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5971  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Vittorio Nuti. Renzi punta su governo di responsabilità o elezioni. inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:23:28 pm
Renzi punta su governo di responsabilità o elezioni.
Domani la direzione Pd

di Vittorio Nuti 6 dicembre 2016

Matteo Renzi premier “congelato”, ma solo per poco. La blindatura al Senato della legge di Bilancio 2017, su cui domani verrà messo il voto di fiducia senza modifiche sul testo licenziato dalla Camera, accelera i tempi delle dimissioni del presidente del Consiglio. Incassato il via libera definitivo alla manovra (e, nelle stesse ore, la conversione in legge del decreto terremoto, all'ordine del giorno di Montecitorio) il premier è atteso al Colle per confermare il suo addio a Palazzo Chigi e aprire ufficialmente la crisi di governo. Tempi stretti, nello stile del premier, ma rispettosi della richiesta del Capo dello Stato che ieri ha chiesto a Renzi di “congelare” le dimissioni fino all'ok della legge di bilancio. E coerenti con il suo annuncio a caldo dopo la batosta nella notte referendaria: «Il governo assicura l'iter della legge di stabilità e i provvedimenti sul terremoto».

    05 dicembre 2016

Domani la direzione Pd, partito diviso sul voto anticipato
Ma quelle da premier potrebbero non essere le uniche dimissioni all'orizzonte. Domani pomeriggio l'agenda di Renzi prevede anche la riunione della Direzione Pd che si preannuncia infuocata per il confronto tra le varie anime del partito sulla linea da tenere nelle prossime settimane, a partire dalle consultazioni al Colle in cui si presenteranno le forze politiche per spiegare le proprie posizioni sulla crisi politica. Le varie anime dalla maggioranza interna al Pd sono divise sull’idea di un voto anticipato come sembravano orientati i renziani di stretta osservanza fino a qualche ora fa, mentre la minoranza è assolutamente contraria, considerando le urne un salto nel buio dopo la débâcle del referendum. Al momento, a chiedere esplicitamente le dimissioni di Renzi dalla segreteria del partito è solo il presidente della commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia, ma non è detto che la sua richiesta faccia proseliti, accelerando anche i tempi del congresso Pd. «Le uniche dimissioni che Renzi ha il dovere di dare sul piano politico, sono quelle di segretario del Pd», ha spiegato intervenendo oggi a “Un Giorno da Pecora” (Rai Radio 1) perché «era premier in quanto segretario del Pd, altrimenti non avrebbe fatto il presidente del Consiglio».

    Appello di Cesa ai centristi 06 dicembre 2016

Udc esce da Area popolare di Alfano, nuovi gruppi contro voto anticipato

Renzi verso proposta di governo di “responsabilità” o voto
Secondo indiscrezioni provenienti dal suo entourage Renzi nel suo intervento confermerà solo le dimissioni da premier, senza spingere l'acceleratore sulle elezioni anticipate. In pratica, Renzi dovrebbe ribadire la fine del “Renzi I” e confermare la necessità di andare alle urne nel più breve tempo possibile, ma senza indicare una data. Sempre secondo voci interne l'orientamento del segretario Renzi sarebbe quello di dare la disponibilità alla formazione di un governo istituzionale, con la più ampia partecipazione delle forze politiche e senza politici dem di peso nell'esecutivo, appoggiandolo in Parlamento ma solo con lo scopo di varare la legge elettorale. Nessuna disponibilità invece a reggere un governo da solo facendosi “rosolare” dalle opposizioni che chiedono le urne anticipate e accusano i dem di volere restare al governo. Su questa linea potrebbe convergere anche la minoranza del partito, che oggi in ufficio di presidenza del gruppo dem al Senato ha auspicato scelte «responsabili» per il varo della legge di Bilancio ma soprattutto sui tempi del voto anticipato perché, sarebbe questo il ragionamento, non si può andare a votare per le elezioni politiche senza modificare la legge elettorale della Camera e anche quella del Senato.

Mattarella contrario a voto anticipato con due leggi elettorali
A frenare la corsa verso il voto non sono sole le resistenze della minoranza dem. Dal Quirinale trapela la preoccupazione per ogni accelerazione verso elezioni anticipate senza la garanzia di una normativa capace almeno potenzialmente di garantire stabilità politica al Paese. Confermata quindi la linea del Colle per la prima crisi di governo “gestita” da Mattarella, che intende essere il notaio della situazione, puntando sulla moral suasion per smussare gli angoli e trovare soluzioni sostenibili e il più possibile condivise. Al momento l'Italia ha due leggi elettorali diverse, una per ognuno dei rami del Parlamento: per questo il presidente della Repubblica sembra orientato a considerare le elezioni un azzardo se prima non si renderanno più omogenee le due normative. Altro elemento che induce alla calma è la pronuncia della Corte costituzionale attesa per il 24 gennaio, una data talmente ravvicinata da sconsigliare la fretta verso il voto: meglio attendere un mese e poter contare su una parola chiara sul tasso di legittimità costituzionale dell'Italicum.

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-12-06/renzi-punta-governo-responsabilita-o-voto-domani-direzione-pd-194233.shtml?uuid=ADW5Ec8B
5972  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FABIO MARTINI. Pd, patto tra le minoranze anti-voto. Così Matteo si ritrova... inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:22:03 pm
Pd, patto tra le minoranze anti-voto. Così Matteo si ritrova accerchiato
Bersani e D’Alema con Franceschini e Orlando. Si va verso un governo a guida dem
Il Pd al Colle senza segretario.
Renzi non farà parte della delegazione che sabato salirà al Colle per le consultazioni. Ci saranno il vice Guerini, il presidente Orfini e i capigruppo Rosato e Zanda

Pubblicato il 09/12/2016
Fabio Martini
Roma

Lui, nel primo giorno da presidente dimissionario, ha cercato di sublimare l’onta dell’addio, interpretando il ruolo del politico lontano dal Palazzo e facendo vita di famiglia nella sua Pontassieve. Ma il Renzi bravo papà è soltanto una parte della realtà: mai come in queste ore la «fronda» dentro il Pd sta provando a diventare maggioritaria e mai come in queste ore il presidente dimissionario - che sente la tempesta in arrivo - sta brigando per provare a pilotare la crisi di governo verso l’esito più gradito. Renzi è interessato ad un governo che spiani la strada verso l’obiettivo che lo interessa di più: essere il candidato premier del Pd in vista delle prossime elezioni politiche.

Ma Renzi deve fare i conti con un Capo dello Stato che intende svolgere senza interferenze il suo ruolo. Renzi lo ha capito e infatti, da Pontassieve, ci tiene a far sapere: «Col Quirinale c’è un patto di ferro». Ma deve fare i conti soprattutto con la novità che temeva e della quale lui stesso non ha ancora tutte le coordinate: è in atto un autentico terremoto all’interno del Pd. Un terremoto destinato a ridisegnare la geografia del partito. Per effetto di una doppia novità. La prima: una parte della maggioranza «renziana» - la corrente di Dario Franceschini e quella del Guardasigilli Andrea Orlando - ha fatto un passo di lato, rompendo politicamente con il segretario-presidente. Rottura significativa perché le due correnti hanno una forte presenza nei gruppi parlamentari, tanto è vero che sono «franceschiniani» entrambi i capigruppo, quello dei deputati Ettore Rosato e quello dei senatori Luigi Zanda

Ma la seconda novità è la più corposa, la più pericolosa per Renzi: il duo Franceschini-Orlando ha stabilito in queste ore un patto di consultazione con la minoranza che fa capo a Pier Luigi Bersani e anche, ecco l’ultima sorpresa, con Massimo D’Alema, molto attivo nella cucitura. Una sorpresa perché da anni ormai le due maggiori personalità della sinistra Pd, Bersani e D’Alema, avevano rotto politicamente. Certo, è presto per capire se il nuovo asse di centro-sinistra abbia i numeri per mettere in minoranza il leader. Per il momento, non all’interno della Direzione del Pd, che infatti Renzi ha voluto in seduta permanente, elevandola così a organo deliberante durante la crisi di governo. Più incerta la situazione nei gruppi parlamentari. La corrente di Franceschini (che raggruppa in prevalenza ex popolari, ma anche personalità ex ds come Piero Fassino e la ministra Roberta Pinotti) conta su una novantina di deputati (su 301), ai quali vanno aggiunti i deputati vicino ad Orlando (una quindicina) e quelli delle minoranze, venticinque. Si arriva a malapena a 140 deputati, dunque ne mancherebbero una decina per superare la quota non soltanto simbolica del 50%. Stesse proporzioni al Senato. Anche perché con Renzi sono ancora schierati Matteo Orfini e il ministro Maurizio Martina.

