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6016  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / SERGIO RIZZO La vittoria del No, salvacondotto a vita per un Senato intoccabile inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:26:55 am
Dopo il voto

La vittoria del No, salvacondotto a vita per un Senato intoccabile
Chi avrà mai la forza di riproporre un sia pur minimo ridimensionamento dei poteri della Camera alta, dopo quello che è successo?

Di Sergio Rizzo

Dopo la vittoria del No si sono sparse notizie di calorosi festeggiamenti al Cnel redivivo. Reazioni più sobrie, invece, al Senato. Dove qualcuno non ha comunque risparmiato ironie. Maurizio Gasparri, per esempio, ha twittato: «Il Senato c’è, Renzi non c’è più». Niente di più vero. Il Senato c’è e ci sarà sempre, perché il No è soprattutto un salvacondotto perpetuo per Palazzo Madama. Giusta o sbagliata che fosse la riforma, il risultato non può essere che questo. Chi avrà mai la forza di riproporre un sia pur minimo ridimensionamento dei poteri della Camera alta, dopo quello che è successo? E quanti sostengono che ora «si potrà fare una riforma seria» lo sanno benissimo.

Il meccanismo della conservazione, in questo Paese resistente a ogni cambiamento, è super collaudato. In un senso come nell’altro. Basterebbe ricordare in che modo si è salvato il ministero dell’Agricoltura dopo che un referendum popolare l’aveva abolito: semplicemente cambiando nome in «ministero delle Politiche agricole e forestali». O come i rimborsi elettorali siano esplosi proprio dopo un referendum che avrebbe dovuto cancellare il finanziamento pubblico dei partiti.

Idem accadrà per le Regioni, luoghi nei quali l’opposizione a ogni cambiamento è ancor più radicata. Vivrà in eterno quell’assurdo titolo V voluto nel 2001 da un centrosinistra in affanno nel disperato tentativo di arginare l’ondata leghista e poi incredibilmente confermato al successivo referendum dai cittadini ignari (come in questo caso) tanto del merito quanto delle conseguenze. Di più. Non solo le Regioni manterranno l’insensata competenza esclusiva su alcune materie quali turismo o energia, ma il voto del 4 dicembre varrà anche per loro come salvacondotto perpetuo nei confronti di qualunque tentativo di riforma futura. I consiglieri regionali, poi, sono finalmente al sicuro: nessuno potrà più imporre loro tetti alle generose buste paga, né vietare i contributi ai gruppi politici consiliari al centro di gravissimi scandali. L’ex commissario alla spending review Roberto Perotti ci ha già mostrato, del resto, con quale abilità i signori consiglieri siano riusciti ad aggirare il tetto alle retribuzioni imposto dal governo di Mario Monti.

Che dire infine delle Province? Sopravvivranno anch’esse nei secoli a venire. E quei martiri della democrazia che in Calabria hanno affisso una lapide nella sede della ex Provincia con scolpiti i nomi degli ultimi consiglieri «eletti a suffragio universale», troveranno un motivo di riscatto. Perché oggi nessuno si stupirebbe davanti a una proposta di abrogazione della legge Delrio che facesse tornare nuovamente elettivi quegli incarichi.

7 dicembre 2016 (modifica il 7 dicembre 2016 | 19:18)
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/16_dicembre_08/vittoria-no-salvacondotto-vita-un-senato-intoccabile-aff7bc44-bca8-11e6-9c31-8744dbc4ec0a.shtml
6017  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Sergio Staino. La sorpresa che aspettiamo inserito:: Dicembre 10, 2016, 09:40:24 am
Opinioni
Sergio Staino   @SergioStaino
· 9 dicembre 2016

La sorpresa che aspettiamo

Mi aspetto che Matteo Renzi spiazzi tutti come ha sempre fatto

Incontro persone in queste ore che mi abbracciano con particolare affetto. Come quando siamo stati colpiti da una malattia o dalla morte di un congiunto. Con aria timorosa mi dicono: «Come ti senti? Stai meglio?» Sono tutti preoccupati che la sconfitta del Sì mi abbia provocato traumi psicologici o cose simili. In realtà sto bene, non mi sembra la fine del mondo.

Qualcuno si azzarda a chiedere: «Ma che fine fa l’Unità? Chiude? Continua senza te?» Qualche vecchio compagno al telefono ridacchia: «Te l’avevo detto, Renzi non reggeva, hai fatto un errore». Scusatemi ma io non riesco a capirlo. Non è la prima volta che viviamo una crisi di governo. Non vedo perché questa dovrebbe determinare immancabilmente la sparizione dell’attuale leader.

È una fase dura, ma è una fase di crescita anche questa, se la vediamo dall’angolazione giusta. Renzi ci ha abituato a guardare le cose da angolazioni diverse e molto spesso ci ha stupito. Anzi, è proprio questo suo trovare soluzioni imprevedibili, che ti spiazzano, che a me personalmente piace molto.

Lui è fatto così. Ricordo un paio di anni fa un concerto di Vecchioni in un teatro fiorentino. Grande successo, tanto pubblico, bis a non finire. Dopo, ci ritroviamo con Roberto per una cena tra amici. Arriva Renzi, si precipita verso Vecchioni scusandosi: «Scusa Roberto, scusa Roberto, non ce l’ho fatta a venire a sentirti, ero a presentare il libro a Fucecchio e mi hanno fatto fare tardi. Tante domande sai, tante domande, soprattutto sul fatto che in questo libro definisco Dante uomo di sinistra. E allora? Per me Dante è di sinistra». Io colgo l’attimo di silenzio e dico a voce alta: «Certo, se poi lo confronti con te stesso anche parecchio di sinistra!» Risata generale. Era chiaramente una battuta provocatoria, senza una reale base di verità.

Ecco, a questo punto mi viene da pensare come avrebbero reagito i vecchi dirigenti del partito a una battuta simile. D’Alema non mi avrebbe parlato per mesi, come spesso ha fatto. Domenici sarebbe uscito platealmente tornandosene a casa. Molti altri forse non avrebbero nemmeno capito la battuta. Renzi invece guarda verso di me con uno sguardo sorridente e meravigliato, e con aria sognante mi dice a voce alta: «Bella, Sergio, bella!!» E poi aggiunge a sorpresa: «Posso metterla su Facebook?» Con questo mi ha mangiato la vignetta e mi ha lasciato in mutande. Bravo. Questo mi aspetto ancora da lui. Che mi spiazzi.

Che mi spiazzi con l’operazione più normale che si deve fare in questi momenti. La prima parte l’ha già compiuta: quella di dimettersi, di passare la palla alle altre forze politiche e al Quirinale. Ma deve contemporaneamente fare un’altra cosa: fare affidamento sul partito, rivolgersi al partito nel suo insieme, non solo alla direzione. Il nostro giornale è zeppo di lettere di militanti di base, di persone che stanno soffrendo una situazione ingiusta e che chiedono ciò che è mancato fino ad oggi: un’attenzione da parte della dirigenza del partito verso le loro idee e la loro voglia di partecipazione.

