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6016  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / Europa in rialzo nel post referendum, lo spread non si allarga inserito:: Dicembre 05, 2016, 04:34:23 pm
La giornata dei mercati

Europa in rialzo nel post referendum, lo spread non si allarga

    –di C. Condina e P. Paronetto 05 dicembre 2016

Piazza Affari affronta senza scomporsi la vittoria del "no" al referendum costituzionale e le annunciate dimissioni del presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Dopo un avvio in rosso il FTSE MIB milanese ha recuperato terreno e ora si è allineato al generale rialzo delle altre Borse europee (qui l'andamento degli indici principali).

Sui mercati, secondo gli operatori, si è diffuso il sollievo per aver evitato la tempesta perfetta, dato che l'altro appuntamento elettorale della domenica, le elezioni presidenziali austriache, si sono chiuse con un risultato, la vittoria dell'ecologista europeista Alexander Van Der Bellen, che pone un freno alla speculazione sulla tenuta dell'Eurozona.

Analisti: improbabili elezioni immediate
«L’esperienza del mio governo finisce qui» ha annunciato nella tarda serata di ieri Renzi, preannunciando per oggi pomeriggio la salita al Quirinale per consegnare le dimissioni al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Gli analisti di UniCredit notano che, se da una parte «la vittoria del “no” era stata prevista dai sondaggi e gli investitori mei mesi scorsi avevano già fatto effettuato alcuni aggiustamenti alle proprie posizioni», dall’altra «l’ampiezza del risultato va oltre le aspettative e mantiene alta l’incertezza». Per questo, secondo gli esperti, è probabile che sul mercato tornino a prevalere i ribassisti. Quanto saranno consistenti i volumi di vendita dipenderà, prosegue UniCredit, «dallo sviluppo degli eventi» nei prossimi giorni e «dal livello di rumore durante i primi stadi delle consultazioni» per la formazione di un nuovo governo. Lo «scenario centrale» degli analisti di piazza Gae Aulenti prevede comunque la nomina di un nuovo esecutivo e che non ci saranno elezioni imminenti, fatti che «limiteranno lo spazio per un ulteriore ampliamento dello spread».

Per Mps e UniCredit il nodo ricapitalizzazioni
L'incognita dei mercati finanziari riguarderà comunque in primo luogo i titoli bancari italiani a cominciare dalla fattibilità o meno delle ricapitalizzazioni di Banca Mps e Unicredit. I titoli dei due istituti hanno faticato a fare prezzo in avvio e hanno aperto gli scambi in netto calo, prima di recuperare in parte terreno. Sulle montagne russe anche Banco Popolare, Banca Pop Mi, Banca Pop Er, Ubi Banca, Mediobanca e Intesa Sanpaolo, tutti protagonisti di partenze pesanti e di successive risalite.

Fin dalle prime battute sono inoltre apparsi limitati gli effetti del referendum sui titoli di Stato. «La reazione dei titoli di stato è abbastanza composta - spiega Gianluca Codagnone, managing director di Fidentiis Italia - mentre sulle banche sarà una seduta molto più difficile: il tema è quello degli aumenti di capitale e, in questo senso, se Unicredit potrà eventualmente posporre il suo, per Mps non sarà così. Oggi potrà esserci una reazione emozionale, ma in realtà la vera risposta dei mercati si avrà quando sarà chiaro a chi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella affiderà l'incarico e quale credibilità avrà il nuovo governo. Sarà quella la reazione che conta davvero».

Salgono i titoli dei gruppi esposti agli Usa e al programma di Trump
Sul Ftse Mib milanese gli ordini di acquisto premiano comunque in primo luogo i titoli delle società con una forte esposizione ai mercati esteri e quindi meno legati all'andamento del "rischio Italia". Gli analisti di Banca Akros, del resto, indicavano come «strategia difensiva» contro le possibili conseguenze del referendum di puntare proprio su «gruppi con una presenza dominante non domestica» e con «esposizione agli Usa e al programma di Donald Trump». Salgono inoltre i titoli dell'energia, premiati dal petrolio a quota 52 dollari al barile. Sono così in deciso rialzo Saipem, Fiat Chrysler Automobiles, Leonardo - Finmeccanica e Buzzi Unicem.

Spread a 165 punti base, rendimento BTp sopra il 2%
Dopo un'apertura a 172 punti base (dai 161 della chiusura di venerdì scorso), torna a restringersi anche lo spread tra Btp e Bund, ora pari a 165 punti base. Il rendimento del decennale italiano ora è al 2%, dopo aver toccato il 2,04% nelle prime battute e contro l'1,90% di venerdì.

Sul mercato dei cambi, l'euro è in recupero nei confronti del dollaro, dopo aver toccato nella notte i minimi dal 2003 a quota 1,05. La moneta unica è indicata a 1,0645 dollari da 1,0669 venerdì in chiusura. Un euro vale anche 121,22 yen (121,13), mentre il rapporto dollaro/yen è a 113,97 (113,53).

Guadagna terreno il prezzo del petrolio: il future gennaio sul Wti sale dello 0,52% a 51,95 dollari al barile, mentre la consegna febbraio sul Brent segna +0,44% a 54,7 dollari.

Vienna festeggia la vittoria di Van der Bellen
Anche la Borsa di Vienna avanza dopo la vittoria nelle presidenziali bis del verde europeista Alexandre Van der Bellen. Il listino austriaco recupera quasi un punto percentuale con in prima linea Polytec holding e Semperit, che si occupano rispettivamente di materiali plastici e pneumatici.

(Il Sole 24 Ore Radiocor Plus)
© Riproduzione riservata

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2016-12-05/milano-rosso-le-banche-dopo-referendum-spread-171-punti-082533.shtml?uuid=ADWmbg7B
6017  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / Referendum, Merola liquida Renzi: "Ora da Bologna rifondiamo il Pd" inserito:: Dicembre 05, 2016, 04:33:21 pm

Referendum, Merola liquida Renzi: "Ora da Bologna rifondiamo il Pd"
Il 19 dicembre la convention con Pisapia e Cuperlo in città: "Subito una proposta alternativa del centro sinistra"

05 dicembre 2016

BOLOGNA - Sarà il 19 dicembre a Bologna il primo atto del "nuovo Ulivo" con Virginio Merola, Giuliano Pisapia e Gianni Cuperlo. "Dobbiamo tornare a volerci bene, a questo punto è il programma minimo - ha detto oggi Merola commentando la sconfitta del referendum - il 19 promuoviamo questa iniziativa a Bologna, con tutti quelli che sono interessati a portare avanti una ipotesi di centrosinistra unito, di una proposta alternativa di governo capace di mettere al centro la lotta alle diseguaglianze e di recuperare la frattura coi giovani". Per Merola bisogna ricostruire "e per ricostruire bisogna che Renzi non solo si faccia da parte, ma che ci sia disponibilità da parte di tutti a trovare una strada nuova e rinnovata per il centrosinistra".

Quello di ieri è stato un "voto democratico che dimostra che c'è una profonda e radicata protesta" rivolta soprattutto "contro l'iniziativa del premier. Non credo che nel Pd ci siano possibili vincitori e possibili vinti, è una sconfitta del Pd sulla quale bisognerà ragionare insieme", sottolinea il primo cittadino

Quella del referendum, ha detto ieri il sindaco commentando a caldo la sconfitta "è la dimostrazione che gli elettori hanno giudicato in sintonia con i loro orientamenti politici e quindi va detto che il Pd non ce l'ha fatta ed è uscito sconfitto al di là del merito dello stretto quesito referendario, che non è riuscito a fare la differenza. Il mito dell'autosufficienza è finito, cercando di fare tutti gli sforzi possibili per cercare una nuova unità nel campo democratico del centrosinistra".

© Riproduzione riservata
05 dicembre 2016

DA - http://bologna.repubblica.it/cronaca/2016/12/05/news/merola_liquida_renzi_ora_da_bologna_rifondiamo_il_pd_-153502028/?ref=fbplbo
6018  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MATTIA FELTRI. Se col referendum tornano guelfi e ghibellini inserito:: Dicembre 05, 2016, 04:32:01 pm
Se col referendum tornano guelfi e ghibellini

Pubblicato il 03/12/2016
Ultima modifica il 03/12/2016 alle ore 07:45
Mattia Feltri

Cominciamo subito: «Ora che siete arrivati voi siamo in perfetto equilibrio, due per il Sì e due per il No». Lui è un caro amico, di destra per storia familiare, passato dal Movimento sociale a Silvio Berlusconi fino al disperato voto a Roberto Giachetti al ballottaggio per Roma («Aho, me so’ buttato a sinistra!»); lei, la sua compagna, è di sinistra ondeggiante fra la grande casa madre e le formazioni più estreme, o più pure. Non sono mai stati d’accordo su niente, ma ora è tutto un bacetto, un’affinità politica che ha dello struggente, accomunati da rinnovate convergenze parallele: lui pensa che la caduta di Matteo Renzi riporterà in gloria il berlusconismo, lei che la medesima caduta le restituirà una sinistra pensosa. Noi che li raggiungiamo siamo elettori più disillusi, per niente ideologici, però il derby è inevitabile: l’abbrivio era quello, il resto una conseguenza dall’antipasto all’ammazzacaffè, e con toni così costruttivi che in paragone un duello Salvini-De Luca passerebbe per un seminario a Tubinga. 

Non è che siamo partiti piano: subito accuse di cecità, dabbenaggine, demenza senile, e per usare qui sinonimi pubblicabili. Ci si è lasciati in una fase di tregua, con la promessa che ci saremmo rivisti soltanto a referendum celebrato, anche se lo sconfitto probabilmente avrà ancora molto da ridire.

Ecco che cosa è diventata questa campagna elettorale: non soltanto lo sciagurato e avvilente spettacolo dei talk show, ma quello ben più misero delle nostre vite private. Abbiamo ritrovato i più scorrevoli terreni di scontro, la perfetta polarizzazione, bianco o nero: abolito il terzismo. E così che la coppia di amici ha imprevedibilmente siglato il suo piccolo patto Molotov-Ribbentrop, e così che gente più contenuta ha riscoperto il gusto dell’irriducibile partigianeria. O di qui o di là, come diceva una trasmissione televisiva di Pialuisa Bianco di oltre venti anni fa, al tempo in cui la nuova legge elettorale maggioritaria ci aveva sottratto il voto da palla buttata in corner per obbligarci a quello manicheo, irrimediabile, destra o sinistra, e soprattutto con Berlusconi o contro Berlusconi, l’uomo attorno a cui sono ruotati i destini dei nostri rapporti parentali e amicali. E finché la consunzione del Cav non ci aveva di nuovo liberati dalla logica del ring. 

 Macché, ecco Renzi e siamo punto e capo, bene assoluto contro male assoluto perché dire «Renzi non è male» procura accuse di mercenarismo e leccapiedismo, mentre dire «Renzi non mi convince» equivale a essere sfascisti e populisti. Andate a vedere che cosa succede sui social: vecchi amici o alleati che rompono i rapporti, speriamo momentaneamente, attraverso reciproche e violentissime denigrazioni. E’ il nostro giardino di casa: nei giorni della morte di Claudio Pavone, che per primo a sinistra definì civile la guerra di liberazione, provocando una nuova guerra civile, viene da pensare che la guerra civile è sempre, come lo fu su Craxi e su Berlusconi, e così ancora, escludendo che l’avversario, e cioè il commensale, il collega, il vicino di casa, abbia motivazioni meno che meschine.

