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 inserito:: Aprile 17, 2024, 12:48:04 pm 
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Mattarella: "Nato rafforzi la difesa nel Mediterraneo e Medio Oriente"
Per il Capo dello Stato, intervenuto alla conferenza organizzata dal sioi, "l'Unione europea dovrebbe finalmente dar vita a una difesa comune nell'alveo dell'Alleanza atlantica"
15 aprile 2024
Ammendola uff st AGF - Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

NATO SERGIO MATTARELLA

AGI - La Nato deve rafforzare anche il suo fronte sud, quello che ha per confini il Mediterraneo e il Medio Oriente, mentre l'Unione europea dovrebbe finalmente dar vita a una difesa comune nell'alveo dell'Alleanza atlantica. Sergio Mattarella interviene alla Conferenza organizzata dal Sioi su "I 75 anni della Nato" all'indomani dell'attacco iraniano a Israele, sventato dalla difesa di una coalizione composita, e sollecita nuovamente un rafforzamento della difesa alleata sul fronte sud-orientale sempre più crocevia di instabilità.
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L'Italia, assicura il Capo dello Stato, è in prima linea, in base al principio di solidarietà, nelle missioni che "presidiano il fianco nord-orientale, nell'ambito di una rinnovata vitalità e forza di attrazione della Nato, testimoniata anche dalla recente adesione della Finlandia e della Svezia". Ma "non ci può essere separazione tra sicurezza del fianco nord e sicurezza del fianco sud dell'Alleanza". Anzi, "va colmato il deficit del progressivo venir meno dell'attenzione all'area mediterranea e medio-orientale: gli eventi in corso sono eloquenti.
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Accanto all'Ucraina, la perdurante guerra di Gaza, i suoi riflessi nel Mar Rosso e in tutto il Medio Oriente - con i rischi di allargamento -, l'azione missilistica dell'Iran, la crisi nel Sahel, disegnano un ampio arco di instabilità che nel Mediterraneo trova il suo drammatico punto di convergenza, e chiamano l'Italia ad assolvere a un ruolo di stabilizzazione e difesa dei principi della convivenza internazionale".
Del resto il comando tattico italiano della missione Aspides nel Mar Rosso "si inserisce in questo quadro". Anche perchè le crisi di questi mesi hanno "in comune un obiettivo: comprimere quel sistema multilaterale basato sul diritto internazionale, di cui la Nato è uno degli assi portanti".
Il capo dello Stato, dopo due anni di dibattito tra opinionisti, intellettuali e politici, precisa poi anche che l'Alleanza ha funzioni difensive al'interno delle regole internazionali e "a questa vocazione l'alleanza non è mai venuta meno, a dispetto della retorica bellicista russa tesa ad attribuirle inesistenti logiche aggressive ed espansionistiche".
Ma esiste anche un tema di rapporto tra Ue e alleati anglofoni, a maggior ragione nell'anno di campagna elettorale statunitense e alla vigilia di vertici fondamentali sia per l'Unione che per l'Alleanza. Mattarella sprona dunque l'Unione europea a "elevare il livello del suo impegno, e a farlo con urgenza".
"E' una riflessione che oggi si incentra sulla creazione finalmente di una difesa comune, dopo i tentativi senza risultati alla fine del secolo scorso", perché spesso la Ue è stata "mera spettatrice di avvenimenti di cui subiva gli effetti negativi".
Dunque "dotare l'Unione Europea di una autonomia strategica superiore consentirà alla Nato di essere più forte, proprio in ragione della complementarietà fra le due Organizzazioni, con il rafforzamento di uno dei suoi pilastri, oggi più fragile. Più fragile perché il ridotto stato di coordinamento e integrazione produce limitate capacità pur a fronte di grandi impegni finanziari. Rimuovere questa condizione andrebbe a beneficio di tutti in un mondo irreversibilmente contrassegnato dal ruolo di grandi soggetti internazionali" assicura il Presidente. Che rammenta come Luigi Einaudi ripetesse che "lo spettro delle decisioni per i Paesi del continente si riduceva a 'l'esistere uniti o lo scomparire'".
Per l'Italia l'adesione alla Nato non è poi un semplice accessorio, nel primo dopoguerra il nostro Paese vi ha aderito convintamente come dimostrano le "ampie consonanze" tra il suo Trattato istitutivo dell'Alleanza e la Costituzione. E il capo dello Stato fa anche notare che "la partecipazione alla Nato era anzitutto una adesione da parte della Repubblica ai valori di libertà della Carta Atlantica e, insieme, una scelta essenziale di reingresso nella vita internazionale". "Fu il momento in cui prese corpo l'espressione 'mondo libero', a cui l'Italia sceglieva di appartenere. Non avvenne senza dibattito. Avversari di De Gasperi furono soprattutto il comunismo e il nazionalismo" ricorda il Presidente, per il quale insomma la scelta atlantica ha "contribuito alla identità politica della Repubblica quale è ancora oggi".

