LA-U dell'ulivo
Settembre 23, 2023, 05:26:02 pm *
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ARLECCHINO Euristico.
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Un antico amico (dell'ulivo) che non ho mai conosciuto di persona.
Abita lontano.
Mi ha scritto una meravigliosa lettera, carta, penna e francobollo, facciamolo più spesso (cari "conoscenti" ma non amici di FB) è liberatorio.
Mi apriva, con questo abbraccio vergato, tutta la sua amarezza di vecchio protagonista, impegnato anche nella partecipazione sociopolitica.


Tutto vero ciò che mi scrive, in gran parte condivisibile anche da me, che sono stato sempre lontano dagli schizzi dei vertici di Parte.
Cosa rispondere a lui, che conosce la mia modesta ma lunghissima militanza ad una Idea, ma indipendente da sudditanze al "carro di Tespi"?

Gli risponderò da qui dopo averlo abbracciato: hai un serio e capace passato d'impegno e di partecipazione, poni tutto in una cassetta di legno, serrala ben forte e siedici sopra immaginando come vorresti il futuro dei nostri nipoti, poi alzati in piedi sopra quella cassa gloriosa e DILLO FORTE a tutti noi.

Per noi vecchi è un preciso dovere, una nuova militanza di vigore e rigore, da passare nelle mani di GIOVANI!
Ma non a tutti i giovani d'oggi, soltanto a coloro che vogliono un futuro di Serena Bellezza e di Pace.
Per gli altri esistono già purgatorio e inferno, qui in Terra.

ciaooo


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 inserito:: Settembre 22, 2023, 05:20:13 pm 
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MicroMega muore.
(A meno che…)

A giorni uscirà il numero 5 del 2023, un Almanacco delle scienze curato da Telmo Pievani dal titolo “La scienza è una questione di metodo”.
A novembre il numero 6 sul tema della cittadinanza vs identità e della galassia del fenomeno “woke”, praticamente già pronto. Sarà l’ultimo.

Attualmente abbiamo 500 abbonati alla rivista cartacea, 1200 al settimanale on line MicroMega+, una vendita media in libreria di 300 copie al mese. Per un bilancio saldamente in equilibrio ci serve almeno il triplo.
Difficile dire quanto questa situazione sia dovuta allo shock logistico e commerciale rappresentato dalla chiusura della vendita in edicola, a una conduzione disastrosa del settore manageriale/promozionale per abbonamenti e librerie, o alle posizioni politiche della rivista che in questi ultimi anni la vedono in conflitto non solo con destre, conservatori, establishment (titolo di merito e una delle nostre ragion d’essere), o con le sinistre ufficiali (quando nasce, nel 1986, MicroMega è già in polemica col Pci), ma in rotta di collisione con gran parte della sinistra della società civile (sulla guerra di Putin e su molti aspetti del politicamente corretto).
Da quando siamo nati come società autonoma, dopo la chiusura decretata da GEDI (nuovi proprietari del gruppo ex Repubblica Espresso) perdiamo tra 10 e 15 mila euro al mese. Fin qui siamo andati avanti grazie a una donazione di 100 mila euro di un amico e a miei versamenti/prestiti alla società per complessivi 250 mila euro (oltre ai mancati stipendi). Non abbiamo altre risorse, da due mesi i redattori e i fornitori non vengono pagati, e dunque la prossima settimana cominceremo ad avviare le procedure per la liquidazione della società.
Avevamo approntato un piano di rilancio con un allargamento progressivo e intenso al digitale a pagamento, e un passaggio di testimone generazionale (la prossima estate, compiendo ottanta anni, avrei passato la direzione a Cinzia Sciuto), piano ambizioso ma realistico a detta degli esperti che lo avevano valutato, ma è venuto meno il principale finanziatore/socio. E agli altri, più piccoli, quasi tutti amici, pronti a sottoscrivere quote di 10 mila euro, non vogliamo fare correre rischi.
Dunque, MicroMega muore.
Muore una testata di sinistra illuminista, da quasi trentotto anni impegnata culturalmente, civilmente, politicamente, sul versante egualitario, libertario, laico (e anche ateo), per una giustizia eguale per tutti.
Che ha espresso sempre in modo radicale il proprio punto di vista, ma ha sempre accettato e anzi promosso il confronto con posizioni anche lontane. Oggi spesso rifiutato da altri, nella sinistra e nella Chiesa.
MicroMega muore.
A meno di un miracolo, di cui nessun Dio, ma solo voi, potete essere gli autori.
Qui sotto potete impegnarvi per un abbonamento. Se entro la mezzanotte di domenica 8 ottobre raccoglieremo almeno cinquemila impegni (di chi condivide la linea della rivista, ma anche di chi non la condivide ma ritiene sia una presenza necessaria nel panorama culturale italiano) andremo avanti, vi chiederemo di fare subito l’abbonamento promesso, discutendo poi con voi del futuro di MicroMega. Se volete impegnarvi non aspettate, fatelo subito, il fattore tempo è cruciale.
Vi preghiamo di far circolare questo testo fra tutti i vostri amici, follower, contatti dei social, molti di voi ne hanno anche migliaia. Anche qui, vi preghiamo di farlo subito, il fattore tempo è decisivo.
Se non raggiungeremo almeno cinquemila impegni ad abbonarsi vuol dire invece che nella vita pubblica lo spazio per una rivista di sinistra illuminista come MicroMega si è ormai consumato. Non potremo perciò dirci arrivederci ma solo addio.