Su questo voglio che mi stupisca Matteo. Lascia quell’idea un po’ troppo da comitato elettorale con cui, a mio avviso, guardi il Pd. Lasciala a Palazzo Chigi. Fermati per una volta al Nazareno e pensa al Pd come a un partito. Fatto da un segretario, da tanti dirigenti, ma soprattutto da tantissima gente comune, iscritta o comunque vicina a noi. Questo ti aiuterà anche a muoverti poi con più sicurezza e successo a livello governativo. Senza di questo non ci sono molte speranze. Almeno, così io credo.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/la-sorpresa-che-aspettiamo/
6018  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Maria Teresa MELI Crisi di governo Matteo Renzi: «Faccio quel che serve al Colle inserito:: Dicembre 10, 2016, 09:37:41 am
Il retroscena
Crisi di governo, Matteo Renzi: «Faccio quel che serve al Colle»
E i suoi pensano a un partito
Il premier dimissionario potrebbe accettare il bis per poi votare.
E bloccherebbe Franceschini

Di Maria Teresa Meli

Il leader è a Pontassieve (dovrebbe tornare a Roma oggi pomeriggio) e il Partito democratico si interroga sulle sue mosse future. Lo fanno anche i renziani che ieri erano particolarmente interessati a un sondaggio di Nicola Piepoli, secondo il quale un partito dell’ex premier avrebbe più consensi del Pd. È un’idea che stuzzica una fetta dei sostenitori del segretario. Per intendersi, quella che vede con maggior fastidio le manovre di Franceschini e compagni. Il «capo», però, almeno per ora, continua a guardare dentro i confini del Pd, tant’è vero che sta già preparandosi al Congresso, che vorrebbe tenere «subito», per «rimettere le cose a posto» e poi «rilassarmi un annetto e prepararmi alla sfida delle prossime elezioni».

«Quello che serve a Mattarella io faccio»
Ma potrebbe esserci un altro scenario nel futuro dell’ex premier, soprattutto dopo le dichiarazioni di ieri di Luigi Di Maio, il quale ha detto che pur di andare alle elezioni i Cinque stelle sarebbero disposti ad arrivare al voto con il governo Renzi. Già, si sta parlando della possibilità che il segretario del Pd resti in carica. In quel caso Franceschini dovrebbe accodarsi, anche perché, secondo Renzi, non ha comunque la maggioranza dei gruppi parlamentari, tanto più dopo che Orlando non ha accettato la sua proposta di fare asse per stringere in un angolo il segretario. «Conviene a tutti fare gioco di squadra, soprattutto a chi ora è ministro», commenta il leader con i suoi.

Ma quello della sua permanenza a Palazzo Chigi è uno scenario di cui al momento il segretario non vuole parlare. Eppure c’è. E anche Renzi sa che se Mattarella glielo chiedesse gli sarebbe difficile dire di no. Soprattutto nel caso in cui sia la Lega che i grillini facessero capire al capo dello Stato che sono favorevoli ad andare alle elezioni velocemente anche con questo governo: «Quello che serve a Mattarella — spiega infatti il leader ai suoi — io faccio. È l’abc della politica. In una situazione di crisi si aiuta il presidente della Repubblica, perciò da parte mia c’è la massima disponibilità».

Il rischio Verdini
Fino a un certo punto, naturalmente: «Bersani — ragiona con i collaboratori l’ex premier — dice che non bisogna andare al voto, ma allora devi fare un governo con Verdini. Bersani ci sta? Eppoi Denis a questo giro non si accontenterà di stare fuori dal governo. Chiederà un ministero. E io in questo cul de sacnon mi ci voglio mettere. Non ci sto a farmi insultare da leghisti e grillini che ci accusano di avere una maggioranza non legittima, figlia di un parlamento illegittimo... In questo caso preferisco dire avanti il prossimo». In molti ieri hanno cercato il segretario pd per avere la linea, ma lui ha ripetuto a tutti la stessa frase: «La politica non è più “renzicentrica”. Per cui aspettiamo quello che dicono gli altri e ascoltiamo Mattarella». Ma sono in pochi a credere che il leader non stia studiando una nuova mossa per «sparigliare».

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8 dicembre 2016 (modifica il 9 dicembre 2016 | 01:00)

Da - http://www.corriere.it/la-crisi-di-governo/notizie/faccio-quel-che-serve-colle-f08e188e-bd84-11e6-bfdb-603b8f716051.shtml
6019  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / MONICA GUERZONI. Crisi di governo, il valzer delle correnti pd stringe il leader inserito:: Dicembre 10, 2016, 09:36:23 am
Il retroscena
Crisi di governo, il valzer delle correnti pd stringe il leader
Dalla minoranza a Areadem le anime si riallineano e al segretario restano solo una cinquantina di deputati

Di Monica Guerzoni

Le centinaia di lettere di solidarietà arrivate al Nazareno nelle ultime ore, da ogni parte d’Italia, devono aver lusingato Matteo Renzi almeno un poco. E forse l’affetto epistolare di quegli italiani che ancora lo vogliono premier lo fa sentire meno solo, ora che nel Pd anime e casacche hanno ripreso vorticosamente a volteggiare. Far la conta delle correnti e degli spifferi è un lavoro da certosini medievali e c’è sempre il rischio che, tra scrittura e stampa, qualche altro parlamentare abbia deciso di riposizionarsi. Verso quali lidi? La sirena che tutti seduce è, ancora una volta, Dario Franceschini. La sua sintonia con il Quirinale rassicura e attrae peones e capicorrente e, al tempo stesso, irrita e preoccupa Renzi.
Torna il rito delle delegazioni di partito che salgono al Colle: tante idee, una decisione

Con i suoi cento parlamentari, tra cui i due capigruppo Rosato e Zanda, il ministro della Cultura e leader di Areadem ha dalla sua parte la maggioranza dei gruppi: un peso destinato a crescere a vista d’occhio, tanto che qualcuno già ne pronostica 130. Sulla carta dunque, Renzi è in minoranza. L’abbandono è stato repentino come lo era stato l’avvicinamento al nuovo capo, dopo la vittoria alle primarie. I franceschiniani prestati al renzismo sono tornati a essere franceschiniani e basta, lasciando all’inquilino del Nazareno forse meno di cinquanta deputati. Le cronache parlamentari li raccontano attovagliati tre sere fa in un’osteria romanesca tra Camera e Senato, su invito dei due toscani che si spartiscono la guida dei «falchi»: Maria Elena Boschi e Luca Lotti. Con loro, in ordine sparso, Alessia Morani, Davide Ermini, Alessia Rotta, Francesco Bonifazi. Nel menu tonnarelli cacio e pepe, tiramisù e un bel governo Renzi bis. Sempre a tavola hanno imbastito la linea i seguaci di Bersani e Speranza, tanto che da domenica sera nel Pd si litiga su se e quanto i parlamentari della minoranza abbiano alzato i calici, domenica a casa di Guglielmo Epifani. Bersani era a Piacenza, ma di certo il suo cuore era a Roma con i compagni, che ora guardano a un governo Franceschini senza alzare troppo il sopracciglio.