Da https://www.agi.it/politica/news/2024-04-15/nato-mattarella-difesa-sud-mediterraneo-26034597/

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 inserito:: Aprile 17, 2024, 12:45:38 pm 
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Farmaci anti-infarto, nuovo studio su rischi e benefici: «Non tutti i pazienti vanno curati allo stesso modo»

di Redazione web
I beta bloccanti sono farmaci che agiscono bloccando i recettori beta adrenergici del cuore riducendo il lavoro cardiaco e quindi migliorandone il compenso e la sopravvivenza. Per questo ormai da molti anni questi farmaci sono tra i più utilizzati nella terapia delle malattie cardiache ed in particolare in quelle coronariche e nel post infarto. Tutte le linee guida sulla terapia di questa patologia infatti prevedono obbligatoriamente l'utilizzo dei beta bloccanti come pilastro per migliorare la sopravvivenza e ridurre la probabilità di recidive dell'infarto.
Lo studio
In uno studio presentato all'ultimo congresso dell'American College of Cardiology ed appena pubblicato sul 'New England Journal of Medicine' coordinato dal Karolinska Institute di Stoccolma «mette in discussione proprio il beneficio dei beta bloccanti nel prevenire un secondo attacco di cuore o nel ridurre la mortalità nei pazienti in cui l'infarto miocardico è stato curato in tempi brevi e quindi il danno cardiaco non è stato importante», spiega Antonio Giuseppe Rebuzzi, professore di Cardiologia dell'Università Cattolica di Roma, in un articolo sul quotidiano 'Il Messaggero'.
«Sono stati studiati oltre 5.000 pazienti arruolati tra il primo ed il settimo giorno dopo un infarto miocardico acuto e che avevano una coronografia positiva per stenosi coronarica ma in cui la contrattilità del muscolo cardiaco valutata eco cardiograficamente era normale o comunque ridotta in maniera non grave- prosegue Rebuzzi - In metà circa dei pazienti è stata fatta una terapia comprendente come da linee guida dell'infarto l'utilizzo di beta bloccanti nell'altro gruppo si è invece prescritto una terapia senza l'utilizzo di questi farmaci dopo un periodo di 'follow up' di circa tre anni e mezzo si è valutata in entrambi i gruppi l'incidenza di decessi, di recidiva, di infarto miocardico ed inoltre il numero di ospedalizzazioni per fibrillazione atriale, insufficienza cardiaca, ictus o di interventi per impianto di pacemaker.
Il risultato è che non vi era alcuna differenza significativa tra i due gruppi per alcuna delle variabili considerate».
«In compenso non vi era alcuna differenza neppure per le reazioni avverse da loro provocate dai beta bloccanti, quale ad esempio la bradicardia l'asma o altro. Questo studio - suggerisce il cardiologo - che viene dopo altri studi più piccoli, ma che hanno ottenuto risultati simili, chiarisce in maniera evidente che nei pazienti con recente infarto miocardico che però non ha ridotto in modo grave la contrattilità del muscolo cardiaco, un trattamento di routine con alcuni farmaci quali beta bloccanti non è assolutamente utile, anzi da loro rischia di provocare spiacevoli effetti collaterali». «Questo ci porta una volta una volta di più alla necessità di calibrare la terapia sulle reali necessità del singolo paziente. No alla routine: non è infatti pensabile che tutti i pazienti che hanno avuto un infarto siano trattati allo stesso modo quale che sia il danno provocato, gli stessi farmaci sono superflui e vanno prescritti», conclude.
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Ultimo aggiornamento: Mercoledì 17 Aprile 2024, 10:24
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Farmaci anti-infarto, nuovo studio su rischi e benefici: «Non tutti i pazienti vanno curati allo stesso modo» (leggo.it)