Paolo Flores d’Arcais


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 inserito:: Settembre 22, 2023, 12:41:44 am 
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    LifestyleViaggi

Perché la Finlandia è il paese più felice al mondo, da anni
«Siamo un paese piccolo, con poca corruzione, e non passiamo mai col semaforo rosso», dicono.
Headshot of Matteo AlbaneseDi Matteo AlbanesePubblicato: 26/08/2023
preview for Il lago Saimaa
Il lago Saimaa
di Marie Claire IT

Esiste un proverbio finlandese, onnellisuus on se paikka puuttuvaisuuden ja yltäkylläisyyden välillä, «la felicità è uno spazio tra mancanza e abbondanza». In finlandese esistono due termini traducibili con “felicità”, onnellinen e iloinen, e la differenza è presto detta. Iloinen è una contentezza breve, quando sei felice di aver incontrato una persona che non vedevi da tempo, o comunque, per intenderci, ascrivibile a piccoli ambiti della quotidianità. C’è poi onnellinen, che è il termine del proverbio e indica invece un sentimento più profondo e globale di felicità, la gratitudine. Mica per caso, in finlandese, ilo vuol dire “gioia” mentre onni“ fortuna”. È qui la differenza tra una contentezza momentanea e un’atarassia prolungata. Se l’antropologo John L. Steckley fece notare come gli Inuit avessero cinquantadue termini con cui chiamare la neve, a seconda di forma e consistenza dei fiocchi, sembra quasi una contraddizione che in Finlandia – il paese che da sei anni consecutivi è in cima alle classifiche mondiali di felicità pro capite, davanti all’Islanda e alla Danimarca – esistano due sole varianti di felicità. Com’è possibile?
Qualche mese fa, il New York Times ha intervistato una dozzina di finlandesi, dai 13 agli 88 anni, un campione di ex atleti olimpici, immigrati, un violinista e un agricoltore in pensione, della capitale Helsinki, da Turku e da altre città del paese. Si sono mostrati scettici sulla misurazione della felicità – ok, ci sono benefici nel vivere circondati dalla natura, nel praticare sport, perdipiù il welfare dei paesi della Fennoscandia è democratico, un po’ liberista e un po’ socialista, con spese importanti in protezione sociale e programmi universalistico di assistenza sanitaria e istruzione – ma concordi su un punto: «Quando capisci cosa è realmente sufficiente per vivere, sei felice». È una specie di minimalismo, dei video che forse hai visto su YouTube di Matt D’Avella, che su Netflix ha peraltro girato il documentario con Joshua Fields Millburn e Ryan Nicodemus, in arte The Minimalists. C’è di più. La CNBC chiese il segreto della felicità a un filosofo finlandese, Frank Martela, dell’Università di Aalto (a Espoo, seconda città per abitanti del paese, sulla sponda settentrionale del Golfo di Finlandia), e lui ha risposto con un altro proverbio.
Questo contenuto è stato importato da youTube. Potrai trovare lo stesso contenuto in forma diversa o informazioni in più sul loro sito.
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Questa è una immagine
Kell’onni on, se onnen kätkeköön, «chi è felice dovrebbe nasconderlo». È una massima del poeta Eino Leino e, se cerchi su Google, compare in due siti. Il primo è “The funny world of Finnish idioms”, sito di Cai-Göran Alexander Stubb, europarlamentare ed ex primo ministro finlandese dal giugno 2014 al maggio 2015. Si legge: «I finlandesi non sono i più sorridenti al mondo. A parte quando gli dici che la Svezia, in questa classifica, è quattro posizioni sotto». E poi c’è www.happinessinfinland.com, che in un post di qualche anno fa pone l’esempio del Bhutan, che misura la prosperità di un paese non attraverso il PIL, prodotto interno lordo, quanto il FIL, felicità interna lorda. È la media di nove fattori, dal benessere psicologico alla sanità, dall’istruzione alla vivacità culturale. Ma perché, dunque, chi è felice dovrebbe nasconderlo? Semplice: si crede che mostrando la felicità si rischi di perderla. Per questo, pare, a Helsinki non si parla dei vincitori della lotteria a meno che non abbiano dilapidato i propri soldi. Così i finlandesi odiano i paragoni, tendono a fidarsi dei connazionali e smarriscono appositamente i portafogli.
È successo davvero, nel 2022. Ogni anno, il Reader's Digest lascia cadere dodici portafogli contenenti 50$, alcune foto di famiglia e un biglietto con un numero di cellulare in sedici città del mondo. Quando li hanno volutamente abbandonati per Helsinki, undici su dodici sono stati restituiti chiamando il numero scritto nel bigliettino. «Siamo un paese piccolo, con poca corruzione, e non passiamo mai col semaforo rosso», commentavano gli intervistati. In un sondaggio del 2021 i finlandesi hanno descritto le fonti della loro felicità. Ci sono famiglia, salute, gli amici e l’amore, ma al primo posto (per l’87%) c’è la natura. Non c’è bisogno di praticare assiduamente il nordic walking, spiegano – basterebbe una passeggiata di un quarto d’ora al giorno – o esagerare con la sauna. Ce n’è quasi una per abitante (3,3 milioni di saune, 5,5 milioni di finlandesi). Il paese che conoscevi per la Nokia, o l’aeroporto di Helsinki, il più efficiente al mondo, è anche il paese di sisu e dei Mökki – i tipici cottage sui laghi –, di Vaasa e di Tampere, la città nordica più popolosa tra quelle prive di sbocco sul mare. Eppure, sono i più felici al mondo.