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Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/12/03/cultura/opinioni/editoriali/se-col-referendum-tornano-guelfi-e-ghibellini-LbeDS49UtEJupxV16VMYHJ/pagina.html
6019  Forum Pubblico / L'ITALIA DEMOCRATICA e INDIPENDENTE è in PERICOLO. / Pop. Vicenza: Cda, da ex vertici danni per centinaia di milioni inserito:: Dicembre 05, 2016, 04:30:14 pm
Pop. Vicenza: Cda, da ex vertici danni per centinaia di milioni

    3 dicembre 2016

Il patrimonio della Popolare di Vicenza ha subito danni nell'ordine di “diverse centinaia di milioni” per gli investimenti nei fondi Athena e Optimum e per le politiche creditizie messe in atto dai vecchi vertici. A scriverlo, nero su bianco, in vista dell'assemblea del 16 dicembre chiamata a votare l'azione di responsabilità, il nuovo consiglio di amministrazione dell'istituto, presieduto da Gianni Mion. Nella relazione per l'assemblea viene spiegato anche che “la quantificazione di tale danno andrà verosimilmente incrementandosi in sede giudiziale, tenuto conto sia del danno potenziale sia dell'ingente danno reputazionale subito dalla Banca, che ha determinato la grave perdita di raccolta dalla clientela”.

Dall'analisi svolta dall'attuale Cda della Banca Popolare di Vicenza sono emerse «gravi e reiterate irregolarità nella gestione dei rischi connessi all'erogazione del credito, riconducibili a una valutazione spesso incompleta, superficiale o erronea» e da imputare a chi ha governato la banca tra gennaio 2013 e maggio 2015.

    In primo piano 10 novembre 2016

L’assemblea di Pop. Vicenza voterà azione di responsabilità
Nel mirino di Mion e degli altri consiglieri ci sono «ex direttori generali e di ex vice direttori generali, di ex amministratori esecutivi e non esecutivi (incluso il Presidente del Consiglio di Amministrazione), nonché di ex sindaci, in carica fino al maggio dello scorso anno»; si tratta, in pratica, dell'ultimo triennio della gestione di Gianni Zonin e dell'ex dg Samuele Sorato.

La banca, in questo primo momento, si é concentrata sugli investimenti nei Fondi Athena Capital Balanced Fund e Optimum Evolution Multistrategy I-II, le erogazioni di finanziamenti a soggetti privi di merito creditizio o senza garanzie, violazioni e carenze riferibili all'ex direzione generale e a ex amministratori. Sarà poi possibile anche un'estensione del perimetro delle contestazioni ai vecchi vertici, anche a seguito delle indagini della magistratura, che consentiranno “senza ombra di dubbio integrare il quadro degli illeciti a fondamento della domanda risarcitoria”.

Ma le richieste potrebbero allargarsi anche alla società di revisione Kpmg: “la natura delle violazioni sin qui emerse - si legge nel documento - lascia già intravedere possibili profili di responsabilità anche in capo alla società all'epoca incaricata della revisione legale dei conti, Kpmg, nonché nei confronti delle persone che hanno collaborato nella revisione”.

© Riproduzione riservata

Da - http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2016-12-03/popvicenza-cda-ex-vertici-danni-centinaia-milioni-140656.shtml?uuid=ADXYwq6B
6020  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Hanno vinto veri poteri forti (non quelli paventati dai nani politico-economici inserito:: Dicembre 05, 2016, 04:26:06 pm

Hanno vinto i veri poteri forti (non quelli paventati dai nani politico-economici anti-renziani di casa nostra) che stanno da anni assaporando pezzi d’Italia economica per arrivare, grazie ai "vincitori" di oggi, a sottometterci anche politicamente (è un fardello storico il nostro essere appetiti da stranieri). Ciaooo

Da FB del 05/21 in Arlecchino
6021  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Renzi ha perso con il 40% di consensi. L'assenteismo è in declino ... inserito:: Dicembre 05, 2016, 10:05:48 am
Con questi due elementi si può ragionare sul punto di oggi.

Oggi il Movimento 5Stelle si prepara a governare (d'obbligo gli scongiuri anche quelli volgari se funzionano).

La Lega pensa al come conservare il potere locale, dove può (dicendo che il CentroDestra non esiste se non come Polo).

Il PD deve ammorbidire, subito, le carni indigeste e dure del suo attuale spezzatino, per farne (dopo averlo tritato) una compatta polpetta o carne da ragù.

La stupidità di molti la si vedrà maramaldeggiare, per un poco di tempo, sopra il corpo politico del Renzi ferito.
Poi dipende da Renzi se perire (sempre politicamente) o esprimere meglio cosa ne vuol fare del consenso che ha saputo raccogliere, malgrado errori di gioventù.

Noi dell'Ulivo potremmo riproporre le tesi Prodiane RIVISTE E AGGIORNATE, e mantenere la serenità di chi ha buone idee,
... che non sono state ancora comprese da chi ne avrebbe un gran bisogno, gli Italiani.

ciaooooooo 

6022  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Fabio di Vizio è sostituto procuratore presso il tribunale di Pistoia inserito:: Dicembre 02, 2016, 06:45:52 pm
Ti segnaliamo questo nuovo intervento pubblicato sul sito:

Penale tributario, la riforma taglia i processi di oltre il 40%

   Di Fabio Di Vizio*

Ad oltre un anno dal varo della riforma dell’ordinamento penale tributario, relativa, tra l’altro, all’abuso del diritto ed al sistema sanzionatorio, vi sono le condizioni per riconoscerne gli effetti più significativi. Di sicuro, si è registrato un consistente ridimensionamento del numero dei processi per evasione, in parte a causa del rilevante innalzamento delle soglie di punibilità di molti reati fiscali dichiarativi e da omesso versamento (nel caso dell’IVA quintuplicate), in parte per la depenalizzazione dell’abuso del diritto e la modifica della nozione di imposta evasa ai fini dell’infedele dichiarazione. Riduzione che, secondo l’esperienza di alcuni degli uffici giudiziari maggiormente impegnati nel settore, non si ritiene lontano dal vero possa quantificarsi in una quota di almeno il 40 per cento dei procedimenti in fase di indagine e dei processi di trattazione dibattimentale, non compensata dall’attesa espansione dei casi di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, fattispecie penale alla prova dei fatti non ancora capace di individuare una sfera di certa e consistente espressione.
Il rilevante impatto prodotto emerge da una puntuale rassegna dell’insegnamento di circa cento pronunce della Corte di Cassazione in materia di reati tributari intervenute nel biennio 2015-2016. (Vai a documentazione).
Nel dettaglio viene analizzata la risposta della giurisprudenza della Suprema Corte agli interventi riformatori, connessi all’entrata in vigore dell’articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212 («Disciplina dell'abuso del diritto o elusione fiscale») e del decreto legislativo 24 settembre 2015 n. 158 sulla «revisione del sistema sanzionatorio», momenti più significativi del processo di attuazione della delega fiscale (Legge 11 marzo 2014 n. 23).
Una revisione diretta, secondo i propositi, a mitigare e ridurre l’interesse penale per fatti stimati privi di fraudolenza, ma anche ad inasprirlo per quelli provvisti di attitudine decettiva più intensa e definita. Da un lato, infatti, l’infedeltà dichiarativa della fattispecie prevista dall’articolo 4 del d.lgs. n. 74/2000 è venuta smagrendosi, restando concentrata su profili esclusivamente oggettivi e materiali, nel quadro di un generale innalzamento delle soglie di irrilevanza penale degli imponibili e delle imposte evase per i reati a minor tasso di frode (artt. 4, 5, 10-bis, 10-ter del d.lgs. n. 74/2000) e dell’introduzione per essi di un peculiare regime di non punibilità connesso al pagamento tempestivo o spontaneo del debito erariale. Dall’altro, risultano ampliati, almeno in termini di tipicità astratta, i confini oggettivi delle fattispecie dichiarative storicamente caratterizzate da maggior fraudolenza (articoli 2 e 3 del d.lgs. n. 74/2000), essendo stata resa più severa la risposta sanzionatoria altresì per le compensazioni indebite provviste di maggiore insidiosità (art. 10-quater del d.lgs. n. 74/2000), l’occultamento o la distruzione dei documenti contabili (art. 10 del d.lgs. n. 74/2000), accompagnata dall’introduzione della innovativa circostanza ad effetto speciale, connessa al contributo del consulente fiscale che elabori o commercializzi modelli di evasione.
In tale quadro, di grande significato è risultato, né poteva esser diversamente, lo sforzo interpretativo della Corte di Cassazione, impegnata sia nella valutazione dell’impatto delle innovazioni poste dalla revisione normativa intervenuta – esse stesse in parte non trascurabile reattive rispetto ad approdi giurisprudenziali più o meno solidi e graditi – sia nello schiarimento di principi ed indicazioni già espresse ma di non sempre agevole applicazione in una materia in cui il contenzioso cautelare reale sta assumendo centralità sempre più estesa, non fosse altro che per la difficoltà di trovare una soluzione generalmente condivisa rispetto ai nodi fondamentali dello statuto della prescrizione; essa stessa premessa di qualsiasi duratura riforma nella materia.
Nell’esposizione, dunque, vengono illustrati in termini strettamente ricognitivi gli approdi più recenti della Corte cui l’ordinamento affida la funzione nomofilattica, avendo riguardo, essenzialmente, a quelli emersi poco prima del profilarsi della revisione normativa e sino ai giorni di redazione della rassegna, senza mancare di ripercorrere il più ampio iter argomentativo nella conferma degli orientamenti già affiorati o nell’indicazione di nuovi principi di diritto. In ciò nutrendo l’aspirazione ad offrire un contributo “ragionato”, per quanto puntiforme, senza pretesa di esaustività ma con la speranza di facilitare un’utile consultazione dello stato della riflessione sulle tematiche più complesse e vive dell’esperienza giudiziaria.
La rassegna, attraverso le sentenze della Suprema Corte, analizza gli effetti delle riforme sia in relazione alle questioni di diritto sostanziale che quelle di diritto processuale. In particolare, temi di diritto sostanziale hanno riguardo, tra l’altro, le nuove soglie di punibilità, delle quali viene analizzata la natura, il rapporto con il dolo e l’incidenza sul trattamento sanzionatorio. Relativamente alla dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ed omessa dichiarazione ci si sofferma sull’inesistenza soggettiva delle operazioni ai fini Iva, sul dolo specifico e finalità extraevasive nonché sulla inconfigurabilità del tentativo di evasione; relativamente alla dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e dichiarazione infedele viene analizzata l’inconfigurabilità del reato di dichiarazione infedele in presenza di condotte puramente elusive ai fini fiscali e l’applicazione residuale dell’istituto dell’abuso del diritto. Per quanto riguarda l’occultamento o distruzione di documenti contabili si esaminano le ragioni dell’inconfigurabilità del reato in caso di mancata istituzione della contabilità, della rilevanza della indisponibilità temporanea della documentazione e dell’integrazione del delitto per le fatture passive e attive della società cartiera. Vengono poi analizzati gli effetti delle novità introdotte in materia di omesso versamento di ritenute certificate e di Iva, in materia di indebita compensazione, di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.
Relativamente alle posizioni soggettive nei reati tributari ci si sofferma sul liquidatore, sull’amministratore di fatto, sul prestanome, sul socio amministratore di Snc, sul consulente e sul professionista. La rassegna, inoltre, affronta, sempre secondo l’angolo prospettico delle pronunce della Cassazione, i temi della circostanza attenuante del pagamento del debito tributario, della prescrizione delle grandi frodi Iva, delle cause di non punibilità per i reati tributari e dei limiti dell’efficacia estintiva dello scudo fiscale.
Quanto invece alle questioni di diritto processuale vengono ripercorse le regole probatorie, gli effetti sul processo penale della nullità dell’avviso di accertamento sottoscritto da funzionario carente di potere, le problematiche poste dall’innalzamento delle soglie, i sequestri e le confische, il profitto dei reati tributari, l’utilizzabilità del processo verbale di constatazione e il ruolo del personale dell’Agenzia delle Entrate.
Si tratta di un quadro di esperienze giurisprudenziali vastissimo che pone in rilievo come le commendevoli aspirazioni del legislatore della riforma di combattere le frodi autentiche, senza criminalizzare gli errori di valutazione e di qualificazione giuridica, alla prova dei fatti rischi di scontrarsi contro un ricorso da parte di non rari contribuenti ad errori competenti ed avveduti, solo apparentemente involontari. Non si evade, infatti, solo per errore o per ignoranza.
Non solo ma la decisa spinta a rinforzare la certezza giuridica del trattamento fiscale delle espressioni della capacità contributiva, utile per la definizione di un quadro propizio per l’ingresso, l’emersione e l’investimento di risorse finanziarie nell’economia nazionale, deve fare i conti con un sistema che, secondo l’autorevole insegnamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cfr. la recente sentenza n. 22474/2016), non può ammettere anche l’irrilevanza penale degli enunciati valutativi nell’esposizione dei bilanci, in presenza di consapevoli ed ingiustificati disallineamenti dai criteri di valutazione normativamente fissati o dai criteri tecnici generalmente accettati. A fronte del rischio di dichiarazioni fiscali infarcite di consapevoli valutazioni erronee penalmente irrilevanti per dimensionare ad libitum il reddito deve riconoscersi, ancora una volta, alla giurisprudenza il merito di aver saputo frapporre l’argine della persistente punibilità dei bilanci infarciti di valutazioni false ed irragionevoli.
Quanto possa giovarsene, con la certezza, la salute e l’equità del sistema tributario resta dato, in ogni caso, allo stato privo di soluzioni indiscutibili. Ma può predirsi che la riflessione giurisprudenziale non mancherà di continuare ad offrire un apporto centrale nell’individuazione delle regole eque e certe e che è anche dall’affinarsi della prima che potrà provenire più intenso conforto all’esigenza di effectiveness of the regulatory system. Del resto, con le parole del celebre Autore, «il processo serve al diritto come il diritto serve al processo».

