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5986  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / MONICA GUERZONI. Crisi di governo, il valzer delle correnti pd stringe il leader inserito:: Dicembre 10, 2016, 09:36:23 am
Il retroscena
Crisi di governo, il valzer delle correnti pd stringe il leader
Dalla minoranza a Areadem le anime si riallineano e al segretario restano solo una cinquantina di deputati

Di Monica Guerzoni

Le centinaia di lettere di solidarietà arrivate al Nazareno nelle ultime ore, da ogni parte d’Italia, devono aver lusingato Matteo Renzi almeno un poco. E forse l’affetto epistolare di quegli italiani che ancora lo vogliono premier lo fa sentire meno solo, ora che nel Pd anime e casacche hanno ripreso vorticosamente a volteggiare. Far la conta delle correnti e degli spifferi è un lavoro da certosini medievali e c’è sempre il rischio che, tra scrittura e stampa, qualche altro parlamentare abbia deciso di riposizionarsi. Verso quali lidi? La sirena che tutti seduce è, ancora una volta, Dario Franceschini. La sua sintonia con il Quirinale rassicura e attrae peones e capicorrente e, al tempo stesso, irrita e preoccupa Renzi.
Torna il rito delle delegazioni di partito che salgono al Colle: tante idee, una decisione

Con i suoi cento parlamentari, tra cui i due capigruppo Rosato e Zanda, il ministro della Cultura e leader di Areadem ha dalla sua parte la maggioranza dei gruppi: un peso destinato a crescere a vista d’occhio, tanto che qualcuno già ne pronostica 130. Sulla carta dunque, Renzi è in minoranza. L’abbandono è stato repentino come lo era stato l’avvicinamento al nuovo capo, dopo la vittoria alle primarie. I franceschiniani prestati al renzismo sono tornati a essere franceschiniani e basta, lasciando all’inquilino del Nazareno forse meno di cinquanta deputati. Le cronache parlamentari li raccontano attovagliati tre sere fa in un’osteria romanesca tra Camera e Senato, su invito dei due toscani che si spartiscono la guida dei «falchi»: Maria Elena Boschi e Luca Lotti. Con loro, in ordine sparso, Alessia Morani, Davide Ermini, Alessia Rotta, Francesco Bonifazi. Nel menu tonnarelli cacio e pepe, tiramisù e un bel governo Renzi bis. Sempre a tavola hanno imbastito la linea i seguaci di Bersani e Speranza, tanto che da domenica sera nel Pd si litiga su se e quanto i parlamentari della minoranza abbiano alzato i calici, domenica a casa di Guglielmo Epifani. Bersani era a Piacenza, ma di certo il suo cuore era a Roma con i compagni, che ora guardano a un governo Franceschini senza alzare troppo il sopracciglio.

I 50 «spring dem»
Ieri a metà pomeriggio girava voce di un accordo già fatto tra la minoranza — che conta una ventina di senatori e una trentina di deputati —, Areadem e i giovani turchi vicini al ministro Andrea Orlando. Voce che Speranza però non conferma: «Non c’è ancora nulla, aspettiamo le consultazioni». Il trionfo del No ha rafforzato la sinistra non-cuperliana, che aveva subìto perdite non irrilevanti in campagna elettorale. Un dalemiano storico come Ugo Sposetti ha votato Sì, giustificato dai colleghi che lo apprezzano come un «comunista doc, antico, partitico e disciplinato». La stessa scelta, per ragioni diverse, hanno fatto l’ex dissidente del Senato Vannino Chiti, Josefa Idem e i senatori Martini, Lo Moro, D’Adda, Bubbico, Sollo. Il ministro Maurizio Martina non ha cambiato idea, resterà con Renzi anche nella cattiva sorte. Per ora. I 50 parlamentari di Primavera democratica, ribattezzati ironicamente «spring», sono la sua ricca dote. La balcanizzazione ha ringalluzzito anche i cattolici di Beppe Fioroni, che studiano raffinate trame al Falchetto, a pochi passi dalla sede dove Murri fondò la Dc: 30 parlamentari, legati a doppio filo all’area di Lorenzo Guerini.