Headshot of Matteo Albanese
Matteo Albanese
Classe 1997, genovese e genoano (pure non in quest'ordine), ha studiato a Savona spaziando tra il giornalismo e la SEO. Ha scritto e scrive tra gli altri per La Gazzetta dello Sport, Rivista Undici, PianetaGenoa1893.net e Cronache di Spogliatoio. Nel 2018 ha pubblicato 'Narrami, o Dellas', un libro sulla Grecia vincitrice dell'Europeo di calcio 2004. Fin qui solo calcio, ma c'è altro: playlist di musica elettronica, biografie, una genuina ossessione per l'IKEA e le storie scandinave.   
Read full bio

da - https://www.esquire.com/it/lifestyle/viaggi/a44787561/finlandia-paese-piu-felice-mondo/?utm_source=pocket-newtab-it-it


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 inserito:: Settembre 20, 2023, 12:20:34 pm 
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Gianni Gavioli
Amministratore
Esperto del gruppo in Virtual Reality
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La capacità intellettuale di fare cultura, non si eredita, non si può pretendere la riconoscano tutti, soprattutto in una Società che ha dimenticato o sconosciuto il vivere nella Cultura.

Le Battute di un comico truccato da uomo politico, l'Agire di un CapoPopulista simpatico e con amicizie di parte, l'Apatia narcisista di coloro che hanno la capacità di insegnarla, hanno declassato la CULTURA a valori locali a strumenti di distrazioni di massa, per facilitare la conquista del potere attraverso il cattivo Consenso.

La vera Cultura non vive di consenso ma di partecipazione, per questo le tribù di Barbari l'hanno soffocata, mistificandola e inquinando o comprando le FONTI.

ggiannig

IO su FB settembre 2023

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 inserito:: Settembre 20, 2023, 12:12:52 pm 
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Gianni Gavioli
Amministratore
Esperto del gruppo in Virtual Reality
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La RAI non ha mai avuto una reale vicinanza alla cittadinanza italiana.

È per eccellenza uno strumento nelle mani della Partitocrazia e, come il Sistema Sanitario, fonte di risorse da suddividere.

La pubblica opinione, che dovrebbe agire da protagonista non secondaria, finisce ad essere inesistente o manovrata come uno straccio da stendere ed esibire dopo che ha dato lustro a interessi di parte.
Come la Sanità la Rai è una realtà da revisionare più che cambiare.