* Fabio di Vizio è sostituto procuratore presso il tribunale di Pistoia

6023  Forum Pubblico / ARTE - Letteratura - Poesia - Teatro - Cinema e altre Muse. / Montale È ancora possibile la poesia inserito:: Dicembre 02, 2016, 06:42:13 pm
Montale
È ancora possibile la poesia

II premio Nobel è giunto al suo settantacinquesimo turno, se non sono male informato. E se molti sono gli scienziati e gli scrittori che hanno meritato questo prestigioso riconoscimento, assai minore è il numero dei superstiti che vivono e lavorano ancora. Alcuni di essi sono presenti qui e ad essi va il mio saluto e il mio augurio. Secondo opinioni assai diffuse, opera di aruspici non sempre attendibili, in questo anno o negli anni che possono dirsi imminenti il mondo intero (o almeno quella parte del mondo che può dirsi civilizzata) conoscerebbe una svolta storica di proporzioni colossali. Non si tratta ovviamente di una svolta escatologica, della fine dell'uomo stesso, ma dell'avvento di una nuova armonia sociale di cui esistono presentimenti solo nei vasti domini dell'Utopia. Alla scadenza dell'evento il premio Nobel sarà centenario e solo allora potrà farsi un completo bilancio di quanto la Fondazione Nobel e il connesso Premio abbiano contribuito al formarsi di un nuovo sistema di vita communitaria, sia esso quello de Benessere o del Malessere universale, ma di tale portata da mettere fine, almeno per molti secoli, alla multisecolare diatriba sul significato della vita. Intendo riferirmi alla vita dell'uomo e non alla apparizione degli aminoacidi che risale a qualche miliardo d'anni, sostanze che hanno reso possibili l'apparizione dell'uomo e forse già ne contenevano il progetto. E in questo caso come è lungo il passo del deus absconditus! Ma non intendo divagare e mi chiedo se è giustificata la convinzione che lo statuto del premio Nobel sottende; e cioè che le scienze, non tutte sullo stesso piano, e le opere letterarie abbiano contribuito a diffondere o a difendere nuovi valori in senso ampio «umanistici». La risposta è certamente positiva. Sarebbe lungo l'elenco dei nomi di coloro che avendo dato qualcosa all'umanità hanno ottenuto l'ambito riconoscimento del premio Nobel. Ma infinitamente più lungo e praticamente impossibile a identificarsi la legione, l'esercito di coloro che lavorano per l'umanità in infiniti modi anche senza rendersene conto e che non aspirano mai ad alcun possibile premio perché non hanno scritto opere, atti e comunicazioni accademiche e mai hanno pensato di «far gemere i torchi» come dice un diffuso luogo comune. Esiste certamente un exercito di anime pure, immacolate, e questo è l'ostacolo (certo insuffiente) al diffondersi di quello spirito utilitario che in varie gamme si spinge fino alla corruzione, al delitto e ad ogni forma di violenza e di intolleranza. Gli accademici di Stoccolma hanno detto più volte no all'intolleranza, al fanatismo crudele, e a quello spirito persecutorio che anima spesso i forti contro i deboli, gli oppressori contro gli oppressi. Ciò riguarda particolarmente la scelta delle opere letterarie, opere che talvolta possono essere micidiali, ma non mai come quella bomba atomica che è il frutto più maturo dell'eterno albero del male.

Non insisto su questo tasto perché non sono né filosofo, né sociologo, né moralista.
Ho scritto poesie e per queste sono stato premiato, ma sono stato anche bibliotecario, traduttore, critico letterario e musicale e persine disoccupato per riconosciuta insufficienza di fedeltà a un regime che non poteva amare. Pochi giorni fa è venuta a trovarmi una giornalista straniera e mi ha chiesto: come ha distribuito tante attività così diverse? Tante ore alla poesia, tante alle traduzioni, tante all'attività impiegatizia e tante alla vita? Ho cercato di spiegarle che non si può pianificare una vita come si fa con un progetto industriale. Nel mondo c'è un largo spazio per l'inutile, e anzi uno dei pericoli del nostro tempo è quella mercificazione dell'inutile alla quale sono sensibili particolarmente i giovannissimi.

In ogni modo io sono qui perché ho scritto poesie, un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi titoli di nobiltà. Ma non è il solo, essendo la poesia una produzione o una malattia assolutamente endemica e incurabile.

Sono qui perché ho scritto poesie: sei volumi, oltre innumerevoli traduzioni e saggi critici. Hanno detto che è una produzione scarsa, forse supponendo che il poeta sia un produttore di mercanzie; le macchine debbono essere impiegate al massimo. Per fortuna la poesia non è una mercé. Essa è una entità di cui si sa assai poco, tanto che due filosofi tanto diversi come Croce storicista idealista e Gilson cattolico, sono d'accordo nel ritenere impossibile una storia della poesia. Per mio conto, se considero la poesia come un oggetto ritengo ch'essa sia nata dalla necessità di aggiungere un suono vocale (parola) ali martellamento delle prime musiche tribali. Solo molto più tardi parola e musica poterono scriversi in qualche modo e differenziarsi. Appare la poesia scritta, ma la comune parentela con la musica si fa sentire. La poesia tende a schiudersi in forme architettoniche sorgono i metri, le strofe, le così dette forme chiuse. Ancora nelle prime saghe nibelungiche e poi in quelle romanze, la vera materia della poesia è il suono. Ma non tarderà a sorgere con i poeti provenzali una poesia che si rivolge anche all'occhio. Lentamente la poesia si fa visiva perché dipinge immagini, ma è anche musicale: riunisce due arti in una. Naturalmente gli schemi formali erano larga parte della visibilità poetica. Dopo l'invenzione della stampa la poesia si fa verticale, non riempie del tutto lo spazio bianco, è ricca di « a capo » e di riprese. Anche certi vuoti hanno un valore. Ben diversa è la prosa che occupa tutto lo spazio e non da indicazioni sulla sua pronunziabilità. È a questo punto gli schemi metrici possono essere strumento ideale per l'arte del narrare, cioè per il romanzo. E'il caso di quello strumento narrativo che è l'ottava, forma che è già un fossile nel primo Ottocento malgrado la riuscita del Don Giovanni di Byron (poema rimasto interrotto a mezza strada). Ma verso la fine dell'Ottocento le forme chiuse della poesia non soddisfano più né l'occhio né l'orecchio. Analoga osservazione può farsi per il Blank verse inglese e per l'endecasillabo sciolto italiano. E nel frattempo fa grandi passi la disgregazione del naturalismo ed è immediato il contraccolpo nell'arte pittorica. Così con un lungo processo, che sarebbe troppo lungo descrivere, si giunge alla conclusione che non si può riprodurre il vero, gli oggetti reali, creando così inutili dopponioni; ma si espongono in vitro, o anche al naturale, gli oggetti o le figure di cui Caravaggio o Rembrandt avrebbero presentato un facsimile, un capolavaro. Alla grande mostra di Venezia anni fa era esposto il ritratto di un mongoloide: era un argomento très dègoûtant, ma perché no? L'arte può giustificare tutto. Sennonché avvicinandosi ci si accorgeva che non di un ritratto si trattava, ma dell'infelice in carne ed ossa. L'esperimento fu poi interrotto manu militari, ma in sede strettamente teorica era pienamente giustificato. Già da anni critici che occupano cattedre universitarie predicavano la necessità assoluta della morte dell'arte, in attesa non si sa di quale palingenesi o resurrezione di cui non s'intravvedono i segni.

Quali conclusioni possono trarsi da fatti simili? Evidentemente le arti, tutte le arti visuali, stanno democraticizzandosi nel senso peggiore della parola. L'arte è produzione di oggetti di consumo, da usarsi e da buttarsi via in attesa di un nuovo mondo nel quale l'uomo sia riuscito a liberarsi di tutto, anche della propria coscienza. L'esempio che ho portato potrebbe estendersi alla musica esclusivamente rumoristica e indifferenziata che si ascolta nei luoghi dove milioni di giovani si radunano per esorcizzare l'orrore della loro solitudine. Ma perché oggi più che mai l'uomo civilizzato è giunto ad avere orrore di se stesso?

