ma di ciò che mi sta a cuore, perché si lega a motivazioni profonde o a una simpatia superficiale. Si perde in capacità di cogliere i legami tra le diverse questioni e aumenta il rischio che le posizioni, apparentemente assunte sulla base di una maggiore autonomia individuale, rispondano in realtà alle logiche riduzionistiche del pensiero unico dell’efficienza di matrice tecnocratica, abilmente diffuse dall’industria dei media e funzionali agli interessi di chi detiene potere e privilegi. Ne nasce una sorta di posizionamento à la carte, in cui non fa difficoltà schierarsi per gli orsi polari o i panda in via di estinzione e, allo stesso tempo, contro le missioni di salvataggio degli immigrati; oppure contro le liste di attesa negli ospedali e a favore di una drastica riduzione delle tasse, e così via.

Tutto ciò, visto da chi – per scelta o per esservi nato – si pone nella prospettiva delle ideologie, appare come il regno dell’incoerenza: non soltanto degli elettori, ma anche dei politici che a loro si rivolgono, facendo appello non a un quadro organico di riferimento, ma direttamente alle emozioni e alle prese di posizione che ne conseguono.

Possiamo però chiederci: c’è un altro modo di leggere questa dinamica, che tra l’altro sembra rappresentare la traduzione politica di un sistema che fa della personalizzazione di beni e servizi e della libertà di scelta la propria bandiera? Una domanda simile può forse investire la diagnosi di deriva populista avanzata nei confronti di molte forze politiche. Non a caso si tratta di un’accusa utilizzata da coloro che sono più legati a un riferimento ideologico nei confronti di quanti, implicitamente o dichiaratamente, ne prescindono. Anche se questo non diminuisce i rischi di manipolazione e leaderismo (la vera minaccia per la democrazia), il rivolgersi a quella che normalmente viene chiamata la “pancia” degli elettori ha un significato diverso se è disponibile o meno un quadro di riferimento ideologico in cui collocare passioni ed emozioni: nel primo caso, il richiamo alle ideologie diventa anche lo strumento per ottenere attenzione e coinvolgimento, nel secondo il discorso politico deve invece essere costruito su altre basi.

Considerazioni analoghe possono riguardare alcune concezioni della rappresentanza oggi diffuse, che nel “mondo delle ideologie” risultano incomprensibili. Se il consenso elettorale viene richiesto come adesione a una prospettiva ideale, anche la delega implicita nella rappresentanza e il divieto di mandato imperativo (sancito dall’art. 67 della Costituzione) trovano il loro senso: su ciascuna questione gli eletti prendono posizione dopo averla collocata all’interno della visione ideale condivisa, a cui fa riferimento anche la disciplina di partito per la gestione dei casi controversi. In assenza di riferimenti a un quadro ideale e ideologico sulla cui base redigere i programmi, questo meccanismo si inceppa e la rappresentanza diventa un mandato senza delega: gli eletti dovranno rendere ragione agli elettori delle singole posizioni assunte, e, soprattutto, preoccuparsi di sintonizzarsi con l’opinione prevalente per tutti quei punti che il programma – non più un progetto di società, ma una lista non necessariamente organica di cose da fare – non prevede esplicitamente. Questa almeno sembra la logica alla base delle procedure di una forza come il M5S, anch’essa non scevra di incoerenze.


Passioni ed emozioni politiche

Il progressivo depotenziamento delle ideologie come orizzonti comprensivi ci obbliga dunque a rifare i conti con la realtà del carico emotivo della politica: basta pensare a quanto facilmente ci si accalora quando se ne parla tra persone di diverso orientamento, esprimendo una passione o una repulsione che non esitiamo a definire viscerale. Ugualmente indifferenza o nausea sono atteggiamenti con una forte base emotiva. Anche nell’epoca della razionalità tecnocratica, dunque, fare politica o riflettere su di essa richiede di avere a che fare con emozioni e passioni: che cosa significa in uno scenario post-ideologico, dove almeno potenzialmente sembra esserci un maggiore spazio per l’autonomia, ma anche un maggiore rischio di dispersione?