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 inserito:: Aprile 17, 2024, 12:42:25 pm 
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Sandro Bottega: “Troppe fiere tutte uguali. Così confondiamo i clienti”
di Redazione
11 Aprile 2024

Sandro Bottega
“Sento parlare di cambiamenti epocali per il mercato del vino. Queste previsioni mi lasciano scettico perché ritengo che il mondo del vino abbia una storicità consolidata, capace di oltrepassare le crisi momentanee. Ritengo che nel giro di due o tre anni i consumi riprenderanno a gran ritmo. Attualmente i vini spumanti, dopo anni di crescita vigorosa, fanno segnare qualche difficoltà. Lo stesso Prosecco ha visto una flessione negli Stati Uniti e nel Regno Unito, ovvero nei primi due mercati export di riferimento. La buona notizia è stata l’impennata delle vendite in Francia. Un exploit dettato dall’effetto sostituzione dello Champagne con il Prosecco (+21%), in parte anche a causa del minor potere di acquisto dei consumatori transalpini. Si tratta di una buona base di partenza a cui devono seguire ulteriori sforzi nel processo di valorizzazione del Prosecco”. Lo ha dichiarato Sandro Bottega, patron di Bottega SPA, l’azienda vitivinicola veneta di Bibano (Treviso) che esporta l’86% dei propri vini tra cui spicca il celebre Prosecco in 165 Paesi di tutto il mondo, e ideatore dei “Prosecco Bar” che stanno spopolando in tutto il mondo, alla vigilia del Vinitaly.
“In generale la proiezione per i prossimi mesi – prosegue Bottega – vede un panorama stabile per i vini spumanti, una flessione per i vini fermi (rossi in particolare). Vivace il mercato degli spirits grazie all’onda lunga del gin e al consolidato interesse per il Limoncino e in misura minore per alcuni liquori dolci”. Bottega chiude con uno sguardo al panorama fieristico del settore: “Vorrei aggiungere alcune note sul mondo fieristico e sull’eccessiva frammentazione che lo caratterizza. Di fatto abbiamo un numero eccessivo di fiere più o meno analoghe che da una parte confondono il cliente, rendendogli difficile programmare la propria partecipazione, e dall’altra impegnano gli espositori, che ad ogni occasione non possono fisiologicamente presentare nuovi prodotti o novità sostanziali”.

SANDRO BOTTEGA FIERE PROSECCO VINO

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 inserito:: Aprile 17, 2024, 12:38:44 pm 
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Gustavo Adolfo Rol
 
Il disegnatore e fumettista Milo Manara aveva raccontato uno dei molti retroscena del progetto del film di Fellini "Il viaggo di G. Mastorna" (che alla fine non fu fatto perché Rol voleva che Fellini cambiasse alcune parti che il regista era però riluttante a cambiare):
«Rol aveva consigliato a Fellini di non fare il “Viaggio di Mastorna” perché, diceva “Se lo farai [così come è, n.d.r.] sarà l’ultima cosa che farai nella tua vita”. Fellini ha iniziato diverse volte a mettere mano a questo film, una volta aveva addirittura fatto costruire le scenografie, la cattedrale di Colonia, per esempio, era stata completamente ricostruita in studio.
Ogni volta, però, succedeva qualcosa che interrompeva il progetto.
Aveva cominciato con diversi attori, tra cui naturalmente Marcello Mastroianni, che era la prima scelta, ma poi anche Ugo Tognazzi, Gigi Proietti. Alla fine abbandonò l’idea del film e decise di fare anche di quel soggetto un fumetto.