Ovviamente prevedo le obiezioni. Non bisogna confondere le malattie sociali, che forse sono sempre esistite ma erano poco note perché gli antichi mezzi di communicazione non permettevano di conoscere e diagnosticare la malattia. Ma fa impressione il fatto che una sorta di generale millenarismo si accompagni a un sempre più diffuso comfort, il fatto che il benessere (là dove esiste, cioè in limitati spazi della terra) abbia i lividi connotati della disperazione. Sotto lo sfondo così cupo dell'attuale civiltà del benessere anche le arti tendono a confondersi, a smarrire la loro identità. Le comunicazioni di massa, la radio e soprattutto la televisione, hanno tentato non senza successo di annientare ogni possibilità di solitudine e di riflessione. Il tempo si fa più veloce, opere di pochi anni fa sembrano «datate» e il bisogno che l'artista ha di farsi ascoltare prima o poi diventa bisogno spasmodico dell'attuale, dell'immediato. Di qui l'arte nuova del nostro tempo che è lo spettacolo, un'esibizione non necessariamente teatrale a cui concorrono i rudimenti di ogni arte e che opera sorta di massaggio psichico sullo spettatore o ascoltatore o lettore che sia. Il deus ex machina di questo nuovo coacervo è il regista. Il suo scopo non è solo quello di coordinare gli allestimenti scenici, ma di fornire intenzioni a opere che non ne hanno o ne hanno avute altre. C'è una grande sterilità in tutto questo, un'immensa sfiducia nella vita. In tale paesaggio di esibizionismo isterico quale può essere il posto della più discreta delle arti, la poesia? La poesia così detta lirica è opera, frutto di solitudine e di accumulazione. Lo è ancora oggi ma in casi piusosto limitati. Abbiamo però casi più numerosi in cui il sedicente poeta si inette al passo coi nuovi tempi. La poesia si fa allora acustica e visiva. Le parole schizzano in tutte le direzioni come l'esplosione di una granata, non esiste un vero significato, ma un terremoto verbale con molti epicentri. La decifrazione non è necessaria, in molti casi può soccorrere l'aiuto dello psicanalista. Prevalendo l'aspetto visivo la poesia è anche traducibile e questo è un fatto nuovo nella storia dell'estetica. Ciò non vuoi dire che i nuovi poeti siano schizoidi. Alcuni possono scrivere prose classicamente tradizionali e pseudo versi privi di ogni senso. C'è anche una poesia scritta per essere urlata in una piazza davanti a una folla entusiasta. Giò avviene soprattutto nei paesi dove vigono regimi autoritari. E simili atleti del vocalismo poetico non sempre sono sprovveduti di talento. Citerò un caso e mi scuso se è anche un caso che ini riguarda personalmente. Ma il fatto, se è vero, dimostra che ormai esistono in coabitazione due poesie, una delle quali è di consumo immediato e muore appena è espressa, mentre l'altra può dormire i suoi sonni tranquilla. Un giorno si risveglierà, se avrà la forza di farlo.

La vera poesia è simile a certi quadri di cui si ignora il proprietario e che solo qualche iniziato conosce. Comunque la poesia non vive solo nei libri o nelle antologie scolastiche. Il poeta ignora e spesso ignorerà sempre il suo vero destinatario. Faccio un piccolo esempio personale. Negli archivi dei giornali italiani si trovano necrologi di uomini tuttora viventi e operanti. Si chiamano coccodrilli. Pochi anni fa al Corriere della Sera io scopersi il mio coccodrillo firmato da Taulero Zulberti, critico, traduttore e poliglotta. Egli affermava che il grande poeta Majakovskij avendo letto una o più mie poesie tradotte in lingua russa avrebbe detto: « Ecco un poeta che mi piace. Vorrei poterlo leggere in italiano ». L'episodio non è inverosimile. I miei primi versi cominciarono a circolare nel 1925 e Majakovskij (che viaggiò anche in America e altrove) morì suicida nel 1930.

Majakovskij era un poeta al pantografo, al megafono. Se ha pronunziate tali parole posso dire che quelle mie poesie avevano trovato, per vie distorte e imprevedibili, il loro destinano.

Non si credo però che io abbia un'idea solipsistica della poesia. L'idea di scrivere per i così detti happy few non è mai stata la mia. In realtè l'arte è sempre per tutti e per nessuno. Ma quel che resta imprevedibile è il suo vero begetter, il suo destinano. L'arte-spettacolo, l'arte di massa, l'arte che vuole produrre una sorta di massaggio fisico-psichico su un ipotetico fruitore ha dinanzi a sé infinite strade perché la popolazione del mondo è in continuo aumento. Ma il suo limite è il vuoto assoluto. Si può incorniciare ed esporre un paio di pantofole (io stesso ho visto così ridotte le mie), ma non si può esporre sotto vetro un paesaggio, un lago o qualsiasi grande spettacolo naturale.

La poesia lirica ha certamente rotto le sue barriere. C'è poesia anche nella prosa, in tutta la grande prosa non meramente utilitaria o didascalica: esistono poeti che scrivono in prosa o almeno in più o meno apparente prosa; milioni di poeti scrivono versi che non hanno nessun rapporto con la poesia. Ma questo significa poco o nulla. Il mondo è in crescita, quale sarà il suo avvenire non può dirlo nessuno. Ma non è credible che la cultura di massa per il suo carattere effimero e fatiscente non produca, per necessario contraccolpo, una cultura che sia anche argine e riflessione. Possiamo tutti collaborare a questo futuro. Ma la vita dell'uomo è breve e la vita del mondo può essere quasi infinitamente lunga.

Avevo pensato di dare al mio breve discorso questo titolo: potrà sopravvivere la poesia nell'universo delle comunicazioni di massa? E' ciò che molti si chiedono, ma a ben riflettere la risposta non può essere che affermativa. Se s'intende per la così detta belletristica è chiaro che la produzione mondiale andrà crescendo a dismisura. Se invece ci limitiamo a quella che rifiuta con orrore il termine di produzione, quella che sorge quasi per miracolo e sembra imbalsamare tutta un'epoca e tutta una situazione linguistica e culturale, allora bisogna dire che non c'è morte possibile per la poesia.

E' stato osservato più volte che il contraccolpo del linguaggio poetico su quello prosastico può essere considerato un colpo di sferza decisivo. Stranamente la Commedia di Dante non ha prodotto una prosa di quell'altezza creativa o lo ha fatto dopo secoli. Ma se studiate la prosa francese prima e dopo la scuola di Ronsard, la Plèiade, vi accorgerete che la prosa francese ha perduto quella mollezza per la quale era giudicata tanto inferiore alle lingue classiche ed ha compiuto un vero salto di maturità. L'effetto è stato curioso. La Plèiade non produce raccolte di poesie omogenee come quelle del Dolce stil nuovo italiano (che è certo una delle sue fonti), ma ci da di tanto in tanto veri « pezzi di antiquariato » che andranno a far parte di un possibile museo immaginario della poesia. Si tratta di un gusto che si direbbe neogreco e che secoli dopo il Parnasse tenterà invano di eguagliare. Ciò prova che la grande lirica può morire, rinascere, rimorire, ma resterà sempre una delle vette dell'anima umana. Vogliamo rileggere insieme un canto di Joachim Du Bellay. Questo poeta, nato nel 1522 e morto a soli trentacinque anni, era nipote di un cardinale presso il quale visse a Roma qualche anno riportando profondo disgusto per la corruzione della corte pontifica. Du Bellay ha scritto molto, imitando più o meno felicemente i poeti della tradizione petrarchista. Ma la poesia (forse scritta a Roma), ispirata da versi latini del Navagero, che raccomanda la sua fama, è frutto di una dolorosa nostalgia per le campagne della dolce Loira da lui abbandonate. Da Sainte-Beuve fino a Walter Pater, che dedicò a Joachim un profilo memorabile, la breve Odelette des vanneurs de blé è entrata nel repertorio della poesia mondiale. Proviamo a rileggerla se questo è possibile, perché si tratta di una poesia in cui l'occhio ha la sua parte.

    A vous troppe legere,
    qui d'aele passagere
    par le monde volez,
    et d'un sifflant murmure l'ombrageuse verdure doulcement esbranlez,

    j'offre ces violettes,
    ces lis et ces fleurettes,
    et ces roses icy,
    ces vermeillettes roses,
    tout freschement écloses,
    et ces oeilletz aussi.

    De vostre doulce halaine
    eventez ceste plaine,
    eventez ce sejour,
    ce pendant que j'ahanne
    a mon blé, que je vanne
    a la chaleur du jour.

Non so se questa Odelette sia stata scritta a Roma come intermezzo nel disbrigo di noiose pratiche d'ufficio. Essa deve a Patter la sua attuale sopravvivenza. A distanza di secoli una poesia può trovare il suo interprete.

Ma ora per concludere debbo una risposta alla domanda che ha dato un titolo a questo breve discorso. Nella attuale civiltà consumistica che vede affacciarsi alla storia nuove nazioni e nuovi linguaggi, nella civiltà dell'uomo robot, quale può essere la sorte della poesia? Le risposte potrebbero essere molte. La poesia è l'arte tecnicamente alla portata di tutti: basta un foglio di carta e una matita e il gioco è fatto. Solo in un secondo momento sorgono i problemi della stampa e della diffusione. L'incendio della Biblioteca di Alessandria ha distrutto tre quarti della letteratura greca. Oggi nemmeno un incendio universale potrebbe far sparire la torrenziale produzione poetica dei nostri giorni. Ma si tratta appunto di produzione, cioè di manufatti soggetti alle leggi del gusto e della moda. Che l'orto delle Muse possa essere devastato da grandi tempeste è, più che probabile, certo. Ma mi pare altrettanto certo che molta carta stampata e molti libri di poesia debbano resistere al tempo.

Diversa è la questione se ci si riferisce alla reviviscenza spirituale di un vecchio testo poetico, il suo rifarsi attuale, il suo dischiudersi a nuove interpreta-zioni. E infine testa sempre dubbioso in quali limiti e confini ci si muove parlando di poesia. Molta poesia d'oggi si esprime in prosa. Molti versi d'oggi sono prosa e cattiva prosa. L'arte narrativa, il romanzo, da Murasaki a Proust ha prodotto grandi opere di poesia. El il teatro? Molte storie letterarie non se ne occupano nemmeno, sia pure estrapolando alcuni geni che formano un capitolo a parte. Inoltre: come si spiega il fatto che l'antica poesia cinese resiste a tutte le traduzioni mentre la poesia europea è incatenata al suo linguaggio originale? Forse il fenomeno si spiega col fatto che noi crediamo di leggere Po Chü-i e leggiamo invece il meraviglioso contraffattore Arthur Waley? Si potrebbero moltiplicare le domande con l'unico risultato che non solo la poesia, ma tutto il mondo dell'espressione artistica o sedicente tale è entrato in una crisi che è strettamente legata alla condizione umana, al nostro esistere di esseri umani, alla nostra certezza o illusione di crederci esseri privilegiati, i soli che si credono padroni della loro sorte e depositari di un destino che nessun'altra creatura vivente può vantare. Inutile dunque chiedersi quale sarà il destino delle arti. E' come chiedersi se l'uomo di domani, di un domani magari lon-tanissimo, potrà risolvere le tragiche contraddizioni in cui si dibatte fin dal primo giorno della Creazione (e se di un tale giorno, che può essere un'epoca sterminata, possa ancora parlarsi).

From Les Prix Nobel en 1975, Editor Wilhelm Odelberg, [Nobel Foundation], Stockholm, 1976

Da - http://www.nobelprize.org/nobel_prizes/literature/laureates/1975/montale-lecture-i.html
6024  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FABIO MARTINI. Il Censis e l’Italia di Renzi: “Governo e società, due populismi inserito:: Dicembre 02, 2016, 06:38:38 pm

Il Censis e l’Italia di Renzi: “Governo e società, due populismi contrapposti”
Il ritratto del Paese nel cinquantesimo Rapporto sulla salute sociale: grande «divaricazione» tra governo e corpo sociale

Pubblicato il 02/12/2016
Ultima modifica il 02/12/2016 alle ore 11:23
Fabio Martini
Roma

Sostiene il Censis nel suo cinquantesimo Rapporto sulla salute sociale del Paese: l’Italia contemporanea, l’Italia di Matteo Renzi, vive il suo problema più serio nella «divaricazione» tra il governo e il corpo sociale, entrambi impegnati in una rincorsa populista, con una «reciproca delegittimazione» che finisce per accentuare la crisi più grave di tutte, quella delle istituzioni. Dall’Unità d’Italia in poi e per molti decenni proprio le istituzioni - dalla scuola ai carabinieri, dall’esercito ai Comuni, dall’alta burocrazia alla magistratura - hanno rappresentato la spina dorsale del Paese, ma oggi quei soggetti sono «inermi», «incapaci di svolgere il loro ruolo di cerniera», propensi a lasciare il campo agli altri due poli: potere politico e corpo sociale. 