Passioni ed emozioni spaventano, perché costituiscono una esperienza di passività (è questa la radice etimologica del termine passione): ci prendono, ci afferrano, sfuggono al nostro controllo. Inoltre recano in sé il marchio della volatilità o volubilità: gli stati emotivi sono mutevoli e un impegno fondato unicamente su di loro fatica a radicarsi e proseguire nel tempo; anzi, lo scontro con la realtà, che ordinariamente smentisce gli slanci fondati sulle passioni, produce frustrazione e disillusione. Un altro pericolo è che emozioni e passioni possono diventare la base della manipolazione ad opera di chi, con pochi scrupoli, sa utilizzarle a proprio vantaggio.

Non per questo vanno represse o ignorate: il loro calore, che può scottarci se non le maneggiamo con cura, è una energia preziosa da volgere in nostro favore attraverso un ascolto intelligente del messaggio di cui sono portatrici, al di là delle apparenze con cui si manifestano. Certo, questo non basta. La creatività politica e sociale deve essere alimentata anche con lo studio, la riflessione e le competenze professionali e tecniche. Ma essere consapevoli che passioni ed emozioni sono risorse individuali e sociali cui attingere, assumendole con intelligenza critica (che non è sinonimo di razionalizzazione) permetterà di non lasciare da parte quello che, in fin dei conti, è il motore della storia. La vera sfida, in politica come in tutte le dimensioni della vita, è quella di non lasciarci dominare dall’emotività, ma di rileggere i vissuti emotivi per comprendere che cosa ci dicono della realtà in cui viviamo e trasformarli in generatori di risorse per il nostro impegno.

Questa attivazione emotiva collettiva ha molteplici facce, che proviamo a mettere in luce. Ad esempio, un sentimento come l’indignazione può fornire una potente spinta motivazionale a un’azione sociale tutt’altro che irrazionale: se mi indigno è perché rifletto su ciò che sta avvenendo e lo riconosco come contrastante con le regole o i valori alla base della vita sociale. Dunque la ragione aiuta l’indignazione nel suo manifestarsi e l’indignazione aiuta la ragione a esprimersi in maniera più incisiva. Allo stesso tempo, a queste emozioni possono intrecciarsi sentimenti come risentimento, rabbia oppure odio: non sono da condannare in sé, ma occorre essere consapevoli delle loro potenziali conseguenze distruttive.

Passioni ed emozioni fanno dunque sorgere molteplici interrogativi. Come difenderci dal rischio che siano manipolate? In che modo l’energia che producono può essere convogliata costruttivamente? Come evitare di cadere nell’assolutizzazione dell’esperienza emotiva, che può portare a fanatismo, intransigenza e anche a tante disillusioni? Come distinguere la passione costruttiva dalle sue proiezioni illusorie legate alla pretesa di possedere la verità, che fanno perdere il contatto con la realtà? Come non smarrire una percezione più realistica e pragmatica dei limiti del nostro agire? Infine, come arrivare a una efficace integrazione tra emozioni e razionalità?

Questi quesiti, in fondo, non riguardano solo la politica: in tutti gli ambiti della nostra vita, infatti, entrano in gioco passioni ed emozioni e il loro rapporto con la razionalità. Questo legittima forse il ricorso a un’immagine: da bambini il problema viene risolto attraverso la dipendenza da figure adulte (genitori, insegnanti, educatori, ecc.), in un processo di progressiva autonomia; l’adolescenza è comunemente considerata il momento di esplosione di emozioni e passioni, con la confusione che ne consegue e la fatica a gestirle, la presa di distanza dalle figure di riferimento dell’infanzia, a cui se ne sostituiscono altre; la maturità dell’età adulta consiste proprio nella capacità di governare le proprie emozioni, assumendone la profondità, valorizzandone la ricchezza e recuperando anche il patrimonio dei periodi precedenti. Si tratta di una suggestione che offriamo, invitando a resistere alla tentazione di una semplicistica applicazione analogica ai fenomeni sociali. Sarebbe banale concludere che per la vita democratica italiana all’infanzia della Prima repubblica ha fatto seguito l’adolescenza della Seconda e siamo in attesa della maturità della Terza. Si tratterebbe di una estensione di una dinamica personale alla sfera sociale, indebita anche solo per il fatto che il soggetto sociale collettivo muta costantemente in funzione della demografia. A livello sociale si tratta di un percorso da rinnovare ogni giorno: l’esempio ce ne indica la direzione, senza che possiamo pensare di compierlo una volta per tutte.