Per Renzi un occhio al partito e un occhio al Quirinale. Al termine della prima giornata di consultazioni, il presidente dimissionario ha preso atto che si sta aprendo la strada per un governo guidato da una delle personalità che lui stesso ha fatto trapelare 24 ore fa: il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan o quello degli Esteri Paolo Gentiloni. Due nomi che Renzi ha «calato» per verificarne l’«effetto» e anche per chiudere la strada alla candidatura di Dario Franceschini. Ma su Padoan, lo stesso Renzi ha molte riserve - troppo collegato a D’Alema, dicono a Palazzo Chigi - mentre su Gentiloni, che pure ha l’aplomb «giusto», si stanno annidando le perplessità della fronda interna, perché troppo vicino a Renzi. Ecco perché, nelle ultime ore sono risalite le quotazioni di Graziano Delrio, figura di possibile compromesso per un governo a tempo. Fino ad elezioni che avrebbero già una data: 4 giugno 2017.

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Da - http://www.lastampa.it/2016/12/09/italia/politica/pd-patto-tra-le-minoranze-antivoto-cos-matteo-si-ritrova-accerchiato-3CDGbDLKunV4kDYUxPpBRL/pagina.html
5973  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FRANCESCO BEI. Renzi tentato dall’anno sabbatico: “Voglio togliermi di mezzo" inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:19:20 pm
Renzi adesso è tentato dall’anno sabbatico: “Voglio togliermi di torno”
Il premier: ma nel Pd mi chiedono di restare.
Sms a Merkel: “Non torno indietro”

Pubblicato il 06/12/2016

Francesco Bei
Roma

«Devo staccare. Voglio prendermi una vacanza con Agnese». E’ passata una notte e Matteo Renzi ha sbollito solo in parte la rabbia e la delusione per il risultato del referendum. Chiamato al Colle, il capo dello Stato lo avvolge con lunghi ragionamenti sulla stabilità e lo sostiene cercando di frenarne la tentazione di mollare tutto e subito. 

Mollare - oltre la poltrona a palazzo Chigi anche quella da segretario del Pd – questo è il vero desiderio del premier. Il quale confida a Mattarella qual è adesso il suo sogno segreto: «Mi piacerebbe staccare per davvero, prendermi un sabbatico, magari un anno negli Stati Uniti, ma i miei amici del Pd non me lo permettono». 
 
Le pressioni del Presidente alla fine fanno breccia sul capo del governo. Che quando scende dal Quirinale riferisce ai suoi di essersi piegato. «Io sinceramente avrei evitato, non sarei rimasto un minuto di più, ma è un fatto di serietà istituzionale e prima di tutto viene l’Italia. Non voglio passare per uno che fa i capricci, un bambino viziato che se ne va con il broncio. Quindi proseguiamo fino alla legge di stabilità». La garanzia che Renzi riesce a strappare a Mattarella è che anche il Capo dello Stato si adopererà con il presidente Grasso affinché l’iter della Finanziaria in Senato sia il più rapido possibile e si arrivi all’approvazione definitiva entro una manciata di giorni. Senza tornare alla Camera. 

Renzi lo ripete ai suoi dopo essersi congedato nel pomeriggio dai ministri con un brindisi a palazzo Chigi. «Il mio obiettivo è togliermi subito di qui. Sembra assurdo ma non riesco ad andarmene. Di solito i miei predecessori facevano le barricate per restare, io invece voglio togliermi di torno e non ce la faccio». La soluzione è il compromesso raggiunto con il Capo dello Stato, una soluzione a tempo. Costretto suo malgrado a restare in carica, in realtà Renzi si comporta come se già fosse uscito da quel portone. E il primo segnale è stato quello di cancellare tutti gli appuntamenti previsti nei prossimi giorni, atteggiandosi di fatto a premier dimissionario. Ma tra l’intenzione e la realtà ci passa in mezzo il Parlamento e le procedure della sessione di Bilancio. Perché se è vero che Mattarella ha garantito di dare una mano, la verità è che nessuno può impedire al Senato di emendare in lungo e in largo la legge approvata da Montecitorio. E’ il bicameralismo perfetto, bellezza, e gli italiani in maggioranza hanno mostrato di averlo in gran conto. Se la Finanziaria dovesse subire rilevanti modifiche, come ad esempio chiede Forza Italia con i suoi capigruppo (“via i bonus, le mance elettorali, i miliardi regalati senza coperture”), la legge dovrebbe tornare alla Camera e allora addio al progetto di lasciare palazzo Chigi già entro la fine di questa settimana. Renzi ne è consapevole: «Le opposizioni, se vogliono che me ne vada subito, mi devono dare una mano». 

Quanto alla legge elettorale per il Senato o alle modifiche da fare all’Italicum, pure da concordare con le opposizioni, il premier fa spallucce: «Io non me ne occupo, con quelli non parlo, ci penserà il Parlamento». Insomma, il morale è ovviamente sotto i tacchi, ma appena gli si nominano gli avversari Renzi torna Renzi: «Voglio vedere adesso cosa riusciranno a fare». Dei progetti per il futuro, di cosa accadrà al partito, è ancora presto per parlare. Al momento i pochi di cui si fida veramente lo stanno martellando con un mantra: «Sei a capo di un fronte riformista che si riconosce nella tua leadership. Un fronte che, con questo referendum, ha dimostrato di avere la maggioranza relativa del paese». E’ quello che ha scritto Luca Lotti nel suo tweet: «Abbiamo vinto col 40% nel 2014. Ripartiamo dal 40% di ieri!». Non sarà facile, l’idea di ritirarsi dalla scena pubblica lo sta davvero solleticando. Un piccolo segnale lo si è colto ieri quando, nella riunione più ristretta a palazzo Chigi, si è parlato delle consultazioni al Quirinale. E Renzi ha detto chiaro e tondo che non ha molta voglia di stare ancora sotto i riflettori. «Non so se andrò io, preferirei mandare i vicesegretari. Vediamo, l’importante è che non sembri uno sgarbo al capo dello Stato». 

Quello che al premier ha fatto piacere è il sostegno che sta arrivando in queste ore sia al Pd che a palazzo Chigi da tanti cittadini che gli chiedono di «non mollare» e lo ringraziano per essersi speso senza riserve in campagna elettorale. Nulla ovviamente che possa far dimenticare quella massa enorme di elettori che gli ha votato contro. «Abbiamo commesso errori, non c’è dubbio, non possiamo prendercela con chi vota». Nella lunga giornata di ieri il centralino di palazzo Chigi ha smistato anche molte telefonate di leader europei che volevano esprimere personalmente il loro rammarico per le dimissioni. Alcuni provando anche a convincerlo a restare. Con Angela Merkel invece ogni formalità è superata da tempo, i due si stimano e si sono scambiati i rispettivi cellulari. Così «Angela» già nella serata di domenica, con uno scambio di sms, ha saputo dal diretto interessato quello che sarebbe accaduto: «Non torno indietro». 
 