I giovani turchi
L’ago della bilancia saranno però i giovani turchi. La notte della débâcle aveva visto la rottura tra Orlando e Matteo Orfini, che si era chiuso a Palazzo Chigi senza consultare i suoi e sposando la linea «al voto, al voto». Ma la moral suasion di Mattarella, sussurrata da franceschiniani molto vicini al presidente come Francesco Saverio Garofani, ha convinto Orfini a frenare e riportato la calma tra i «turchi»: 40 alla Camera e 17 al Senato. Abbastanza per fare la differenza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
8 dicembre 2016 (modifica il 9 dicembre 2016 | 17:08)


Da - http://www.corriere.it/la-crisi-di-governo//notizie/valzer-correnti-pd-stringe-leader-17e35e26-bd8f-11e6-bfdb-603b8f716051.shtml
5987  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MASSIMO GIANNINI Se il voto diventa un rito cannibale inserito:: Dicembre 10, 2016, 09:34:23 am
Se il voto diventa un rito cannibale

Di MASSIMO GIANNINI
08 dicembre 2016

UNA macabra 'cerimonia cannibale' si consuma intorno al corpo stanco del Paese. La politica, terremotata dall’ordalia referendaria, divora se stessa. E precipita l'Italia in una crisi di governo che si fa sempre più indecifrabile. Renzi si dimette, la sinistra fagocita un altro dei suoi leader. Ma Renzi non esce di scena, come aveva promesso. Semmai rilancia: chiama tutti i partiti a un’impossibile 'grande abbuffata', che non vedremo mai. E quindi si rilancia, forse per oggi, sicuramente per il futuro: solo io posso succedere a me stesso.

Se la direzione del Pd doveva chiarire cosa c'è dietro l'angolo, l'obiettivo è fallito. L'ex premier ha parlato da premier ancora in carica. Non una parola sulla disfatta referendaria, molte parole sulle cose fatte nei mille giorni e su quelle ancora da fare. La serena, equilibrata consapevolezza di domenica è durata lo spazio di una notte. Il 'discorso della sconfitta' è già dimenticato, quasi che la sconfitta non sia mai esistita. Anzi il Pd, pare, sta conoscendo "un boom di iscrizioni". Se è stata indecorosa la festa della minoranza del partito, che in un impeto bertinottiano ha brindato alla caduta del 'suo' governo, lo è altrettanto la festa di Renzi, che "alza i calici" non si sa bene a che cosa.

Questa è una crisi totalmente autoprodotta. Nata da un referendum che doveva purificarlo dal peccato originale (guidare un governo non eletto), e invece si è rivelato un perfetto suicidio politico. E complicata da un azzardo morale (imporre al Paese una legge elettorale valida solo per la Camera, nella fallace certezza che gli italiani avrebbero detto sì all’abolizione del Senato elettivo).

Cosa propone Renzi per uscire dal vicolo cieco nel quale ha cacciato l’Italia?
Due soluzioni, ugualmente impercorribili. La prima è il 'governo di responsabilità', aperto a tutti i partiti che, insieme al Pd, devono assumersi la responsabilità di far uscire il Paese da questa impasse. In teoria, è una buona formula. Presuppone, appunto, la presa in carico dei problemi del Paese, che vengono prima dei destini dei leader, e la ricerca di soluzioni credibili e condivise, nell’interesse dei cittadini- elettori. Ma se diventa, in pratica, l’ennesimo 'proiettile d’argento' sparato nel buio di una notte repubblicana in cui la politica tenta solo di salvare se stessa, senza preoccuparsi di salvare l’Italia, allora si trasforma nel suo contrario. Una proposta irresponsabile, perché palesemente impercorribile: il mucchio selvaggio, tutti dentro, dove in quel tutti ci dovrebbero essere anche i 5 Stelle, notoriamente indisponibili a qualunque 'contaminazione'. Dunque a cosa servirebbe, se non a essere respinta dal Quirinale? C'è solo un'altra possibilità: che 'governo di responsabilità', in realtà, significhi 'Grande Coalizione' con Berlusconi. L'ipotesi è improbabile: per quello che vale, il Cavaliere si è già chiamato fuori. Ma soprattutto è inaccettabile: dopo aver tuonato da un anno contro gli inciuci, Renzi non può riproporre un Nazareno 4.0, senza perdere la faccia e la dignità.

