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Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Enrico CapizziNon voterò più
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inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:29:07 pm
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Opinioni Enrico Capizzi · 8 dicembre 2016 Non voterò più Community Renzi Direzione Sono stanco di perdere, dopo una giovinezza passata ad assistere alle vittorie della Dc credevo di aver trovato con Matteo Renzi un leader concreto, ma evidentemente alla maggioranza degli italiani questo non piace Ho deciso: non voterò più. E questo è il sentimento anche dei miei familiari. Sono talmente deluso da stare male. Ho rivissuto le nottate passate da giovane alla Sezione del Partito, davanti ad un vecchio televisore. Immancabilmente vinceva la DC e noi a rosicare, nonostante l’impegno, la campagna elettorale porta a porta. Ma allora ero giovane ed era più facile digerire le sconfitte. Adesso non più. Renzi mi aveva ridato entusiasmo, vedevo una politica concreta, che decideva. Evidentemente alla maggioranza degli italiani non piace. Ed allora non voterò più: not in my name. Per prima cosa non voterò più alle Primarie del PD. Pensavo di aver contribuito ad eleggere un segretario ed una classe dirigente che guidassero un Partito unito, coeso, teso agli stessi obiettivi. Ed invece no. La parte che ha perso il Congresso ha cominciato, da subito, a seminare di mine il percorso, sperando che su una di queste mine il Segretario saltasse per aria. Ha cominciato da subito l’azione di logoramento, a rosicchiare il cranio (la sindrome da Conte Ugolino) del Segretario. Credo che siano stati loro i primi a parlare di “uomo solo al comando” ,uno dei principali argomenti usati dal Fronte del No per terrorizzare la gente (ho sentito personalmente qualcuno sostenere che “se vince il Sì arriva la dittatura”). Com’era prevedibile, la vittoria del No viene ascritta a Grillo, a Salvini, in parte a Berlusconi (che probabilmente ha impedito la frana verso il Sì di quel che resta del suo partito, pur sempre vicino al 15%). Del resto, basta fare i conti: insieme sommano circa il 60% dei votanti, esattamente la percentuale di coloro che hanno scelto il No. Gli elettori di Sinistra italiana e quelli del PD che hanno seguito Bersani, sono stati semplicemente sostitutivi di quelli dei predetti tre partiti che invece hanno scelto il Sì. Cioè, non determinanti: ed infatti nessuno li considera fra i vincitori. Ed anche la narrazione sull’arroganza di Renzi ha origini interne: ricordo ancora la Direzione del PD durante la quale Cuperlo lo accusò di “coltivare l’arroganza del Capo”. Renzi è arrogante? Certo, nessuno può sostenere che sia umile, che abbia una personalità arrendevole. Ma, vivaddio, ha le qualità del leader, di un leader che decide, che rifugge le mediazioni infinite, le discussioni senza fine, autoreferenziali, di chi si guarda l’ombelico. Del resto, se non fosse uno che decide, si sarebbero, in mille giorni, approvate tutte le leggi e le riforme che il Parlamento ha approvato? La sinistra interna, si guardi l’elenco, con onestà intellettuale. Quali sono le leggi che la sinistra dem considera “in continuità con la politica di Berlusconi”? Forse gli ecoreati? Le unioni civili? lo spreco alimentare? il caporalato? la pubblica amministrazione? il terzo settore? l’autismo? il dopo di noi? la parziale modifica della legge Fornero? E’ necessario continuare? Non credo. Bersani e Speranza si riguardino la lunghissima lista di tutto quello che nei passati mille giorni questo Premier “arrogante” e” uomo solo al comando” è stato in grado di fare approvare. Lo so, loro ribattono con il mercato del lavoro e la buona scuola. Io non sono d’accordo con le loro valutazioni, ma un discorso approfondito sarebbe troppo lungo. Alcune “scene” mi hanno particolarmente infastidito durante e dopo la campagna referendaria. Due di queste riguardano Roberto Speranza, l’aspirante leader senza quid. 1) La partecipazione ad una manifestazione per il No con De Magistris. Proprio lui, il Masaniello de noantri, quello che considera Renzi un nemico da abbattere, il raffinatissimo ex PM (che orrore i giudici e gli ex giudici che si comportano da ultra del calcio) che con raffinata eleganza ha minacciato più volte Renzi, intimandogli di non andare a Napoli (tutti ricordiamo il “si deve cagare addosso”), il fomentatore di centri sociali e cobas violenti contro il Premier che andava ad avviare il risanamento di Bagnoli. Proprio con lui Speranza doveva manifestare per il No? 2) I sorrisi e gli abbracci di trionfo con D’Alema (che, nell’ebrezza del trionfo ha chiaramente espresso uno dei motivi di risentimento, nei confronti di Renzi: dopo una decina di legislature, la colla e la voglia di poltrone erano ancora troppo solide) dopo la vittoria del No. Mai visto che una parte del Partito facesse campagna contro la posizione ufficialmente espressa (e ancora non ho capito i motivi di dissenso sul merito della riforma) e che festeggiassero così la sconfitta del proprio Segretario. Io penso che la minoranza di Bersani, in realtà, volesse pesarsi alle urne (suggerimento dello stratega D’Alema?) in vista di una eventuale scissione o per contare di più nella battaglia interna in attesa del prossimo Congresso. L’esito non dovrebbe essere brillantissimo se è vera l’analisi dei flussi che ritiene che solo l’8% degli elettori PD abbia votato contro (ed in gran parte, penso, più per amore verso la vigente Costituzione che per assecondare i giochetti di corrente). Ed allora, considerato che votare per le Primarie è inutile, perché il Congresso del Partito non finisce mai, non voterò più alle Primarie. E non voterò neanche alle Politiche. Il Popolo italiano vuole tenersi il bicameralismo paritario? Vuole tenersi il caos dei rapporti con le Regioni? Vuole tenersi i 63 Consiglieri del CNEL? Vuole tenersi 315 Senatori con le stesse funzioni dei Deputati? Vuole tenersi i finanziamenti dei Gruppi al Senato e nei Consigli regionali? Vuole tenersi gli stipendi sproporzionati dei Consiglieri regionali? Va bene così, ma poi non voglio sentir parlar male nessuno di quelli che hanno votato No delle suddette cose. Il Popolo italiano pensa che sia in grado di governare il Paese una banda di furbi incompetenti, telecomandati da un Comico (che spaccava a martellate i computer prima che qualcuno gli facesse capire che la rete poteva essere un miniera d’oro) e da una Società immersa nell’opacità (altro che uno vale uno, altro che trasparenza) ? Va bene così, ma non per conto mio, not in my name. Il Popolo italiano pensa che possa fare il Presidente del Consiglio un giovanotto senza arte né parte, mediocre studente universitario, che oltre allo staff della comunicazione necessiterebbe di avere accanto una maestra che gli spieghi la coniugazione e l’uso del congiuntivo e la differenza tra verbi transitivi ed intransitivi? Va bene così e buon divertimento. Il Popolo italiano è così immaturo da farsi abbindolare dalla propaganda che vuole fare considerare establishement e casta uno che è appena arrivato e non è neanche parlamentare? Va bene così, evviva il Popolo sovrano. Il popolo italiano è così irriconoscente da dimenticare così in fretta i benefici, in tema di diritti sociali ed in termini economici (basti pensare agli 80 euro, all’abolizione della TASI, ai posti di lavoro creati, ai centomila insegnanti in ruolo, al PIL tornato positivo, allo sviluppo del turismo e delle esportazioni, a quello che si sta realizzando nel campo dei beni culturali (alla faccia degli storici dell’arte ed archeologi improvvisatisi costituzionalisti), a tutte le leggi sui diritti sociali e civili ? Va bene così, ma non in mio nome. Il Popolo italiano ritiene che debba andare a casa un Premier che sta conducendo tenaci battaglie in Europa e che ha ridato dignità al nostro Paese nei rapporti internazionali? Va bene così. Ma non in mio nome. Matteo non mollare, se tu non molli, chissà, forse potrei anche ripensarci e tornare a votare. Da - http://www.unita.tv/opinioni/non-votero-piu/
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Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Tommaso LABATE. D’Alema a sorpresa: Matteo? Dovrò difenderlo, come Bettino Craxi
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inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:27:27 pm