Oramai da mezzo secolo il Censis e il suo animatore Giuseppe De Rita - una delle ultime autorità intellettuali del Paese - puntualmente ripropongono un affresco fuori dal coro, talvolta profetico sul mutare delle dinamiche sociali, politiche ed economiche di un Paese del quale sono stati sempre raccontati, oltre ai vizi, anche le potenzialità e le virtù nascoste. Nel Rapporto presentato quest’anno si racconta un nuovo, interessante fenomeno, l’emergere di una «seconda era del sommerso», «sostanzialmente diverso» da quello profilato e concettualizzato proprio dal Censis negli anni Settanta e fatto di tanti lavori nuovi, di un sommerso come «ricerca di più redditi», alimentati da occupazioni saltuarie, private, differenti da quelle che 40 anni fa fecero grande la piccola impresa italiana. 

E si racconta anche di un «rintanamento», ognuno a casa sua, della politica e del corpo sociale, due soggetti che «coltivano emozioni e ambizioni solo rimirandosi in se stessi». In mezzo «non vogliono sedi di potere» e neppure la «cerniera delle istituzioni» e dunque «si destinano a una congiunta alimentazione di populismo». Ma così - sostiene De Rita nelle sue “Considerazioni generali” - «la dialettica sociale si inceppa», «il potere politico e il corpo sociale non comunicano, coltivano il proprio destino in una sfida di reciproche delegittimazioni, prevalentemente mediatiche e intrise di rancoroso narcisismo». Di referendum De Rita non parla, ma le due Italie del Censis, pur non sovrapponibili a quelle del Sì e del No, vi somigliano molto.

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Da - http://www.lastampa.it/2016/12/02/italia/politica/il-censis-e-litalia-di-renzi-governo-e-societ-due-populismi-contrapposti-BSsbuyUBqft9TqArvixDbJ/pagina.html
6025  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Nerina Garofalo. Condivido la ricca riflessione di Giuseppe Genna, pur essendo, inserito:: Dicembre 02, 2016, 06:37:29 pm
Condivido la ricca riflessione di Giuseppe Genna, pur essendo, personalmente, decisa ad andare ad esprimere il mio sì-- e, in particolare, trovo meravigliosa la foto di corredo al testo, già ricchissimo di spunti

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Giuseppe Genna

"NON HAI NEMMENO ESPRESSO UN'OPINIONE SUL REFERENDUM, CHE INTELLETTUALE SEI?" Nel 1994 mi ritrovavo, in modo piuttosto dadaista e consono all'età, a lavorare come consulente a Montecitorio, con incarichi che andavano dall'organizzazione culturale presso la Camera dei Deputati allo studio e intercettazione di determinati nomi e giri umani ravvisabili nei 19 tomi degli atti della Commissione Anselmi sulla P2. Fu un anno tremendo e memorabile. Ebbi tantissima paura, subii furti sospetti nel microscopico bilocale in affitto a Milano. Vidi tante orripilanti evenienze grottesche e tragiche. Riguardai il crollo del governo Berlusconi in tempo reale. Mi trovavo ad aggirarmi per androni e sale storiche, corridoi di passi perduti e mense stratosferiche per deputati desiderosi di condimenti speziati. Appresi regolamenti, compresi i misteri della riunione dei capigruppo, certe alchimie parlamentari, il ruolo delle commissioni, la limitatezza e la limitazione, il fenomeno umano intriso di bizantinismo e inserito in una logica di potere astrusa e nondimeno spietata. Ho letto attentamente la proposta di riforma costituzionale che il governo avanza e che va giudicata dalla nazione di votanti. Potrei tranquillamente ignorare la cosa, in armonia con quanto è diventata la delega di rappresentanza e la partecipazione diretta a una democrazia che non è mai stata tale, a mio giudizio. Accenno qui qualche brandello di memoria e ragionamento, a uso di chi magari è interessato a sapere cosa pensi di questa modifica della Carta. Anzitutto sono sorpreso del fatto che non si ricordi abbastanza, nel corso del pubblico dibattito, che un referendum di modifica costituzionale lo abbiamo già affrontato, bocciando la proposta governativa, dieci anni orsono, nel 2006. Così pure non mi sembra sufficientemente ricordato come un ulteriore decennio prima, nel 1997, fu il premier D'Alema a ipotizzare un premierato forte. Detto ciò, appunto la mia attenzione a un unico aspetto della riforma, il che è ovviamente scorretto, poiché qui si parla di una modifica estesa e organica, che tocca 47 articoli della carta costituzionale. L'aspetto decisivo, a mio avviso, non ha nulla a che vedere con la personalizzazione o la storia attuale in cui matura questo referendum: non è questione di Renzi e non è questione delle ragioni occasionali di chi intende azzoppare l'attuale governo. Prescindo anche dalla logica che porterebbe alle per nulla necessarie dimissioni dell'attuale premier, in caso di sconfitta. Infine intendo ignorare il "combinato disposto" di riforma e legge elettorale, poiché su quest'ultima non si vota al referendum. A proposito di questa giunzione tra riforma costituzionale e legge elettorale, ravvedo nel 1993 le ragioni storiche dello scenario attuale, in cui si inserisce la variabile referendaria. Il 1993 è l'anno in cui colui, che oggi è presidente della Repubblica, elaborò un sistema misto, che rivoluzionava del tutto il pluridecennale strumento proporzionale con cui si era finiti a votare governi e governicchi, pentapartiti e astensioni, fino al momento terminale in cui si misurò quanto alla legge elettorale fosse legato un sistema di potere privo ormai di gambe, con la Democrazia Cristiana in crollo, tanto quanto il Partito Socialista di Craxi, mentre andava rivoluzionandosi nell'incertezza la granitica chiesa comunista, che virava verso una impura socialdemocrazia. Mutando il sistema elettorale, veniva evidenziandosi la divaricazione dell'assetto imposto da una carta costituzionale, pensata per reggere una situazione di composizione partitica che andava decomponendosi. Ciò non toglie che già in precedenza e, stando ai miei ricordi, con un forte intervento di Nilde Jotti, presidente della Camera dei deputati, uno dei vizi strutturali del sistema parlamentare veniva identificato con il bicameralismo perfetto, un appretto essenziale al controllo di eventuali insorgenze di stampo fascista o comunque vocato alla tirannide. Attraverso anni di capziose discussioni sottotraccia, a cui si aggiunge l'oblio generalizzato circa il funzionamento dello Stato democratico, si giunge a oggi. Il promotore principale del referendum, Matteo Renzi, il giorno stesso della sua elezione a segretario del Partito Democratico, rivolse alla principale forza di opposizione, il Movimento 5Stelle, un appello a lavorare assieme per l'abolizione del Senato o per la trasformazione in Camera delle autonomie. La proposta rimase priva di risposta. Si è giunti dunque al tentativo molto goffo di rimuovere il bicameralismo perfetto, poiché la proposta di riforma nasce da una compagine governativa ibrida, il che è dovuto ai risultati elettorali che hanno determinato un parlamento spaccato in tre compagini principali, con un via vai di transfughi impressionante. Già soltanto la contemplazione di una simile situazione determinerebbe un giudizio sulla macchina che governa una nazione. Se proprio dovessi votare, voterei "sì" per eliminare il bicameralismo perfetto, che a oggi è in pratica un unicum al mondo. Non mi preoccupala modifica delle attribuzioni riservate al presidente della Repubblica, che non prende autonomamente la decisione di sciogliere le Camere, ma lo fa dopo essersi consultato col premier. Ciò è logico, nel momento in cui il governo si appoggia quasi del tutto sulla vita politica in un'unica Camera. Non ritengo che si vada a un premierato forte al punto di preoccuparsi in vista di un'eventuale tirannide. Tuttavia non andrò a votare "sì" alla riforma, perché da decenni ravviso in questo Stato un dispositivo di abolizione della vita vivente politica. Non è soltanto questione antropologica, che per me rimane la zona principale di fallimento democratico; è anche questione di tecnicismi statuali fondamentali.
Non ho espresso la benché minima ragione politica intorno a quanto vedo di centrale in questo referendum: mi sono semplicemente espresso intorno a parametri e strutture che permettono alle ragioni politiche di esprimersi.

Da FB del 28/11/2016
Da Nerina Garofalo.
6026  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FABIO MARTINI. Prodi: “Una decisione sofferta. E Matteo dimentica l’Ulivo” inserito:: Dicembre 02, 2016, 06:28:55 pm
Prodi: “Una decisione sofferta. E Matteo dimentica l’Ulivo”
L’ex premier: correndo sotto i portici di Bologna ho pensato di dover parlare. Preoccupazione per la stabilità internazionale
Il 13 febbraio 1995 Romano Prodi lancia L’Ulivo, alleanza fra il centro e la sinistra. Alle elezioni politiche del 1996 L’Ulivo si afferma come coalizione vincitrice e Prodi viene nominato Presidente del Consiglio dei ministri

Pubblicato il 01/12/2016
FABIO MARTINI
ROMA

Il Professore sembra un uomo sollevato: «Sì, è stata una decisione sofferta. Certo, da tempo avevo deciso come votare, ma stamattina, correndo sotto i portici a Bologna, ho definitivamente maturato la convinzione che fosse giusto rendere pubblico il mio voto, anche se da diversi anni ormai non prendevo posizione su temi di politica italiana». Le prime parole di Romano Prodi, pronunciate poco dopo aver scritto la nota per le agenzie, restituiscono il background emotivo di una decisione sofferta, che gli è costata, ma che alla fine è stata liberatoria. Un endorsement per Renzi? La svolta a favore del Sì, che potrebbe ribaltare le sorti di una partita ancora in bilico? Le duemilaottocento battute scritte dal Professore per la sua nota pro-Sì sono un distillato di orgoglio, una rivendicazione della sua battaglia storica per «una democrazia decidente e bipolare», ma anche il più severo ritratto di Matteo Renzi che sia stato mai scritto da una personalità del centrosinistra. Al punto che, se gli si chiede se il suo Sì sia scandito a prescindere dal governo, Romano Prodi risponde con un monosillabo: «Sì».
 
Decisione «sofferta» quella del Professore: in questi anni il suo profilo di uomo padano, concreto, razionale è stato messo a dura prova da esperienze così originali da diventare proverbiali. Il Professore ha vinto per due volte le elezioni con un Berlusconi in pieno vigore politico e per due volte i governi guidati da Prodi sono stati mandati all'aria dai suoi stessi alleati. In lui hanno lasciato il segno i cinque, interminabili mesi trascorsi in solitudine a Palazzo Chigi da presidente dimissionario all’inizio del 2008; ma anche la «chiamata» di Pier Luigi Bersani che nel 2013 lo candidò (senza rete) alla Presidenza della Repubblica, senza «calcolare» il tradimento dei 101. E negli ultimi anni l’attuale presidente del Consiglio ha tenuto Prodi a distanza, in particolare nella vicenda della Libia, dove l’ex premier era stato invocato dalle fazioni locali come uomo di mediazione.
 