ggiannig - ggianni41@gmail.com

Io su FB settembre 2023

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 inserito:: Settembre 19, 2023, 06:46:39 pm 
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Gianni Gavioli
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Esperto del gruppo in Virtual Reality
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Percy Bysshe ShelleyPercy Bysshe Shelley (1792-1822), animato da uno slancio lirico intensissimo e da un soggettivismo emotivo a volte esasperato, fu poeta dalle voci diverse e contrastanti.
La sua poesia, fatta soprattutto di idee e costantemente proiettata verso dimensioni rarefatte, ha fatto di lui l'interprete per eccellenza del genio mistico e rivoluzionario, oltre che uno dei massimi rivendicatori della funzione profetica e oracolare del poeta. La vita e le opere Shelley nacque a Field Place House, vicino a Horsham, nel Sussex, da una famiglia aristocratica. Studiò a Eton e a Oxford, da dove fu espulso insieme all'amico T.J. Hogg per aver scritto l'opuscolo The necessity of atheism (La necessità dell'ateismo, 1811), influenzato dalle idee libertarie del filosofo William Godwin, che furono determinanti sulla sua formazione culturale e sulla sua fantasia di scrittore. I primi due romanzi Zastrozzi (1810) e St. Irvyne (1811) mostrano una tendenza al genere "gotico".
Nell'agosto 1811 sposò, contro la volontà paterna, la sedicenne Harriet Westbrook; con lei condusse tre anni di vita vagabonda, durante i quali scrisse il primo poema, Queen Mab (La regina Mab, 1813), in cui rivelava la propria avversione per le istituzioni e l'odio contro i tiranni, l'ortodossia cristiana e le convenzioni della morale corrente. Il matrimonio, comunque destinato a naufragare per l'immaturità dei coniugi, si ruppe quando Shelley si innamorò della figlia di Godwin, Mary, e fuggì con lei sul Continente, regolarizzando poi l'unione nel 1816, dopo il suicidio della prima moglie, episodio tragico che lo tormentò per tutta la vita.
Nel 1816 pubblicò il poemetto Alastor e nel 1818 il poema epico The revolt of Islam (La rivolta dell'Islam), The masque of anarchy (La mascherata dell'anarchia, postumo, 1832) e England in 1819 (L'Inghilterra nel 1819), liriche scritte sotto l'impressione del "massacro di Peterloo", causato dall'intervento dell'esercito contro gli operai e le operaie di Manchester che contestavano le leggi sul grano e chiedevano il suffragio universale. Nel 1818 Shelley e la moglie lasciarono l'Inghilterra per la Svizzera, dove incontrarono Byron; si stabilirono poi definitivamente in Italia, dimorando in varie località, tra cui Lucca, Este, Napoli, Roma, Firenze, Pisa e Lerici. Durante il soggiorno in Italia egli compose la sua poesia migliore: i drammi in versi The Cenci (I Cenci, 1819) e Prometheus unbound (Prometeo liberato, 1820); nel 1821 pubblicò la famosa elegia per la morte di Keats, Adonais (Adone), e il poemetto Epipsychidion, che cantava il tema dell'amore platonico e passionale ed era dedicato alla contessina Emilia Viviani. L'eccezionale produzione di questo periodo si espresse anche nelle liriche Lines written among the Euganean hills (Versi scritti sui colli Euganei, 1818), Stanzas written in dejection near Naples (Strofe scritte in un momento di sconforto vicino a Napoli, 1818), Ode to the west wind (Ode al vento dell'ovest, 1820), To the cloud (Alla nuvola, 1820), To a skylark (A un'allodola, 1820), The sensitive plant (La pianta sensitiva, 1820). Al periodo italiano appartengono anche i suoi migliori lavori in prosa, tra cui A defence of poetry (Difesa della poesia). Stava lavorando al poemetto in terza rima The triumph of life (Il trionfo della vita) quando morì annegato nel golfo di La Spezia, di ritorno da un viaggio a Livorno. Le sue ceneri vennero tumulate nel cimitero protestante di Roma, accanto alla tomba di Keats.I capolavoriTra il 1818 e il 1819 Shelley completò il Prometheus unbound, un dramma poetico in quattro atti in cui egli ricreava a modo suo il mito di Prometeo, rappresentando simbolicamente la vittoria dell'eroe greco su Giove come la vittoria finale dell'amore sull'odio, della libertà sulla tirannia e sull'oppressione. Nonostante alcuni difetti di struttura, l'opera contiene brani tra i migliori composti da Shelley, che esemplificano molti aspetti della sua personalità artistica. È evidente l'influsso del neoplatonismo: da Platone Shelley derivava la fede in una società governata dall'etica e dalla saggezza, l'idea della realtà come un'immagine illusoria e ingannevole della vera realtà dell'eternità e quella di un idealistico panteismo, ovvero l'aspirazione del singolo individuo di ritornare all'Uno.Nella poesia Ode to the west wind (1820), scritta in terza rima e profondamente diversa dalle odi settecentesche, che sviluppavano un argomento logico in uno stile elevato, l'unità sta non nella logica delle idee, ma nell'interdipendenza tra le immagini e il sentimento che le genera. Tema centrale è quello della morte e della rinascita o, più precisamente, della nascita che segue la morte in un ciclo continuo in cui la vita trionfa. Le foglie morte preparano il terreno per la crescita dei semi, le "tombe" diventano quindi delle "culle", perché se l'inverno giunge, la primavera non può essere lontana. Il compito del poeta è quello di aiutare gli uomini nel loro cammino verso la libertà e la rigenerazione; la necessità urgente di un'azione è simboleggiata dal vento, che con la sua energia distrugge senza pietà tutto ciò che è vecchio e decadente.La poeticaLa poesia di Shelley è fatta soprattutto di idee ed è proiettata verso una dimensione rarefatta. Anche nell'opera in prosa Defence of poetry, scritta nel 1821 e pubblicata nel 1840, trovano spazio le sue convinzioni sulla natura e funzione della poesia: egli fa una difesa della poesia come mezzo di espressione dell'immaginazione. I poeti sono gli esseri dotati del massimo grado di immaginazione, con la quale possono realizzare la rappresentazione artistica. Se i poeti sono i "misconosciuti legislatori del mondo" per il legame tra bellezza e verità (e perciò promotori non solo delle arti, ma anche dell'ordine e dell'avvento della società civile), essi sono dotati della capacità di vedere oltre la realtà immediata e diventano anche profeti di una possibile riforma. Solo il poeta può stabilire un vero contatto con la realtà attraverso il linguaggio e trasmetterne il significato autentico. Shelley fu il solo vero poeta radicale tra i romantici inglesi, capace della massima idealizzazione visionaria della realtà. Egli sentì acutamente "l'inadeguatezza della condizione dell'uomo nei confronti delle sue idee" e la sua reazione non fu lo scetticismo satirico di Byron, ma una continua lotta per una rigenerazione morale dell'umanità. Si dichiarò ateo, materialista e riformatore sociale ma, se riformatore sociale fu veramente e rimase per tutta la vita, invece di ateismo e materialismo sarebbe più opportuno parlare di una vaga forma di panteismo.
Lo stile
Nella lirica di Shelley le immagini variano col variare degli stati d'animo e ciascuna trae origine da un preciso impulso emotivo. Animato da uno slancio lirico intensissimo e da un soggettivismo a volte esasperato fino all'ossessione, Shelley non sempre riesce a tradurre tutta la sua emotività in un'espressione adeguata, in un'intuizione concreta, e indugia talvolta nella rappresentazione fine a se stessa dei propri atteggiamenti spirituali, in stati d'animo languidi, misteriosi, estatici. Quando, invece, arriva a cogliere un'immagine precisa in cui trasferire l'idea o l'emozione, allora i suoi componimenti combinano un pathos sincero (anche se enfatico) con l'intensità delle immagini naturali, rappresentando al meglio un'epoca che propone la rivalutazione del sentimento e della natura.