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L’ex segretario dei Ds: provai a farlo tornare in Italia D’Alema a sorpresa: Matteo? Dovrò difenderlo, come Bettino Craxi «Tantissimi che sono renziani solo per convenienza, opportunismo e conformismo». «Qualcuno sta già prendendo appuntamenti con me per il dopo referendum» Di Tommaso Labate Se dovesse vincere il No, «può anche capitare che Renzi debba difenderlo io. Questo è il Paese che allo sconfitto riserva il calcio dell’asino, è già capitato in passato...». La sala contiene duecento posti a sedere. Ma dentro ci sono forse più di trecento persone. Campobasso, palazzo della Provincia, martedì sera. Il pubblico che sta ascoltando Massimo D’Alema, ospite d’onore di un’iniziativa sulla riforma della Costituzione organizzata dal deputato pd Danilo Leva, che fino a quel momento aveva tributato all’ex premier ovazioni e applausi, per un attimo ammutolisce. Come se in trecento, contemporaneamente, avessero capito male. Ma come, lo scenario è quello in cui il 4 dicembre vince il No e l’indomani D’Alema si mette a difendere Renzi? «Colonnelli berlingueriani» E così l’ex presidente del Consiglio, dal palco, riannoda i fili del discorso e sfoglia l’album dei ricordi. Ragiona sulla maggioranza del partito e dei gruppi parlamentari, sui «tantissimi che sono renziani solo per convenienza, opportunismo e conformismo». Si lascia scappare, senza fare nomi, che «qualcuno sta già prendendo appuntamenti con me per il dopo referendum». E poi arriva al parallelo. «Mi è già capitata, in passato, una situazione simile. All’epoca di Berlinguer, io ero tra quelli che la stampa chiamava i “colonnelli berlingueriani”. Chissà perché, poi, “colonnelli”...». Il loro nemico numero uno era Bettino Craxi. E — ricorda D’Alema — «quando Craxi cadde, mentre molti dei suoi fedelissimi si avventavano su di lui come cani pur di salvarsi e di rifarsi una verginità, toccò a me difenderlo. Lo stesso Craxi, tramite un ambasciatore, mi avrebbe poi fatto sapere che aveva apprezzato». La sala continua a trattenere il fiato. D’Alema fa anche il nome dell’ambasciatore tra lui e Craxi. «Era Yasser Arafat», il presidente dell’Olp. «Quando Craxi stava per morire, io, che ero premier, tentai una trattativa umanitaria con la Procura di Milano per farlo tornare a curarsi in Italia. Non ci riuscii. Vedete, molti sostengono che Renzi sia simile a Craxi. Forse nel piglio del potere, nel modo di gestire l’autorità... Ma Craxi era di sinistra, Renzi non lo è. Craxi frequentava Arafat, Renzi frequenta Netanyahu», il premier conservatore israeliano. Compagni di una vita Nella serata molisana D’Alema, forse per la prima volta, ammette l’amarezza provata per il distacco di alcuni dei suoi. Non fa nomi, non cita Cuperlo o Orfini. «Nella vita non ho mai fatto battaglie partendo dalla compagnia. Per le cose in cui ho creduto, ho combattuto. In ogni caso, ci sarà un “dopo” in cui si tornerà a discutere. E, tra i renziani, discuterò più volentieri con chi ha sostenuto Renzi per convinzione che non con quelli che l’hanno sostenuto per convenienza». I compagni di una vita, invece, ci sono e ci saranno sempre. Anche quelli con cui lo scontro è stato aspro. «Con Veltroni, per esempio, ho un ottimo rapporto. Ci sentiamo ancora oggi, le nostre famiglie sono vicine e le nostre figlie sono molto amiche, vivono entrambe in America e hanno già votato per il referendum. Mia figlia ha votato No, seguendo me. La figlia di Veltroni ha votato Sì, come il padre». Segno, insomma, di come si possa stare da diverse parti della barricata senza che i rapporti personali vengano interrotti o compromessi. «Noi», scandisce D’Alema, «abbiamo sempre fatto così. E mai, mai nella nostra storia, abbiamo portato in politica la rottamazione delle persone». Quello, sussurra, «è un lascito di Renzi». © RIPRODUZIONE RISERVATA 28 novembre 2016 (modifica il 1 dicembre 2016 | 12:41) Da - http://www.corriere.it/referendum-costituzionale-2016/notizie/referendum-costituzionale-2016-d-alema-sorpresa-matteo-dovro-difenderlo-come-bettino-craxi-7066ba42-b5b1-11e6-a2c1-e1ab33bf33ae.shtml
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Forum Pubblico / ITALIA VALORI e DISVALORI / Silvio Berlusconi andrà alle consultazioni. (vergognosa azione contro l'Italia)
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inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:25:48 pm
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Silvio Berlusconi andrà alle consultazioni. Aperture solo con la promessa del proporzionale e un aiutino a Strasburgo Pubblicato: 09/12/2016 16:53 CET Aggiornato: 4 ore fa Un paio di giorni fa, all’aeroporto di Fiumicino, Fedele Confalonieri incrocia un gruppo di parlamentari in attesa dell’imbarco. Ci sono Maria Stella Gelmini, Mario Mauro, Maria Rosaria Rossi, l’ex sottosegretario Luigi Casero. Fidèl è sorridente, non affranto per la fine del governo: “Ora – dice - si apre una fase molto interessante”. Perché per Mediaset i governi sono un po’ come i Papi per i romani, morto uno se ne fa sempre un altro. E tra gli altri nessuno spasima per un Renzi bis. Né dalle parti dell’azienda né ad Arcore. E chissà se è un caso ma il telefono di Gianni Letta ha ricominciato a squillare come ai bei tempi: “Ma voi – si sente domandare - che direte al Colle? Perché se voi non aprite il governissimo è già morto? Aprite?”. È un delicato e lungo gioco di “rimessa” quello a cui si sta preparando Silvio Berlusconi. Il quale, a differenza dei due Mattei (Renzi e Salvini) guiderà la delegazione di Forza Italia al Quirinale sabato pomeriggio. Anzi, per nulla al mondo ha intenzione di rinunciare a salire lo scalone del Colle, attraversare le vellutate stanze per poi concedersi a microfoni e flash. Una di quelle situazioni in cui il Cavaliere è compiaciuto di esserci, ancora una volta da leader che entra dalla porta principale dopo essere uscito, con l’onda della decadenza, da quella di Palazzo Madama. Ne è passato di tempo da quando, sui giornali, era il Condannato. E la guiderà, personalmente, non solo come rivendicazione di un ruolo e di uno status ma anche perché, semplicemente, non si fida degli altri. E sa che le trattative delicate si conducono in prima persona. Perché di trattativa delicata si tratta. Un ex ministro azzurro spiega, senza tante perifrasi: “Se andiamo al voto anticipato siamo morti, perché è evidente che non siamo pronti, la coalizione è un casino con Salvini e la Meloni. Ma siamo morti anche se andiamo al governo, perché non la reggiamo. Rompiamo con gli alleati e per cosa?”. Ad Arcore sono convinti che andare al governo oggi significa “fare la fine di quello che raggiunge la compagnia a tavola per il caffè e paga tutto il conto”. Dove il conto è il correttivo che ha chiesto l’Europa sulle “marchette di Renzi”. Dunque Silvio Berlusconi dirà a Sergio Mattarella non solo che è contrario, contrarissimo a un “Renzi bis” ma che non ha intenzione di fare la stampella a nessun governo, non è questione di nomi. Anche se certo è un no da “opposizione responsabile” che non farà barricate in piazza e che dice un sì, convinto, a un confronto - un "tavolo" - sulla legge elettorale. Punto. In via informale però è stata già comunicata al Quirinale quale è l’offerta che sarebbe impossibile non prendere in considerazione. Di fronte alla quale si potrebbe discutere anche di governo: “una legge elettorale proporzionale”. Ma, ha aggiunto l’eminenza grigia del Cavaliere, dovrebbe essere un accordo blindato. Una fonte di Arcore dice: “È chiaro che solo una proposta di proporzionale apre la trattativa vera ovviamente con un nome diverso da Renzi. A quel punto Berlusconi può rompere con la Lega, perché starebbe al governo oggi ma anche domani, ovvero dopo il voto, visto che col proporzionale nessuno avrebbe la maggioranza”. Ed è chiaro che, in un percorso del genere, il Cavaliere considererebbe scontata una relazione favorevole del nuovo governo a Strasburgo, dove attende una sentenza slittata a suo giudizio per colpa del governo Renzi. Condizioni alte, per vendicare il famoso “game over” e rientrare al Senato dalla porta principale. Altrimenti non vale la pena rompere, ora che le urne hanno sancito il “game over” del governo. Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/09/silvio-berlusconi-consultazioni_n_13531164.html?1481298837&utm_hp_ref=italy
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Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Vittorio Nuti. Renzi punta su governo di responsabilità o elezioni.