La seconda proposta non è meno impercorribile. Perché questa crisi sconta una doppia anomalia: non nasce da una caduta della maggioranza, e non prevede la possibilità di scioglimento immediato delle Camere (come sostiene Mattarella, è realmente 'inconcepibile' votare con due sistemi elettorali diversi tra i due rami del Parlamento, pena il passaggio dalla confusione di oggi al caos di domani). Dunque Renzi dice: non abbiamo paura di niente e di nessuno, se qualcuno vuole votare subito dopo la sentenza della Consulta sull’Italicum, fissata il 24 gennaio, noi siamo pronti. Ma la sentenza della Corte non sarà 'auto-applicativa', quindi servirà comunque tempo per recepirne i contenuti in una legge. Votare 'sotto la neve', come si diceva ai tempi della crisi berlusconiana, sarà impossibile.

E allora cosa ha in testa Renzi? Lui lo esclude, ma forse è un reincarico, con la stessa maggioranza di oggi. O per portare il Paese al voto anticipato in primavera, ma dalla poltrona di Palazzo Chigi, gestendo gli 'importanti appuntamenti internazionali' che fanno brillare gli occhi al premier uscente. O per arrivare addirittura alla fine della legislatura del 2018, se ci sono le condizioni. Uno scenario che non ha molte più chance di essere attuato. Se non al prezzo di altre rotture. Una rottura con il suo partito, perché la minoranza non glielo consentirebbe. Una rottura con se stesso, perché il Renzi rottamatore, ultrarapido e ultramoderno, capace di rompere le vecchie liturgie e gli antichi compromessi, tornerebbe in campo con un 'bis' doroteo da Prima Repubblica, degno di un Forlani qualsiasi.

Tutto è nelle mani del Capo dello Stato. Nella 'cerimonia cannibale' della politica c’è di tutto. Spirito di vendetta e istinto di conservazione. Quello che manca, clamorosamente, è ciò che serve ed è utile al Paese. L'esito del referendum poteva stupire solo chi, troppo impegnato nello storytelling dei giorni felici, in questi tre anni non ha mai voluto guardare la faccia triste dell’Italia. Quel mare di No che ha travolto il governo nasce per una buona metà da un disagio sociale profondo e sempre negato. Ma per un'altra metà nasce dal rifiuto di una brutta riforma costituzionale. Il messaggio che quei 17 milioni di italiani hanno mandato, con il rifiuto di un 'Senato non elettivo', è chiaro: ci siamo, vogliamo decidere noi chi ci deve rappresentare. La risposta a questa domanda di partecipazione non può essere il quarto governo non eletto, che dura fino alla scadenza naturale della legislatura. Bisogna ridare al popolo ciò che il popolo chiede: il diritto di scegliere. Al più presto. Questo non è populismo. È Costituzione.

Ma come ha scritto Mario Calabresi, le elezioni non possono diventare un salto nel buio. O peggio ancora una roulette russa. Quindi una legge elettorale serve, e serve un governo 'di scopo', sostenuto dalla maggioranza di oggi, o da chi ci sta. Non c'è da aspettare il nuovo Consultellum, o rieditare il vecchio Italicum. Volendo, c’è a disposizione un sistema eccellente, maggioritario, che ha già funzionato in modo egregio quando l'Italia usciva dalle secche di Tangentopoli, nel 1993. Si chiama Mattarellum, dal nome dell’attuale presidente della Repubblica.
Basta una legge di una riga, per farlo rivivere. Basta una settimana di lavori parlamentari, per approvarlo. Poi torniamo pure alle urne. Ma finalmente 'sereni'. Senza pistole puntate sulla tempia.