Mi disse che gli sarebbe piaciuto, come protagonista, Paolo Villaggio. Paolo fu quindi truccato e fotografato a mio beneficio ed io ho cominciato a disegnare, quando è successa una cosa impensabile: alla fine del primo episodio, fu scritta la parola “End” fuori dalla squadratura, una piccola scritta a mano per indicare che si trattava dell’ultima striscia di quel particolare capitolo. Non so se l’ho scritto io o se lo ha fatto qualcun altro, ma per uno strano, stranissimo, caso la parolina “End” è andata stampata, pur essendo fuori dalla squadratura.
La cosa è veramente anomala perché io metto sempre i numeri sulle strisce, e quelli, per esempio, non vengono mai stampati. Anche questa parolina era scritta vicino ai numeri e, anche a distanza di tempo, non si capisce perché, visto poi che la storia non era finita, sia uscita questa parola “End”.
Fellini si è molto impressionato, anche perché lui stesso in nessuno dei suoi film aveva mai voluto la parola “Fine”, cosa a quei tempi invece molto comune.
Lui si ricordava di come, da bambino, la comparsa di quella parola sullo schermo gli procurasse una bruciante delusione, quindi non la voleva nei suoi film.
Oggi non lo fa più nessuno, partono i titoli di coda e buonanotte.

In ogni caso, quando ha visto la parolina “Fine” stampata sulla rivista, ha detto: “Non me la sento più di andare avanti”. La storia è stata sospesa e non è più stata ripresa, tanto che poi, con il passar del tempo, Fellini stesso la considerò conclusa così com’era.
C’è da dire che, in effetti, il “Mastorna” è stato l’ultimo lavoro realizzato in vita da Federico Fellini: certo si tratta di un fumetto e non di un film, ma la profezia del mago Rol sembra essersi avverata».
(cit. in: Rol, F., "Fellini & Rol. Una realtà magica", 2022, pp. 390-391. L'immagine, ultimo riquadro della storia a fumetti con la parola "END", è tratta dall'originale pubblicato su "Il Grifo" n. 15, luglio-agosto 1992, p. 30)

(nota: Manara, come molti di quelli che non hanno conosciuto Rol o non hanno approfondito la sua storia, usa il termine superficiale di "mago", che comunque era spesso usato anche da Fellini – che vedeva Rol come una specie di Mago Merlino – pur sapendo che a Rol non piaceva essere chiamato così, anche se con Fellini chiudeva un occhio. Lo stesso regista comunque nel 1965 aveva detto che «la parola ha un timbro medioevale e oscurantista che non si addice al personaggio», in: "Fellini & Rol", p. 77)

da Fb del 17 aprile 2024

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 inserito:: Aprile 13, 2024, 07:01:24 pm 
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Che formichina Mfe, i ricavi scendono e i profitti salgono. Ma con la tv che muore tagliare i costi non basta

di Fabio Pavesi
 
Cologno è tra i gruppi tv più redditizi di tutta Europa. Merito del taglio dei costi, visto che il trend dei ricavi è in calo. Ma una strategia basata sul contenimento dei costi non produce effetti positivi all’infinito.
E c’è quello spinoso dossier Prosieben

Ultim'ora News
| Eredità Berlusconi, potenziale interesse di Pier Silvio per Villa Grande a Roma
Il luogo comune, quasi un mantra che circola ormai da qualche anno, recita che «la televisione generalista è morta». Ma a chi ne ha già decretato la fine andrebbero mostrati i conti dell’ex Mediaset (oggi Mfe), che si appresta a chiudere il 2023 con profitti netti ben sopra i 200 milioni di euro.
Il bilancio sarà diffuso il prossimo 17 aprile, ma l’amministratore delegato Pier Silvio Berlusconi nei giorni scorsi in un’intervista al Corriere della Sera ha anticipato che gli utili saranno superiori ai 217 milioni con cui era stato archiviato il bilancio del 2022.