da - https://www.sapere.it/.../a3_i.../Percy-Bysshe-Shelley.html

IO su Fb settembre 2023

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 inserito:: Settembre 19, 2023, 06:42:43 pm 
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Desidero contatti con artisti nella comunicazione, per il nuovo ruolo che ho deciso di affidare al mio nickname Arlecchino Euristico.

Grazie
ggiannig
ggianni41@gmail.com

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La Tipografa Toscana si trova presso San Miniato, Toscana.
Scrive su FB:
 “Non mi importa della luna, non mi importa delle stelle” cantava Gino Paoli in “Senza Fine”. E invece a me delle stelle importa eccome, caro Gino. ⭐️
Le prime stelle di piombo le ho trovate nel 2019, salvate da un cumulo di immondizia, in una tipografia di Follonica (GR). Una volta ripulite, le ho usate per stampare alcuni progetti. Poi un errore di pulizia fatale, mi ha costretta a buttarle (il piombo nel giro di pochi mesi si era ossidato). Da allora, non ne ho più trovate (quando cerchi una cosa, non la trovi mai) e allora, qualche settimana fa, le ho scovate altrove…
USA, Arizona. Schuyler Shipley (Sky) è il proprietario di @skylinetypefoundry

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 inserito:: Settembre 19, 2023, 06:37:40 pm 
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Gilberto Gavioli
Il Foglio Clandestino, Aperiodico Ad Apparizione Aleatoria