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Da - http://www.lastampa.it/2016/12/06/italia/speciali/referendum-2016/renzi-adesso-tentato-dallanno-sabbatico-voglio-togliermi-di-torno-kATY6fBnabLNA3whmz5BoN/pagina.html
5974  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Massimo Franco. Le dimissioni di Renzi e gli strappi da evitare inserito:: Dicembre 10, 2016, 09:28:34 pm
La crisi
Le dimissioni di Renzi e gli strappi da evitare
Sarebbe bene andare alle elezioni. Il problema è farlo senza precostituire le premesse di un’Italia ingovernabile

Di Massimo Franco

Le dimissioni formali di Matteo Renzi vanno salutate come un atto di responsabilità. Tirarla per le lunghe dopo la sconfitta al referendum del 4 dicembre avrebbe gettato un’ombra sulla sincerità del suo passo indietro; e probabilmente irritato un’opinione pubblica che si è espressa con nettezza contro le riforme istituzionali. Da oggi, la crisi passa nelle mani del presidente della Repubblica. Ma non si può pensare di scaricare sulle sue spalle il peso di una situazione nata da un’analisi superficiale della società italiana e dei suoi umori più profondi; e della quale l’origine ma anche buona parte della soluzione rimanda ai tormenti del Pd.

Ormai è chiaro che la legislatura è agli sgoccioli. E sarebbe bene andare alle elezioni. Il problema è farlo senza precostituire le premesse di un’Italia ingovernabile: per capirsi, senza perpetuare le risse della campagna referendaria, quasi le elezioni politiche fossero il semplice prolungamento dello scontro degli ultimi mesi. Tra voto presto, auspicabile, e voto affrettato, da evitare a tutti i costi, esiste una differenza sostanziale. Il primo arriverebbe dopo avere raffreddato le tensioni tra i partiti; cercato di riconciliare il Paese; e approvato una riforma elettorale che tenga conto delle indicazioni della Corte costituzionale e armonizzi il sistema alla Camera e al Senato.

Il secondo avverrebbe sull’onda di una lettura emotiva e strumentale del referendum. Porterebbe alle urne un Paese più spaccato che mai. E soprattutto riconsegnerebbe un Parlamento a rischio di illegittimità, plasmato da una campagna elettorale dominata dai revanscismi e da una sorta di condanna al populismo di tutti. Tra l’altro, al Pd sarebbe difficile spiegare che si debbono sciogliere subito le Camere, quando ieri la manovra finanziaria ha ricevuto al Senato una larga fiducia. Dire che non esiste più la maggioranza è qualcosa che l’opinione pubblica faticherebbe a capire. Il passo indietro di Renzi ha valore se è un gesto di disponibilità a facilitare la soluzione della crisi.

Può essere lui a guidare la coda della legislatura, se lo ritiene. O può essere un altro esponente del Pd indicato dal premier uscente, se non se la sente di tornare sui suoi passi dopo avere annunciato che se ne andava perché era stato battuto dal responso popolare. Quello che il Paese e il capo dello Stato non capirebbero, sarebbe la tentazione di Renzi di mettersi di traverso. E cioè rifiutarsi di assumere la responsabilità di un nuovo incarico, troppo in contraddizione con quanto ha dichiarato la sera del 4 dicembre; e al tempo stesso impedire che qualunque altro candidato entri a Palazzo Chigi in questa legislatura. L’enfasi con la quale il segretario del Pd rivendica e esalta i voti ricevuti, quasi fossero l’emblema di una «sconfitta vittoriosa», fa pensare che esiti a prendere atto della nuova situazione. Ma su un punto Renzi va compreso. Teme che sostenere da solo il peso di un governo di fine legislatura comporti un logoramento potenzialmente fatale per il suo partito. Per questo invoca una responsabilità anche degli altri, pur sapendo che sarà molto difficile coinvolgerli. Lamenta di avere pagato il prezzo della solitudine, senza però chiedersi quanto l’abbia lui stesso alimentata intorno al Pd.

Forse, abbassando i toni e le pretese, contribuirebbe a svelenire un’atmosfera impregnata ancora dai veleni referendari e dalle accuse di arroganza. E probabilmente avrebbe maggiori possibilità di succedere a se stesso, per guidare l’Italia alle elezioni nella primavera del 2017 o, se la situazione lo richiedesse, alla fine naturale della legislatura nel 2018. Il modo migliore per abbassare la febbre della quale Movimento 5 Stelle e Lega sono i principali interpreti e beneficiari, non sono accelerazioni e strappi successivi. È il recupero di un rapporto forte, credibile, con l’Italia profonda e con l’Europa.

Dopo una sconfitta così bruciante, l’antidoto migliore per recuperare la spinta perduta è l’umiltà: insieme a un raccordo stretto con il Quirinale di Sergio Mattarella, che Renzi ha contribuito in modo decisivo a eleggere. Incrinare i rapporti col capo dello Stato per tentare di imporre un voto affrettato sarebbe l’ultimo regalo a Beppe Grillo.

7 dicembre 2016 (modifica il 7 dicembre 2016 | 21:26)
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/16_dicembre_08/dimissioni-renzi-strappi-evitare-bee80e86-bcba-11e6-9c31-8744dbc4ec0a.shtml
5975  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Arlecchino su FB Il Referendum ha battuto "l'indifferenza" inserito:: Dicembre 10, 2016, 09:25:59 pm
Il Referendum, del 4 dicembre ci obbliga, ma obbliga soprattutto "il Potere", alla considerazione che gli "Ultimi" non possono seguitare a rimanere tali, ai livelli cui siamo arrivati oggi.
Siamo ad un punto in cui gli Ultimi sono cresciuti, arrivando ad una misura tale e con una estensione nei vari segmenti del sociale che paralizza la razionale ricerca delle ragioni del convivere.


Il Referendum ha battuto "l'indifferenza"! Adesso tocca al Potere discernere, "rovistando tra l'accozzaglia" dei NO, per non commettere l'errore di dare a quei NO significati nebulosi, annebbiati dalla peggiore tifoseria, o addirittura rendendolo pericoloso strumento nelle mani di incapaci o peggio.

La Democrazia è difficile da vivere ma non dobbiamo farne fare un uso distorto di corto respiro.

La CULTURA deve avere la forza di mettersi alla testa degli Ultimi come motore di Rinascita e Nascita di una società diversa e più giusta.
I Piccoli Editori Indipendenti, anche loro tra Ultimi (perché poveri, ma non incapaci) sono l'avanguardia coraggiosa di una Dignità Nazionale da dissotterrare, liberare da chi l'ha sepolta, rilanciare nel Mondo. Ciaooo

Da FB del / dicembre 2016
5976  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / Emanuele Rossi Becchi: “L’asse Lega-Movimento dopo il voto non è fantascienza” inserito:: Dicembre 10, 2016, 09:23:33 pm
Becchi: “L’asse Lega-Movimento dopo il voto non è fantascienza”
Paolo Becchi insegna Filosofia del Diritto presso l’Università di Genova

Pubblicato il 10/12/2016
Ultima modifica il 10/12/2016 alle ore 17:02

Emanuele Rossi
Genova

«Larghe intese Lega-Cinquestelle? Non è fantascienza. Ma si vedrà solo dopo le elezioni, perché l’unica cosa che interessa al Movimento è misurare le forze». In qualche senso, Paolo Becchi ha anticipato la tendenza: il professore genovese di filosofia del diritto, un tempo considerato “ideologo” del Movimento cinque stelle, negli ultimi mesi ha rotto con Beppe Grillo e si è avvicinato a Lega e Fratelli d’Italia (ha partecipato alla manifestazione di Salvini a Firenze per il “no” al referendum).