Continuare a produrre profitti rilevanti, con una redditività operativa, come vedremo, sopra l’11% dei ricavi non è da tutti e dice che nel caso di Mfe la televisione generalista non è affatto passata a miglior vita.
Certo, il contesto non è dei migliori: l’assedio degli Ott e in genere delle tv a pagamento di colossi come Netflix, Disney e Paramount erode il mercato tradizionale e sottrae audience, ma per ora non decreta la fine di un modello di business.
Dal 2017 gli utili cumulati hanno superato il miliardo
Nel caso di Mfe il pieno di profitti del 2023 allunga una striscia positiva che dura dal 2017 (l’ultima perdita risale al 2016) e che ha visto cumulare utili per oltre un miliardo in sette anni. Il consenso degli analisti, in attesa dei conti che saranno pubblicati a metà mese, stima utili netti per oltre 220 milioni con ricavi per 2,8 miliardi e un ebit di 322 milioni.
Vista così, si confermerebbe una redditività operativa del gruppo (posseduto al 50% da Fininvest) sopra all’11%, un livello invidiabile per il settore in Europa e che Mfe riesce a garantire ormai da anni. E che neanche la pandemia ha scalfito.
I conti dei primi nove mesi 2023 indicavano ricavi per 1,86 miliardi, spinti anche da un ottimo terzo trimestre per la raccolta pubblicitaria, che ha segnato un +8% facendo probabilmente da traino per l’ultima parte dell’anno, tradizionalmente la più ricca per l’advertising televisivo. E il primo trimestre di quest’anno si sarebbe chiuso con una raccolta pubblicitaria in aumento di un ulteriore 5%.

•   Leggi anche: Mfe pronta a superare 217 milioni di utili nel 2023. In crescita la pubblicità a inizio 2024 e il titolo sale in borsa

Solo Discovery ha una redditività simile a quella di Mfe
Se si guarda allo stato di salute della tv in Italia, Mfe è un caso a sé. Il pachiderma Rai non fa testo, data la cronica inefficienza gestionale che porta la tv di Stato, che con il canone fa i due terzi dei suoi ricavi, a chiudere stancamente ogni bilancio annuale con un pareggio se non con perdite.
Il canale La7 di Urbano Cairo non ha mai insidiato il duopolio televisivo. La tv del patron di Rcs fattura ogni anno intorno ai 100 milioni e fatica a portare a casa un piccolo utile. L’unico canale che può vantare una redditività analoga a quella dell’ex Mediaset è Discovery, che ha fatto passi da gigante negli ultimi anni e che sta acquisendo sempre più primedonne (da Maurizio Crozza a Fabio Fazio) per i suoi programmi in prima serata che stanno erodendo punti di share alla concorrenza.
Semaforo rosso invece, con bilanci travolti dalle perdite, per la pay tv Sky. Per non parlare di Dazn, che ha scommesso sul calcio rimediando per ora solo buchi nei conti.
In Europa Mfe è tra i gruppi tv più redditizi

Dalla crisi delle emittenti si salva quindi l’ex Mediaset. Che tra l’altro, se si getta lo sguardo all’Europa, risulta tuttora il gruppo con una delle redditività più elevate. Mfe infatti vanta un ebit margin all’11,5%, più alto di due punti percentuali rispetto a quello del colosso Rtl. La Itv britannica si ferma a poco sotto il 9%. Una profittabilità operativa più elevata ce l’ha solo la francese Tf1, che realizza un ebit pari al 13% dei ricavi.

I guai di Prosieben
In coda alla classifica della profittabilità spunta Prosieben Sat1, il gruppo di cui Mfe è primo socio con il 28,8% del capitale e il 29,9% dei diritti di voto. La tv tedesca viene da un pessimo 2023: i ricavi sono scesi del 7,5% a 3,85 miliardi. Il margine industriale è sceso del 15%, con l’ebit in rosso e una perdita netta per 134 milioni. A contribuire all’ebit negativo sono stati ben 324 milioni di svalutazioni di attività. Tra l’altro il gruppo (in cui Mfe pur essendo primo azionista non ha lo stesso peso nella gestione) è indebitato per 1,5 miliardi con una leva di 2,7 volte. Prosieben è di fatto una conglomerata di attività: accanto all’entertainment classico gestisce business, come i dati, i video e il commerce, che poco hanno a che fare con la tv tradizionale. Tra l’altro si tratta di attività con redditività risicate. L’area commerce, ad esempio, ha chiuso il 2023 con un mol di 59 milioni su 844 milioni di ricavi. E non è un caso che Mfe sia di recente andata all’attacco proponendo lo spin off delle attività non core proprio per ripristinare livelli adeguati di profittabilità. Le stime del management per il 2024 non sono esaltanti. I ricavi di Prosieben sono attesi a 3,95 miliardi, con il margine lordo a 575 milioni. Nel 2023 a decretare la perdita netta sono stati oltre 300 milioni di svalutazioni di asset: per capire se il gruppo nel 2024 tornerà in utile occorrerà vedere se il ciclo delle svalutazioni sarà concluso o meno.