I 50 «spring dem»
Ieri a metà pomeriggio girava voce di un accordo già fatto tra la minoranza — che conta una ventina di senatori e una trentina di deputati —, Areadem e i giovani turchi vicini al ministro Andrea Orlando. Voce che Speranza però non conferma: «Non c’è ancora nulla, aspettiamo le consultazioni». Il trionfo del No ha rafforzato la sinistra non-cuperliana, che aveva subìto perdite non irrilevanti in campagna elettorale. Un dalemiano storico come Ugo Sposetti ha votato Sì, giustificato dai colleghi che lo apprezzano come un «comunista doc, antico, partitico e disciplinato». La stessa scelta, per ragioni diverse, hanno fatto l’ex dissidente del Senato Vannino Chiti, Josefa Idem e i senatori Martini, Lo Moro, D’Adda, Bubbico, Sollo. Il ministro Maurizio Martina non ha cambiato idea, resterà con Renzi anche nella cattiva sorte. Per ora. I 50 parlamentari di Primavera democratica, ribattezzati ironicamente «spring», sono la sua ricca dote. La balcanizzazione ha ringalluzzito anche i cattolici di Beppe Fioroni, che studiano raffinate trame al Falchetto, a pochi passi dalla sede dove Murri fondò la Dc: 30 parlamentari, legati a doppio filo all’area di Lorenzo Guerini.

I giovani turchi
L’ago della bilancia saranno però i giovani turchi. La notte della débâcle aveva visto la rottura tra Orlando e Matteo Orfini, che si era chiuso a Palazzo Chigi senza consultare i suoi e sposando la linea «al voto, al voto». Ma la moral suasion di Mattarella, sussurrata da franceschiniani molto vicini al presidente come Francesco Saverio Garofani, ha convinto Orfini a frenare e riportato la calma tra i «turchi»: 40 alla Camera e 17 al Senato. Abbastanza per fare la differenza.

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8 dicembre 2016 (modifica il 9 dicembre 2016 | 17:08)


Da - http://www.corriere.it/la-crisi-di-governo//notizie/valzer-correnti-pd-stringe-leader-17e35e26-bd8f-11e6-bfdb-603b8f716051.shtml
6020  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MASSIMO GIANNINI Se il voto diventa un rito cannibale inserito:: Dicembre 10, 2016, 09:34:23 am
Se il voto diventa un rito cannibale

Di MASSIMO GIANNINI
08 dicembre 2016

UNA macabra 'cerimonia cannibale' si consuma intorno al corpo stanco del Paese. La politica, terremotata dall’ordalia referendaria, divora se stessa. E precipita l'Italia in una crisi di governo che si fa sempre più indecifrabile. Renzi si dimette, la sinistra fagocita un altro dei suoi leader. Ma Renzi non esce di scena, come aveva promesso. Semmai rilancia: chiama tutti i partiti a un’impossibile 'grande abbuffata', che non vedremo mai. E quindi si rilancia, forse per oggi, sicuramente per il futuro: solo io posso succedere a me stesso.

Se la direzione del Pd doveva chiarire cosa c'è dietro l'angolo, l'obiettivo è fallito. L'ex premier ha parlato da premier ancora in carica. Non una parola sulla disfatta referendaria, molte parole sulle cose fatte nei mille giorni e su quelle ancora da fare. La serena, equilibrata consapevolezza di domenica è durata lo spazio di una notte. Il 'discorso della sconfitta' è già dimenticato, quasi che la sconfitta non sia mai esistita. Anzi il Pd, pare, sta conoscendo "un boom di iscrizioni". Se è stata indecorosa la festa della minoranza del partito, che in un impeto bertinottiano ha brindato alla caduta del 'suo' governo, lo è altrettanto la festa di Renzi, che "alza i calici" non si sa bene a che cosa.

Questa è una crisi totalmente autoprodotta. Nata da un referendum che doveva purificarlo dal peccato originale (guidare un governo non eletto), e invece si è rivelato un perfetto suicidio politico. E complicata da un azzardo morale (imporre al Paese una legge elettorale valida solo per la Camera, nella fallace certezza che gli italiani avrebbero detto sì all’abolizione del Senato elettivo).

Cosa propone Renzi per uscire dal vicolo cieco nel quale ha cacciato l’Italia?
Due soluzioni, ugualmente impercorribili. La prima è il 'governo di responsabilità', aperto a tutti i partiti che, insieme al Pd, devono assumersi la responsabilità di far uscire il Paese da questa impasse. In teoria, è una buona formula. Presuppone, appunto, la presa in carico dei problemi del Paese, che vengono prima dei destini dei leader, e la ricerca di soluzioni credibili e condivise, nell’interesse dei cittadini- elettori. Ma se diventa, in pratica, l’ennesimo 'proiettile d’argento' sparato nel buio di una notte repubblicana in cui la politica tenta solo di salvare se stessa, senza preoccuparsi di salvare l’Italia, allora si trasforma nel suo contrario. Una proposta irresponsabile, perché palesemente impercorribile: il mucchio selvaggio, tutti dentro, dove in quel tutti ci dovrebbero essere anche i 5 Stelle, notoriamente indisponibili a qualunque 'contaminazione'. Dunque a cosa servirebbe, se non a essere respinta dal Quirinale? C'è solo un'altra possibilità: che 'governo di responsabilità', in realtà, significhi 'Grande Coalizione' con Berlusconi. L'ipotesi è improbabile: per quello che vale, il Cavaliere si è già chiamato fuori. Ma soprattutto è inaccettabile: dopo aver tuonato da un anno contro gli inciuci, Renzi non può riproporre un Nazareno 4.0, senza perdere la faccia e la dignità.

La seconda proposta non è meno impercorribile. Perché questa crisi sconta una doppia anomalia: non nasce da una caduta della maggioranza, e non prevede la possibilità di scioglimento immediato delle Camere (come sostiene Mattarella, è realmente 'inconcepibile' votare con due sistemi elettorali diversi tra i due rami del Parlamento, pena il passaggio dalla confusione di oggi al caos di domani). Dunque Renzi dice: non abbiamo paura di niente e di nessuno, se qualcuno vuole votare subito dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum, fissata il 24 gennaio, noi siamo pronti. Ma la sentenza della Corte non sarà 'auto-applicativa', quindi servirà comunque tempo per recepirne i contenuti in una legge. Votare 'sotto la neve', come si diceva ai tempi della crisi berlusconiana, sarà impossibile.

E allora cosa ha in testa Renzi? Lui lo esclude, ma forse è un reincarico, con la stessa maggioranza di oggi. O per portare il Paese al voto anticipato in primavera, ma dalla poltrona di Palazzo Chigi, gestendo gli 'importanti appuntamenti internazionali' che fanno brillare gli occhi al premier uscente. O per arrivare addirittura alla fine della legislatura del 2018, se ci sono le condizioni. Uno scenario che non ha molte più chance di essere attuato. Se non al prezzo di altre rotture. Una rottura con il suo partito, perché la minoranza non glielo consentirebbe. Una rottura con se stesso, perché il Renzi rottamatore, ultrarapido e ultramoderno, capace di rompere le vecchie liturgie e gli antichi compromessi, tornerebbe in campo con un 'bis' doroteo da Prima Repubblica, degno di un Forlani qualsiasi.