Per orientarsi

Ma come fare? Un primo passo è dare un nome alle emozioni, identificandone l’origine. Leggere le proprie paure, ad esempio, richiede di riconoscerle come tali, di identificare il bene che ci sta a cuore e sentiamo in pericolo e di individuare la minaccia. L’emozione è un segnale da leggere, mettendo a fuoco che cosa indica. Saper distinguere tra indignazione e invidia, tra ira e risentimento, speranza e illusione, partecipazione o manipolazione consente di orientarsi tra azioni politiche e sociali frutto di interessi parziali ed egoistici o, ancor peggio, di ritorsioni puramente ostili e vendicative, e progetti che scaturiscono dal desiderio di dignità e di uguaglianza, ispirati al bene comune e tesi alla conquista delle libertà democratiche. Riconoscere le passioni ci permette di intuire qualcosa sulle motivazioni profonde all’origine dei movimenti collettivi e di distinguere tra pretese illegittime e domande legittime di libertà e di giustizia.

La strada poi può aprirsi progressivamente se ci abituiamo a cogliere il “gusto” profondo della libertà di impegnarsi, di costruire qualcosa insieme, di rispettare veramente se stessi e gli altri, di sentirsi al posto giusto nel momento giusto. Un gusto ben diverso da quello di una iniziativa portata avanti per paura, per escludere altri, per affermare se stessi. Chi non ha mai provato che cosa significa la differenza non può rendersene conto; chi invece l’ha sperimentata dispone di uno strumento potente per orientarsi anche nei casi in cui l’analisi strettamente razionale non arriva a una chiarezza definitiva: difendere i propri interessi, individuali o di gruppo, appare spesso dotato di senso e persino attraente a un calcolo di costi e benefici, ma ha un gusto completamente diverso dall’operare per la promozione del bene comune. La chiave è dunque sviluppare la capacità di cogliere il gusto di ciò che si sta vivendo e soprattutto delle diverse alternative che sempre ci troviamo di fronte. Con un termine antico, tutt’altro che fuor di luogo quando si parla di politica, questa è l’arte del discernimento spirituale, di cui qui non possiamo che limitarci a qualche accenno.

Trattandosi di una dinamica sociale, questo compito di lettura e interpretazione di emozioni e passioni politiche non può che essere svolto insieme, in un confronto fondato sul dialogo. Assunto a livello di metodo in tutta la sua esigenza, il dialogo offre una opportunità irrinunciabile: permette a ciascuno di cogliere la propria parzialità e trascendere il proprio punto di vista e l’assolutezza con cui percepisce le proprie pulsioni emotive, in un percorso di maturazione personale nella direzione dell’autonomia e della responsabilità.

Per questo esercizio servono palestre. Oltre alla famiglia, le più indicate sono quelle realtà in cui i singoli confluiscono e che spesso, in vario modo, già offrono, talvolta istituzionalmente, percorsi e cammini formativi: la scuola e tutto il mondo delle associazioni, in particolare quelle che mirano a una presenza e a un impegno nella società, anche capendo come utilizzare correttamente le risorse offerte dai nuovi media. Per esperienza possiamo dire che si tratta di qualcosa che accade assai più spesso di quanto un certo pessimismo diffuso porterebbe a pensare. A questi ambiti ne vanno aggiunti due, per i quali questo compito assume una rilevanza ancora più strategica. Il primo sono i partiti politici, in particolare a livello della militanza di base: favorire confronto e dialogo sono per loro il modo di costruire una efficace democrazia interna, che oggi è un requisito indispensabile per svolgere legittimamente la funzione di rappresentanza. Il secondo sono le comunità di fede: ogni esperienza religiosa autentica integra al proprio interno passioni ed emozioni profonde, non solo quelle di ordine più squisitamente mistico (il rapporto con Dio), ma anche quelle relative a identità e appartenenza. Per queste comunità, intraprendere la via del confronto e del dialogo, al proprio interno e con quelle di altra confessione, è la via per sfuggire al settarismo e all’integralismo e un valido modo per offrire un contributo prezioso alla società di cui fanno parte.