 LA LIBERTÀ DI ESPRESSIONE? TENETEVELA!
Il potere nelle società aperte si basa su un consenso di maggioranza. Tale consenso si basa sulla manipolazione e dipende dal controllo (e/o possesso) dei flussi di comunicazione. Tale controllo dipende a sua volta dal controllo di flussi di denaro ottenuto per mezzo di corruzione. Perciò il potere democratico nelle nostre società aperte discende per via diretta dalla corruzione.
L’individuo si trova diluito nel fluido di masse enormi e ha enormi difficoltà a sentirsi significante dei processi decisionali. Al tempo stesso, la densità tecnica dei mezzi di controllo biopolitico fa sì che anche gli individui più periferici risentano minutamente delle decisioni prese al vertice. Emergono problemi teorici connessi con alcune cosiddette ‘libertà fondamentali’. Sono teorici? Sono problemi?
Qualcuno inorridisce all’idea che la libertà di espressione possa essere impedita o bloccata da una legge. Io inorridisco all’idea che la libertà di espressione possa essere garantita per legge.
Dico che l’espressione non è un diritto: è un dato. Non va esercitata, ma va respirata, traspirata, vissuta, come funzione spirituale, come una funzione fisica. L’espressione del pensiero è un dato e una funzione, è individuale e non sociale e non va contrattata collettivamente, certificata e quantificata perché la si possa misurare per sanzionare eventuali eccessi.
Non si chiede alla clemenza o all’apertura mentale di un giudice l’applicazione di cavilli che stirino e allarghino l’estensione del dicibile fino a coprire il detto del giudicando, l’esprimibile lecito a coprire l’espressione dell’imputato, la legge insomma a ripiegarsi a schermare e comprendere e trasformare con la sua mano trascendente il ‘degenerato’ in... ‘classico’!
Se si accetta oggi questo principio, domani sarà impugnato dall’altra parte per riaccorciare morso dopo morso, o con un solo colpo deciso, l’irrisoria apparenza di libertà concessa per ‘diritto-dovere’.
Non ho mai trovato un soggetto che si lanciasse e gridasse allarme e denunciasse gli eccessi dell’espressione di qualcun altro, che non fosse in malafede: o fanatico, o che (e questo è il punto) non stesse in verità difendendo una posizione di potere rispetto al denunciato. Ma non sviluppo questo punto perché non mi interessa per nulla l’aspetto giuridico o di dominanze nei gruppi.
Pensare così, vuol dire non scrivere né firmare appelli, non ricorrere alla corte europea ecc.: vuol dire semplicemente fare ciò che si vuole dilagando segni o derive nel campo degli infiniti linguaggi dell’espressione.
Vale più (anzi, vale) un gesto minimo sino allo sconfine nell’invisibilità, autocreato, autogestito, autopermesso, in uno spazio temporaneamente occupato, inventato o virtuale sino all’interiorità, spavaldo e irridente e sfacciato, o anche riempiendo una piazza.
Non si prega una morale socialmente dominante di lasciar passare per clemenza una tantum un elemento audiofotoverbale fuori parametro. Farneticante poi il ricorso all’iter periziale che sdogana il fatto perché certificato come ‘opera d’arte’! Ha ha ha! L’essere arte è certificabile! E dà il permesso di offendere la morale! Difficile dirsi se sia peggio insulto per la morale o per l’arte!
Fate, facciamo, diciamo quello che volete. Senza fare male a nessuno. È non farlo, che fa male a tutti. La morale è un’invenzione dell’uomo e non una conseguenza delle cose.
E poi ripeto attenzione! Non ha senso dire che l’espressione è un diritto universale. Occorre riconoscere che non tutti sentono il bisogno di esprimersi o hanno qualcosa da esprimere. Si parla di una minoranza. E l’esistenza stessa di una minoranza è qualcosa contro cui tutto l’apparato retorico dei ‘diritti’ cozza e si sganghera. È una circoscrizione minoritaria in cui tutti prima o poi possono entrare o uscire, ma in cui molti non entreranno mai. È una potenzialità, a voler dirla così.
Ma chi parla di diritti sta parlando del suo bisogno di un surrogato della religione.
Non essendo la libertà di espressione un fattore esterno, o sociale, cambia da individuo a individuo, e non da luogo a luogo o da epoca a epoca! C’è la stessa l.d.e. in Cina a Tehran o a Castelnuovo Bormida: è l’invariante del sistema: cambia solo la volontà di adoperarla – e il coraggio implicato.
Esistono solo i guerrieri della libertà e non avvocati della libertà che non servono a niente.
Se uno non ha il coraggio di scrivere su un giornale o su un blog perché teme la repressione, è un problema suo. Scriva nel chiuso di una stanza. Componga nel pensiero. Costruisca un poema nella testa e se lo porti sempre in giro. Custodisca nell’invisibilità la sua fiammella sinché non è pronto per il battesimo del fuoco. Essere perseguitato per un autore è il battesimo del fuoco. Prima della discesa dello spirito non si è né carne né pesce.
Che un libro venga proibito, o un autore arrestato, o un sito venga chiuso è odioso, ma non è un problema (reale). Potrò sempre ottenere una copia e leggere: se voglio. È l’altra faccia dell’esigenza data di espressione: anche fruire posso se voglio/devo.
Perché scrivere è un atto di genio fisico e concentratamente individuale. La sua dimensione sociale e collettiva è accidentale ed erronea. Se uno vuole essere veramente libero, s’inventi un alfabeto e una lingua e un cifrario, estenda la sua vera anima su segni che nessuno può comprendere.
Poi alzi la testa e gridi una banalità sovversiva, e muoia ridendo nella danza di manganelli d’una polizia, totalitaria o aperta che sia.
Il potere nelle società aperte si basa sulla corruzione e sulla falsa ricerca di soluzioni a falsi problemi.
Qualcuno reagisce all’idea che la libertà di espressione possa essere impedita o bloccata da una legge. Io reagisco, e male, all’idea che la libertà di espressione possa essere ‘garantita’ per legge.