Tutto è nelle mani del Capo dello Stato. Nella 'cerimonia cannibale' della politica c’è di tutto. Spirito di vendetta e istinto di conservazione. Quello che manca, clamorosamente, è ciò che serve ed è utile al Paese. L'esito del referendum poteva stupire solo chi, troppo impegnato nello storytelling dei giorni felici, in questi tre anni non ha mai voluto guardare la faccia triste dell’Italia. Quel mare di No che ha travolto il governo nasce per una buona metà da un disagio sociale profondo e sempre negato. Ma per un'altra metà nasce dal rifiuto di una brutta riforma costituzionale. Il messaggio che quei 17 milioni di italiani hanno mandato, con il rifiuto di un 'Senato non elettivo', è chiaro: ci siamo, vogliamo decidere noi chi ci deve rappresentare. La risposta a questa domanda di partecipazione non può essere il quarto governo non eletto, che dura fino alla scadenza naturale della legislatura. Bisogna ridare al popolo ciò che il popolo chiede: il diritto di scegliere. Al più presto. Questo non è populismo. È Costituzione.

Ma come ha scritto Mario Calabresi, le elezioni non possono diventare un salto nel buio. O peggio ancora una roulette russa. Quindi una legge elettorale serve, e serve un governo 'di scopo', sostenuto dalla maggioranza di oggi, o da chi ci sta. Non c'è da aspettare il nuovo Consultellum, o rieditare il vecchio Italicum. Volendo, c’è a disposizione un sistema eccellente, maggioritario, che ha già funzionato in modo egregio quando l'Italia usciva dalle secche di Tangentopoli, nel 1993. Si chiama Mattarellum, dal nome dell’attuale presidente della Repubblica.
Basta una legge di una riga, per farlo rivivere. Basta una settimana di lavori parlamentari, per approvarlo. Poi torniamo pure alle urne. Ma finalmente 'sereni'. Senza pistole puntate sulla tempia.

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08 dicembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/12/08/news/se_il_voto_diventa_un_rito_cannibale-153685884/?ref=HREA-1
6021  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Antonio MACALUSO. Dopo il referendum Il destino del Pd (con o senza Renzi). inserito:: Dicembre 09, 2016, 04:47:28 pm
Dopo il referendum
Il destino del Pd (con o senza Renzi)
Con «Fuori!» e «Oltre la rottamazione» l’ex sindaco di Firenze lanciò una sfida a domare le stelle. Al di là del futuro della sua leadership, al partito servono idee, coerenza e coraggio.
Un chiarimento è necessario

Di Antonio Macaluso

Tenendo fede a quello che ha sempre detto — quando si sbaglia si usa sempre l’io, il noi va tenuto da parte per quando si vince — Matteo Renzi dovrà ora riflettere sulla sconfitta e su quanto possa aver influito, al di là dei contenuti della Grande Riforma, la gestione del governo e del partito. Nel suo libro Oltre la rottamazione (maggio 2013) — quando era già leader del Pd e nove mesi prima di insediarsi a Palazzo Chigi al posto di Enrico Letta — Renzi scriveva: «Se ho indossato con convinzione i panni del rottamatore non è per il furore iconoclasta del nuovismo. Quando lo dico non mi crede nessuno, ma sono una persona che adora le tradizioni, che si è laureata in storia del diritto e che crede alla bellezza del patto tra generazioni. Credo nella bellezza e nel valore costitutivo della memoria e mi piace da impazzire quel pensiero di James Matthew Barrie, il padre di Peter Pan, che dice “Dio ci ha donato la memoria, così possiamo avere le rose anche a dicembre”».

Il punto è che quelle rose, anche a dicembre, possono essere piene di spine. È ancora Renzi a farlo presente in un suo libro precedente, Fuori! 2011, quando racconta della telefonata che gli fece Massimo D’Alema per congratularsi con lui per la vittoria alle primarie per correre come sindaco di Firenze: «Complimenti. Leggo — gli disse D’Alema — che qualcuno ti definisce il nuovo astro nascente della sinistra. Auguri, ma ti suggerirei prudenza e cautela. L’ultimo astro nascente della sinistra è stato appena maciullato. Si chiamava Renato Soru». Parole che in quel momento dovevano suonare alle orecchie di Renzi come l’avvertimento rabbioso di un rottamato in pectore se, poche pagine più avanti, scrive: «I nostri sembrano in bambola. Li senti parlare in slang politichese e ti verrebbe da chiamare un dottore per chiedere: “scusi, ma a questi l’anestesia quando finisce? Quando si svegliano davvero”»?

Erano gli anni delle bordate contro «i soliti noti, i tromboni e i trombati». La parola d’ordine, innocua nella formulazione ma cruenta nella sostanza, era ridare fiato al Pd e slancio all’Italia. Diceva Renzi, rivolgendosi alle nuove leve del partito e, in generale, del Paese, che era il momento di decidere «se vogliamo provare a domare le stelle, puntando in alto. O se ci accontentiamo di vivere impigriti, facendo a botte con il nulla». Una chiamata alle armi di trentenni e quarantenni, che esortava a non avere paura: «Saremo accusati di arroganza e arrivismo. Ma meglio essere accusati di arroganza oggi che essere processati per diserzione domani». E qui, quasi sei anni dopo, ci ritroviamo: ci ha provato nel modo giusto? Ha fatto abbastanza? Ci sono stati più arroganza e arrivismo che cura del dialogo e cura dei contenuti? O è stato il «vecchio mondo» a ricompattarsi prima d’essere spazzato via, di farsi rottamare? Quali e quante stelle Renzi ha domato?

In molti alzeranno — chi pubblicamente, chi meno — calici per brindare al «bischero» azzoppato, sconfitto. Ma non tutti saranno — chi pubblicamente, chi meno — in grado di affermare con ragionevole certezza che un governo diverso e un Pd anche solo in parte derenzizzato valgano davvero un brindisi. Chi, in buona fede, può far finta di non sapere su quale pericoloso crinale viva il nostro Paese, sempre nel mirino di una speculazione a caccia di buoni affari? E, anche limitandoci ad immaginare un futuro per il Pd, la cui attitudine all’autolesionismo è stata sperimentata da tutti i suoi leader, è di tutta evidenza la necessità di ritrovarsi. Nel suo libro Stil Novo del 2012, Renzo sostiene che Dante Alighieri, pur senza esserne cosciente, era di sinistra. Era un uomo coraggioso, «stava nella mischia a testa alta. Aveva l’ardire di sfidare i potenti. In un mondo di mezze calzette, era uno tosto che non si tirava indietro quando c’era da parlare chiaro. Persino con il Papa».

Difficile (o forse no, a seconda di quanto si voglia essere maliziosi) dire se quattro anni fa Renzi si sentisse il Dante 2.0 per la sinistra italiana ma è certo che, al netto del problema della leadership, il Pd i suoi problemi non li ha ancora risolti. Perché, Renzi o non Renzi, la politica è fatta di idee, di coerenza e di coraggio. E, con lui o senza di lui, il Pd dovrà decidere — cosa che dalla sua nascita non ha mai fatto — cosa vuole essere davvero.