Certo, il rapporto tra Prodi e Renzi, formalmente mai intaccato, non è si è mai trasformato in amicizia. Ma neppure in ostilità. I due ogni tanto si parlano, l’ultima volta è stata due settimane fa in occasione del breve passaggio in Sardegna del presidente cinese Xi Jinping. Proprio perché il rapporto personale scorre lungo un binario a scartamento ridotto, ma scorre, nei giorni scorsi Prodi era infastidito dall’idea che qualcuno potesse interpretare il suo riserbo sul referendum come una forma di rancore verso Renzi. Dunque, non una questione personale verso Renzi, ma invece una forte riserva politica, che Prodi ha distillato nella sua nota con espressioni molto secche, rimproverando a Renzi una «leadership esclusiva, solitaria ed escludente», accusandolo di aver cancellato l’esperienza dell’Ulivo, «come se le cose cominciassero sempre da capo». E imputando al governo di aver gettato «il Paese nella rissa», con la stabilità, «inutilmente messa in gioco da un’improvvida sfida» e provocando «turbolenza qualsiasi sarà il risultato di questo referendum». Parole in cui si coglie l’eco di una forte preoccupazione per quello che potrebbe accadere all’Italia a livello internazionale e sui mercati. 
 
Romano Prodi e Arturo Parisi, l’«ideologo» del bipolarismo e dell’Ulivo si espongono per il Sì, spinti dalla paura che la vittoria del No possa riaprire la strada alla «palude» del proporzionale, al ritorno del Partito nella versione «decotta» dei post-comunisti. Ecco perché nella nota di Prodi c’è anche una stilettata per Massimo D’Alema: «C’è chi ha poi strumentalizzato» la storia dell’Ulivo, «rivendicando a sé il disegno che aveva contrastato».
 
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Da - http://www.lastampa.it/2016/12/01/italia/speciali/referendum-2016/prodi-una-decisione-sofferta-e-matteo-dimentica-lulivo-u5KtK5fMiuNifpiQofvNyM/pagina.html
6027  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Cinzia FICCO Vicker la piattaforma che permettere di scegliere professionisti inserito:: Dicembre 02, 2016, 06:27:57 pm
Interviste
Cinzia Ficco    @cinzia_ficco
· 19 novembre 2016

Vicker la piattaforma che permettere di scegliere il professionista che cerchiamo al compenso che vogliamo

Si tratta di una piattaforma che mette in contatto la domanda e l’offerta di prestazioni d’opera. E, cioè, chi non ha tempo o non è in grado di fare tante piccole attività quotidiane e chi offre la propria professionalità per sbrigare lavori di tutti i giorni

Vicker, dal sostantivo inglese victory: vittoria. Più nello specifico, un vittorioso, colui che supera una difficoltà.

Sta tutta in questa parola la loro storia, oltreché il nome del loro progetto.

Loro sono Matteo Cracco (30) di Valdagno, e Luca Menti, (34), di Cornedo, piccoli comuni in provincia di Vicenza, amici da dieci anni. A dicembre scorso hanno realizzato una piattaforma, operativa sotto forma di App e di portale (www.vicker.org). Vicker, appunto.

Matteo, appassionato di cinema, con il suo primo cortometraggio (Punto di vista), l’anno scorso ha vinto il Giffoni Film Festival. Luca, come cantante professionista, ha piazzato varie hit nel mercato europeo con grandi etichette discografiche. L’anno scorso, il desiderio di mettere in pausa il passato e cercare di utilizzare ciò che l’arte trasmette: la curiosità per le nuove avventure.

“Abbiamo cominciato a pensarci a luglio del 2015 – raccontano – in un momento in cui la nostra passione stentava a diventare un’attività redditizia. L’arte, purtroppo, in questo Paese non sempre premia il merito. Abbiamo deciso di reinventarci e dar vita ad un progetto completamente nuovo e stimolante. Forse, nel momento specifico, persino più utile. E non solo a noi”.

Vicker, nata grazie al sostegno di due imprenditori milanesi che hanno investito un milione di euro, è una piattaforma online, ma anche un’applicazione, scaricabile gratuitamente da smartphone e tablet, in cui è possibile scegliere il professionista che cerchiamo e al compenso che vogliamo.

“Si tratta di una piattaforma – afferma Luca – che mette in contatto la domanda e l’offerta di prestazioni d’opera. E, cioè, chi non ha tempo o non è in grado di fare tante piccole attività quotidiane e chi offre la propria professionalità per sbrigare lavori di tutti i giorni. Un idraulico, un aiuto per pulire la casa, un dog sitter, un aiuto compiti, uno chef a domicilio per la cena del sabato, un giardiniere, un tuttofare per svuotare la cantina, un parrucchiere, un’estetista. La gamma, come la fantasia dei nostri committenti, è infinita. Una volta c’era il vicino di casa, poi sono arrivate le Pagine Gialle, oggi ci potrebbe essere Vicker. Che, poi, è la prima piattaforma del settore ad essere stata riconosciuta e ad aver quindi ottenuto l’Autorizzazione dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali”.

“Abbiamo deciso di scommettere sulla digital economy, quella buona – aggiungono –  che genera opportunità di lavoro concrete, e provare a spazzare via il sottobosco dei cosiddetti lavoretti in nero, ridando dignità ai micro job, facendoli retribuire come si deve, tutelando i lavoratori ed ottenendo, così, una qualità del servizio più alta perché basata anche sulla soddisfazione di chi effettua la prestazione d’opera(che può essere anche un professionista con partita Iva) e dell’utente che la richiede attraverso la piattaforma”.

Ma come funziona Vicker? Il committente pubblica il suo annuncio, specificando, oltre a data e luogo, il compenso della prestazione (che includerà le spese per l’assicurazione, il sistema di pagamento e il margine di profitto che Vicker trattiene per sé) e che sarà visualizzato dai lavoratori al netto di ogni commissione. Non si potrà mai andare sotto i venti euro. La persona che ha richiesto il servizio sceglierà tra i vari lavoratori candidati per l’incarico in base ai profili e ai feedback lasciati dagli altri utenti. Il committente, con un sistema tracciato, pagherà la cifra pattuita, che verrà girata da Vicker al lavoratore, entro 48 ore dall’avvenuta prestazione, una volta accertato che il servizio sia stato ben eseguito.

“Per facilitare la vita al lavoratore – specifica Luca – la piattaforma fornisce anche la documentazione fiscale precompilata”

“Tutti i lavoratori vengono selezionati – fa sapere Matteo –  e assicurati. I pagamenti sono tracciati attraverso PayPal o carte di credito. Si impedisce così ogni forma di retribuzione in nero”.

La scorsa primavera Matteo e Luca sono stati invitati a presentare il loro progetto al Tech Crunch di New York, la manifestazione più importante al mondo per le start up. All’inizio di novembre i due amici erano al Web Summit di Lisbona.

“Continuiamo a cercare – concludono– altri investitori. Vorremmo espanderci entro qualche anno anche in Europa e, magari, negli Stati Uniti. Siamo orgogliosi di quello che siamo riusciti a creare: offrire piccole opportunità di lavoro in un momento difficile”.

Oggi Vicker può vantare oltre 40mila download e quasi duemila transazioni con il servizio, che è stato attivato subito nelle città di Roma e Vicenza, poi in quelle di Padova, Milano e Torino.

Dal 19 settembre scorso è anche possibile richiedere un servizio, oltre che tramite App iOS e Android, direttamente dal portale. Intanto è partita la campagna di reclutamento dei lavoratori a Bologna, con il patrocinio del Comune.

Da - http://www.unita.tv/interviste/vicker-la-piattaforma-che-permettere-di-scegliere-il-professionista-che-cerchiamo-al-compenso-che-vogliamo/
6028  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Referendum, il Financial Times. "Matteo Renzi dovrebbe restare al governo ... inserito:: Dicembre 02, 2016, 06:24:28 pm
Referendum, il Financial Times. "Matteo Renzi dovrebbe restare al governo anche se vincesse il No"

Financial Times
Pubblicato: 02/12/2016 10:32 CET Aggiornato: 50 minuti fa

Dopo il New York Times anche il Financial Times, con un editoriale pubblicato oggi, invita il premier a restare al suo posto anche in caso di successo del no al voto di domenica.

Il premier - rileva l'Ft - "ha calcato troppo la mano" scegliendo "di trasformare il referendum di Domenica sul cambiamento costituzionale in una prova della sua popolarità personale".Per questo, c'è "una forte possibilità che gli elettori respingano le proposte". Uno scenario negativo per molti aspetti, secondo il quotidiano della City. Se da un lato le riforme promosse da Renzi aiuterebbero l'Italia un loro fallimento "innescherebbe un periodo di instabilità politica che l'Italia, e l'Europa, non può permettersi.

Per l'Ft però Renzi ha qualcosa da offrire al suo paese e all'Europa" per far fronte a "tutti i suoi errori": restare al suo posto anche in caso di vittoria del No.

I rischi evidenziati dal Financial Times sono da un lato l'ascesa del Movimento 5 Stelle e della Lega, da un lato l'esposizione ad ulteriori vulnerabilità per il nostro settore bancario.

    Il rischio maggiore, tuttavia, potrebbe essere il danno a lungo termine. Renzi è stato un riformatore imperfetto, ma ha provato a tracciare un nuovo corso, mostrando al mondo che l'Italia è pronta a cambiare. Il premier è anche l'ultimo leader europeo a parlare in modo inequivocabile di libero commercio. Se il No vincesse, altri politici potrebbero ritenere questo tipo di politiche sono elettoralmente suicide: e in pochi tenteranno di riproporle. L'Italia sarà lasciata al massimo con governi tecnocratici ma poco ambiziosi. Gli investimenti diminuiranno e il declino a fuoco lento continuerà.

    È per questo che Renzi dovrebbe rimanere al suo posto, anche se gli elettori diranno no alle riforme a cui ha legato il suo futuro. (..) L'alternativa potrebbe essere il tipo di vuoto politico visto all'indomani del voto del Regno Unito sulla Brexit. Uno scenario che non può essere nell'interesse dell'Italia.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/02/referendum-financial-time_n_13364752.html?1480671141&utm_hp_ref=italy
6029  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / ROSARIA AMATO Censis, l'Italia bloccata non investe più. Giovani più poveri dei inserito:: Dicembre 02, 2016, 06:21:41 pm
Censis, l'Italia bloccata non investe più. Giovani più poveri dei loro nonni
Gli italiani tagliano su tutto ma non sulla comunicazione digitale
Il cinquantesimo Rapporto Annuale parla di un Paese che siede su una montagna di risparmi, 114 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva accumulati negli anni della crisi, ma non li spende per paura. E' l'Italia rentier, dove i giovani sono sempre più poveri e intrappolati nel giro infernale dei lavoretti a basso costo e bassa produttività. Si taglia su tutto ma è boom degli acquisti di computer e soprattutto di smartphone

Di ROSARIA AMATO
02 dicembre 2016

ROMA - Un'Italia involuta, ripiegata su se stessa, "rentier" la definisce il Censis nel Cinquantesimo Rapporto sulla situazione del Paese. Un Paese che più che vivere di rendita però sopravvive, sfruttando fino all'osso le ricchezze del passato, in particolare il patrimonio immobiliare, finalmente "messo a reddito", ma che non osa più scommettere sul futuro. Dal 2007 a oggi gli italiani hanno accumulato 114 miliardi di euro di liquidità aggiuntiva, un gigantesco patrimonio che equivale al Pil dell'Ungheria e che rimane rigorosamente liquido, pronto a essere usato in una prospettiva futura di tempi ancora più bui, investito davvero in minima parte e sostanzialmente nelle mani degli anziani. Perché nel nostro Paese, ricorda il Censis, si è dato corso a "un inedito e perverso gioco intertemporale di trasferimento di risorse che ha letteralmente messo k.o. i Millennials".