Raffaello Bisso Raffaello Bisso

Da Il Foglio Clandestino, Aperiodico Ad Apparizione Aleatoria, n. 66/67

Io da FB settembre 2023

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 inserito:: Settembre 19, 2023, 06:28:08 pm 
Aperta da Arlecchino - Ultimo messaggio da Arlecchino
Morti e incidenti sul lavoro, tutti i numeri del disastro italiano

di Valentina Magri
1° settembre 2023 17:17

L’incidente di Brandizzo (Torino), in cui 5 operai al lavoro sulla ferrovia sono stati travolti e uccisi da un treno regionale, ha riportato in auge l’annoso dibattito sul tema della sicurezza sul lavoro in Italia. Dalle prime indagini degli inquirenti, sono infatti emerse gravi violazioni alla procedura di sicurezza al momento dell’incidente. La discussione sulla sicurezza sul lavoro in Italia si rinnova periodicamente, ogni qualvolta una persona perde la vita in Italia sul suo posto di lavoro. Vediamo tutti i numeri su un problema mai risolto nel nostro paese.

Indice
    I dati su morti e incidenti sul lavoro in Italia del 2022
    I dati del 2023

I dati su morti e incidenti sul lavoro in Italia del 2022
Secondo i dati dell’Inail (Istituto Nazionale Infortuni sul Lavoro), le denunce di infortunio (mortale e non) nel 2022 sono salite del 25,67% rispetto all’anno precedente, con incrementi sia per le donne (+42,86%), sia per gli uomini (+15,95%). In calo gli infortuni mortali del 10,73%, in particolare per la componente maschile (-11,42%).

Fonte: Inail
A livello regionale, il numero delle denunce è salito in tutte le regioni rispetto al 2021. Incrementi maggiori si sono rilevati in Lombardia, con 27.869 denunce in più, nel Lazio
(+16.737), in Veneto (+14.458), in Campania (+13.495), in Piemonte (+12.830).

I dati del 2023
Per quanto riguarda il primo semestre 2023, l’Inail certifica che i morti sul lavoro sono stati 450: 13 in meno rispetto alle 463 registrate nel periodo gennaio-giugno 2022; 88 in meno rispetto al 2021; 120 in meno rispetto al 2020 e 32 in meno rispetto al 2019. Sono scesi tuttavia solo i casi mortali in itinere (da 121 a 104), mentre quelli avvenuti in occasione di lavoro sono saliti leggermente da 342 a 346. Il calo ha riguardato il settore dell’agricoltura (da 57 a 47 casi) e il conto Stato (da 18 a 15), mentre nell’industria e servizi i decessi sono stati 388 in entrambi i periodi.
A livello territoriale, i maggiori aumenti si sono registrati in Lombardia (+11 casi mortali), Friuli Venezia Giulia (+9), Liguria e Campania (+8 ciascuna), Abruzzo (+7), Umbria (+6) e  Lazio (+2), mentre i cali più evidenti si sono registrati in Toscana (-12), Piemonte (-7), Calabria e Puglia (-6 ciascuna).

In discesa le morti di lavoratrici (da 55 a 34) e in salita quelle dei lavoratori (da 408 a 416). Per quanto concerne la nazionalità, sono In diminuzione le denunce dei lavoratori italiani (da 378 a 371) e dei comunitari (da 25 a 15), in aumento quelle degli extracomunitari (da 60 a 64). A livello di classi di età, si registrano incrementi di incidenti mortali tra gli under 25 (da 22 a 31 casi), tra i 50-54enni (da 67 a 70) e tra gli over 59 (da 99 a 110); riduzioni invece nella fascia 25-49 anni (da 186 a 151) e 55-59 anni (da 89 a 88).

da - https://www.wallstreetitalia.com/morti-sul-lavoro-i-numeri-del-disastro-italiano/?utm_source=browser&utm_medium=rss_notification&utm_id=81837.06882486264

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 inserito:: Settembre 15, 2023, 07:31:47 pm 
Aperta da Arlecchino - Ultimo messaggio da Arlecchino
1° settembre 2023
   
Il primogenito di Joe Biden, Beau, morì di cancro al cervello nel 2015 all’età di 46 anni.
Biden era allora al suo settimo anno di vicepresidente di Barack Obama e versava in condizioni economiche modeste e per pagare le spese del figlio stava considerando vendere la propria casa. Obama, che aveva fatto notevoli guadagni con la pubblicazione dei suoi libri, gli disse di non vendere la casa, promettendogli di aiutarlo finanziariamente. Alla fine, la situazione fu risolta senza problemi finanziari per l’allora vicepresidente.

Biden, dunque, sa qualcosa al livello personale sul grave problema delle spese mediche. L’approvazione della legge sull’inflazione dell’anno scorso, Inflation Reduction Act (IRA), include una misura che permette a Medicare, il sistema sanitario degli anziani, di negoziare il prezzo delle medicine. Il suo recente annuncio sull’eventuale riduzione dei costi dei farmaci mediante la negoziazione con Big Pharma avrà sicuramente toccato l’attuale inquilino alla Casa Bianca. Il 46esimo presidente ha dichiarato che “le aziende farmaceutiche” in America triplicano i prezzi in comparazione a quelli in Paesi esteri, etichettando la situazione come “vergognosa”.