Non mancano certo i temi sui cui esercitare confronto e dialogo, anche a livello della vita quotidiana: le dinamiche politiche e sociali ci obbligano in continuazione a prendere posizione su opzioni controverse ed emotivamente cariche. Tra le tante, quella che oggi sembra eccitare al massimo le passioni è il rapporto con la differenza culturale, religiosa o etnica: suscita paure profonde e quasi ancestrali, spesso oggetto di manipolazione, ma al tempo stesso interseca il mondo dell’economia (mercato del lavoro e sistema previdenziale), i bisogni a volte drammatici nel campo dell’assistenza e le evoluzioni del desiderio di futuro che soggiacciono alle dinamiche della natalità e della demografia. È un tema con cui dobbiamo costantemente fare i conti, in un modo auspicabilmente sempre più adulto.

Il sogno di una democrazia matura e di una politica adulta è che le scelte non si basino sul fatto che le alternative sono “di destra” o “di sinistra”, né sul conteggio degli infiniti “mi piace” individuali e poco motivati, ma su un percorso che ci permette di scoprire insieme, come con-cittadini, in che misura esse promuovono o non promuovono cammini costruttivi per tutti e per ciascuno.
DA- https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/ne-destra-ne-sinistra-verso-una-politica-adulta/

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 inserito:: Febbraio 21, 2024, 12:10:05 am 
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Il Golfo al centro del mondo: sceicchi ed emiri, dal petrolio alla geopolitica
| Milena Gabanelli- Corriere.it


Posta in arrivo

Arlecchino Euristico
lun 19 feb, 22:50
a me

https://www.corriere.it/dataroom-milena-gabanelli/golfo-centro-mondo-sceicchi-ed-emiri-petrolio-geopolitica/f31edd7e-ce4b-11ee-8f78-3653236a667d-va.shtml

Inviato da Posta per Windows

 

 97 
 inserito:: Febbraio 19, 2024, 06:42:44 pm 
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Premessa.

Da tempo siamo sdegnati dagli aspetti negativi del convivere in questa nostra Società, invasa dal Malaffare e dal Caos Sociale e Politico.
Dobbiamo conoscere sin dove vogliono arrivare le PREVARICAZIONI, contrarie ai precetti dell'onestà e dell'equità, da parte di coloro che, non da oggi, sono al potere ottenuto con il cattivo consenso e con le menzogne.
Dobbiamo dire BASTA all'Accanimento delle ISTITUZIONI contro di NOI, CITTADINI, che da anni ne abbiamo subite di varia natura e gravità.
Il futuro sarà dedicato a cosa si possa e si debba fare in concreto e una volta per tutte, per cancellare l'onta che ci fa considerare nel Mondo, una Democrazia Imperfetta (Democracy Index 2021 - The Economist).
La Democrazia non ce l'ha regalata nessuno, i nostri Padri della Patria e la Resistenza di Popolo, con l'aiuto di Alleati, l'hanno strappata all'odio dei nazifascisti di allora.
In questo Gruppo, che si aggiorna con frequenza (non siamo una lapide) solo nell’intestazione, visto la nessuna partecipazione in Meta/Facebook, ci si deve rendere conto di cosa e di QUANTO NON SIAMO considerati da coloro che detengono il Potere,  sia come singole persone, sia come popolo italiano!
Facile dire "dobbiamo cambiare", ma in cosa se non abbiamo consapevolezza di chi siamo, oggi, noi!

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INTESA DELL’OLIVO e la sua Piattaforma OLIVO POLICONICO TERRITORIALE, sono l’ulteriore tentativo di concludere qualcosa di efficace con un Gruppo di 30 persone, Attive nelle 20 Regioni e nel Direttivo, nell’intento di svolgere una Fattiva e Scambievole opera di Informazione e Comunicazione, alla e con la Base della società locale. 

Gianni (Gaetano) Gavioli.

Italia – 19 febbraio 2024.
 
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Gianni Gavioli Autore
Amministratore

Andare o meglio tentare di andare, OLTRE LA POLITICA attuale, non significa senza la Politica oppure, ancora peggio, senza i partiti. Certamente NON con questi attuali.