Professore, Salvini e Grillo potrebbero mai essere alleati? 
«I punti di contatto sarebbero molteplici: l’opposizione all’euro e all’Unione, la sintonia con la Russia, il rifiuto dell’immigrazione, la retorica anti-sistema. Oggi sembra fantasia, perché il Movimento è un partito in cui la linea cambia a seconda dell’opportunismo del giorno. L’unica cosa che interessa a Grillo oggi è misurare le forze, votare e andare da soli. Ma dopo, ad esempio se si votasse con il proporzionale e Di Maio fosse incaricato di trovare una maggioranza per poter governare, comincerebbe proprio dalla Lega. Quanto a Salvini, lui ha già provato a dialogare, ma si è beccato in risposta solo dei vaffanculo».

Forse è proprio per evitare alleanze che il M5S vuole votare con l’Italicum? 
«Ci dimentichiamo che per Grillo sino a ieri era una legge fascista? È puro opportunismo. Come il referendum sull’Euro: hanno raccolto le firme, ora lo portano avanti o no? L’unica cosa inaccettabile, dopo il grande segnale del referendum, sarebbe un altro governo Pd formato da gente eletta con una legge incostituzionale. Per questo sulla legge elettorale io farei l’opposto: si porti il Consultellum anche alla Camera».

Così sarebbero quasi certe le «grandi coalizioni» dopo le elezioni. 

«E allora? Quando l’Italia funzionava c’erano sempre le grandi coalizioni intorno alla Dc. Erano meglio i governi balneari di quelli dei tecnici. L’idea del “partito unico” al comando è una cosa degli ultimi anni».
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Da - http://www.lastampa.it/2016/12/10/italia/politica/becchi-lasse-legamovimento-dopo-il-voto-non-fantascienza-07I8rZ5xCxenFFhOZAZ9aM/pagina.html
5977  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Stefano Borioni Nei discorsi di vittoria del fronte del No nessun accenno ... inserito:: Dicembre 10, 2016, 09:22:24 pm
Opinioni

Stefano Borioni   @borionistef
· 7 dicembre 2016

Nei discorsi di vittoria del fronte del No nessun accenno all’Italia, nei loro pensieri solo Renzi

“Amici del Si”, si ferma, sorride e in quel secondo il tempo si ferma. In quel momento ci siamo noi, il nostro impegno quotidiano, le giornate ai banchetti, un caffè per scaldarsi le mani, un sorriso per scaldarsi il cuore e andare avanti. Le bufale smontate, il reflusso d’una vecchia politica che abbiamo provato a fermare, ci abbiamo provato con tutte le nostre forze ma non è bastato. Sospesi in un quel momento l’istante passa, “vorrei abbracciarvi uno per uno”; prosegue Matteo Renzi e tu lo senti quell’abbraccio, è l’abbraccio di una comunità intera, un pezzo di Paese grande e forte. L’Italia che voleva cambiare l’Italia.

Questa è la Politica per cui investiamo il tempo dei nostri anni migliori, non per le alchimie dei partiti e delle minoranze che sanno unirsi solo contro qualcosa o qualcuno. Come conciliare, d’altronde, la passione di chi il proprio Paese lo ama con la strategia di chi – per colpire il Presidente del Consiglio – sacrifica il nostro futuro senza batter ciglio? “Non è il partito di Renzi. (…) Spero che a Renzi sia passata la passione di rottamare gli altri” afferma D’Alema tra gli applausi del Comitato del No. Renzi, Renzi, Renzi: non una parola sull’Italia che poteva essere, ci teniamo il CNEL, il Senato, l’iniquità ed a festeggiare sono sia Brunetta che i ragazzi che Brunetta definì “l’Italia peggiore”, un bell’abbraccio.

In questa sbronza collettiva si dimenticano presto le responsabilità, Casapound può partecipare alla festa? Ma certo, mettetevi lì, vicino l’ANPI, tra i Cobas, Monti e Fassina, ma non prendete i posti dei grillini, i nostri soci di maggioranza che dopo aver fatto fuoco e fiamme contro l’Italicum oggi lo apprezzano non poco. D’altronde è questione di coerenza: il Referendum non è passato e Renzi è uscito di scena, a differenza di quello che aveva promesso di fare Grillo prima delle elezioni europee.

Un po’ come il tema Muraro, Marra (i Marra, entrambi) o quello delle firme false in Sicilia: gli scandali aumentano, gli esponenti del Movimento restano saldamente incollati alle poltrone ma, visto che il sacro Blog non ne parla, il tema non esiste. E la nuova riforma, quella che avrebbero dovuto facilmente partorire in sei mesi? Nemmeno fingono di parlarne, ci sono cose più importanti: la corte di Strasburgo deve dirci se Berlusconi è candidabile, i grillini vanno fomentati con qualche nuova bufala – secondo BuzzFeed il partito di Grillo è la principale fonte di disinformazione italiana ma, per loro, è BuzzFeed la disinformazione – per non parlare degli equilibri della destra e della minoranza Dem. Hai voglia.

Solo una cosa non capisco, ma sicuramente è colpa mia: uno che ha preso – solo contro tutti, compreso un pezzo del suo stesso partito – il 40% dei voti come si può definire un perdente? E come si può definire vincitrice una “maggioranza” ad oggi già frastagliata come i tanti frantumi di uno specchio che cade in terra?

Fateci caso, sono i primi vincitori della storia ad essere furiosi: dall’ingestibile rabbia di Travaglio alle velate minacce di D’Alema (“chi ha seguito Renzi lo azzannerà”). Dall’altra parte c’è invece Matteo Renzi, l’uomo che lascia un’Italia migliore di quella che ha trovato e ci saluta col sorriso. Ed è il saluto di un amico, un amico di cui aspettiamo il ritorno.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/nei-discorsi-di-vittoria-del-fronte-del-no-nessun-accenno-allitalia-nei-loro-pensieri-solo-renzi/
5978  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino. commenta Robecchi su FB del 9 dicembre 2106... inserito:: Dicembre 10, 2016, 09:19:47 pm

Commento a Robecchi su FB del 9 dicembre 2016

Di Rabbia e di Vento anche questo post (come il libro Sellerio dello stesso autore) che non ci serve, se non per l'ennesima conferma che una parte del nostro paese (la Sinistra-sinistra) è piena di rabbia e di vento.

Ma da eterni incazzati nel loro paradiso crozziano di eterna ... opposizione, non hanno proposte percorribili per arrivare a far beneficiare il paese dei loro contributi di "Sinistra-finalmente-non-soltanto-incazzata".

ciaooo
5979  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Emanuele MACALUSO. La direzione di Giuliano è quella giusta inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:34:06 am
Opinioni

Emanuele Macaluso   @emmaincorsivo
· 8 dicembre 2016

La direzione di Giuliano è quella giusta
Sinistra   
Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia lascia la sede del Pd al termine dell'incontro con il presidente del Consiglio Matteo Renzi, 02 dicembre 2015. Roma. ANSA/ANGELO CARCONI   

Conosco bene Giuliano, e so che è una persona coerente con le sue idee

Conosco bene Giuliano, e so che è una persona coerente con le sue idee, in rapporto alle situazioni che il contesto politico propone. Pisapia ha fatto bene il sindaco di Milano, con una coalizione di centrosinistra che, non solo lui, aveva chiamato “arancione”. Quando è scaduto il suo mandato ha detto che non si sarebbe ricandidato e successivamente, quando Sala ha vinto le primarie, battendo di misura la vice sindaco Balzani, che Pisapia sosteneva, ha subito detto che avrebbe appoggiato Sala e lo ha fatto con determinazione.

Sala era il candidato del Pd. E al referendum ha fatto la campagna per il Sì. Oggi cosa propone Giuliano, dopo il terremoto referendario? Radunare tutte le persone e i gruppi che non si riconoscono nel Pd, che hanno votato per il Sì o per il No, ma vogliono costruire un soggetto di sinistra, disposto ad allearsi con il Pd di Renzi, al quale chiede se anche lui pensa a una ricomposizione del centrosinistra, e quindi ad alleanze coerenti, che non sono certo quelle che il Pd ha dovuto stabilire con il centrodestra di Alfano e Verdini.