La ricchezza ferma. Per cui gli anziani hanno il patrimonio immobiliare e i risparmi di una vita che nei tempi buoni si sono moltiplicati grazie ad investimenti azzeccati, i giovani non hanno pressoché nulla: le famiglie con persone di riferimento che hanno meno di 35 anni hanno un reddito più basso del 15,1% rispetto alla media della popolazione e una ricchezza inferiore del 41,1%. Mentre la ricchezza degli anziani è superiore dell'84,7% rispetto ai livelli del '91. Ma non serve a rimettere in moto il Paese: l'incidenza degli investimenti sul Pil è scesa al 16,6% nel 2015, contro una media europea del 19,5% ma soprattutto il 21,5% della Francia e il 19,9% della Germania e anche il 19,7% della Spagna.

La trappola dei "lavoretti". E' l'Italia del post-terziario, del sommerso. Non è più però il sommerso degli anni '70, che nascondeva aree di grande produttività, di sviluppo: questo è un sommerso "post terziario", del danaro messo da parte ma non investito, dei "lavoretti" a bassa produttività che incidono poco o pochissimo sulla crescita del Paese. A fronte di 431.000 lavoratori in più infatti tra il primo trimestre del 2015 e il secondo del 2016 il Pil è aumentato di 3,9 miliardi di euro, lo 0,9% in più. Se la produttività, già bassa, fosse rimasta costante, ragiona il Censis, la nuova occupazione si sarebbe dovuta tradurre in una crescita dell'1,8%. E' la condanna dei Millennials, imprigionati tra "l'area delle professioni non qualificate" e "il mercato dei lavoretti", nel complesso "il limbo del lavoro quasi regolare".
La fine del lavoro e del ceto medio. Il problema non è solo dei giovani: in generale diminuiscono le "figure intermedie esecutive" e crescono le professioni non qualificate (più 9,6% tra il 2011 e il 2015) e gli addetti alle vendite e ai servizi personali (più 7,5%). Si riduce anche il numero di operai, artigiani, agricoltori, il lavoro costa meno ma questa riduzione non favorisce la domanda, anche per via della crisi del settore pubblico: la deflazione è figlia anche di questo sistema del massimo ribasso, che ha compresso e impoverito la classe media.

Tagliare ancora le spese. La parola d'ordine dunque è spendere il meno possibile, ridurre ancora i consumi, e tenere i soldi a portata di mano: il 51,7% conta di tagliare ulteriormente le spese per la casa e l'alimentazione. In questo rapporto Censis che sembra non offrire neanche un minimo appiglio per guardare al futuro con un po' di fiducia, a differenza delle precedenti edizioni, emergono comunque ancora i dati di un'Italia che continua a produrre e a muoversi, in ordine sparso, senza alcuna coordinazione da parte di una guida politica magari forte, ma sempre più autoreferenziale. Scure anche sulla sanità, su cui pesa anche il ritiro del sistema pubblico: "Gli effetti socialmente regressivi delle manovre di contenimento del governo si traducono in un crescente numero di italiani (11 milioni circa) che nel 2016 hanno dichiarato di aver dovuto rinunciare o rinviare alcune prestazioni sanitarie, specialmente odontoiatriche, specialistiche e diagnostiche".

Cosa tira ancora: il turismo e l'export. In primo luogo continuano ad andare benissimo le aziende che si sono ritagliate una fetta di mercato, piccola o grande, con le vendite all'estero. L'Italia resta al decimo posto nella graduatoria mondiale degli esportatori con una quota di mercato del 2,8%. Nel 2015 le aziende esportatrici italiane hanno superato il 5% dell'export mondiale in 28 categorie di attività economiche. Il saldo commerciale del made in Italy è stato di 98,6 miliardi di euro, superiore al fatturato del manifatturiero. La fama che accompagna i nostri prodotti di qualità è quella del "bello e ben fatto". Ed è probabilmente proprio questo a spingere i turisti stranieri di "alta gamma" a venire in Italia: tra il 2008 e il 2015 gli arrivi di visitatori stranieri in Italia sono aumentati del 31,2% e i giorni di permanenza sono aumentati del 18,8%. Gli arrivi negli hotel a 5 stelle sono cresciuti dal 2008 del 50,3% e in quelli a 4 stelle del 38,2%. Il crollo delle categorie inferiori è compensato da un forte aumento delle presenze negli alloggi in affitto, nei bed and breakfast e negli agriturismo.

Per cosa si spende: i media digitali. Accanto a queste attività economiche che godono ancora di una forte spinta propulsiva, c'è un unico canale di consumi che sembra convogliare la passione per gli acquisti degli italiani: la comunicazione digitale. Mentre tra il 2007 e il 2015 i consumi in generale si riducevano del 5,7%, gli acquisti di smartphone aumentavano del 191,6% e quelli di computer del 41,4%. "Gli italiani hanno stretto i cordoni della borsa evitando di spendere su tutto - è la spiegazione del Censis - ma non sui media digitali connessi in rete, perché grazie ad essi hanno aumentato il loro potere individuale di disintermediazione". L'utenza del web in Italia nel 2016 è arrivata al 73,7%, mentre il 64,8% usa uno smartphone il 61,3% WhatsApp (la percentuale dei giovani sale all'89,4%).

Sim web superano Sim voce. Per la prima volta, nel 2015 il numero di sim abilitate in Italia alla navigazione in Rete (50.2 milioni) ha superato quello delle sim utilizzate esclusivamente per i servizi voce (42,3 milioni). E i volumi di traffico dati sono aumentati nel 2015 del 45% rispetto all'anno precedente, mentre i ricavi degli operatori dei servizi crescevano del 6,2%.

© Riproduzione riservata
02 dicembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/economia/2016/12/02/news/censis_l_italia_bloccata_che_non_investe_piu_torna_a_tuffarsi_nel_sommerso-153253818/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_02-12-2016
6030  Forum Pubblico / AUTORI - Firme scelte da Admin. / Bernardo Tarantino Cosa cambia per la politica estera dell’Italia se vince il Sì inserito:: Dicembre 02, 2016, 06:20:17 pm
Opinioni
Bernardo Tarantino - 28 novembre 2016
Cosa cambia per la politica estera dell’Italia se vince il Sì
Dal laboratorio di politica internazionale, MondoDem, un’analisi approfondita sulle ricadute internazionali della riforma costituzionale

L’assetto istituzionale di un sistema politico produce effetti di rilievo sulla proiezione internazionale di un Paese. Sotto questo profilo, la politica estera italiana ha da sempre sofferto la precarietà interna dei Governi causata dalla presenza di un sistema parlamentare composto da due Camere legislative con pari poteri di controllo e di indirizzo politico nei confronti dell’Esecutivo. La riforma del titolo V della Costituzione del 2001 ha reso il quadro istituzionale ancora più incerto, attribuendo alle Regioni competenze in materia di promozione dei territori e dei sistemi produttivi all’estero, a scapito delle competenze statali che garantivano l’unitarietà e la riconoscibilità del Made in Italy nei mercati internazionali. La crisi economico-finanziaria, la paralisi del processo d’integrazione europea, le sfide poste dalla globalizzazione e dal massiccio movimento internazionale degli individui, richiedono un approccio integrato, unitario e credibile da parte delle istituzioni italiane.

La riforma costituzionale, che sarà sottoposta a referendum il prossimo 4 dicembre, è sicuramente un passo importante, se non decisivo, verso la definizione di un sistema politico che permetterà all’Italia di avere una proiezione all’estero all’altezza delle sue risorse umane, forza economica e posizione geopolitica.

***

> Rinnovare le istituzioni per affrontare da protagonisti le sfide globali

Le modifiche volte a porre fine al bicameralismo paritario e rendere più efficiente l’iter legislativo consentiranno all’Italia e alle istituzioni repubblicane di godere di una maggiore stabilità e una rinnovata capacità propositiva sia in Europa che nei fori multilaterali. Un Governo più stabile e un Parlamento con funzioni rinnovate permetteranno al nostro Paese di contribuire in modo incisivo al rilancio del progetto comune europeo e di valorizzare il suo ruolo di “ponte” tra Europa, Medio Oriente e Continente Africano. La riforma costituzionale include, inoltre, una rivisitazione organica della ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni che produrrà non pochi effetti sulla proiezione internazionale del nostro Paese. A riprova dell’intento di garantire una maggiore stabilità in politica estera, il testo della riforma costituzionale prevede che la competenza concorrente in materia di rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni venga meno tout court. Resta tuttavia intatta la possibilità delle Regioni di concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.

Nella stessa ottica, la riforma costituzionale produrrà un ridimensionamento della partecipazione delle Regioni alla formazione delle norme europee. Da un punto di vista quantitativo, l’eliminazione delle competenze concorrenti e il ri-accentramento di alcune di esse avranno come effetto quello di escludere le Regioni dalla formazione delle norme dell’Unione europea nei suddetti ambiti, garantendo maggiore unitarietà alla partecipazione italiana al processo normativo europeo sia nella fase ascendente che nella fase discendente. Sul piano qualitativo, invece, il nuovo art. 117 introduce la c.d. “clausola di supremazia” che consentirà alla legge dello Stato di intervenire in materie di competenza regionale a tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica. Il ridimensionamento della capacità delle Regioni di influire sulla formazione della normativa europea sarà controbilanciato dalle nuove funzioni del Senato delle autonomie territoriali. In particolare, il nuovo Senato svolgerà funzioni di raccordo tra lo Stato, le autonomie territoriali e l’Unione europea; parteciperà alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea (controllo preventivo sulla sussidiarietà e sulla proporzionalità); verificherà l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori. Funzioni queste che, se valorizzate dai provvedimenti attuativi della riforma, permetteranno di rappresentare adeguatamente le diverse istanze territoriali, garantendo, al tempo stesso, un processo d’integrazione più efficace e inclusivo.

In seno alla nuova ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, assumono particolare rilievo la ri-attribuzione allo Stato della competenza esclusiva in materia di commercio con l’estero e di parte delle competenze generali in materia di turismo. Questa scelta favorirà l’emergere di una politica unitaria di promozione del Sistema Paese capace di accompagnare e sostenere il sistema produttivo italiano nelle sfide poste dai mercati globali e dalle economie emergenti. Sebbene poco discusso, questo punto della riforma sembra essere carico di conseguenze per il sistema produttivo italiano e per il necessario rilancio della crescita economica. Sembra opportuno pertanto approfondire le novità introdotte dalla riforma costituzionale in materia di commercio con l’estero, internazionalizzazione delle imprese, attrattività degli investimenti diretti esteri e promozione turistica.