I Progetti approvati dagli elettori saranno l'attuazione della Costituzione sulla Delega del Potere.

ggg  su FB

 98 
 inserito:: Febbraio 19, 2024, 02:58:52 pm 
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Chiesa-Massoneria: un cardinale per la prima volta propone un tavolo permanente per dialogare con il Grande Oriente

Posta in arrivo

ggiannig <ggianni41@gmail.com>

a me

https://www.ilmessaggero.it/vaticano/chiesa_massoneria_cardinale_dialoga_gran_maestro_tavolo_permanente_milano_delpini_papa_francesco-7941287.html
 

 99 
 inserito:: Febbraio 19, 2024, 12:27:03 pm 
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Perché modesta?

Il Mondo del Lavoro ha necessità di PROPOSTE NUOVE, forse addirittura "rivoluzionarie", in senso democratico.

In certi ambienti come quello Industriale il pregio della modestia non é ancora (o non più) apprezzato.

ciaooo

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 inserito:: Febbraio 19, 2024, 12:24:36 pm 
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17 Febbraio 2024
   
La morte di Aleksej Naval’nyj ci sconvolge. E non perché quell’uomo fosse “un campione della democrazia”, come erroneamente è stato definito da taluni in Occidente. Per buona parte della sua vita Naval’nyj non è stato né un Sacharov né uno Šalamov, ma un nazionalista di destra; radicalmente di destra. In una Russia diversa da quella quasi-totalitaria, imperiale e neoimperialista di oggi, in una Russia per così dire normale (che oggi ci appare utopica in modo quasi fantascientifico), Naval’nyj sarebbe forse stato solo un caustico avvocato sovranista ostile all’immigrazione dall’Asia centrale e dalla Cina, e magari anche lui avrebbe fatto parte del ringhiante club della destra populista al potere in mezza Europa.