È chiaro anche, dice Giuliano, che la sinistra a cui pensa non è quella che considera il Pd di Renzi un partito di destra, con cui si può solo confliggere e non allearsi, come fanno i residuati di Sel e la cosiddetta Sinistra italiana. Insomma, senza Pd non c’è centrosinistra, e a me pare che abbia ragione.

Bersani e Speranza, invece, continuano ad operare come se l’alternativa a Renzi siano loro, e non capiscono ancora che ormai sono più minoranza di prima, senza una prospettiva se non quella di mugugnare. Ancora una volta si dimostra che Cuperlo aveva ragione. Io penso che Giuliano abbia storia e autorevolezza per muovere la situazione nella direzione da lui stesso indicata. E intanto anche lui dice che occorre una nuova legge elettorale e il tempo necessario perché il parlamento adempia ad obblighi come la legge di stabilità. In questo, d’accordo con quel che chiede Mattarella. Vedremo cosa pensa per il futuro il suo attuale segretario Renzi. E vedremo cosa si muove nel Pd.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/la-direzione-di-giuliano/
5980  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Matteo Renzi avvia le "consultazioni" a Palazzo Chigi: "Resto fuori dal governo" inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:32:17 am
Matteo Renzi avvia le "consultazioni" a Palazzo Chigi: "Resto fuori dal governo".
Ipotesi Gentiloni premier

Pubblicato: 09/12/2016 18:51 CET Aggiornato: 23 minuti fa

E’ metà mattinata quando Paolo Gentiloni varca la soglia di Palazzo Chigi. Ad attenderlo c’è il premier dimissionario Matteo Renzi, tornato a Roma oggi dopo aver trascorso il giorno dell’Immacolata in famiglia a Pontassieve. Mentre al Quirinale Sergio Mattarella avvia il suo secondo round di consultazioni con ben 17 gruppi e gruppetti parlamentari solo nella giornata di oggi, è nel palazzo del governo che si cerca la quadra per la nascita di un nuovo esecutivo. Renzi avvia di fatto le sue ‘consultazioni’ con i leader Dem. Oltre a Gentiloni, riceve Pier Carlo Padoan. Incontra Matteo Orfini e sente al telefono Graziano Delrio. A Palazzo Chigi arriva anche Maurizio Martina. I contatti con Dario Franceschini sono continui. La giornata cancella l’ipotesi di un Renzi bis. E rafforza invece la carta di Gentiloni premier di un governo che confermerebbe Padoan all’Economia. Gentiloni potrebbe giurare già domenica. Ma Renzi vuole la garanzia che si voti a primavera e chiede di chiudere un’intesa su un sistema elettorale semi-proporzionale. Intanto si prepara a lanciare la fase congressuale già il 18 dicembre, nell'assemblea nazionale del Pd.

All’ora di pranzo la campanella che dice “sbrigatevi” la suona la Bce. L’istituto di Francoforte respinge la richiesta di Mps di aver maggior tempo per l’aumento di capitale. Tradotto: serve un intervento del governo, un decreto, serve ‘un governo’. E’ questa urgenza che nel primo pomeriggio, mentre a Palazzo Chigi continua l’andirivieni di leader e contatti, i telefoni squillano, le trattative fervono, rafforza la carta Gentiloni. Al Colle invece la storia Mps rafforza la carta Padoan. Mattarella insiste fino all'ultimo sul ministro del Tesoro. Ma Renzi è irremovibile e su Gentiloni stringe il patto con il Pd.

Così il ministro degli Esteri diventa punto di mediazione tra Renzi e Mattarella. Dopo che è caduta l’ipotesi iniziale del capo dello Stato: cioè un reincarico di Renzi. In quanto, spiegano fonti istituzionali di alto livello, a norma di Costituzione nulla obbliga il premier a dimettersi dopo la sconfitta referendaria. Ma Renzi fa un altro ragionamento.

“Io non sono disponibile”, ha spiegato a chi lo ha incontrato a Palazzo Chigi. Intorno, i primi scatoloni del trasloco. Al premier uscente non sarebbe dispiaciuta l’ipotesi disegnata dal pentastellato Luigi Di Maio: congelare tutto così com’è, Renzi resta a Palazzo Chigi dimissionario con tutto il governo fino alla sentenza della Consulta a gennaio e poi si vota. Insomma, una gestione degli affari correnti e basta. Ma la bomba a orologeria di Mps spazza via anche questo scenario, che comunque non era gradito a Mattarella. Renzi non vuole un reincarico, “perderei la faccia”, continua a dire ai suoi. E allora emerge l’ipotesi Gentiloni, frutto anche di un patto interno con Franceschini, con cui Renzi ha un chiarimento a sera: faccia a faccia a Palazzo Chigi. Della serie: “Nulla nasce contro il segretario del Pd”, ha continuato a dire in questi giorni il ministro dei Beni Culturali. Dietro, c’è la ‘last call’ del Quirinale. Della serie: ‘Se non sei tu, indica un nome, caro Matteo che resti segretario del Pd. Altrimenti facciamo noi’.

Certo ancora fino al primo pomeriggio, pure dal Pd - oltre che dal Colle - arrivavano sollecitazioni su Padoan. Più tecnico, più neutro, meno politico: contro di lui si scatenano meno invidie e gelosie. Ma per il premier la carta preferita è Gentiloni, uno dei pochi fedelissimi non toscani, punto di riferimento della cerchia del segretario Pd a Roma. Con l’esperienza maturata alla Farnesina può gestire agevolmente gli appuntamenti esteri importanti del prossimo futuro: dal Consiglio europeo della prossima settimana alla celebrazione dei 60 anni del Trattato di Roma a marzo. Ma non il G7 di Taormina.

Non per incapacità di Gentiloni, bensì perché Renzi vorrebbe aver votato per quella data di fine maggio.

Sta qui il nodo di tutto il puzzle. A sera Gentiloni torna a Palazzo Chigi per un nuovo faccia a faccia con Renzi. Con i suoi interlocutori Dem il premier uscente ragiona anche di data e sistema elettorale. Vuole garanzie che si torni al voto al più presto, approfittando magari della finestra delle amministrative di primavera. Twitta il renziano Andrea Marcucci:

Si può votare dal 15 aprile al 15 giugno, indicano dalla cerchia del premier, una tornata che interessa circa mille comuni e che per Renzi potrebbe ben estendersi alle politiche. Per avere una garanzia sulla data, Renzi vuole anche garanzie sulla legge elettorale, per seminare e raccogliere subito dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum. Insomma, per non farsi trovare impreparato. L’Idea è un semi-proporzionale che piace anche a Silvio Berlusconi. L’ex Cavaliere salirà domani al Colle: nel Pd sono tutti in attesa di sapere cosa andrà a dire a Mattarella. L’auspicio è di poter stringere un patto di non belligeranza sulla base della legge elettorale.

La squadra Del governo Gentiloni continuerebbe a far parte Luca Lotti, braccio destro del segretario che resterebbe a Palazzo Chigi come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Padoan verrebbe riconfermato all’Economia. E in squadra resterebbero sia Orlando che Franceschini, Delrio e Martina, Poletti e anche Alfano confermato al Viminale. Ma non farebbero parte del governo i ministri bocciati dai fatti. Tre nomi: Giannini per le contestazioni alla Buona scuola, Lorenzin per alleggerire il peso di Ncd nel governo, Boschi (al suo posto si fa il nome di Giachetti) per via della sconfitta al referendum che su di lei funzionerebbe come con Renzi. Via tutt’e due dall’esecutivo. In bilico anche Madia, per via della bocciatura della sua riforma da parte della Consulta, ma il ministro della Pubblica Amministrazione potrebbe restare per i decreti attuativi ancora sul tavolo. Nella squadra di Gentiloni non entra alcun ministro verdiniano. A sostituire quello che dovrebbe essere il prossimo premier alla Farnesina si fa il nome di Carlo Calenda, attuale responsabile dello Sviluppo Economico.