© Riproduzione riservata
08 dicembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/12/08/news/se_il_voto_diventa_un_rito_cannibale-153685884/?ref=HREA-1
5988  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Antonio MACALUSO. Dopo il referendum Il destino del Pd (con o senza Renzi). inserito:: Dicembre 09, 2016, 04:47:28 pm
Dopo il referendum
Il destino del Pd (con o senza Renzi)
Con «Fuori!» e «Oltre la rottamazione» l’ex sindaco di Firenze lanciò una sfida a domare le stelle. Al di là del futuro della sua leadership, al partito servono idee, coerenza e coraggio.
Un chiarimento è necessario

Di Antonio Macaluso

Tenendo fede a quello che ha sempre detto — quando si sbaglia si usa sempre l’io, il noi va tenuto da parte per quando si vince — Matteo Renzi dovrà ora riflettere sulla sconfitta e su quanto possa aver influito, al di là dei contenuti della Grande Riforma, la gestione del governo e del partito. Nel suo libro Oltre la rottamazione (maggio 2013) — quando era già leader del Pd e nove mesi prima di insediarsi a Palazzo Chigi al posto di Enrico Letta — Renzi scriveva: «Se ho indossato con convinzione i panni del rottamatore non è per il furore iconoclasta del nuovismo. Quando lo dico non mi crede nessuno, ma sono una persona che adora le tradizioni, che si è laureata in storia del diritto e che crede alla bellezza del patto tra generazioni. Credo nella bellezza e nel valore costitutivo della memoria e mi piace da impazzire quel pensiero di James Matthew Barrie, il padre di Peter Pan, che dice “Dio ci ha donato la memoria, così possiamo avere le rose anche a dicembre”».

Il punto è che quelle rose, anche a dicembre, possono essere piene di spine. È ancora Renzi a farlo presente in un suo libro precedente, Fuori! 2011, quando racconta della telefonata che gli fece Massimo D’Alema per congratularsi con lui per la vittoria alle primarie per correre come sindaco di Firenze: «Complimenti. Leggo — gli disse D’Alema — che qualcuno ti definisce il nuovo astro nascente della sinistra. Auguri, ma ti suggerirei prudenza e cautela. L’ultimo astro nascente della sinistra è stato appena maciullato. Si chiamava Renato Soru». Parole che in quel momento dovevano suonare alle orecchie di Renzi come l’avvertimento rabbioso di un rottamato in pectore se, poche pagine più avanti, scrive: «I nostri sembrano in bambola. Li senti parlare in slang politichese e ti verrebbe da chiamare un dottore per chiedere: “scusi, ma a questi l’anestesia quando finisce? Quando si svegliano davvero”»?

Erano gli anni delle bordate contro «i soliti noti, i tromboni e i trombati». La parola d’ordine, innocua nella formulazione ma cruenta nella sostanza, era ridare fiato al Pd e slancio all’Italia. Diceva Renzi, rivolgendosi alle nuove leve del partito e, in generale, del Paese, che era il momento di decidere «se vogliamo provare a domare le stelle, puntando in alto. O se ci accontentiamo di vivere impigriti, facendo a botte con il nulla». Una chiamata alle armi di trentenni e quarantenni, che esortava a non avere paura: «Saremo accusati di arroganza e arrivismo. Ma meglio essere accusati di arroganza oggi che essere processati per diserzione domani». E qui, quasi sei anni dopo, ci ritroviamo: ci ha provato nel modo giusto? Ha fatto abbastanza? Ci sono stati più arroganza e arrivismo che cura del dialogo e cura dei contenuti? O è stato il «vecchio mondo» a ricompattarsi prima d’essere spazzato via, di farsi rottamare? Quali e quante stelle Renzi ha domato?