> Una politica unitaria per l’internazionalizzazione e l’attrattività

L’internazionalizzazione del sistema produttivo italiano rappresenta una delle principali sfide che la nostra economia deve affrontare nel quadro di un contesto economico globalizzato in cui stanno emergendo nuovi mercati orientati a modelli di consumo coerenti con la specializzazione produttiva del nostro Paese. Basta citare qualche dato per capire quanto l’internazionalizzazione sia importante per la nostra economia. L’export rappresenta circa il 30% del PIL italiano; su circa 5000 prodotti commerciati nel mondo l’Italia ha la leadership mondiale; l’interesse degli investitori stranieri per le aziende italiane è in continua crescita, come testimoniato dal balzo al 12° posto della prestigiosa classifica del Foreign Direct Investment Index del 2015. In contesto caratterizzato dalla crescente interazione con le economie emergenti, si rende necessario un rimodellamento dell’intervento pubblico volto a garantire una promozione unitaria del Sistema Paese all’estero e orientato al massimo sostegno a favore delle realtà imprenditoriali desiderose di sfruttare le opportunità offerte dai mercati internazionali. In quest’ottica, l’art. 117 modificato dalla riforma costituzionale riporta, al comma q, il commercio internazionale nell’alveo delle competenze esclusive dello Stato centrale, dando in tal modo una maggiore coerenza a tutte quelle politiche volte a rafforzare la proiezione dell’Italia all’estero.

Se al referendum del 4 dicembre vincerà il “Sì”, lo Stato avrà competenza esclusiva nella definizione e attuazione di una politica promozionale unitaria del sistema economico italiano all’estero, evitando le frammentazioni e gli sprechi causati dalle iniziative di promozione portate avanti dalle singole Regioni negli ultimi 15 anni.

Gli imprenditori italiani che operano all’estero, infatti, hanno sempre lamentato il carattere dispersivo delle misure a sostegno all’internazionalizzazione adottate dalle Regioni. Misure di finanziamento e accompagnamento, vaucher, agevolazioni fiscali, missioni promozionali all’estero, campagne di comunicazione, apertura di rappresentanze regionali all’estero, e via dicendo, hanno dato vita a 20 sistemi di promozione regionali differenti, creando confusione sia nei beneficiari diretti di queste iniziative sia nei potenziali partner internazionali abituati a rapportarsi con realtà ben più grandi e conosciute delle Regioni italiane.

I vantaggi di una centralizzazione della competenza del commercio con l’estero saranno molteplici

• Sarà possibile implementare misure chiare, leggibili e univoche a sostegno e a garanzia dell’internazionalizzazione delle imprese italiane;
• Lo Stato potrà organizzare missioni di sistema in quei paesi emergenti in cui sarà valorizzato l’intero Sistema Paese e non solo limitate realtà regionali;
• Sarà più facile attrarre investimenti esteri, garantendo una rappresentazione unitaria del Paese sui mercati;
• Saranno eliminate le sovrapposizioni e gli sprechi prodotti dalla frammentazione della politica promozionale in 20 diverse politiche promozionali regionali.

L’accentramento della competenza del commercio con l’estero va di pari passo con il rinnovato impegno del Governo a garantire il massimo sostegno al mondo imprenditoriale italiano nel difficile percorso dell’internazionalizzazione. Dopo anni di riduzione della spesa statale a favore della promozione del Sistema Paese, il Governo ha deciso di ritornare a investire nelle politiche di internazionalizzazione adottando un Piano straordinario per il Made in Italy di 273 milioni di euro. Il piano si inserisce nel progetto di ridefinizione di tutta la governance della promozione del Sistema Paese. Una ridefinizione volta ad eliminare gli sprechi e le inefficienze attraverso un accentramento dell’attuazione delle politiche di promozione dell’Italia all’estero in pochi organismi statali. La costituzione di una Cabina di regia per l’Italia internazionale, composta dai Ministeri e dagli enti coinvolti nella politica di promozione permetterà di coordinare in modo più efficace tutte le politiche volte a semplificare e sostenere l’internazionalizzazione del sistema produttivo italiano. L’Istituto per il Commercio estero (ICE), che ha assorbito le attività di attrazione di investimenti esteri di Invitalia, è posto al centro dell’attuazione concreta di tutte le misure previste dal Piano Straordinario per il Made in Italy, assicurando una gestione centralizzata e organica delle iniziative volte all’internazionalizzazione e all’attrazione di Investimenti diretti esteri. Il decreto di riforma delle Camere di Commercio approvato dal Consiglio dei Ministri il 25 agosto prevede una razionalizzazione ed un efficientamento di questi enti. Oltre a ridurre il numero delle Camere di Commercio da 105 a 60, il decreto prevede una maggiore vigilanza del Ministero dello Sviluppo economico sulle attività delle Camere, le quali non potranno più fare autonomamente promozione all’estero, evitando in tal modo duplicazioni di responsabilità con altri enti pubblici.

La fusione tra SACE e SIMEST in seno a Cassa depositi e prestiti è un passo importante verso la creazione di un’offerta chiara alle imprese per quanto riguarda tutti i prodotti assicurativo-finanziari volti a facilitare l’internazionalizzazione: “dall’assicurazione dei crediti, alla protezione degli investimenti esteri, dalle garanzie finanziarie per accedere ai finanziamenti bancari ai servizi di factoring, dalle cauzioni per vincere gare d’appalto alla protezione dai rischi della costruzione, dalla partecipazione al capitale delle imprese ai finanziamenti a tasso agevolato e all’export credit”.1‑ Come evidente, la riforma costituzionale e, in particolare la modifica dell’art. 117 (lett. q) che prevede la ri-attribuzione della competenze commercio con l’estero allo Stato, sembra essere il punto culminante di un percorso di completo rinnovamento della governance della politica di promozione del Sistema Paese all’estero, nell’ottica di razionalizzare le misure a sostegno dell’internazionalizzazione e rafforzare la capacità diplomatica del nostro Paese ad attrarre investimenti diretti esteri.

> Una riforma volta a rilanciare il turismo nel Belpaese

Il turismo rappresenta uno degli asset più importanti dell’economia italiana, costituendo circa il 10% del PIL. Ogni anno circa 50 milioni di visitatori stranieri si recano in Italia creando un indotto di più di 35 miliardi di euro. Sono cifre sicuramente ragguardevoli che però non valorizzano a sufficienza il ricchissimo patrimonio artisticoculturale del Paese con più siti Unesco al mondo. Ciò ove si ponga mente sopratutto ai risultati dei nostri competitor (Francia e Spagna) che ci superano, e non di poco, in termini di visite e di indotto. Questa tendenza rappresenta un pericolo per l’industria del turismo, soprattutto se si tiene conto della flessibilità della domanda turistica internazionale, dell’allargamento dell’offerta da parte di nuove realtà turistiche differenti da quella italiana, nonché della necessaria digitalizzazione degli strumenti di promozione e vendita. Una delle principali cause del mancato rinnovamento del settore turistico italiano è l’assenza di una strategia unitaria. Molti osservatori fanno risalire le cause di questo mancato coordinamento al modello di governance regionale delle politiche a sostegno del turismo. Infatti, a seguito della riforma costituzionale del 2001 il turismo ricade nelle competenze esclusive delle Regioni, dando luogo a una frammentazione delle politiche e delle misure volte a sostenere l’attrattività turistica dei territori. Ogni Regione ha i suoi piani di promozione turistica, le proprie iniziative di marketing, il proprio piano trasporti. Delegazioni regionali si recano autonomamente all’estero per promuovere il territorio confrontandosi con partner molto più grandi di loro e che fanno riferimento ad un unico “Brand Italia” quando pensano alle nostre ricchezze artistiche e paesaggistiche, non conoscendo, invece, le variegate realtà regionali. Occorre, pertanto, delineare una strategia unitaria per rilanciare il turismo. Una strategia che permetta di procedere ad un rinnovamento delle infrastrutture preposte all’accoglienza dei turisti, di digitalizzare gli strumenti di distribuzione e di vendita, di formare gli agenti turistici che devono accogliere nuove tipologie di visitatori provenienti dai mercati emergenti. Ma soprattutto occorre attrarre maggiori investimenti sia nazionali che internazionali (nel 2014 gli investimenti sono stati pari a 12,2 miliardi di dollari in Italia, mentre in Francia 41,2 miliardi).

Il ruolo delle Regioni resta nondimeno importante per la valorizzazione dei variegati territori italiani. Non bisogna dimenticare che il turismo regionale è un catalizzatore per il turismo di altre regioni d’Italia. Si pensi all’esperienza di Expo Milano 2015 quando i turisti cinesi, americani, giapponesi si recavano a Milano sull’onda dell’eco dell’Esposizione Universale per prolungare, in seguito, il loro soggiorno in altre zone d’Italia. Ciò a dimostrazione che l’attrattività di determinate Regioni più conosciute all’estero può creare un circolo virtuoso a favore di quelle regioni dalle potenzialità turistiche inesplorate, come nel caso del Mezzogiorno. La riforma costituzionale che sarà sottoposta a referendum il 4 dicembre prossimo, coglie la sfida posta dal necessario rilancio di un settore fondamentale per l’economia italiana. Nel nuovo assetto costituzionale le disposizioni generali e comuni sul turismo sono attribuite alla competenza esclusiva statale (comma s dell’art. 117), mentre spetta alle regioni la competenza in materia di valorizzazione e organizzazione regionale del turismo.

Se al referendum del 4 dicembre vincerà il “Sì” , lo Stato riacquisirà la competenza di adottare una strategia unitaria per il turismo definendone le disposizioni generali e comuni. Le Regioni manterranno la possibilità di definire la normativa di dettaglio volta valorizzare e organizzare il turismo regionale.

A riprova della rinnovata centralità del turismo, il Governo italiano ha messo a punto un nuovo Piano strategico per il turismo per il periodo 2017-2022 che ha quattro obiettivi principali: innovare l’offerta turistica nazionale, accrescere la competitività, sviluppare il marketing e realizzare una governance delle politiche di settore. Il piano è attualmente all’esame del Parlamento. La riforma costituzionale e la ri-attribuzione di parte delle competenze in materia di turismo allo Stato permetteranno di valorizzare le ricadute positive di questo settore. E’ un passo in avanti importante per disegnare una strategia nazionale che possa rendere il nostro Paese competitivo con le altri grandi realtà turistiche globali.

***

Il referendum del 4 dicembre sarà un momento importante per la vita del nostro Paese. Un momento in cui il popolo italiano avrà la possibilità di avviare una nuova fase politica con l’obiettivo di dotare l’Italia di un sistema istituzionale più efficiente, più stabile e che le consenta di “fare politica estera” all’altezza delle sue potenzialità. La fine del bicameralismo paritario, una maggiore stabilità dei Governi e una chiara ripartizione delle competenze statali e regionali rappresentano obiettivi da sempre condivisi e che permetteranno all’Italia di essere in prima in linea nei fori europei e globali. A riprova di ciò, la riforma costituzionale si ascrive in una logica di razionalizzazione dell’attribuzione delle competenze necessarie alla promozione unitaria, organica, efficiente del Sistema Paese all’estero. Accentrare la gestione delle politiche a sostegno di questi settori produttivi è di primaria importanza per innescare una processo virtuoso volto ridurre la frammentazione delle politiche di promozione del sistema Paese. Si tratta di offrire una cornice istituzionale chiara per valorizzare le politiche volte a internazionalizzare le attività produttive, attirare investimenti esteri, promuovere i flussi turistici stranieri e, in ultima analisi, creare sviluppo e occupazione. Solo così l’Italia potrà competere con i partner internazionali, dando il giusto valore alle sue risorse, alle sue capacità e al suo ruolo internazionale.

 
* Questo articolo è apparso su MondoDem con il seguente titolo originale: “Una voce più forte nel mondo. La proiezione dell’Italia all’estero dopo la riforma costituzionale “

Da - http://www.unita.tv/opinioni/referendum-4-dicembre-effetti-internazionale/
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