Davanti a Palazzo Chigi, il fotografo di Renzi, Tiberio Barchielli, prende una boccata d’aria e per la prima volta non porta con se la macchina fotografica. Segno anche questo che il suo compito dietro al premier è terminato, magari comincerà a seguire solo il segretario. Perché nell’accordo interno al Pd che dovrebbe portare Gentiloni a giurare al Quirinale c’è anche il congresso del partito a partire da subito. Primarie aperte per la nuova segreteria. Renzi le lancerà il 18 dicembre, in occasione dell'assemblea nazionale del Pd.

Lo chiedono con forza i Giovani Turchi, lo chiede il governatore Michele Emiliano che scalpita per candidarsi, come il governatore toscano Enrico Rossi e chissà forse anche Sergio Chiamparino. Una chiamata alla sfida interna che Renzi avalla: gli serve per rilegittimarsi dopo la sconfitta pesante del 4 dicembre. E per ora sa di avere dalla sua parte i Giovani Turchi che a quanto pare non candiderebbero il ministro Andrea Orlando ma sosterrebbero l’attuale segretario. Il perché sta nei 13 milioni di sì comunque incassati al referendum, così te la spiegano. “Con primarie aperte vince lui”, ti dicono.

E Franceschini? Nell'incontro serale a Palazzo Chigi, ha avuto un chiarimento con Renzi e gli ha garantito appoggio. Anche per il congresso. “Lui sta con chi vince”, prevedeva già nel pomeriggio più di un renziano. Per loro, vince ancora Renzi. Chissà. La prossima settimana una nuova direzione nazionale – forse martedì – potrebbe portare allo scoperto le posizioni in campo tra i Dem. Un campo minato.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/09/matteo-renzi-palazzo-chigi_n_13531930.html?utm_hp_ref=italy
5981  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / La rimozione di Pisapia. inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:30:07 am
La rimozione di Pisapia

Pubblicato: 07/12/2016 15:46 CET Aggiornato: 07/12/2016 15:46 CET

L'assenza, o la rimozione. L'avrei titolata così l'intervista a Giuliano Pisapia di oggi a Repubblica. La rimozione di un qualunque tipo di analisi della società, di cosa sia accaduto in tutti questi anni e di cosa abbiano prodotto le politiche del governo Renzi. Ovvero, un attacco al cuore, già debole e malandato, dei diritti collettivi e sociali.

Esiste una sinistra che muove la sua iniziativa senza un giudizio netto sul Jobs Act? Che non vede i 110 milioni di voucher che nel 2016 (per stare ai dati di novembre) legalizzano e rendono ordinaria una moderna forma di schiavitù nel mercato del lavoro? Che sembra rimuovere il danno che la cosiddetta Buona Scuola produce, non solo nella vita di migliaia di insegnanti e studenti, ma nella stessa natura della scuola come luogo di formazione collettiva e di cooperazione?

Ma soprattutto, a tre giorni dal voto si può discutere della sinistra e della sua utilità senza guardare al cuore del voto referendario? Quel No è innanzitutto un voto connotato socialmente. Un voto che in altri tempi avremmo chiamato di classe. È il voto di chi si ribella alla propria condizione sempre più marginale, precaria, povera. È un voto di sinistra? Certamente non solo.

Ma il punto è che lo sbocco politico di quel voto non è scontato! In quel voto esistono pulsioni e perfino aspirazioni differenti. Ma il carico sociale e democratico è il punto determinante. Sì, anche democratico perché la riappropriazione di uno strumento di democrazia diretta per respingere al mittente un pessimo disegno di riforma e per manifestare tutto il proprio dissenso verso un impianto di politiche incapace di dare risposte agli effetti più duri della crisi è un'altra delle questioni a cui dovremmo guardare.

È su questo dunque che si misura la distanza fra quello che penso e quello che propone Pisapia. Due idee della politica e della Sinistra molto differenti. Cosa rischia di diventare infatti la sinistra di Pisapia, senza un giudizio compiuto sul Paese reale? Lo dico senza nessuna voglia di emettere sentenze e provando a prendere sul serio il suo ragionamento.

Rischia di diventare la sinistra degli schemi astratti, definendo in anticipo e senza nessuna prova empirica un "campo progressista", che al di là dell'etichetta e del nome, non ha elementi di progresso da proporre ai milioni che hanno detto No. La Sinistra non può avere come unica ambizione quella di sostituire Alfano e Verdini. La Sinistra non può essere quella del riflesso condizionato rispetto al dibattito fra le correnti del Pd.

Se per davvero dobbiamo essere costretti a misurare noi stessi e a definirci sulla base di quello che accade all'interno del dibattito del Partito Democratico, in un'eterna attesa che qualcosa comunque prima o poi succeda, allora lo dico senza acrimonia e con molto realismo, sarebbe meglio iscriversi al Pd e fare lì dentro la propria battaglia politica. Sarebbe più leggibile e comprensibile.

Resto convinto, ancora di più in questi giorni, che sia necessario qualcosa di completamente diverso. E che deve interessarci più di ogni schema e di ogni riproposizione astratta di ciò che è stato: il campo sociale che il No ha disegnato. Come ho già detto non mi sogno nemmeno di considerarlo come uno spazio della sinistra. Ma quello che so con certezza è che una sinistra che si ponga il tema dell'utilità deve lavorare perché non sia consegnato alla destra.

Ora più che mai, mentre l'attenzione rischia di essere tutta concentrata sulla crisi politica del paese, mentre il dibattito si concentra sulla natura del prossimo governo e sulla legge elettorale, una Sinistra che voglia almeno ambire a ricostruire la sua utilità deve spostare lo sguardo. Per esempio al disastroso dato sulla povertà che ieri l'Istat ci ha consegnato.

Cancellare il Jobs Act e l'odioso strumento del voucher. Cancellare lo sblocca Italia che questa riforma avrebbe voluto costituzionalizzare e la sua idea di sottrarre il territorio e il suo sviluppo al punto di vista di chi lo abita, la Buona Scuola. Per bonificare un terreno inquinato da decenni di politiche sbagliate servirà tempo e serviranno altri rapporti di forza. Per alcune di queste pessime leggi c'è uno strumento, quello dei referendum sociali promossi dalla Cgil che è già disponibile e che va messo in sicurezza in questo passaggio.

Mi rivolgo su questo con assoluto rispetto e piena fiducia nella sua saggezza al Presidente Mattarella. La crisi del paese è prima ancora che politica, sociale e democratica. Qualunque Governo esca da questo passaggio deve mettere tra i suoi primi atti l'indizione di quei referendum. Infine viene il nodo di fondo.

Esiste una Sinistra che non ponga radicalmente in discussione un modello economico e di sviluppo che si rivela ogni giorno più incompatibile con la dignità umana, con la tutela dell'ambiente, col rispetto dei diritti individuali e collettivi? In Europa e nel mondo la Sinistra che torna a disegnare una speranza di cambiamento e riconquista credibilità lo fa, mettendo radicalmente in discussione questo punto.

Da Sanders a Corbyn fino a Pablo Iglesias. Linguaggi e storie diverse che si incontrano su questo punto decisivo. Per questo lo dico ancora una volta. Non so cosa siano i campi progressisti, larghi o stretti. Sono un po' stufo di una discussione che chiama alla responsabilità contro il pericolo populista senza accorgersi che la questione è un po' più complessa e che forse anche a sinistra più di qualcuno ha confuso il populismo col popolo.