7 dicembre 2016 (modifica il 7 dicembre 2016 | 17:55)
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/16_dicembre_08/destino-pd-con-o-senza-renzi-5171f39e-bc9c-11e6-9c31-8744dbc4ec0a.shtml
6022  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Francesco VERDERAMI I volti della crisi inserito:: Dicembre 09, 2016, 04:42:55 pm
I volti della crisi
Crisi di governo, l’«Ora et manovra» di Franceschini: un uomo per tutte le stagioni e sempre con un alibi
Cosa pensasse di lui, Renzi l’aveva detto due anni fa al microfono in una direzione del Pd: «Scusate, nella ressa è sparito un cappotto. Dario si è già costruito un alibi di ferro»


Di Francesco Verderami

Cosa pensasse di lui, Renzi l’aveva detto due anni fa al microfono in una direzione del Pd: «Scusate, nella ressa è sparito un cappotto. Dario si è già costruito un alibi di ferro». Solo processi indiziari a carico dell’avvocato Franceschini, mai una prova che abbia consentito alle sue presunte vittime di incastrarlo. Che poi in politica non esistono i complotti, perché ogni vicenda è la risultanza di mosse azzeccate e sbagliate. E se Renzi si trova oggi in un cul de sac non è certo per colpa del ministro della Cultura. Ma siccome lo dipingono così, siccome per anni è riuscito a superare indenne le alterne fortune del centrosinistra, dell’Ulivo e del Pd, con l’avvento di Renzi aveva deciso di rifugiarsi nella splendida stanza del suo dicastero, circondato da un muro di libri e incurante del motto che gli avevano cucito addosso: «Ora et manovra». Adesso che la risultanza referendaria ha spinto il premier a dimettersi, vive come un’ingiustizia quel venticello, la tesi cioè che si sia messo in proprio — in combutta con Berlusconi — per spodestare Renzi: «Scusate non posso parlare, sono ad Arcore a chiudere l’accordo». Una battuta per sdrammatizzare una situazione drammatica per il Pd. Un modo per sottolineare che ad Arcore non c’è mai stato, lui...

Sia chiaro, nessun Candide o Forrest Gump potrebbe campare così a lungo nel Palazzo. L’arte manovriera e l’istinto di sopravvivenza sono capacità e caratteristiche di chi si è forgiato alla scuola democristiana dei coltelli. Ma se anche stavolta Franceschini dovrà difendersi dall’accusa di tramare, potrà sempre dire che un alibi ce l’ha. Perché proprio lui, prima del voto, aveva consigliato Renzi a non compiere il passo che invece ha compiuto: «Matteo, non lasciare Palazzo Chigi. Se resti, potrai continuare comunque a controllare anche il partito. Se lasci, non avrai la forza nemmeno per controllare il partito». Un suggerimento che il premier, sospettoso di natura, deve aver vissuto come una trappola e che in queste ore è invece diventata la linea del Piave per chi ha subito la Caporetto delle urne. Le ombre sono dappertutto e per Renzi l’ombra più insidiosa ha il profilo di Franceschini, specie dopo che il ministro si è opposto all’idea del premier di andare precipitosamente al voto: «Questo sarebbe un suicidio e io non intendo suicidarmi». Essendo azionista nel partito e nei gruppi parlamentari, ha pesato le parole facendo capire quanto pesavano.

Più nel Pd cresce la voglia di sbarazzarsi di Renzi, più Franceschini dice di «seguire la linea di Renzi». Non c’è bisogno dello spargimento di sangue. Perché l’adozione del Consultellum alla Camera e al Senato, aprirebbe una lunga stagione di larghe intese dopo le elezioni. E il premier del futuro governissimo sarebbe il frutto di una mediazione tra partiti, non il leader di uno dei partiti. Da scrittore ha scritto pagine dense di colpi di scena, da politico i colpi di scena li ha vissuti e talvolta subiti. La sintesi sta in una vignetta di Vincino che desidererebbe avere e che il Corriere pubblicò diciassette anni fa: ritrae una furibonda mischia rugbistica dalla quale esce indenne Mattarella che, ovale in mano, s’invola verso la meta. Il giorno prima Franceschini — già vestito per salire al Colle a giurare da ministro della Difesa del secondo governo D’Alema — era rimasto incastrato nella mischia. Dovette attendere. Seppe attendere. Bisogna saper attendere.

8 dicembre 2016 (modifica il 9 dicembre 2016 | 00:59)
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Da - http://www.corriere.it/la-crisi-di-governo//notizie/ora-et-manovra-franceschini-uomo-tutte-stagioni-d7c39c00-bd8b-11e6-bfdb-603b8f716051.shtml
6023  Forum Pubblico / PARTITO DEMOCRATICO: PRIMA DI TUTTO FATE UN PROGETTO DI GOVERNO A CUI ALTRI POTRANNO ADERIRE. / Beppe SEVERGNINI. - L’infelice di professione che urla tra le macerie inserito:: Dicembre 09, 2016, 04:39:44 pm
L’infelice di professione che urla tra le macerie

Di Beppe Severgnini

«Eternamente loda / eternamente dice / eternamente mangia / e posa ad infelice». Un volumetto grigio chiama dallo scaffale più alto e propone questo epigramma (le librerie domestiche sono miniere di coincidenze). Il titolo della raccolta è Quiproquo (Garzanti, 1974). L’autore è Tito Balestra, uno che sapeva mirare lontano. Quei quattro versi anticipano un tipo umano che va forte, in questo sconcertante 2016. Prima di occuparcene, due parole sull’autore. Nato nel 1923 a Longiano in Romagna — terra artisticamente esplosiva — si trasferisce a Roma nel 1946 per diventare assistente sociale. Vive a casa degli zii: lui muratore, lei portiera. Arriva «all’arte dalla gavetta», per usare le sue parole. Frequenta le gallerie d’arte e le redazioni dei giornali. Conosce Alvaro, Bassani, Bertolucci, Flaiano, Guttuso, Longanesi, Maccari. E scrive. Alfonso Gatto: «Balestra è un poeta che non ha avuto fretta di stampare, un poeta che soltanto gli amici sapevano che scrivesse poesie». Di sicuro, non poteva immaginare che una di queste sarebbe servita a descrivere, molti anni dopo, l’infelice di professione. L’uomo che non protesta; si lamenta. Che non dice; grida. Che non critica; depreca. L’uomo per cui è tutto, sempre, un disastro. E mai per colpa sua.

Certo. Non è piacevole contare i soldi dello stipendio, e scoprire che da anni non aumentano. Non è bello vedere i figli costretti a elemosinare un lavoro. Non è divertente guardare i rapaci politici in cortile, pronti a beccare ciò che trovano. Ma l’apocalisse — vogliamo dirlo? — è un’altra cosa. Disperarsi, nell’Italia di oggi, non è solo controproducente; è offensivo verso chi l’orrore l’ha vissuto o lo vive davvero (la guerra, il terrorismo, la persecuzione). Ma l’infelice di professione non vuol sentire ragioni: vive un incubo, e deve urlarlo a tutti. Ha più di un alleato, purtroppo. Se gli industriali fanno i finanzieri, e passano la vita in casa o in viaggio, non si lamentino d’aver perso influenza. Se noi dei media soffiamo sul fuoco, poi non stupiamoci dell’incendio. Se la politica accarezza qualsiasi malumore — e sputa sull’Europa, accusata anche per colpe che non ha — o sappia: prepara il disastro. Come Sansone — infelici, rabbiosi, incuranti delle conseguenze — abbatteremo il tempio. Peccato che, sotto le macerie, potrebbe restare la democrazia.