Le negoziazioni sui prezzi dei farmaci occorrono all’estero ma per Medicare ciò era illegale perché la legge che aveva creato la componente del beneficio ai farmaci lo proibiva. La legge approvata nel 2003 durante l’amministrazione di George W. Bush intendeva fornire medicine a costi moderati agli anziani ma durante le negoziazioni al Congresso Big Pharma era contraria. Poi quando fu inclusa la clausola che il Medicare non avrebbe il diritto di negoziare i prezzi delle medicine Big Pharma smise di opporsi, rendendosi conto che ci avrebbero guadagnato notevolmente. In effetti, una parte delle medicine viene pagata dai consumatori e il resto, stabilito dalle aziende a prezzi stratosferici, lo paga il governo. In sintesi, la legge offrì notevoli guadagni garantiti senza controlli alle casse di Big Pharma.

Si tratta di spese ingenti e costi insostenibili specialmente quando si fa una panoramica comparativa con altri Paesi.

Il costo di una medicina prodotta dall’azienda Merck per il diabete in Francia è di soli 16 dollari al mese mentre negli Usa raggiunge 547 dollari. Al livello nazionale gli Usa spendono 600 miliardi di dollari in medicine che vengono anche incoraggiate da annunci pubblicitari delle aziende farmaceutiche. Ovviamente queste spese per annunci incoraggiano i telespettatori a chiedere ai loro medici di considerare queste medicine, mettendo i professionisti nell’imbarazzo di prescriverle o no.

L’annuncio di Biden non risolve tutti i problemi ma è considerato un passo storico. All’inizio le negoziazioni si concentreranno su 10 medicine molto care usate per curare il diabete, il cancro e le malattie cardiovascolari. Nove milioni di americani ne beneficeranno e si prevedono risparmi di 100 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. La misura di Biden include anche un massimo di 2 mila dollari di ticket per i beneficiari di farmaci con Medicare. Sappiamo già che le negoziazioni con Big Pharma producono risparmi. La Veterans Administration che si occupa delle cure sanitarie dei veterani negozia e crea risparmi del 50 percento per le 340 medicine più usate, secondo uno studio di Bernie Sanders, senatore liberal del Vermont. Inoltre, altre 106 medicine costano 75 percento meno di quello che paga Medicare. I risparmi emergono anche per i consumatori all’estero che comprano queste medicine.

Gli americani sono favorevoli alle negoziazioni dei farmaci (83 percento sì, secondo un sondaggio dell’agenzia Gallup). Le aziende farmaceutiche controbattono che dover negoziare con Medicare avrà un effetto negativo per le ricerche necessarie alla produzione di nuovi medicinali. Difficile capire perché solo Medicare dovrebbe sovvenzionare questi costi delle ricerche. In realtà il governo americano sovvenziona già queste ricerche in altri modi mediante contributi alle università che spesso fanno tante ricerche i cui risultati sono poi usati dalle aziende farmaceutiche. Lo si è visto nella produzione dei vaccini anti-Covid pochi anni fa.

Il piano di Biden consiste di usare gli indici di sei Paesi internazionali che includono l’Australia, il Canada, la Francia, la Germania, il Giappone e il Regno Unito come punto di partenza per le negoziazioni. Big Pharma non ci sta però e già ci sono state 8 denunce per cercare di bloccare le negoziazioni. Sembra improbabile che il governo perderà le cause che impediranno una graduale riduzione dei costi dei farmaci per gli americani come avviene all’estero. C’è sempre però la possibile azione politica. Va ricordato che i repubblicani al potere con Donald Trump cercarono di abrogare Obamacare, la riforma sanitaria approvata dal 44esimo presidente nel 2010. Nel 2017 dopo l’abrogazione alla Camera i repubblicani persero al Senato di un solo voto (51 no, 49 sì) perché il senatore John McCain decise di votare contro il suo partito. Anche adesso l’abrogazione della legge che permetterà di negoziare i farmaci è già oggetto di discussione. Il parlamentare repubblicano del Texas Kevin Brady, commentando il piano di Biden, ha dichiarato che “le misure sulle medicine sono pericolose perché scoraggiano gli investimenti per la ricerca di altri farmaci che salverebbero vite umane.” Le elezioni hanno conseguenze. Votare per i repubblicani si traduce spesso con benefici alle corporation a scapito della gente comune. Di questi giorni non pochi anziani devono scegliere fra cibo e medicine. Se Big Pharma guadagna fior di quattrini negoziando con gruppi negli Usa e all’estero perché non dovrebbe farlo anche con Medicare?
 
da - https://www.glistatigenerali.com/america-mondo/il-braccio-di-ferro-di-biden-con-big-pharma-scendera-il-costo-delle-medicine/

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