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inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:23:28 pm
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Renzi punta su governo di responsabilità o elezioni. Domani la direzione Pd di Vittorio Nuti 6 dicembre 2016 Matteo Renzi premier “congelato”, ma solo per poco. La blindatura al Senato della legge di Bilancio 2017, su cui domani verrà messo il voto di fiducia senza modifiche sul testo licenziato dalla Camera, accelera i tempi delle dimissioni del presidente del Consiglio. Incassato il via libera definitivo alla manovra (e, nelle stesse ore, la conversione in legge del decreto terremoto, all'ordine del giorno di Montecitorio) il premier è atteso al Colle per confermare il suo addio a Palazzo Chigi e aprire ufficialmente la crisi di governo. Tempi stretti, nello stile del premier, ma rispettosi della richiesta del Capo dello Stato che ieri ha chiesto a Renzi di “congelare” le dimissioni fino all'ok della legge di bilancio. E coerenti con il suo annuncio a caldo dopo la batosta nella notte referendaria: «Il governo assicura l'iter della legge di stabilità e i provvedimenti sul terremoto». 05 dicembre 2016 Domani la direzione Pd, partito diviso sul voto anticipato Ma quelle da premier potrebbero non essere le uniche dimissioni all'orizzonte. Domani pomeriggio l'agenda di Renzi prevede anche la riunione della Direzione Pd che si preannuncia infuocata per il confronto tra le varie anime del partito sulla linea da tenere nelle prossime settimane, a partire dalle consultazioni al Colle in cui si presenteranno le forze politiche per spiegare le proprie posizioni sulla crisi politica. Le varie anime dalla maggioranza interna al Pd sono divise sull’idea di un voto anticipato come sembravano orientati i renziani di stretta osservanza fino a qualche ora fa, mentre la minoranza è assolutamente contraria, considerando le urne un salto nel buio dopo la débâcle del referendum. Al momento, a chiedere esplicitamente le dimissioni di Renzi dalla segreteria del partito è solo il presidente della commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia, ma non è detto che la sua richiesta faccia proseliti, accelerando anche i tempi del congresso Pd. «Le uniche dimissioni che Renzi ha il dovere di dare sul piano politico, sono quelle di segretario del Pd», ha spiegato intervenendo oggi a “Un Giorno da Pecora” (Rai Radio 1) perché «era premier in quanto segretario del Pd, altrimenti non avrebbe fatto il presidente del Consiglio». Appello di Cesa ai centristi 06 dicembre 2016 Udc esce da Area popolare di Alfano, nuovi gruppi contro voto anticipato Renzi verso proposta di governo di “responsabilità” o voto Secondo indiscrezioni provenienti dal suo entourage Renzi nel suo intervento confermerà solo le dimissioni da premier, senza spingere l'acceleratore sulle elezioni anticipate. In pratica, Renzi dovrebbe ribadire la fine del “Renzi I” e confermare la necessità di andare alle urne nel più breve tempo possibile, ma senza indicare una data. Sempre secondo voci interne l'orientamento del segretario Renzi sarebbe quello di dare la disponibilità alla formazione di un governo istituzionale, con la più ampia partecipazione delle forze politiche e senza politici dem di peso nell'esecutivo, appoggiandolo in Parlamento ma solo con lo scopo di varare la legge elettorale. Nessuna disponibilità invece a reggere un governo da solo facendosi “rosolare” dalle opposizioni che chiedono le urne anticipate e accusano i dem di volere restare al governo. Su questa linea potrebbe convergere anche la minoranza del partito, che oggi in ufficio di presidenza del gruppo dem al Senato ha auspicato scelte «responsabili» per il varo della legge di Bilancio ma soprattutto sui tempi del voto anticipato perché, sarebbe questo il ragionamento, non si può andare a votare per le elezioni politiche senza modificare la legge elettorale della Camera e anche quella del Senato. Mattarella contrario a voto anticipato con due leggi elettorali A frenare la corsa verso il voto non sono sole le resistenze della minoranza dem. Dal Quirinale trapela la preoccupazione per ogni accelerazione verso elezioni anticipate senza la garanzia di una normativa capace almeno potenzialmente di garantire stabilità politica al Paese. Confermata quindi la linea del Colle per la prima crisi di governo “gestita” da Mattarella, che intende essere il notaio della situazione, puntando sulla moral suasion per smussare gli angoli e trovare soluzioni sostenibili e il più possibile condivise. Al momento l'Italia ha due leggi elettorali diverse, una per ognuno dei rami del Parlamento: per questo il presidente della Repubblica sembra orientato a considerare le elezioni un azzardo se prima non si renderanno più omogenee le due normative. Altro elemento che induce alla calma è la pronuncia della Corte costituzionale attesa per il 24 gennaio, una data talmente ravvicinata da sconsigliare la fretta verso il voto: meglio attendere un mese e poter contare su una parola chiara sul tasso di legittimità costituzionale dell'Italicum. © Riproduzione riservata Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-12-06/renzi-punta-governo-responsabilita-o-voto-domani-direzione-pd-194233.shtml?uuid=ADW5Ec8B
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Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FABIO MARTINI. Pd, patto tra le minoranze anti-voto. Così Matteo si ritrova...
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inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:22:03 pm
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Pd, patto tra le minoranze anti-voto. Così Matteo si ritrova accerchiato Bersani e D’Alema con Franceschini e Orlando. Si va verso un governo a guida dem Il Pd al Colle senza segretario. Renzi non farà parte della delegazione che sabato salirà al Colle per le consultazioni. Ci saranno il vice Guerini, il presidente Orfini e i capigruppo Rosato e Zanda Pubblicato il 09/12/2016 Fabio Martini Roma Lui, nel primo giorno da presidente dimissionario, ha cercato di sublimare l’onta dell’addio, interpretando il ruolo del politico lontano dal Palazzo e facendo vita di famiglia nella sua Pontassieve. Ma il Renzi bravo papà è soltanto una parte della realtà: mai come in queste ore la «fronda» dentro il Pd sta provando a diventare maggioritaria e mai come in queste ore il presidente dimissionario - che sente la tempesta in arrivo - sta brigando per provare a pilotare la crisi di governo verso l’esito più gradito. Renzi è interessato ad un governo che spiani la strada verso l’obiettivo che lo interessa di più: essere il candidato premier del Pd in vista delle prossime elezioni politiche. Ma Renzi deve fare i conti con un Capo dello Stato che intende svolgere senza interferenze il suo ruolo. Renzi lo ha capito e infatti, da Pontassieve, ci tiene a far sapere: «Col Quirinale c’è un patto di ferro». Ma deve fare i conti soprattutto con la novità che temeva e della quale lui stesso non ha ancora tutte le coordinate: è in atto un autentico terremoto all’interno del Pd. Un terremoto destinato a ridisegnare la geografia del partito. Per effetto di una doppia novità. La prima: una parte della maggioranza «renziana» - la corrente di Dario Franceschini e quella del Guardasigilli Andrea Orlando - ha fatto un passo di lato, rompendo politicamente con il segretario-presidente. Rottura significativa perché le due correnti hanno una forte presenza nei gruppi parlamentari, tanto è vero che sono «franceschiniani» entrambi i capigruppo, quello dei deputati Ettore Rosato e quello dei senatori Luigi Zanda Ma la seconda novità è la più corposa, la più pericolosa per Renzi: il duo Franceschini-Orlando ha stabilito in queste ore un patto di consultazione con la minoranza che fa capo a Pier Luigi Bersani e anche, ecco l’ultima sorpresa, con Massimo D’Alema, molto attivo nella cucitura. Una sorpresa perché da anni ormai le due maggiori personalità della sinistra Pd, Bersani e D’Alema, avevano rotto politicamente. Certo, è presto per capire se il nuovo asse di centro-sinistra abbia i numeri per mettere in minoranza il leader. Per il momento, non all’interno della Direzione del Pd, che infatti Renzi ha voluto in seduta permanente, elevandola così a organo deliberante durante la crisi di governo. Più incerta la situazione nei gruppi parlamentari. La corrente di Franceschini (che raggruppa in prevalenza ex popolari, ma anche personalità ex ds come Piero Fassino e la ministra Roberta Pinotti) conta su una novantina di deputati (su 301), ai quali vanno aggiunti i deputati vicino ad Orlando (una quindicina) e quelli delle minoranze, venticinque. Si arriva a malapena a 140 deputati, dunque ne mancherebbero una decina per superare la quota non soltanto simbolica del 50%. Stesse proporzioni al Senato. Anche perché con Renzi sono ancora schierati Matteo Orfini e il ministro Maurizio Martina. Per Renzi un occhio al partito e un occhio al Quirinale. Al termine della prima giornata di consultazioni, il presidente dimissionario ha preso atto che si sta aprendo la strada per un governo guidato da una delle personalità che lui stesso ha fatto trapelare 24 ore fa: il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan o quello degli Esteri Paolo Gentiloni. Due nomi che Renzi ha «calato» per verificarne l’«effetto» e anche per chiudere la strada alla candidatura di Dario Franceschini. Ma su Padoan, lo stesso Renzi ha molte riserve - troppo collegato a D’Alema, dicono a Palazzo Chigi - mentre su Gentiloni, che pure ha l’aplomb «giusto», si stanno annidando le perplessità della fronda interna, perché troppo vicino a Renzi. Ecco perché, nelle ultime ore sono risalite le quotazioni di Graziano Delrio, figura di possibile compromesso per un governo a tempo. Fino ad elezioni che avrebbero già una data: 4 giugno 2017. Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/12/09/italia/politica/pd-patto-tra-le-minoranze-antivoto-cos-matteo-si-ritrova-accerchiato-3CDGbDLKunV4kDYUxPpBRL/pagina.html
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Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FRANCESCO BEI. Renzi tentato dall’anno sabbatico: “Voglio togliermi di mezzo"
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inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:19:20 pm
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Renzi adesso è tentato dall’anno sabbatico: “Voglio togliermi di torno” Il premier: ma nel Pd mi chiedono di restare. Sms a Merkel: “Non torno indietro” Pubblicato il 06/12/2016 Francesco Bei Roma «Devo staccare. Voglio prendermi una vacanza con Agnese». E’ passata una notte e Matteo Renzi ha sbollito solo in parte la rabbia e la delusione per il risultato del referendum. Chiamato al Colle, il capo dello Stato lo avvolge con lunghi ragionamenti sulla stabilità e lo sostiene cercando di frenarne la tentazione di mollare tutto e subito. Mollare - oltre la poltrona a palazzo Chigi anche quella da segretario del Pd – questo è il vero desiderio del premier. Il quale confida a Mattarella qual è adesso il suo sogno segreto: «Mi piacerebbe staccare per davvero, prendermi un sabbatico, magari un anno negli Stati Uniti, ma i miei amici del Pd non me lo permettono». Le pressioni del Presidente alla fine fanno breccia sul capo del governo. Che quando scende dal Quirinale riferisce ai suoi di essersi piegato. «Io sinceramente avrei evitato, non sarei rimasto un minuto di più, ma è un fatto di serietà istituzionale e prima di tutto viene l’Italia. Non voglio passare per uno che fa i capricci, un bambino viziato che se ne va con il broncio. Quindi proseguiamo fino alla legge di stabilità». La garanzia che Renzi riesce a strappare a Mattarella è che anche il Capo dello Stato si adopererà con il presidente Grasso affinché l’iter della Finanziaria in Senato sia il più rapido possibile e si arrivi all’approvazione definitiva entro una manciata di giorni. Senza tornare alla Camera. Renzi lo ripete ai suoi dopo essersi congedato nel pomeriggio dai ministri con un brindisi a palazzo Chigi. «Il mio obiettivo è togliermi subito di qui. Sembra assurdo ma non riesco ad andarmene. Di solito i miei predecessori facevano le barricate per restare, io invece voglio togliermi di torno e non ce la faccio». La soluzione è il compromesso raggiunto con il Capo dello Stato, una soluzione a tempo. Costretto suo malgrado a restare in carica, in realtà Renzi si comporta come se già fosse uscito da quel portone. E il primo segnale è stato quello di cancellare tutti gli appuntamenti previsti nei prossimi giorni, atteggiandosi di fatto a premier dimissionario. Ma tra l’intenzione e la realtà ci passa in mezzo il Parlamento e le procedure della sessione di Bilancio. Perché se è vero che Mattarella ha garantito di dare una mano, la verità è che nessuno può impedire al Senato di emendare in lungo e in largo la legge approvata da Montecitorio. E’ il bicameralismo perfetto, bellezza, e gli italiani in maggioranza hanno mostrato di averlo in gran conto. Se la Finanziaria dovesse subire rilevanti modifiche, come ad esempio chiede Forza Italia con i suoi capigruppo (“via i bonus, le mance elettorali, i miliardi regalati senza coperture”), la legge dovrebbe tornare alla Camera e allora addio al progetto di lasciare palazzo Chigi già entro la fine di questa settimana. Renzi ne è consapevole: «Le opposizioni, se vogliono che me ne vada subito, mi devono dare una mano». Quanto alla legge elettorale per il Senato o alle modifiche da fare all’Italicum, pure da concordare con le opposizioni, il premier fa spallucce: «Io non me ne occupo, con quelli non parlo, ci penserà il Parlamento». Insomma, il morale è ovviamente sotto i tacchi, ma appena gli si nominano gli avversari Renzi torna Renzi: «Voglio vedere adesso cosa riusciranno a fare». Dei progetti per il futuro, di cosa accadrà al partito, è ancora presto per parlare. Al momento i pochi di cui si fida veramente lo stanno martellando con un mantra: «Sei a capo di un fronte riformista che si riconosce nella tua leadership. Un fronte che, con questo referendum, ha dimostrato di avere la maggioranza relativa del paese». E’ quello che ha scritto Luca Lotti nel suo tweet: «Abbiamo vinto col 40% nel 2014. Ripartiamo dal 40% di ieri!». Non sarà facile, l’idea di ritirarsi dalla scena pubblica lo sta davvero solleticando. Un piccolo segnale lo si è colto ieri quando, nella riunione più ristretta a palazzo Chigi, si è parlato delle consultazioni al Quirinale. E Renzi ha detto chiaro e tondo che non ha molta voglia di stare ancora sotto i riflettori. «Non so se andrò io, preferirei mandare i vicesegretari. Vediamo, l’importante è che non sembri uno sgarbo al capo dello Stato». Quello che al premier ha fatto piacere è il sostegno che sta arrivando in queste ore sia al Pd che a palazzo Chigi da tanti cittadini che gli chiedono di «non mollare» e lo ringraziano per essersi speso senza riserve in campagna elettorale. Nulla ovviamente che possa far dimenticare quella massa enorme di elettori che gli ha votato contro. «Abbiamo commesso errori, non c’è dubbio, non possiamo prendercela con chi vota». Nella lunga giornata di ieri il centralino di palazzo Chigi ha smistato anche molte telefonate di leader europei che volevano esprimere personalmente il loro rammarico per le dimissioni. Alcuni provando anche a convincerlo a restare. Con Angela Merkel invece ogni formalità è superata da tempo, i due si stimano e si sono scambiati i rispettivi cellulari. Così «Angela» già nella serata di domenica, con uno scambio di sms, ha saputo dal diretto interessato quello che sarebbe accaduto: «Non torno indietro». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/12/06/italia/speciali/referendum-2016/renzi-adesso-tentato-dallanno-sabbatico-voglio-togliermi-di-torno-kATY6fBnabLNA3whmz5BoN/pagina.html
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Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Massimo Franco. Le dimissioni di Renzi e gli strappi da evitare
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inserito:: Dicembre 10, 2016, 09:28:34 pm