Da - http://www.corriere.it/opinioni/16_dicembre_01/infelice-professione-bb412a2c-b72b-11e6-aef2-f5f620941d44.shtml
6024  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino: scrive su FB del 9 dicembre 2016 (suoi commenti). inserito:: Dicembre 09, 2016, 04:38:04 pm
Arlecchino scrive su FB del 9 dicembre 2016

Di preghiere c'è bisogno e chi sa' pregare è utile, non soltanto a chi ha fede.
Anche di chi sa' manovrare c'è bisogno in una Italia dove capipopolo, disinteressati al bene comune, invitano a votare con la pancia (Grillo) e altri minacciano rivolte di piazza se non si fa ciò che vogliono loro (Salvini).
Ben vengano Franceschini e Renzi che con il Presidente Mattarella ci aiutino a uscire da questo pericoloso "malinteso democratico". Ciaooo
….
Le azioni si devono valutare per le conseguenze negative che lasciano alle loro spalle. Nello specifico: cosa era utile annullare (o modificare) della nostra realtà triste e dispendiosa, quindi ingiusta? La caccia a Renzi, chiamata Referendum, usata come strumento per scopi di parte, che risultato ha ottenuto nei "fatti”? Il resto sono chiacchiere masochiste di chi non ha capito il trucco. Ciaooo
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Un buon traghettatore deve avere buon equilibrio se non vuole rovesciare la "sua" barca. Renzi deve traghettarci alle elezioni, anche per riscattarsi agli occhi dei più semplici deviati dal "mal di pancia". Se non lo fa deve dare inizio, da subito, ad un "suo Movimento", per farci capire cosa vuol fare del suo/nostro futuro (ma questo potrà farlo in ogni caso dopo la sentenza proporzionalista della Consulta). Ciaooo
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Ovviamente con il termine "traghettatore" Renzi lo immagino intendo e impegnato, oggi, nell'attraversare il "Fiume Italia" ... non il Mediterraneo tra Africa e Europa. Per i rapporti tra Italia e Africa ci vorrà un poco più di tempo. Ciaooo

Il Referendum, del 4 dicembre ci obbliga, ma obbliga soprattutto "il Potere", alla considerazione che gli "Ultimi" non possono seguitare a rimanere tali, ai livelli cui siamo arrivati oggi.
Siamo ad un punto in cui gli Ultimi sono cresciuti, arrivando ad una misura tale e con una estensione nei vari segmenti del sociale, che paralizza la razionale ricerca delle ragioni del convivere.
Il Referendum ha battuto "l'indifferenza"! Adesso tocca al Potere discernere, "rovistando tra l'accozzaglia" dei NO (ironizzo), per non commettere l'errore di dare a quei NO significati nebulosi, annebbiati dalla peggiore tifoseria, o addirittura rendendolo pericoloso strumento nelle mani di incapaci o peggio.
La Democrazia è difficile da vivere ma non dobbiamo farne fare un uso distorto di corto respiro.

La CULTURA deve avere la forza di mettersi alla testa degli Ultimi come motore di Rinascita e Nascita di una società diversa e più giusta.
I Piccoli Editori Indipendenti, anche loro tra Ultimi (perché poveri, ma non incapaci) sono l'avanguardia coraggiosa di una Dignità Nazionale, da dissotterrare, da liberare da chi l'ha sepolta, da rilanciare nel Mondo. Ciaooo
Da FB del / dicembre 2016

I migliori guerrieri devono anche essere intelligenti e combattere le battaglie adeguate ai tempi che stanno vivendo. Ideologie obsolete e pretese di dominio delle masse, non meritano più, ne battaglie ne guerre. L'uomo ha bisogno di riscattare la propria dignità individuale, non adeguarsi o inseguire libertà e democrazie deviate verso il potere "globale". ciaooo   

Malati di tutte le età attenzione: ai medici adulti, depressi (e svogliati) di oggi, si aggiungeranno giovani medici depressi.
Scegliete, se potete, da chi farvi sopprimere ... (ma dai scherzo).
Ma il problema è molto serio, l'aspettativa di vita non cresce più e in molte regioni sta calando. Ciaooo
….
La politica a suo tempo si nascose dietro il Governo tecnico di Monti, gli fece fare il lavoro "crudele". Poi tornò tranquilla sugli scranni, lieta di aver sbarcato il lunario.
Oggi il PD, dopo aver subito una indegna castrazione, su temi che molti considerano giusti provvedimenti, non deve nascondersi ne fuggire.
I numeri ci sono, si devono vedere confermati da "intese di lavoro a scopo determinato".
L'Italia ha impellente necessità di uscire dalla situazione creata da errori di Renzi, commessi per giusta causa e strumentalizzati per interessi personali e di parte.
Moltissimi Italiani non hanno paura di Renzi al governo, invece temono le pretese di chi ci propone la "democrazia deformata".
Ciaooo
….

6025  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino a Renzi su FB inserito:: Dicembre 09, 2016, 01:08:36 am
Nessuna pausa per Renzi con i voti al SI non se lo può permettere, sarebbe una fuga che non si deve accettare.

Lui sa dove ha sbagliato e deve sapere come ripresentarsi, subito, per correggersi.

Su molte cose aveva ragione e il fatto di essere stato incauto nell'aggredire i problemi (forse mal consigliato, ma non penso) non deve premiare i fanfaroni capaci solo di offendere e sparare cavolate offensive per le intelligenza meno ingenue.   
6026  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino da FB di 7 e 8 dicembre 2016 (3) inserito:: Dicembre 09, 2016, 01:06:34 am
Caro Umberto ……, (permetti la confidenza del caro") questo pezzo di Antonio Gnoli (personaggio che non conosco) è una di quelle opere che permettono alla mia ignoranza di stendersi, quasi accoccolarsi nel leggere sensazioni nuove (o vecchie ma belle) che mi insegnano o ricordano cose delle vita vissuta da altri che "conoscono cose" più di me. Come se me le donassero (si dona talmente poco tra noi e non solo oggi). Penso anch'io che la morte forse non esiste è la Vita che finisce. E prima che finisca la Vita, se invecchi, hai il ricordo di cose o persone che avevi con te o conoscevi, persone che non hai saputo godere a pieno, perché eri distratto dall'essere giovane o dall'essere povero. Tu dici il potere: io penso sia più che una illusione, una realtà, per chi lo ha e lo usa male (in politica quasi tutti), che allontana dalle persone e rende soli, non soltanto moralmente. In fondo, pensando alla morte, i potenti sono esseri inutili a se stessi e dannosi per gli altri. Solo le loro opere sono in grado di riscattarli o condannarli per sempre al nostro disgusto. 
Ciaooo

A R….. (Su la collina dei curiosi) l’8 dicembre 2016
6027  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino da FB di 7 e 8 dicembre 2016 bis inserito:: Dicembre 09, 2016, 01:04:56 am
Il Referendum, del 4 dicembre ci obbliga, ma obbliga soprattutto "il Potere", alla considerazione che gli "Ultimi" non possono seguitare a rimanere tali, ai livelli cui siamo arrivati oggi. Siamo ad un punto in cui gli Ultimi sono cresciuti, arrivando ad una misura tale e con una estensione nei vari segmenti del sociale che paralizza la razionale ricerca delle ragioni del convivere. Il Referendum ha battuto "l'indifferenza"! Adesso tocca al Potere discernere, "rovistando tra l'accozzaglia" dei NO, per non commettere l'errore di dare a quei NO significati nebulosi, annebbiati dalla peggiore tifoseria, o addirittura rendendolo pericoloso strumento nelle mani di incapaci o peggio. La Democrazia è difficile da vivere ma non dobbiamo farne fare un uso distorto di corto respiro. La CULTURA deve avere la forza di mettersi alla testa degli Ultimi come motore di Rinascita e Nascita di una società diversa e più giusta. I Piccoli Editori Indipendenti, ultimi (perché poveri, ma non incapaci) sono l'avanguardia coraggiosa di una Dignità Nazionale da dissotterrare e rilanciare nel Mondo. ciaooo         