Ma la Russia non è un paese normale, e Naval’nyj non era destinato ad avere una vita normale. Nella terra di Putin, dove denunciare la corruzione che divora lo stato è il peggiore dei crimini (perché se c’è una cosa che accomuna i russi nazionalisti e quelli liberali, quelli onesti e i ladri di polli, è l’odio per i politici e gli oligarchi che si arricchiscono alle loro spalle), Naval’nyj si era trasformato in un paladino della lotta anti-corruzione. Nel 2011, con un coraggio che in pochissimi di noi avrebbero avuto, un coraggio che gli antichi avrebbero imputato a furore divino o a hybris, fondò la FBK, la Fondazione per la lotta alla corruzione, sciolta dalle autorità russe nel 2021: in pochissimi anni lui e i suoi colleghi hanno fatto intuire, ai russi e al mondo intero, l’enorme corruzione, la montagna di ruberie, saccheggi e tangenti che hanno trasformato la Russia nel paese più diseguale e terribile d’Europa.
Perché in Russia – secondo l’UBS Global Wealth Report – l’1% più ricco della popolazione possiede il 56,4% della ricchezza. E se è vero che il denaro, come insegnava San Paolo, è lo sterco del demonio, allora da Mosca deve sprigionarsi un fetore senza eguali nel continente. Naval’nyj e coloro che gli stavano accanto (a partire da sua moglie Julija) hanno osato gettare luce su quel marciume abissale come soltanto in pochissimi prima di loro avevano fatto. Tra costoro c’era Anna Stepanovna Politkovskaja, uccisa nel 2006.
Denunciando a gran voce ciò che in troppi tacevano, gridando ai quattro venti che la Russia era una cleptocrazia mafiosa basata sulla violenza e sulla corruzione, Naval’nyj divenne il nemico più pericoloso di Putin. Non soltanto perché menava colpi contro quel monumento di falsa rinascita morale e geopolitica della nazione che il regime aveva costruito a suon di propaganda e sussidi, ma perché non aveva paura: lavorava e viveva in Russia, incontrava giornalisti, attivisti per i diritti umani ed ex ministri occidentali, girava per la strada. E come è noto nulla fa arrabbiare un capo mafioso più della mancanza di timore nei suoi confronti, dato che è dal timore (e dal terrore) che egli trae il suo potere ultimo. Il “rispetto” questo è: paura travestita da deferenza. Non so se Naval’nyj conoscesse la vicenda di Giovanni Falcone, ma credo che avrebbe apprezzato una sua celebre frase: “chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola”.
Quando decise di rientrare in patria (nel gennaio 2021) Naval’nyj senz’altro sapeva a cosa andava incontro. Non era uno sciocco, né un aspirante suicida. Amava la sua famiglia e la vita. Ma comunque tornò in Russia. Arrestato, durante i processi non esitava a mostrarsi sorridente e sarcastico verso un potere giudiziario totalmente asservito al regime: un oltraggio nei confronti di Putin. Nelle grinfie della Russia putiniana, che trasforma l’oro in ferro e i fiori in letame, Naval’nyj – colui che in passato aveva mostrato ben più che mera ambiguità verso l’occupazione della Crimea – condannò l’invasione dell’Ucraina, vinse il premio Sacharov e si trasformò nel dissidente numero uno. Il nazionalismo arrabbiato divenne amore per una patria più libera e umana, dell’antica furia contro gli immigrati che rovinavano il paese non rimase che cenere: perché non sono i tagiki e i ceceni a provocare la decadenza della Russia, ma la sua classe dirigente.
Naval’nyj era (o meglio: divenne?) un uomo profondamente coraggioso, e in questi tempi di viltà e di codardia, in cui politici fanno carriera alimentando l’odio contro i poveri cristi, e giornalisti e intellettuali tendono a celebrare solo se stessi e i loro amici o protettori, in questi tempi pavidi e corrotti noi ammiriamo il coraggio, poiché senza di esso persino l’intelletto più acuminato è soltanto un’arma spuntata. Naval’nyj è morto in una specie di gulag sopra il circolo polare artico, e questo potrebbe sembrare l’ennesimo trionfo di Putin, dato che ancora una volta il presidente russo ha mostrato che lui ha lo jus vitae ac necis, il diritto di vita e di morte sui russi, tutti i russi, anche quelli che l’Occidente si sforza di proteggere.
Ma l’istinto mi porta a credere che la morte di Naval’nyj sia la seconda, grande sconfitta di Putin, dopo la resistenza eroica del popolo ucraino. Credo che la sua morte abbia scosso non solo i cuori e le menti di tanti russi ma anche di molti europei dell’ovest. Penso e ho sempre pensato che per porre fine alla tragica guerra in Ucraina servisse una grande offensiva della diplomazia occidentale, oltre che un saldo e continuo sostegno alle armate ucraine. In una mano l’ulivo, in un’altra il bastone.
Sino a ieri tanti, troppi italiani, francesi, tedeschi e spagnoli invocavano la diplomazia, ma condannavano il sostegno militare all’Ucraina: se neanche la morte di un uomo prigioniero e del tutto inerme, ucciso dal regime di Putin infliggendogli terribili stenti (e ogni vita umana è preziosa, inclusa quella di un ex estremista di destra), li riuscirà a convincere che il governo russo non ha alcun rispetto per la vita umana, nessuna moralità, nessuna onestà, e che i soldati e le soldatesse ucraine stanno combattendo una battaglia tragicissima ma giusta, che stanno difendendo anche noi italiani, francesi, tedeschi e spagnoli, e che armare Kyiv è importante quanto dare spazio alla diplomazia, perché Putin e i suoi capiscono solo il linguaggio brutale della forza e dell’interesse; ecco, se neppure lo spegnersi di una vita nel buio e nel gelo artici li sconvolge e tocca il loro cuore, allora vorrà dire che essi sono più pavidi (e ottusi) del più pavido (e ottuso) dei cialtroni russi, che non hanno imparato nulla da coloro che ci hanno preceduto, da Lussu e da Pertini, da Luciano Bolis e da Adolfo Kaminsky, da Marc Bloch e da Sophie Scholl, da Daphne Caruana Galizia e da Vicente López Tovar, da Raoul Wallenberg e da Levi, da Falcone e da Borsellino. Il coraggio si declina in molti modi: talvolta sbeffeggiando un giudice, altre volte scrivendo un articolo pericoloso, altre ancora imbracciando un fucile contro l’invasore. E chi non ha coraggio prima o poi perde la sua libertà, o la farà perdere ai suoi figli.
 
 
TAG: Aleksej Anatol'evič Naval'nyj, Alexei Navalny, putin, Resistenza, russia, ucraina
CAT: diritti umani, Russia
Da - https://www.glistatigenerali.com/diritti-umani_russia/sacrificio-navalny-resistenza-ucraina/

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