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La crisi Le dimissioni di Renzi e gli strappi da evitare Sarebbe bene andare alle elezioni. Il problema è farlo senza precostituire le premesse di un’Italia ingovernabile Di Massimo Franco Le dimissioni formali di Matteo Renzi vanno salutate come un atto di responsabilità. Tirarla per le lunghe dopo la sconfitta al referendum del 4 dicembre avrebbe gettato un’ombra sulla sincerità del suo passo indietro; e probabilmente irritato un’opinione pubblica che si è espressa con nettezza contro le riforme istituzionali. Da oggi, la crisi passa nelle mani del presidente della Repubblica. Ma non si può pensare di scaricare sulle sue spalle il peso di una situazione nata da un’analisi superficiale della società italiana e dei suoi umori più profondi; e della quale l’origine ma anche buona parte della soluzione rimanda ai tormenti del Pd. Ormai è chiaro che la legislatura è agli sgoccioli. E sarebbe bene andare alle elezioni. Il problema è farlo senza precostituire le premesse di un’Italia ingovernabile: per capirsi, senza perpetuare le risse della campagna referendaria, quasi le elezioni politiche fossero il semplice prolungamento dello scontro degli ultimi mesi. Tra voto presto, auspicabile, e voto affrettato, da evitare a tutti i costi, esiste una differenza sostanziale. Il primo arriverebbe dopo avere raffreddato le tensioni tra i partiti; cercato di riconciliare il Paese; e approvato una riforma elettorale che tenga conto delle indicazioni della Corte costituzionale e armonizzi il sistema alla Camera e al Senato. Il secondo avverrebbe sull’onda di una lettura emotiva e strumentale del referendum. Porterebbe alle urne un Paese più spaccato che mai. E soprattutto riconsegnerebbe un Parlamento a rischio di illegittimità, plasmato da una campagna elettorale dominata dai revanscismi e da una sorta di condanna al populismo di tutti. Tra l’altro, al Pd sarebbe difficile spiegare che si debbono sciogliere subito le Camere, quando ieri la manovra finanziaria ha ricevuto al Senato una larga fiducia. Dire che non esiste più la maggioranza è qualcosa che l’opinione pubblica faticherebbe a capire. Il passo indietro di Renzi ha valore se è un gesto di disponibilità a facilitare la soluzione della crisi. Può essere lui a guidare la coda della legislatura, se lo ritiene. O può essere un altro esponente del Pd indicato dal premier uscente, se non se la sente di tornare sui suoi passi dopo avere annunciato che se ne andava perché era stato battuto dal responso popolare. Quello che il Paese e il capo dello Stato non capirebbero, sarebbe la tentazione di Renzi di mettersi di traverso. E cioè rifiutarsi di assumere la responsabilità di un nuovo incarico, troppo in contraddizione con quanto ha dichiarato la sera del 4 dicembre; e al tempo stesso impedire che qualunque altro candidato entri a Palazzo Chigi in questa legislatura. L’enfasi con la quale il segretario del Pd rivendica e esalta i voti ricevuti, quasi fossero l’emblema di una «sconfitta vittoriosa», fa pensare che esiti a prendere atto della nuova situazione. Ma su un punto Renzi va compreso. Teme che sostenere da solo il peso di un governo di fine legislatura comporti un logoramento potenzialmente fatale per il suo partito. Per questo invoca una responsabilità anche degli altri, pur sapendo che sarà molto difficile coinvolgerli. Lamenta di avere pagato il prezzo della solitudine, senza però chiedersi quanto l’abbia lui stesso alimentata intorno al Pd. Forse, abbassando i toni e le pretese, contribuirebbe a svelenire un’atmosfera impregnata ancora dai veleni referendari e dalle accuse di arroganza. E probabilmente avrebbe maggiori possibilità di succedere a se stesso, per guidare l’Italia alle elezioni nella primavera del 2017 o, se la situazione lo richiedesse, alla fine naturale della legislatura nel 2018. Il modo migliore per abbassare la febbre della quale Movimento 5 Stelle e Lega sono i principali interpreti e beneficiari, non sono accelerazioni e strappi successivi. È il recupero di un rapporto forte, credibile, con l’Italia profonda e con l’Europa. Dopo una sconfitta così bruciante, l’antidoto migliore per recuperare la spinta perduta è l’umiltà: insieme a un raccordo stretto con il Quirinale di Sergio Mattarella, che Renzi ha contribuito in modo decisivo a eleggere. Incrinare i rapporti col capo dello Stato per tentare di imporre un voto affrettato sarebbe l’ultimo regalo a Beppe Grillo. 7 dicembre 2016 (modifica il 7 dicembre 2016 | 21:26) © RIPRODUZIONE RISERVATA Da - http://www.corriere.it/opinioni/16_dicembre_08/dimissioni-renzi-strappi-evitare-bee80e86-bcba-11e6-9c31-8744dbc4ec0a.shtml
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Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Arlecchino su FB Il Referendum ha battuto "l'indifferenza"
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inserito:: Dicembre 10, 2016, 09:25:59 pm
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Il Referendum, del 4 dicembre ci obbliga, ma obbliga soprattutto "il Potere", alla considerazione che gli "Ultimi" non possono seguitare a rimanere tali, ai livelli cui siamo arrivati oggi. Siamo ad un punto in cui gli Ultimi sono cresciuti, arrivando ad una misura tale e con una estensione nei vari segmenti del sociale che paralizza la razionale ricerca delle ragioni del convivere.
Il Referendum ha battuto "l'indifferenza"! Adesso tocca al Potere discernere, "rovistando tra l'accozzaglia" dei NO, per non commettere l'errore di dare a quei NO significati nebulosi, annebbiati dalla peggiore tifoseria, o addirittura rendendolo pericoloso strumento nelle mani di incapaci o peggio.
La Democrazia è difficile da vivere ma non dobbiamo farne fare un uso distorto di corto respiro.
La CULTURA deve avere la forza di mettersi alla testa degli Ultimi come motore di Rinascita e Nascita di una società diversa e più giusta. I Piccoli Editori Indipendenti, anche loro tra Ultimi (perché poveri, ma non incapaci) sono l'avanguardia coraggiosa di una Dignità Nazionale da dissotterrare, liberare da chi l'ha sepolta, rilanciare nel Mondo. Ciaooo
Da FB del / dicembre 2016
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Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / Emanuele Rossi Becchi: “L’asse Lega-Movimento dopo il voto non è fantascienza”
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inserito:: Dicembre 10, 2016, 09:23:33 pm
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Becchi: “L’asse Lega-Movimento dopo il voto non è fantascienza” Paolo Becchi insegna Filosofia del Diritto presso l’Università di Genova Pubblicato il 10/12/2016 Ultima modifica il 10/12/2016 alle ore 17:02 Emanuele Rossi Genova «Larghe intese Lega-Cinquestelle? Non è fantascienza. Ma si vedrà solo dopo le elezioni, perché l’unica cosa che interessa al Movimento è misurare le forze». In qualche senso, Paolo Becchi ha anticipato la tendenza: il professore genovese di filosofia del diritto, un tempo considerato “ideologo” del Movimento cinque stelle, negli ultimi mesi ha rotto con Beppe Grillo e si è avvicinato a Lega e Fratelli d’Italia (ha partecipato alla manifestazione di Salvini a Firenze per il “no” al referendum). Professore, Salvini e Grillo potrebbero mai essere alleati? «I punti di contatto sarebbero molteplici: l’opposizione all’euro e all’Unione, la sintonia con la Russia, il rifiuto dell’immigrazione, la retorica anti-sistema. Oggi sembra fantasia, perché il Movimento è un partito in cui la linea cambia a seconda dell’opportunismo del giorno. L’unica cosa che interessa a Grillo oggi è misurare le forze, votare e andare da soli. Ma dopo, ad esempio se si votasse con il proporzionale e Di Maio fosse incaricato di trovare una maggioranza per poter governare, comincerebbe proprio dalla Lega. Quanto a Salvini, lui ha già provato a dialogare, ma si è beccato in risposta solo dei vaffanculo». Forse è proprio per evitare alleanze che il M5S vuole votare con l’Italicum? «Ci dimentichiamo che per Grillo sino a ieri era una legge fascista? È puro opportunismo. Come il referendum sull’Euro: hanno raccolto le firme, ora lo portano avanti o no? L’unica cosa inaccettabile, dopo il grande segnale del referendum, sarebbe un altro governo Pd formato da gente eletta con una legge incostituzionale. Per questo sulla legge elettorale io farei l’opposto: si porti il Consultellum anche alla Camera». Così sarebbero quasi certe le «grandi coalizioni» dopo le elezioni. «E allora? Quando l’Italia funzionava c’erano sempre le grandi coalizioni intorno alla Dc. Erano meglio i governi balneari di quelli dei tecnici. L’idea del “partito unico” al comando è una cosa degli ultimi anni». Licenza Creative Commons Alcuni diritti riservati. Da - http://www.lastampa.it/2016/12/10/italia/politica/becchi-lasse-legamovimento-dopo-il-voto-non-fantascienza-07I8rZ5xCxenFFhOZAZ9aM/pagina.html
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Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Stefano Borioni Nei discorsi di vittoria del fronte del No nessun accenno ...