In molti alzeranno — chi pubblicamente, chi meno — calici per brindare al «bischero» azzoppato, sconfitto. Ma non tutti saranno — chi pubblicamente, chi meno — in grado di affermare con ragionevole certezza che un governo diverso e un Pd anche solo in parte derenzizzato valgano davvero un brindisi. Chi, in buona fede, può far finta di non sapere su quale pericoloso crinale viva il nostro Paese, sempre nel mirino di una speculazione a caccia di buoni affari? E, anche limitandoci ad immaginare un futuro per il Pd, la cui attitudine all’autolesionismo è stata sperimentata da tutti i suoi leader, è di tutta evidenza la necessità di ritrovarsi. Nel suo libro Stil Novo del 2012, Renzo sostiene che Dante Alighieri, pur senza esserne cosciente, era di sinistra. Era un uomo coraggioso, «stava nella mischia a testa alta. Aveva l’ardire di sfidare i potenti. In un mondo di mezze calzette, era uno tosto che non si tirava indietro quando c’era da parlare chiaro. Persino con il Papa».

Difficile (o forse no, a seconda di quanto si voglia essere maliziosi) dire se quattro anni fa Renzi si sentisse il Dante 2.0 per la sinistra italiana ma è certo che, al netto del problema della leadership, il Pd i suoi problemi non li ha ancora risolti. Perché, Renzi o non Renzi, la politica è fatta di idee, di coerenza e di coraggio. E, con lui o senza di lui, il Pd dovrà decidere — cosa che dalla sua nascita non ha mai fatto — cosa vuole essere davvero.

7 dicembre 2016 (modifica il 7 dicembre 2016 | 17:55)
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/16_dicembre_08/destino-pd-con-o-senza-renzi-5171f39e-bc9c-11e6-9c31-8744dbc4ec0a.shtml
5989  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Francesco VERDERAMI I volti della crisi inserito:: Dicembre 09, 2016, 04:42:55 pm
I volti della crisi
Crisi di governo, l’«Ora et manovra» di Franceschini: un uomo per tutte le stagioni e sempre con un alibi
Cosa pensasse di lui, Renzi l’aveva detto due anni fa al microfono in una direzione del Pd: «Scusate, nella ressa è sparito un cappotto. Dario si è già costruito un alibi di ferro»


Di Francesco Verderami

Cosa pensasse di lui, Renzi l’aveva detto due anni fa al microfono in una direzione del Pd: «Scusate, nella ressa è sparito un cappotto. Dario si è già costruito un alibi di ferro». Solo processi indiziari a carico dell’avvocato Franceschini, mai una prova che abbia consentito alle sue presunte vittime di incastrarlo. Che poi in politica non esistono i complotti, perché ogni vicenda è la risultanza di mosse azzeccate e sbagliate. E se Renzi si trova oggi in un cul de sac non è certo per colpa del ministro della Cultura. Ma siccome lo dipingono così, siccome per anni è riuscito a superare indenne le alterne fortune del centrosinistra, dell’Ulivo e del Pd, con l’avvento di Renzi aveva deciso di rifugiarsi nella splendida stanza del suo dicastero, circondato da un muro di libri e incurante del motto che gli avevano cucito addosso: «Ora et manovra». Adesso che la risultanza referendaria ha spinto il premier a dimettersi, vive come un’ingiustizia quel venticello, la tesi cioè che si sia messo in proprio — in combutta con Berlusconi — per spodestare Renzi: «Scusate non posso parlare, sono ad Arcore a chiudere l’accordo». Una battuta per sdrammatizzare una situazione drammatica per il Pd. Un modo per sottolineare che ad Arcore non c’è mai stato, lui...

Sia chiaro, nessun Candide o Forrest Gump potrebbe campare così a lungo nel Palazzo. L’arte manovriera e l’istinto di sopravvivenza sono capacità e caratteristiche di chi si è forgiato alla scuola democristiana dei coltelli. Ma se anche stavolta Franceschini dovrà difendersi dall’accusa di tramare, potrà sempre dire che un alibi ce l’ha. Perché proprio lui, prima del voto, aveva consigliato Renzi a non compiere il passo che invece ha compiuto: «Matteo, non lasciare Palazzo Chigi. Se resti, potrai continuare comunque a controllare anche il partito. Se lasci, non avrai la forza nemmeno per controllare il partito». Un suggerimento che il premier, sospettoso di natura, deve aver vissuto come una trappola e che in queste ore è invece diventata la linea del Piave per chi ha subito la Caporetto delle urne. Le ombre sono dappertutto e per Renzi l’ombra più insidiosa ha il profilo di Franceschini, specie dopo che il ministro si è opposto all’idea del premier di andare precipitosamente al voto: «Questo sarebbe un suicidio e io non intendo suicidarmi». Essendo azionista nel partito e nei gruppi parlamentari, ha pesato le parole facendo capire quanto pesavano.