Da – FB del 7 dicembre 2016


Il Referendum, del 4 dicembre ci obbliga, ma obbliga soprattutto "il potere", alla considerazione che gli ultimi non possono seguitare a rimanere tali, ai livelli cui siamo arrivati oggi. L'egocentrismo, dinamico, per alcuni eccessivo, di Renzi raccogliendo intorno alla sua Presidenza consenso e dissenso ha il merito di avere fatto emergere che anche l'apatia dei disattenti, dei rassegnati, degli imboscati in una realtà comoda ma meschina, si può destare per elevare proteste civili e non violente. Adesso, a tutti noi, il compito di leggere con attenzione il messaggio del Referendum e non commettere errori da animi frastornati.
6028  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / EPIGRAFI di Arlecchino (E ALTRO sia miei sia presi qua e la') inserito:: Dicembre 09, 2016, 01:03:09 am
Nessuna pausa per Renzi con i voti dati al SI, non se lo può permettere sarebbe una fuga che non si deve accettare.

Lui sa dove ha sbagliato e deve sapere come ripresentarsi, subito, per correggersi. Su molte cose aveva ragione e il fatto di essere stato incauto nell'aggredire i problemi (forse mal consigliato, ma non penso) non deve premiare i fanfaroni capaci solo di offendere e di sparare cavolate offensive per le intelligenza meno ingenue.

ciaooo
PS: La Margherita non deve abbandonarlo ...
6029  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Federica Fantozzi. Calise: “Renzi non è solo. 13 milioni di voti vi sembrano ... inserito:: Dicembre 08, 2016, 06:59:31 pm
Interviste
Federica Fantozzi   
@federicafan
· 6 dicembre 2016

Calise: “Renzi non è solo. 13 milioni di voti vi sembrano pochi?”
Referendum   
   

Il politologo: “Il premier non può fare miracoli, ma adesso intorno a lui si è coagulato un segmento forte di società”

Mauro Calise, politologo, insegna Scienze Politiche all’università Federico II di Napoli. Editorialista del Matti – no, è autore di saggi assai calati nella realtà come l’ultimo «La democrazia del leader» (Laterza 2016) o il precedente «Fuorigioco. La sinistra contro i suoi leader» (2013).

Professore, si aspettava il risultato del referendum?

«Ho l’abitudine di fidarmi più dei sondaggisti che del mio naso. E quindi: no, non me lo aspettavo. Non in questi termini. Le previsioni indicavano uno scarto inferiore. Il dato che ha cambiato le carte in tavola è stata l’affluenza che anziché fermarsi al 54% ha raggiunto proporzioni da elezioni politiche».

L’analisi più diffusa è che Renzi ha personalizzato la battaglia, trasformandola in una guerra civile e dunque perdendola. È davvero così oppure, dopo il mandato bis di Napolitano, era un sentiero obbligato?

«Renzi non aveva molte alternative, ma ha fatto quella scelta sulla base di un ragionamento strategico che alla fine non ha funzionato. Questo: in un sistema ormai tripolare, con tre partiti praticamente alla pari, ha cercato una forzatura bipolarizzante come prospettiva di lungo periodo».

Cioè, ha scommesso sull’Italicum?

«Il premier era convinto che l’ondata favorevole delle Europee non avrebbe retto. Del resto, lo si è visto: nonostante le conquiste, tutto ciò che ha fatto il governo, la sua popolarità stava scemando. E non per colpa del referendum ma perché sono tempi durissimi in Europa e nel mondo per chi governa. Soprattutto se è di sinistra: Clinton è stata spazzata via da Trump, Hollande nemmeno si ricandida, la Spd appare come comparsa nel governo di Angela Merkel, i socialisti spagnoli sono ridotti a ruota di scorta del governo conservatore».

Insomma, il premier aveva le sue ragioni per comportarsi come ha fatto?

«Renzi rappresentava e in prospettiva rappresenta ancora un’eccezione a quello che non è il declino ma il tracollo della sinistra. Con questo sfondo, ha cercato di massimizzare la sua posizione lungo due binari. Il primo: la legge elettorale, che spacca in due l’elettorato. Il secondo: le grandi riforme».

Due anni di lavoro spazzati via in una notte.

«Insomma. Marco Travaglio sostiene che si sia messo nella scia di Napolitano, Ezio Mauro si chiede chi glielo ha fatto fare… Io credo che lui si sia reso conto che in un contesto tripolare non sarebbe durato e abbia agito. Non è un ragazzotto sventato: è un politico con idee molto precise. Ha pensato che, senza questo risultato, non lo avrebbero battuto in campo aperto ma comunque rosolato a fuoco lento».

D’accordo, però alla fine ha perso. In che modo può rappresentare ancora una prospettiva per la sinistra?

«Oggi la sconfitta appare molto sonante, anche perché un po’ inattesa. Ma guardiamo i numeri: 13 milioni di voti. Due in più delle Europee. Più di Veltroni, che nel 2009 ne prese 12 milioni. Un bottino elettorale molto rispettabile perché costruito in campo aperto, non in un’occasione distratta. Numeri che eguagliano il Berlusconi dei tempi migliori e che il centrosinistra non si è sognato, tantomeno Bersani. Tutti voti intorno a Renzi e a una radicale proposta di rinnovamento del Paese».

Quindi, quella di Bersani era una non-vittoria e questa di Renzi è una non- sconfitta?

«È una sconfitta, ma va analizzata bene. Davvero Renzi è solo, non ha una classe dirigente intorno, non esiste renzismo nei corpi intermedi, associazioni, intellettuali, professori? La mia impressione è che proprio per la lunghezza e durezza dello scontro, adesso intorno a lui c’è una fetta rappresentativa della società. Se segmentiamo la piramide dei votanti e accettiamo l’assunto che il No sia andato forte nelle classi disagiate e nei ceti bassi, è probabile che intorno al Sì si sia raccolta u n’ossatura dirigenziale, organizzativa, propulsiva. Insomma, quella di Renzi non è più una leadership solitaria. Ha coinvolto segmenti attivi e influenti».

Perché, allora, ha perso?
«Perché era uno contro tutti. Aveva contro i partiti di opposizione e un pezzo del suo partito. Sono numeri da elezioni politiche. Chiedergli pure un miracolo in questa Europa forse è un po’ eccessivo. Se 13 milioni vi sembrano pochi…».

Sembra che il premier abbia la tentazione di lasciare anche la segreteria del Pd. Ipotesi che i suoi gli chiedono di accantonare. Lei gli consiglierebbe di prendersi un sabbatico dalla politica?
«No, nel modo più assoluto. Un passo indietro dal governo, invece, conviene a lui, all’esecutivo e al capo dello Stato».