•   Leggi anche: Mfe, ecco perché non ci sarà guerra con Prosiebensat in assemblea. Ora c’è spazio per la collaborazione
Mfe vuole lo spin off e un cambio di rotta in Germania
Oggi Prosieben è il gruppo in Europa con le peggiori performance operative con un ebit margin al 3,5% contro l’11,5% di Mfe e il 10% della media degli altri competitor. Numeri che spiegano la volontà di Mfe di cambiare pelle a Prosieben. Tra l’altro si tratta di un investimento che pesa: acquisita una prima quota del 10% nel maggio del 2019 per 330 milioni, l’ex Mediaset ha poi continuato a comprare quote fino ai livelli attuali. Ma se nel 2019 Prosienben valeva in borsa oltre 3,3 miliardi, oggi la capitalizzazione si è ridotta a 1,6 miliardi. Quando Mfe entrò nel capitale, cinque anni fa, i titoli Prosieben valevano 15 euro, oggi sono fermi a 6,6 euro. Per Mfe l’avventura nella tv tedesca segna minusvalenze teoriche per quasi 300 milioni. Ecco perché un cambio di rotta è più che necessario. Si vedrà a fine aprile all’assemblea del gruppo, a cui Mfe ha proposto lo spin offe delle attività non core, se Cologno segnerà un punto a suo favore o inizerà un lungo braccio di ferro.


Il futuro è in chiaroscuro
Se Mfe conserva, come abbiamo visto, buona salute sotto l’aspetto della redditività, non si può certo dire che sia nel migliore dei mondi possibili. La tv generalista non è morta, ma di sicuro è avviata su un sentiero di declino. I ricavi da anni non crescono: tengono a fatica. La gestione tiene sotto controllo i costi, ma la tendenza del fatturato è discendente. Nel 2017 Mediaset fatturava oltre 3,5 miliardi con un ebit margin del 6,5%. Oggi i ricavi sono a 2,8 miliardi con un ebit margin salito all’11,5%. Segno di un’attenzione maniacale ai costi che ha fatto aumentare la profittabilità operativa pur con ricavi in calo. Ma una strategia basata sul contenimento dei costi non produce effetti positivi all’infinito.

La Spagna è molto più profittevole dell’Italia
Tra l’altro è la Spagna e non l’Italia la gallina dalle uova d’oro del gruppo guidato da Pier Silvio Berlusconi. Se si spacchettano i business geografici, ecco che nel 2022 Mediaset Espana, che fattura poco più del 30% dei ricavi complessivi, ha apportato oltre il 60% dell’utile operativo del gruppo. E nei primi 9 mesi del 2023 l’incidenza della Spagna sulla profittabilità operativa totale è salita ulteriormente. Il mercato italiano appare invece più difficile, anche se in Italia il gruppo Mfe continua ad avere il 40% dell’audience e una quota ancora più alta nella raccolta pubblicitaria. (riproduzione riservata)

•   Leggi anche: Non solo politica: i 27 anni in borsa della Mediaset- Mfe del Cav

Da - Milano Finanza - Numero 069 pag. 21 del 06/04/2024


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 inserito:: Aprile 13, 2024, 06:53:45 pm 
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Economist, New York Times