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inserito:: Dicembre 10, 2016, 09:22:24 pm
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Opinioni Stefano Borioni @borionistef · 7 dicembre 2016 Nei discorsi di vittoria del fronte del No nessun accenno all’Italia, nei loro pensieri solo Renzi“Amici del Si”, si ferma, sorride e in quel secondo il tempo si ferma. In quel momento ci siamo noi, il nostro impegno quotidiano, le giornate ai banchetti, un caffè per scaldarsi le mani, un sorriso per scaldarsi il cuore e andare avanti. Le bufale smontate, il reflusso d’una vecchia politica che abbiamo provato a fermare, ci abbiamo provato con tutte le nostre forze ma non è bastato. Sospesi in un quel momento l’istante passa, “vorrei abbracciarvi uno per uno”; prosegue Matteo Renzi e tu lo senti quell’abbraccio, è l’abbraccio di una comunità intera, un pezzo di Paese grande e forte. L’Italia che voleva cambiare l’Italia. Questa è la Politica per cui investiamo il tempo dei nostri anni migliori, non per le alchimie dei partiti e delle minoranze che sanno unirsi solo contro qualcosa o qualcuno. Come conciliare, d’altronde, la passione di chi il proprio Paese lo ama con la strategia di chi – per colpire il Presidente del Consiglio – sacrifica il nostro futuro senza batter ciglio? “Non è il partito di Renzi. (…) Spero che a Renzi sia passata la passione di rottamare gli altri” afferma D’Alema tra gli applausi del Comitato del No. Renzi, Renzi, Renzi: non una parola sull’Italia che poteva essere, ci teniamo il CNEL, il Senato, l’iniquità ed a festeggiare sono sia Brunetta che i ragazzi che Brunetta definì “l’Italia peggiore”, un bell’abbraccio. In questa sbronza collettiva si dimenticano presto le responsabilità, Casapound può partecipare alla festa? Ma certo, mettetevi lì, vicino l’ANPI, tra i Cobas, Monti e Fassina, ma non prendete i posti dei grillini, i nostri soci di maggioranza che dopo aver fatto fuoco e fiamme contro l’Italicum oggi lo apprezzano non poco. D’altronde è questione di coerenza: il Referendum non è passato e Renzi è uscito di scena, a differenza di quello che aveva promesso di fare Grillo prima delle elezioni europee. Un po’ come il tema Muraro, Marra (i Marra, entrambi) o quello delle firme false in Sicilia: gli scandali aumentano, gli esponenti del Movimento restano saldamente incollati alle poltrone ma, visto che il sacro Blog non ne parla, il tema non esiste. E la nuova riforma, quella che avrebbero dovuto facilmente partorire in sei mesi? Nemmeno fingono di parlarne, ci sono cose più importanti: la corte di Strasburgo deve dirci se Berlusconi è candidabile, i grillini vanno fomentati con qualche nuova bufala – secondo BuzzFeed il partito di Grillo è la principale fonte di disinformazione italiana ma, per loro, è BuzzFeed la disinformazione – per non parlare degli equilibri della destra e della minoranza Dem. Hai voglia. Solo una cosa non capisco, ma sicuramente è colpa mia: uno che ha preso – solo contro tutti, compreso un pezzo del suo stesso partito – il 40% dei voti come si può definire un perdente? E come si può definire vincitrice una “maggioranza” ad oggi già frastagliata come i tanti frantumi di uno specchio che cade in terra? Fateci caso, sono i primi vincitori della storia ad essere furiosi: dall’ingestibile rabbia di Travaglio alle velate minacce di D’Alema (“chi ha seguito Renzi lo azzannerà”). Dall’altra parte c’è invece Matteo Renzi, l’uomo che lascia un’Italia migliore di quella che ha trovato e ci saluta col sorriso. Ed è il saluto di un amico, un amico di cui aspettiamo il ritorno. Da - http://www.unita.tv/opinioni/nei-discorsi-di-vittoria-del-fronte-del-no-nessun-accenno-allitalia-nei-loro-pensieri-solo-renzi/
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Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Emanuele MACALUSO. La direzione di Giuliano è quella giusta
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inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:34:06 am
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Opinioni Emanuele Macaluso @emmaincorsivo · 8 dicembre 2016 La direzione di Giuliano è quella giusta Sinistra Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia lascia la sede del Pd al termine dell'incontro con il presidente del Consiglio Matteo Renzi, 02 dicembre 2015. Roma. ANSA/ANGELO CARCONI Conosco bene Giuliano, e so che è una persona coerente con le sue idee Conosco bene Giuliano, e so che è una persona coerente con le sue idee, in rapporto alle situazioni che il contesto politico propone. Pisapia ha fatto bene il sindaco di Milano, con una coalizione di centrosinistra che, non solo lui, aveva chiamato “arancione”. Quando è scaduto il suo mandato ha detto che non si sarebbe ricandidato e successivamente, quando Sala ha vinto le primarie, battendo di misura la vice sindaco Balzani, che Pisapia sosteneva, ha subito detto che avrebbe appoggiato Sala e lo ha fatto con determinazione. Sala era il candidato del Pd. E al referendum ha fatto la campagna per il Sì. Oggi cosa propone Giuliano, dopo il terremoto referendario? Radunare tutte le persone e i gruppi che non si riconoscono nel Pd, che hanno votato per il Sì o per il No, ma vogliono costruire un soggetto di sinistra, disposto ad allearsi con il Pd di Renzi, al quale chiede se anche lui pensa a una ricomposizione del centrosinistra, e quindi ad alleanze coerenti, che non sono certo quelle che il Pd ha dovuto stabilire con il centrodestra di Alfano e Verdini. È chiaro anche, dice Giuliano, che la sinistra a cui pensa non è quella che considera il Pd di Renzi un partito di destra, con cui si può solo confliggere e non allearsi, come fanno i residuati di Sel e la cosiddetta Sinistra italiana. Insomma, senza Pd non c’è centrosinistra, e a me pare che abbia ragione. Bersani e Speranza, invece, continuano ad operare come se l’alternativa a Renzi siano loro, e non capiscono ancora che ormai sono più minoranza di prima, senza una prospettiva se non quella di mugugnare. Ancora una volta si dimostra che Cuperlo aveva ragione. Io penso che Giuliano abbia storia e autorevolezza per muovere la situazione nella direzione da lui stesso indicata. E intanto anche lui dice che occorre una nuova legge elettorale e il tempo necessario perché il parlamento adempia ad obblighi come la legge di stabilità. In questo, d’accordo con quel che chiede Mattarella. Vedremo cosa pensa per il futuro il suo attuale segretario Renzi. E vedremo cosa si muove nel Pd. Da - http://www.unita.tv/opinioni/la-direzione-di-giuliano/
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Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Matteo Renzi avvia le "consultazioni" a Palazzo Chigi: "Resto fuori dal governo"
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inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:32:17 am