In che senso conviene al governo?
«Non ci sarà lo stesso premier, ma nel prossimo esecutivo ci saranno molti elementi di continuità con l’attuale. È anche questione di rispetto della comunità internazionale. Renzi ha perso ma non è rimasto a mani vuote. Se ne va con un patrimonio di consenso negli elettori e nel Pd. Non vedo elementi che lo spingano a ritirarsi dalla politica. Mi auguro che non influiscano componenti caratteriali o psicologiche: sarebbe una vera delusione».

Si riparte dal congresso del Pd?
«Intanto, si riparte dal governo, che va fatto in tempi rapidi ed è la tappa più importante. Poi lasciamo decantare i numeri, guardiamoli con attenzione. Non si deve lasciare l’iniziativa a una coalizione eterogenea e antipolitica. Calma e gesso».

Da - http://www.unita.tv/interviste/calise-renzi-non-e-solo-13-milioni-di-voti-vi-sembrano-pochi/
6030  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Umberto DE GIOVANNANGELI - Bolaffi: “La sinistra torni a capire il segno dei tem inserito:: Dicembre 08, 2016, 06:55:27 pm
Interviste

Umberto De Giovannangeli   
· 6 dicembre 2016

Bolaffi: “La sinistra torni a capire il segno dei tempi”

Il filosofo della politica: “Populismo è diventato una sorta di passepartout che non dice niente”
«Ogni realtà nazionale trova in sé una chiave interpretativa che può spiegare, in parte, il perché di una sconfitta politica ed elettorale, tuttavia sarebbe un errore esiziale non alzare lo sguardo rendendosi conto di un dato generale di portata epocale: se la sinistra in Europa non riesce a ridefinire complessivamente le proprie opzioni strategiche e di analisi del reale, sempre che questo sia ancora possibile, essa è destinata inesorabilmente a un ciclo di sconfitte. La sinistra non può sperare di tornare a vincere se resta prigioniera del paradigma socialdemocratico». A sostenerlo è Angelo Bolaffi, filosofo della politica e germanista, dal 2007 al 2011 direttore dell’Istituto di cultura italiana a Berlino, autore di numerosi saggi tra i quali ricordiamo: «Il sogno tedesco. La nuova Germania e la coerenza europea» (Donzelli, 1993), e il più recente «Cuore tedesco. Il modello Germania, l’Italia e la crisi europea». (Donzelli, 2013).

Professor Bolaffi il meno che si possa dire guardando al presente, è che la sinistra in Europa non se la passi bene. È possibile individuare un tratto comune di questa crisi?
«Direi di sì, e questo tratto va ricercato nel fatto che i processi strutturali legati alla globalizzazione, rendono obsolete o addirittura impossibili quelle che sono state le politiche economiche classiche della sinistra, come d’altronde aveva previsto Ralph Dahrendorf quando parlò, circa un quarto di secolo fa, di fine dell’età socialdemocratica. Paradossalmente, dunque, la sinistra socialdemocratica classica si può dire vittima del proprio successo, nel senso che ha realizzato quello che voleva, vale a dire le politiche keynesiane classiche, le politiche di redistribuzione salariale e dei diritti portate avanti dai sindacati. Non è riadattando al Terzo Millennio e all’età della globalizzazione totale, un neo keynesismo che la sinistra può sperare di uscire dalla crisi che l’attanaglia. Una crisi che è innanzitutto di categorie di analisi, e dunque di capacità di comprendere il segno dei tempi, prim’ancora che di programmi o di gestione. Ormai è necessario un cambio di paradigma, tanto è vero che laddove riescono a vincere rappresentanti di forze non riconducibili alle destre, come in Austria o in alcuni Länder tedeschi, costoro sono dei Verdi, i quali hanno sottoposto a critica il paradigma socialdemocratico classico».

Guardando alle sconfitte elettorali che la sinistra ha inanellato in Europa e proiettandosi verso gli appuntamenti elettorali del 2017, le presidenziali in Francia, le legislative in Olanda e Germania, si fa sempre riferimento ad una inarrestata “onda populista”. Ma questo termine, “populismo”, può spiegare tutto?

«Assolutamente no. “Populismo” è ormai diventato una sorta di passepartout che non dice niente, generalizzando fenomeni diversi. Proviamo a distinguerli: i risultati delle elezioni in Gran Bretagna, dove è stato sconfitto il Partito laburista, e negli Stati Uniti, dove a perdere sono stati i Democratici della Clinton, attengono a due Paesi che non avevano in un caso – il Regno Unito – l’euro e nell’altro, gli Usa, la moneta è il dollaro. Questi risultati non sono ascrivibili, come invece sostiene una diffusa narrazione in voga a sinistra, a cosiddette politiche economiche di austerità che sarebbero state imposte dalla Germania. Ancora: la presenza di forze “populiste” in Austria, Olanda e Germania, Paesi che non soffrono di crisi economica, può essere ascrivibile a problemi legati all’immigrazione ma non certo alle politiche economiche di austerità. I Paesi che invece hanno sofferto maggiormente per via della crisi finanziaria dell’euro, come la Grecia, la Spagna, l’Irlanda, non presentano movimenti populisti di destra. Operare queste distinzioni non è un esercizio intellettuale ma è la base politica e concettuale indispensabile perché la sinistra affronti il “populismo “con un’analisi diversificata. Non c’è una spiegazione unica come non c’è un “populismo “unico. Certamente, sul piano politico, siamo di fronte a sommovimenti tellurici di portata globale che hanno bisogno di chiavi di lettura di cui la sinistra è oggi evidentemente priva».

È possibile, andando indietro nel tempo, individuare una fase, come quella dell’oggi, nella quale la sinistra era in così evidente difficoltà?
«Se vogliamo trovare in qualche modo una fase di difficoltà di tutta la sinistra in Europa, mi verrebbe da pensare alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso, quando la ricostruzione dell’Europa occidentale venne guidata dalle forze moderate e conservatrici, mentre la sinistra era attestata su posizioni ideologiche quali l’opposizione all’Alleanza Atlantica e alla costruzione dell’Europa unita».

A proposito di Europa non travolta dalla marea populista, l’ultimo baluardo sembra essere la cancelliera tedesca Angela Merkel, che pure di sinistra certamente non è.
«Di nuovo: la sinistra deve fare i conti, fino in fondo, con la Storia. Anche negli anni del secondo dopoguerra, furono dei politici cattolici democratici, come Adenauer e De Gasperi, a guidare la ricostruzione dell’Europa e ad avviare il processo di unificazione dell’Europa occidentale e a dar vita, con la Nato, all’alleanza con gli Stati Uniti. Allora, nell’Europa della Guerra fredda, non solo la sinistra comunista ma anche la socialdemocrazia tedesca si attestò, sia pure in modi diversi, su posizioni ideologiche. Oggi, nell’epoca della globalizzazione, la sinistra, meno ideologica ma più progettuale, dovrebbe ritrovare il senso di sé indicando all’Europa una prospettiva, una direzione di marcia. Renzi ci ha provato. Altri, no, e questo gli va riconosciuto».

Da - http://www.unita.tv/interviste/bolaffi-la-sinistra-torni-a-capire-il-segno-dei-tempi/
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