Proviamo dunque a lavorare sull'unico campo che può ridare senso all'ambizione di una sinistra utile al cambiamento. Oggi quel campo è definito in buona parte (anche se non solo) dal carattere sociale del No di domenica scorsa. Facciamolo insieme con tutti quelli e tutte quelle che non si rassegnano all'idea che la sinistra diventi l'arredo di una scena disegnata da altri.

Senza rimuovere le differenze che pure esistono tra noi su molte questioni. Ma almeno con una idea condivisa: o la Sinistra che vogliamo torna a pensare la trasformazione oppure semplicemente non è.

Da - http://www.huffingtonpost.it/nicola-fratoianni/la-rimozione-di-pisapia_b_13482566.html
5982  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Governo Gentiloni, Luca Lotti resta a palazzo Chigi per gestire le nomine di pri inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:28:49 am
Governo Gentiloni, Luca Lotti resta a palazzo Chigi per gestire le nomine di primavera.
E prova a raddoppiare sui servizi segreti

Pubblicato: 09/12/2016 20:32 CET Aggiornato: 2 ore fa

Nel bunker di palazzo Chigi c’è una casella incancellabile. Renzi potrà anche suonare la campanella col suo successore Paolo Gentiloni, ma chi non può traslocare è il suo taciturno braccio destro Luca Lotti. Proprio sulla sua permanenza nel ruolo di potente sottosegretario alla presidenza si consuma una frattura nel cuore del renzismo. Più di un parlamentare vicino a Graziano Delrio sussurrava: “Graziano poteva essere una soluzione al posto di Gentiloni, ma è inconciliabile con Lotti. Il conflitto tra i due determinò il suo trasloco alle Infrastrutture”.

L’ipotesi di un governo Delrio non è mai stata in piedi, ma queste parole confermano che a palazzo Chigi è l’ora dei falchi. Il mite Gentiloni riceverà l’incarico in quanto è l’unico che di cui il premier si fida e che può assicurare un governo a tempo, fino a primavera, per poi andare a elezioni anticipate. Ma il governo deve assicurare la continuità nella gestione del potere. Che ruota attorno a Lotti che sarà confermato sottosegretario e avrà in mano, d’intesa con Renzi, la partita delle nomine di primavera. E che, in queste ore, sta tentando di allargare la sua sfera di influenza. Puntando alle deleghe sui servizi in capo a Marco Minniti.

Nomine e servizi, i dossier strategici nel bunker. Che rappresentano il cemento di qualunque governo. Nomine pesanti. Già si parla, per i primi mesi del prossimo anno, di un cambio dei vertici Rai e del direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via. E poi in primavera si passa ad Enel, Eni, Poste, Finmeccanica, Terna e tanti altri consigli di amministrazione. Gran finale, Banca d’Italia, col mandato di Ignazio Visco che scade nel 2017. In parecchi ricordano che proprio una analoga infornata di nomine produsse l’accelerazione che portò Renzi a palazzo Chigi al posto di Letta.

Poi, i servizi, il vecchio pallino “del Lotti”, come dicono i toscani. Non è un mistero che già all’inizio del governo Renzi puntò alle deleghe di Minniti, che però alla fine fu confermato (unico del Pd a stare sia nel governo Letta e sia nel governo Renzi). Allora il cambio era complicato perché l’ex lothar dalemiano, competente e stimato a livello istituzionale, era riuscito a mettere ordine e ad essere riconosciuto come capo da un po’ tutte le correnti del complesso mondo delle barbe finte. Allora furono proprio Renzi e Lotti a pensare a una struttura sul modello americano della NSA, la National Security Agency, da insediare a palazzo Chigi. E da affidare all’amico Marco Carrai. Bruciata nelle polemiche l’idea della struttura, nacque l’idea di una super-consulenza per l’amico Carrai.

Era la vigilia di un delicato “pacchetto” di nomine dei vertici della sicurezza, a partire dalle Fiamme Gialle. Ora col cambio di governo il “giglio magico” torna alla carica. Con le antiche ossessioni sugli “ascolti”, maturate sin da quando furono pubblicate dal Fatto le intercettazioni tra il premier e il generale della Finanza Adinolfi. Ecco, nella fase della battaglia finale, alcune postazioni si si possono cedere, altre no. La Boschi, volto del renzismo e madrina delle riforme, è stata travolta nelle urne assieme al suo ddl. Il Lotti, potente e taciturno, resta nel bunker. Insostituibile.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/09/governo-gentiloni-lotti_n_13534484.html?utm_hp_ref=italy
5983  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / SERGIO RIZZO La vittoria del No, salvacondotto a vita per un Senato intoccabile inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:26:55 am
Dopo il voto

La vittoria del No, salvacondotto a vita per un Senato intoccabile
Chi avrà mai la forza di riproporre un sia pur minimo ridimensionamento dei poteri della Camera alta, dopo quello che è successo?

Di Sergio Rizzo

Dopo la vittoria del No si sono sparse notizie di calorosi festeggiamenti al Cnel redivivo. Reazioni più sobrie, invece, al Senato. Dove qualcuno non ha comunque risparmiato ironie. Maurizio Gasparri, per esempio, ha twittato: «Il Senato c’è, Renzi non c’è più». Niente di più vero. Il Senato c’è e ci sarà sempre, perché il No è soprattutto un salvacondotto perpetuo per Palazzo Madama. Giusta o sbagliata che fosse la riforma, il risultato non può essere che questo. Chi avrà mai la forza di riproporre un sia pur minimo ridimensionamento dei poteri della Camera alta, dopo quello che è successo? E quanti sostengono che ora «si potrà fare una riforma seria» lo sanno benissimo.

Il meccanismo della conservazione, in questo Paese resistente a ogni cambiamento, è super collaudato. In un senso come nell’altro. Basterebbe ricordare in che modo si è salvato il ministero dell’Agricoltura dopo che un referendum popolare l’aveva abolito: semplicemente cambiando nome in «ministero delle Politiche agricole e forestali». O come i rimborsi elettorali siano esplosi proprio dopo un referendum che avrebbe dovuto cancellare il finanziamento pubblico dei partiti.

Idem accadrà per le Regioni, luoghi nei quali l’opposizione a ogni cambiamento è ancor più radicata. Vivrà in eterno quell’assurdo titolo V voluto nel 2001 da un centrosinistra in affanno nel disperato tentativo di arginare l’ondata leghista e poi incredibilmente confermato al successivo referendum dai cittadini ignari (come in questo caso) tanto del merito quanto delle conseguenze. Di più. Non solo le Regioni manterranno l’insensata competenza esclusiva su alcune materie quali turismo o energia, ma il voto del 4 dicembre varrà anche per loro come salvacondotto perpetuo nei confronti di qualunque tentativo di riforma futura. I consiglieri regionali, poi, sono finalmente al sicuro: nessuno potrà più imporre loro tetti alle generose buste paga, né vietare i contributi ai gruppi politici consiliari al centro di gravissimi scandali. L’ex commissario alla spending review Roberto Perotti ci ha già mostrato, del resto, con quale abilità i signori consiglieri siano riusciti ad aggirare il tetto alle retribuzioni imposto dal governo di Mario Monti.

Che dire infine delle Province? Sopravvivranno anch’esse nei secoli a venire. E quei martiri della democrazia che in Calabria hanno affisso una lapide nella sede della ex Provincia con scolpiti i nomi degli ultimi consiglieri «eletti a suffragio universale», troveranno un motivo di riscatto. Perché oggi nessuno si stupirebbe davanti a una proposta di abrogazione della legge Delrio che facesse tornare nuovamente elettivi quegli incarichi.