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Matteo Renzi avvia le "consultazioni" a Palazzo Chigi: "Resto fuori dal governo". Ipotesi Gentiloni premier Pubblicato: 09/12/2016 18:51 CET Aggiornato: 23 minuti fa E’ metà mattinata quando Paolo Gentiloni varca la soglia di Palazzo Chigi. Ad attenderlo c’è il premier dimissionario Matteo Renzi, tornato a Roma oggi dopo aver trascorso il giorno dell’Immacolata in famiglia a Pontassieve. Mentre al Quirinale Sergio Mattarella avvia il suo secondo round di consultazioni con ben 17 gruppi e gruppetti parlamentari solo nella giornata di oggi, è nel palazzo del governo che si cerca la quadra per la nascita di un nuovo esecutivo. Renzi avvia di fatto le sue ‘consultazioni’ con i leader Dem. Oltre a Gentiloni, riceve Pier Carlo Padoan. Incontra Matteo Orfini e sente al telefono Graziano Delrio. A Palazzo Chigi arriva anche Maurizio Martina. I contatti con Dario Franceschini sono continui. La giornata cancella l’ipotesi di un Renzi bis. E rafforza invece la carta di Gentiloni premier di un governo che confermerebbe Padoan all’Economia. Gentiloni potrebbe giurare già domenica. Ma Renzi vuole la garanzia che si voti a primavera e chiede di chiudere un’intesa su un sistema elettorale semi-proporzionale. Intanto si prepara a lanciare la fase congressuale già il 18 dicembre, nell'assemblea nazionale del Pd. All’ora di pranzo la campanella che dice “sbrigatevi” la suona la Bce. L’istituto di Francoforte respinge la richiesta di Mps di aver maggior tempo per l’aumento di capitale. Tradotto: serve un intervento del governo, un decreto, serve ‘un governo’. E’ questa urgenza che nel primo pomeriggio, mentre a Palazzo Chigi continua l’andirivieni di leader e contatti, i telefoni squillano, le trattative fervono, rafforza la carta Gentiloni. Al Colle invece la storia Mps rafforza la carta Padoan. Mattarella insiste fino all'ultimo sul ministro del Tesoro. Ma Renzi è irremovibile e su Gentiloni stringe il patto con il Pd. Così il ministro degli Esteri diventa punto di mediazione tra Renzi e Mattarella. Dopo che è caduta l’ipotesi iniziale del capo dello Stato: cioè un reincarico di Renzi. In quanto, spiegano fonti istituzionali di alto livello, a norma di Costituzione nulla obbliga il premier a dimettersi dopo la sconfitta referendaria. Ma Renzi fa un altro ragionamento. “Io non sono disponibile”, ha spiegato a chi lo ha incontrato a Palazzo Chigi. Intorno, i primi scatoloni del trasloco. Al premier uscente non sarebbe dispiaciuta l’ipotesi disegnata dal pentastellato Luigi Di Maio: congelare tutto così com’è, Renzi resta a Palazzo Chigi dimissionario con tutto il governo fino alla sentenza della Consulta a gennaio e poi si vota. Insomma, una gestione degli affari correnti e basta. Ma la bomba a orologeria di Mps spazza via anche questo scenario, che comunque non era gradito a Mattarella. Renzi non vuole un reincarico, “perderei la faccia”, continua a dire ai suoi. E allora emerge l’ipotesi Gentiloni, frutto anche di un patto interno con Franceschini, con cui Renzi ha un chiarimento a sera: faccia a faccia a Palazzo Chigi. Della serie: “Nulla nasce contro il segretario del Pd”, ha continuato a dire in questi giorni il ministro dei Beni Culturali. Dietro, c’è la ‘last call’ del Quirinale. Della serie: ‘Se non sei tu, indica un nome, caro Matteo che resti segretario del Pd. Altrimenti facciamo noi’. Certo ancora fino al primo pomeriggio, pure dal Pd - oltre che dal Colle - arrivavano sollecitazioni su Padoan. Più tecnico, più neutro, meno politico: contro di lui si scatenano meno invidie e gelosie. Ma per il premier la carta preferita è Gentiloni, uno dei pochi fedelissimi non toscani, punto di riferimento della cerchia del segretario Pd a Roma. Con l’esperienza maturata alla Farnesina può gestire agevolmente gli appuntamenti esteri importanti del prossimo futuro: dal Consiglio europeo della prossima settimana alla celebrazione dei 60 anni del Trattato di Roma a marzo. Ma non il G7 di Taormina. Non per incapacità di Gentiloni, bensì perché Renzi vorrebbe aver votato per quella data di fine maggio. Sta qui il nodo di tutto il puzzle. A sera Gentiloni torna a Palazzo Chigi per un nuovo faccia a faccia con Renzi. Con i suoi interlocutori Dem il premier uscente ragiona anche di data e sistema elettorale. Vuole garanzie che si torni al voto al più presto, approfittando magari della finestra delle amministrative di primavera. Twitta il renziano Andrea Marcucci: Si può votare dal 15 aprile al 15 giugno, indicano dalla cerchia del premier, una tornata che interessa circa mille comuni e che per Renzi potrebbe ben estendersi alle politiche. Per avere una garanzia sulla data, Renzi vuole anche garanzie sulla legge elettorale, per seminare e raccogliere subito dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum. Insomma, per non farsi trovare impreparato. L’Idea è un semi-proporzionale che piace anche a Silvio Berlusconi. L’ex Cavaliere salirà domani al Colle: nel Pd sono tutti in attesa di sapere cosa andrà a dire a Mattarella. L’auspicio è di poter stringere un patto di non belligeranza sulla base della legge elettorale. La squadra Del governo Gentiloni continuerebbe a far parte Luca Lotti, braccio destro del segretario che resterebbe a Palazzo Chigi come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Padoan verrebbe riconfermato all’Economia. E in squadra resterebbero sia Orlando che Franceschini, Delrio e Martina, Poletti e anche Alfano confermato al Viminale. Ma non farebbero parte del governo i ministri bocciati dai fatti. Tre nomi: Giannini per le contestazioni alla Buona scuola, Lorenzin per alleggerire il peso di Ncd nel governo, Boschi (al suo posto si fa il nome di Giachetti) per via della sconfitta al referendum che su di lei funzionerebbe come con Renzi. Via tutt’e due dall’esecutivo. In bilico anche Madia, per via della bocciatura della sua riforma da parte della Consulta, ma il ministro della Pubblica Amministrazione potrebbe restare per i decreti attuativi ancora sul tavolo. Nella squadra di Gentiloni non entra alcun ministro verdiniano. A sostituire quello che dovrebbe essere il prossimo premier alla Farnesina si fa il nome di Carlo Calenda, attuale responsabile dello Sviluppo Economico. Davanti a Palazzo Chigi, il fotografo di Renzi, Tiberio Barchielli, prende una boccata d’aria e per la prima volta non porta con se la macchina fotografica. Segno anche questo che il suo compito dietro al premier è terminato, magari comincerà a seguire solo il segretario. Perché nell’accordo interno al Pd che dovrebbe portare Gentiloni a giurare al Quirinale c’è anche il congresso del partito a partire da subito. Primarie aperte per la nuova segreteria. Renzi le lancerà il 18 dicembre, in occasione dell'assemblea nazionale del Pd. Lo chiedono con forza i Giovani Turchi, lo chiede il governatore Michele Emiliano che scalpita per candidarsi, come il governatore toscano Enrico Rossi e chissà forse anche Sergio Chiamparino. Una chiamata alla sfida interna che Renzi avalla: gli serve per rilegittimarsi dopo la sconfitta pesante del 4 dicembre. E per ora sa di avere dalla sua parte i Giovani Turchi che a quanto pare non candiderebbero il ministro Andrea Orlando ma sosterrebbero l’attuale segretario. Il perché sta nei 13 milioni di sì comunque incassati al referendum, così te la spiegano. “Con primarie aperte vince lui”, ti dicono. E Franceschini? Nell'incontro serale a Palazzo Chigi, ha avuto un chiarimento con Renzi e gli ha garantito appoggio. Anche per il congresso. “Lui sta con chi vince”, prevedeva già nel pomeriggio più di un renziano. Per loro, vince ancora Renzi. Chissà. La prossima settimana una nuova direzione nazionale – forse martedì – potrebbe portare allo scoperto le posizioni in campo tra i Dem. Un campo minato. Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/09/matteo-renzi-palazzo-chigi_n_13531930.html?utm_hp_ref=italy
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Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / La rimozione di Pisapia.