Il bilancio della pandemia, quattro anni dopo

Di ELENA TEBANO


   Non c’è dimostrazione migliore di quanto le cose siano cambiate del fatto che il quarto anniversario della pandemia di Covid sia passato assolutamente in sordina. Ormai il 9 marzo del 2020, quando tutta l’Italia fu dichiarata «zona rossa», sembra lontanissimo. E del Covid non parliamo più, se non quando si tratta di istituire Commissioni per condannare l’operato dell’allora governo Conte II. Ma questo ha anche impedito di fare una seria riflessione a freddo sul bilancio della pandemia. Se ne occupano invece sia l'Economist, che continua a compilare il più aggiornato database sulle morti da Covid nel mondo, che il New York Times con un commento di David Wallace-Wells: entrambi smontano un po’ di luoghi comuni sulla pandemia.
Le morti ufficiali per Covid, un conteggio che si basa sui test effettivamente fatti nei vari Paesi, ammontano nel complesso a 7 milioni. L’Economist, però, analizzando le morti in eccesso (un indicatore usato per la prima volta al mondo in un articolo sul Corriere firmato da Claudio Cancelli e Luca Foresti), stima che i morti causati dalla pandemia — o direttamente per i virus, o per il virus come concausa, o perché il virus ha precluso l'accesso alle cure mediche per altre patologie — siano oltre quattro volte tanto, 28,5 milioni. «Questo numero — spiega il settimanale — rappresenta il divario tra il numero di persone morte in una determinata regione in un determinato periodo di tempo, indipendentemente dalla causa, e il numero di morti che ci si sarebbe aspettati se non si fosse verificata una particolare circostanza», in questo caso se non ci fosse stato l’epidemia di Covid.
Con questo metodo l'Economist stima che in Italia ci sia stato il 50% di morti in più di quelli registrati, tra 300 mila e 310 mila decessi complessivi (contro i 196.376 registrati ufficialmente). In base a questa stima il nostro Paese (vedi grafico sotto) rimane uno di quelli che hanno registrato un numero maggiore di vittime in rapporto alla popolazione. Da questi numeri si evince anche che la politica svedese, basata sull’assunzione di responsabilità dei cittadini invece che sui divieti, ha funzionato.
 
Dall'analisi dell’Economist emerge soprattutto un dato inaspettato: i Paesi che hanno avuto più vittime non sono quelli occidentali, a dimostrazione del fatto che l’efficienza dei sistemi sanitari e l'accesso al vaccino sono stati fattori fondamentali nel prevenire le morti per Covid.
«L’impatto più grave della pandemia non si è verificato negli Stati Uniti o in Gran Bretagna, ma nell’Europa dell’Est, una regione che presentava un mix catastrofico di invecchiamento della popolazione, sistemi sanitari deboli e governi centrali spesso incapaci o indifferenti. Di tutte le grandi nazioni del mondo, secondo questa analisi, la Russia è quella che se l’è cavata peggio» spiega David Wallace-Wells. Anche in India, che dichiara 533 mila morti ufficiali per Covid, la pandemia ha fatto strage: sempre secondo le stime dell’Economist, i morti sono stati tra i 2,8 e i 10 milioni, nel migliore dei casi 5 volte quelli dichiarati, nel peggiore 18 volte.
Se invece si analizzano le vittime over 65, si vede che l’Italia, l'Europa e il Nord America in rapporto alla popolazione ne hanno avute molte meno che gli altri Paesi (vedi il grafico sotto).
 
«Quando si controllano le differenze demografiche, la pandemia è stata più triste non nei “ricchi Stati falliti” dell’Anglosfera o in quelli a medio reddito dell’Europa dell’Est, ma nei Paesi più poveri del mondo, in particolare nell’Africa subsahariana, proprio come si sarebbe potuto prevedere all’inizio del 2020. Il più colpito è stato l’Uganda, che ha registrato un tasso di mortalità corretto per la demografia sette volte superiore a quello degli Stati Uniti. Quelli subito dopo più colpiti nella tabella dell’Economist sono lo Zambia, il Ciad, lo Zimbabwe e il Mozambico. Seguono altri due Paesi africani - Etiopia e Malawi - prima dei primi Paesi non africani, Bahrein e Afghanistan» scrive ancora il giornalista del New York Times. Sono Paesi con sistemi sanitari inesistenti e dove la campagna vaccinale è arrivata con anni di ritardo rispetto al Nord America o all’Europa. I morti africani sembravano meno solo perché in Africa ci sono meno 0ver 65 che in Europa.
Dall’analisi dell’Economist emerge infine che i vaccini, che pure hanno fatto vittime, nel complesso hanno difeso la popolazione da conseguenze molto peggiori.

Da - Il Punto del Corriere della Sera



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 inserito:: Aprile 13, 2024, 06:46:12 pm 
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Gianni Gavioli
La ricerca della PACE DEVE essere per una Pace Attiva che deve coinvolgere le popolazioni delle varie Nazioni, non soltanto i vertici.
Perché la Pace Attiva non esclude la guerra!