7 dicembre 2016 (modifica il 7 dicembre 2016 | 19:18)
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/16_dicembre_08/vittoria-no-salvacondotto-vita-un-senato-intoccabile-aff7bc44-bca8-11e6-9c31-8744dbc4ec0a.shtml
5984  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Sergio Staino. La sorpresa che aspettiamo inserito:: Dicembre 10, 2016, 09:40:24 am
Opinioni
Sergio Staino   @SergioStaino
· 9 dicembre 2016

La sorpresa che aspettiamo

Mi aspetto che Matteo Renzi spiazzi tutti come ha sempre fatto

Incontro persone in queste ore che mi abbracciano con particolare affetto. Come quando siamo stati colpiti da una malattia o dalla morte di un congiunto. Con aria timorosa mi dicono: «Come ti senti? Stai meglio?» Sono tutti preoccupati che la sconfitta del Sì mi abbia provocato traumi psicologici o cose simili. In realtà sto bene, non mi sembra la fine del mondo.

Qualcuno si azzarda a chiedere: «Ma che fine fa l’Unità? Chiude? Continua senza te?» Qualche vecchio compagno al telefono ridacchia: «Te l’avevo detto, Renzi non reggeva, hai fatto un errore». Scusatemi ma io non riesco a capirlo. Non è la prima volta che viviamo una crisi di governo. Non vedo perché questa dovrebbe determinare immancabilmente la sparizione dell’attuale leader.

È una fase dura, ma è una fase di crescita anche questa, se la vediamo dall’angolazione giusta. Renzi ci ha abituato a guardare le cose da angolazioni diverse e molto spesso ci ha stupito. Anzi, è proprio questo suo trovare soluzioni imprevedibili, che ti spiazzano, che a me personalmente piace molto.

Lui è fatto così. Ricordo un paio di anni fa un concerto di Vecchioni in un teatro fiorentino. Grande successo, tanto pubblico, bis a non finire. Dopo, ci ritroviamo con Roberto per una cena tra amici. Arriva Renzi, si precipita verso Vecchioni scusandosi: «Scusa Roberto, scusa Roberto, non ce l’ho fatta a venire a sentirti, ero a presentare il libro a Fucecchio e mi hanno fatto fare tardi. Tante domande sai, tante domande, soprattutto sul fatto che in questo libro definisco Dante uomo di sinistra. E allora? Per me Dante è di sinistra». Io colgo l’attimo di silenzio e dico a voce alta: «Certo, se poi lo confronti con te stesso anche parecchio di sinistra!» Risata generale. Era chiaramente una battuta provocatoria, senza una reale base di verità.

Ecco, a questo punto mi viene da pensare come avrebbero reagito i vecchi dirigenti del partito a una battuta simile. D’Alema non mi avrebbe parlato per mesi, come spesso ha fatto. Domenici sarebbe uscito platealmente tornandosene a casa. Molti altri forse non avrebbero nemmeno capito la battuta. Renzi invece guarda verso di me con uno sguardo sorridente e meravigliato, e con aria sognante mi dice a voce alta: «Bella, Sergio, bella!!» E poi aggiunge a sorpresa: «Posso metterla su Facebook?» Con questo mi ha mangiato la vignetta e mi ha lasciato in mutande. Bravo. Questo mi aspetto ancora da lui. Che mi spiazzi.

Che mi spiazzi con l’operazione più normale che si deve fare in questi momenti. La prima parte l’ha già compiuta: quella di dimettersi, di passare la palla alle altre forze politiche e al Quirinale. Ma deve contemporaneamente fare un’altra cosa: fare affidamento sul partito, rivolgersi al partito nel suo insieme, non solo alla direzione. Il nostro giornale è zeppo di lettere di militanti di base, di persone che stanno soffrendo una situazione ingiusta e che chiedono ciò che è mancato fino ad oggi: un’attenzione da parte della dirigenza del partito verso le loro idee e la loro voglia di partecipazione.

Su questo voglio che mi stupisca Matteo. Lascia quell’idea un po’ troppo da comitato elettorale con cui, a mio avviso, guardi il Pd. Lasciala a Palazzo Chigi. Fermati per una volta al Nazareno e pensa al Pd come a un partito. Fatto da un segretario, da tanti dirigenti, ma soprattutto da tantissima gente comune, iscritta o comunque vicina a noi. Questo ti aiuterà anche a muoverti poi con più sicurezza e successo a livello governativo. Senza di questo non ci sono molte speranze. Almeno, così io credo.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/la-sorpresa-che-aspettiamo/
5985  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Maria Teresa MELI Crisi di governo Matteo Renzi: «Faccio quel che serve al Colle inserito:: Dicembre 10, 2016, 09:37:41 am
Il retroscena
Crisi di governo, Matteo Renzi: «Faccio quel che serve al Colle»
E i suoi pensano a un partito
Il premier dimissionario potrebbe accettare il bis per poi votare.
E bloccherebbe Franceschini

Di Maria Teresa Meli

Il leader è a Pontassieve (dovrebbe tornare a Roma oggi pomeriggio) e il Partito democratico si interroga sulle sue mosse future. Lo fanno anche i renziani che ieri erano particolarmente interessati a un sondaggio di Nicola Piepoli, secondo il quale un partito dell’ex premier avrebbe più consensi del Pd. È un’idea che stuzzica una fetta dei sostenitori del segretario. Per intendersi, quella che vede con maggior fastidio le manovre di Franceschini e compagni. Il «capo», però, almeno per ora, continua a guardare dentro i confini del Pd, tant’è vero che sta già preparandosi al Congresso, che vorrebbe tenere «subito», per «rimettere le cose a posto» e poi «rilassarmi un annetto e prepararmi alla sfida delle prossime elezioni».

«Quello che serve a Mattarella io faccio»
Ma potrebbe esserci un altro scenario nel futuro dell’ex premier, soprattutto dopo le dichiarazioni di ieri di Luigi Di Maio, il quale ha detto che pur di andare alle elezioni i Cinque stelle sarebbero disposti ad arrivare al voto con il governo Renzi. Già, si sta parlando della possibilità che il segretario del Pd resti in carica. In quel caso Franceschini dovrebbe accodarsi, anche perché, secondo Renzi, non ha comunque la maggioranza dei gruppi parlamentari, tanto più dopo che Orlando non ha accettato la sua proposta di fare asse per stringere in un angolo il segretario. «Conviene a tutti fare gioco di squadra, soprattutto a chi ora è ministro», commenta il leader con i suoi.

Ma quello della sua permanenza a Palazzo Chigi è uno scenario di cui al momento il segretario non vuole parlare. Eppure c’è. E anche Renzi sa che se Mattarella glielo chiedesse gli sarebbe difficile dire di no. Soprattutto nel caso in cui sia la Lega che i grillini facessero capire al capo dello Stato che sono favorevoli ad andare alle elezioni velocemente anche con questo governo: «Quello che serve a Mattarella — spiega infatti il leader ai suoi — io faccio. È l’abc della politica. In una situazione di crisi si aiuta il presidente della Repubblica, perciò da parte mia c’è la massima disponibilità».

Il rischio Verdini
Fino a un certo punto, naturalmente: «Bersani — ragiona con i collaboratori l’ex premier — dice che non bisogna andare al voto, ma allora devi fare un governo con Verdini. Bersani ci sta? Eppoi Denis a questo giro non si accontenterà di stare fuori dal governo. Chiederà un ministero. E io in questo cul de sacnon mi ci voglio mettere. Non ci sto a farmi insultare da leghisti e grillini che ci accusano di avere una maggioranza non legittima, figlia di un parlamento illegittimo... In questo caso preferisco dire avanti il prossimo». In molti ieri hanno cercato il segretario pd per avere la linea, ma lui ha ripetuto a tutti la stessa frase: «La politica non è più “renzicentrica”. Per cui aspettiamo quello che dicono gli altri e ascoltiamo Mattarella». Ma sono in pochi a credere che il leader non stia studiando una nuova mossa per «sparigliare».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
8 dicembre 2016 (modifica il 9 dicembre 2016 | 01:00)

Da - http://www.corriere.it/la-crisi-di-governo/notizie/faccio-quel-che-serve-colle-f08e188e-bd84-11e6-bfdb-603b8f716051.shtml
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