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inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:30:07 am
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La rimozione di Pisapia Pubblicato: 07/12/2016 15:46 CET Aggiornato: 07/12/2016 15:46 CET L'assenza, o la rimozione. L'avrei titolata così l'intervista a Giuliano Pisapia di oggi a Repubblica. La rimozione di un qualunque tipo di analisi della società, di cosa sia accaduto in tutti questi anni e di cosa abbiano prodotto le politiche del governo Renzi. Ovvero, un attacco al cuore, già debole e malandato, dei diritti collettivi e sociali. Esiste una sinistra che muove la sua iniziativa senza un giudizio netto sul Jobs Act? Che non vede i 110 milioni di voucher che nel 2016 (per stare ai dati di novembre) legalizzano e rendono ordinaria una moderna forma di schiavitù nel mercato del lavoro? Che sembra rimuovere il danno che la cosiddetta Buona Scuola produce, non solo nella vita di migliaia di insegnanti e studenti, ma nella stessa natura della scuola come luogo di formazione collettiva e di cooperazione? Ma soprattutto, a tre giorni dal voto si può discutere della sinistra e della sua utilità senza guardare al cuore del voto referendario? Quel No è innanzitutto un voto connotato socialmente. Un voto che in altri tempi avremmo chiamato di classe. È il voto di chi si ribella alla propria condizione sempre più marginale, precaria, povera. È un voto di sinistra? Certamente non solo. Ma il punto è che lo sbocco politico di quel voto non è scontato! In quel voto esistono pulsioni e perfino aspirazioni differenti. Ma il carico sociale e democratico è il punto determinante. Sì, anche democratico perché la riappropriazione di uno strumento di democrazia diretta per respingere al mittente un pessimo disegno di riforma e per manifestare tutto il proprio dissenso verso un impianto di politiche incapace di dare risposte agli effetti più duri della crisi è un'altra delle questioni a cui dovremmo guardare. È su questo dunque che si misura la distanza fra quello che penso e quello che propone Pisapia. Due idee della politica e della Sinistra molto differenti. Cosa rischia di diventare infatti la sinistra di Pisapia, senza un giudizio compiuto sul Paese reale? Lo dico senza nessuna voglia di emettere sentenze e provando a prendere sul serio il suo ragionamento. Rischia di diventare la sinistra degli schemi astratti, definendo in anticipo e senza nessuna prova empirica un "campo progressista", che al di là dell'etichetta e del nome, non ha elementi di progresso da proporre ai milioni che hanno detto No. La Sinistra non può avere come unica ambizione quella di sostituire Alfano e Verdini. La Sinistra non può essere quella del riflesso condizionato rispetto al dibattito fra le correnti del Pd. Se per davvero dobbiamo essere costretti a misurare noi stessi e a definirci sulla base di quello che accade all'interno del dibattito del Partito Democratico, in un'eterna attesa che qualcosa comunque prima o poi succeda, allora lo dico senza acrimonia e con molto realismo, sarebbe meglio iscriversi al Pd e fare lì dentro la propria battaglia politica. Sarebbe più leggibile e comprensibile. Resto convinto, ancora di più in questi giorni, che sia necessario qualcosa di completamente diverso. E che deve interessarci più di ogni schema e di ogni riproposizione astratta di ciò che è stato: il campo sociale che il No ha disegnato. Come ho già detto non mi sogno nemmeno di considerarlo come uno spazio della sinistra. Ma quello che so con certezza è che una sinistra che si ponga il tema dell'utilità deve lavorare perché non sia consegnato alla destra. Ora più che mai, mentre l'attenzione rischia di essere tutta concentrata sulla crisi politica del paese, mentre il dibattito si concentra sulla natura del prossimo governo e sulla legge elettorale, una Sinistra che voglia almeno ambire a ricostruire la sua utilità deve spostare lo sguardo. Per esempio al disastroso dato sulla povertà che ieri l'Istat ci ha consegnato. Cancellare il Jobs Act e l'odioso strumento del voucher. Cancellare lo sblocca Italia che questa riforma avrebbe voluto costituzionalizzare e la sua idea di sottrarre il territorio e il suo sviluppo al punto di vista di chi lo abita, la Buona Scuola. Per bonificare un terreno inquinato da decenni di politiche sbagliate servirà tempo e serviranno altri rapporti di forza. Per alcune di queste pessime leggi c'è uno strumento, quello dei referendum sociali promossi dalla Cgil che è già disponibile e che va messo in sicurezza in questo passaggio. Mi rivolgo su questo con assoluto rispetto e piena fiducia nella sua saggezza al Presidente Mattarella. La crisi del paese è prima ancora che politica, sociale e democratica. Qualunque Governo esca da questo passaggio deve mettere tra i suoi primi atti l'indizione di quei referendum. Infine viene il nodo di fondo. Esiste una Sinistra che non ponga radicalmente in discussione un modello economico e di sviluppo che si rivela ogni giorno più incompatibile con la dignità umana, con la tutela dell'ambiente, col rispetto dei diritti individuali e collettivi? In Europa e nel mondo la Sinistra che torna a disegnare una speranza di cambiamento e riconquista credibilità lo fa, mettendo radicalmente in discussione questo punto. Da Sanders a Corbyn fino a Pablo Iglesias. Linguaggi e storie diverse che si incontrano su questo punto decisivo. Per questo lo dico ancora una volta. Non so cosa siano i campi progressisti, larghi o stretti. Sono un po' stufo di una discussione che chiama alla responsabilità contro il pericolo populista senza accorgersi che la questione è un po' più complessa e che forse anche a sinistra più di qualcuno ha confuso il populismo col popolo. Proviamo dunque a lavorare sull'unico campo che può ridare senso all'ambizione di una sinistra utile al cambiamento. Oggi quel campo è definito in buona parte (anche se non solo) dal carattere sociale del No di domenica scorsa. Facciamolo insieme con tutti quelli e tutte quelle che non si rassegnano all'idea che la sinistra diventi l'arredo di una scena disegnata da altri. Senza rimuovere le differenze che pure esistono tra noi su molte questioni. Ma almeno con una idea condivisa: o la Sinistra che vogliamo torna a pensare la trasformazione oppure semplicemente non è. Da - http://www.huffingtonpost.it/nicola-fratoianni/la-rimozione-di-pisapia_b_13482566.html
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Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Governo Gentiloni, Luca Lotti resta a palazzo Chigi per gestire le nomine di pri
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inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:28:49 am
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Governo Gentiloni, Luca Lotti resta a palazzo Chigi per gestire le nomine di primavera. E prova a raddoppiare sui servizi segreti Pubblicato: 09/12/2016 20:32 CET Aggiornato: 2 ore fa Nel bunker di palazzo Chigi c’è una casella incancellabile. Renzi potrà anche suonare la campanella col suo successore Paolo Gentiloni, ma chi non può traslocare è il suo taciturno braccio destro Luca Lotti. Proprio sulla sua permanenza nel ruolo di potente sottosegretario alla presidenza si consuma una frattura nel cuore del renzismo. Più di un parlamentare vicino a Graziano Delrio sussurrava: “Graziano poteva essere una soluzione al posto di Gentiloni, ma è inconciliabile con Lotti. Il conflitto tra i due determinò il suo trasloco alle Infrastrutture”. L’ipotesi di un governo Delrio non è mai stata in piedi, ma queste parole confermano che a palazzo Chigi è l’ora dei falchi. Il mite Gentiloni riceverà l’incarico in quanto è l’unico che di cui il premier si fida e che può assicurare un governo a tempo, fino a primavera, per poi andare a elezioni anticipate. Ma il governo deve assicurare la continuità nella gestione del potere. Che ruota attorno a Lotti che sarà confermato sottosegretario e avrà in mano, d’intesa con Renzi, la partita delle nomine di primavera. E che, in queste ore, sta tentando di allargare la sua sfera di influenza. Puntando alle deleghe sui servizi in capo a Marco Minniti. Nomine e servizi, i dossier strategici nel bunker. Che rappresentano il cemento di qualunque governo. Nomine pesanti. Già si parla, per i primi mesi del prossimo anno, di un cambio dei vertici Rai e del direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via. E poi in primavera si passa ad Enel, Eni, Poste, Finmeccanica, Terna e tanti altri consigli di amministrazione. Gran finale, Banca d’Italia, col mandato di Ignazio Visco che scade nel 2017. In parecchi ricordano che proprio una analoga infornata di nomine produsse l’accelerazione che portò Renzi a palazzo Chigi al posto di Letta. Poi, i servizi, il vecchio pallino “del Lotti”, come dicono i toscani. Non è un mistero che già all’inizio del governo Renzi puntò alle deleghe di Minniti, che però alla fine fu confermato (unico del Pd a stare sia nel governo Letta e sia nel governo Renzi). Allora il cambio era complicato perché l’ex lothar dalemiano, competente e stimato a livello istituzionale, era riuscito a mettere ordine e ad essere riconosciuto come capo da un po’ tutte le correnti del complesso mondo delle barbe finte. Allora furono proprio Renzi e Lotti a pensare a una struttura sul modello americano della NSA, la National Security Agency, da insediare a palazzo Chigi. E da affidare all’amico Marco Carrai. Bruciata nelle polemiche l’idea della struttura, nacque l’idea di una super-consulenza per l’amico Carrai. Era la vigilia di un delicato “pacchetto” di nomine dei vertici della sicurezza, a partire dalle Fiamme Gialle. Ora col cambio di governo il “giglio magico” torna alla carica. Con le antiche ossessioni sugli “ascolti”, maturate sin da quando furono pubblicate dal Fatto le intercettazioni tra il premier e il generale della Finanza Adinolfi. Ecco, nella fase della battaglia finale, alcune postazioni si si possono cedere, altre no. La Boschi, volto del renzismo e madrina delle riforme, è stata travolta nelle urne assieme al suo ddl. Il Lotti, potente e taciturno, resta nel bunker. Insostituibile. Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/09/governo-gentiloni-lotti_n_13534484.html?utm_hp_ref=italy
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