Infatti, ai complici di Putin nella Federazione Russa, sarà necessario far saper che se Putin vuole la guerra mondiale, per l'Occidente Democratico sarà come se la Federazione l'avesse provocata, . . . la guerra.
Basta considerare stupidamente che il MASSACRO DELL'UCRAINA sia un a lite di condominio!!

D'ora in poi Coloro che invadono saranno invasi.
Per molti di noi, spero presto moltissimi, il riferimento per la Pace Mondiale nel NUOVO ORDINE MONDIALE sarà l'Umanità prima di tutto il resto.

IO su FB

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 inserito:: Aprile 13, 2024, 06:42:31 pm 
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Pollo: “Mangiamo animali malati“, intervista a Enzo Spisni

Posta in arrivo

ggiannig <ggianni41@gmail.com>

a me

  da -  https://ilfattoalimentare.it/pollo-intervista-spisni.html
 

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 inserito:: Aprile 13, 2024, 06:34:20 pm 
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Ecco perché mi auguro possa nascere un Progetto decennale, tra Intesa Olivo Policonico e O.P.O.N. (Opinione Pubblica Organizzata Nazionale) pensato e studiato tra la Gente e messo a punto con il contributo di un Gruppo di cittadini "Differenti".

Differenti perché unicamente impegnati nella "costruzione" del Progetto, senza lasciarsi coinvolgere o accettare l'interferenza degli attuali Partiti/particelle.

Nella certezza che dopo le elezioni Europee, in previsione delle prossime elezioni politiche si ricompongano, dopo le pulizie interne indispensabili e ormai irrinunciabili, in Parlamento un insieme di Partiti ben strutturati.

- Partiti politici ormai indispensabili per arrivare ad avere una Democrazia Autorevole, oggi troppo infiltrata da movimenti antiStato e minacciata da offensive illiberali già in atto, da parte di questo governo e i suoi inconsapevoli complici.
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 inserito:: Aprile 13, 2024, 06:30:07 pm 
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Sinestesie letterarie  ·

Roberto Daprà  · sonSpdeorta9a1 ra298u rmte:4410l05m91zt7g2h8m7lha o81o a4afe  ·

“Un tempo sarebbe stato facile amarmi. Ero dolce. Credevo nelle promesse, nelle parole. Giustificavo tutto, anche il male che sentivo e non ammettevo. Mi prendevo la colpa, anche se non la capivo. Pur di non perdere chi amavo, sopportavo ogni mancanza, anche quando mancavo io e non sapevo più ritrovarmi. Abbracciavo senza chiedere nulla in cambio. Ero indifesa. Da proteggere. Da distruggere. Oggi è difficile amarmi, restarmi accanto. Rispettare i miei spazi, comprendere i miei silenzi, la mia indipendenza, il mio bisogno di vivere e di costruire usando solo le mie forze. Io che del mio equilibrio cercato, sofferto e trovato ne faccio un vanto da gridare al presente ogni giorno. Io che credo nell’Amore molto più di ieri. Amore che non ha nulla a che fare con le briciole, con l’arroganza, con l’assenza, con l’infedeltà. Oggi è difficile amare la donna che sono diventata. Dopo i sogni sfumati, le ali spezzate, le labbra spaccate. Sicura delle mani da stringere che vorrei e degli occhi che non vorrò più incrociare. È difficile. Forse è impossibile. Sicuramente è raro incontrare un’anima che ci ami oltre noi stessi, dove fingiamo di essere forti mentre imploriamo gli abbracci di chi possa amarci sapendoci fragili e imperfetti. Io dell’amore non so molto, forse. Non posso insegnarlo. Ma so che ha a che fare con il rispetto. E con le scelte che non s’impongono, ma si costruiscono. Insieme. Quando si diventa l’unica scelta e mai un’opzione tra tante. Alla persona che sono stata devo tanto, soprattutto scuse. Alla persona che sono, un promemoria: ricordati delle tue ali, ricordati di te.”

Gabriel Garcià Marquéz
 da “L’amore ai tempi del colera”


DA FB 8 APRILE 2024

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