Più nel Pd cresce la voglia di sbarazzarsi di Renzi, più Franceschini dice di «seguire la linea di Renzi». Non c’è bisogno dello spargimento di sangue. Perché l’adozione del Consultellum alla Camera e al Senato, aprirebbe una lunga stagione di larghe intese dopo le elezioni. E il premier del futuro governissimo sarebbe il frutto di una mediazione tra partiti, non il leader di uno dei partiti. Da scrittore ha scritto pagine dense di colpi di scena, da politico i colpi di scena li ha vissuti e talvolta subiti. La sintesi sta in una vignetta di Vincino che desidererebbe avere e che il Corriere pubblicò diciassette anni fa: ritrae una furibonda mischia rugbistica dalla quale esce indenne Mattarella che, ovale in mano, s’invola verso la meta. Il giorno prima Franceschini — già vestito per salire al Colle a giurare da ministro della Difesa del secondo governo D’Alema — era rimasto incastrato nella mischia. Dovette attendere. Seppe attendere. Bisogna saper attendere.

8 dicembre 2016 (modifica il 9 dicembre 2016 | 00:59)
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Da - http://www.corriere.it/la-crisi-di-governo//notizie/ora-et-manovra-franceschini-uomo-tutte-stagioni-d7c39c00-bd8b-11e6-bfdb-603b8f716051.shtml
5990  Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, La SOCIETA', L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA, IL MONDO del LAVORO. / Beppe SEVERGNINI. - L’infelice di professione che urla tra le macerie inserito:: Dicembre 09, 2016, 04:39:44 pm
L’infelice di professione che urla tra le macerie

Di Beppe Severgnini

«Eternamente loda / eternamente dice / eternamente mangia / e posa ad infelice». Un volumetto grigio chiama dallo scaffale più alto e propone questo epigramma (le librerie domestiche sono miniere di coincidenze). Il titolo della raccolta è Quiproquo (Garzanti, 1974). L’autore è Tito Balestra, uno che sapeva mirare lontano. Quei quattro versi anticipano un tipo umano che va forte, in questo sconcertante 2016. Prima di occuparcene, due parole sull’autore. Nato nel 1923 a Longiano in Romagna — terra artisticamente esplosiva — si trasferisce a Roma nel 1946 per diventare assistente sociale. Vive a casa degli zii: lui muratore, lei portiera. Arriva «all’arte dalla gavetta», per usare le sue parole. Frequenta le gallerie d’arte e le redazioni dei giornali. Conosce Alvaro, Bassani, Bertolucci, Flaiano, Guttuso, Longanesi, Maccari. E scrive. Alfonso Gatto: «Balestra è un poeta che non ha avuto fretta di stampare, un poeta che soltanto gli amici sapevano che scrivesse poesie». Di sicuro, non poteva immaginare che una di queste sarebbe servita a descrivere, molti anni dopo, l’infelice di professione. L’uomo che non protesta; si lamenta. Che non dice; grida. Che non critica; depreca. L’uomo per cui è tutto, sempre, un disastro. E mai per colpa sua.

Certo. Non è piacevole contare i soldi dello stipendio, e scoprire che da anni non aumentano. Non è bello vedere i figli costretti a elemosinare un lavoro. Non è divertente guardare i rapaci politici in cortile, pronti a beccare ciò che trovano. Ma l’apocalisse — vogliamo dirlo? — è un’altra cosa. Disperarsi, nell’Italia di oggi, non è solo controproducente; è offensivo verso chi l’orrore l’ha vissuto o lo vive davvero (la guerra, il terrorismo, la persecuzione). Ma l’infelice di professione non vuol sentire ragioni: vive un incubo, e deve urlarlo a tutti. Ha più di un alleato, purtroppo. Se gli industriali fanno i finanzieri, e passano la vita in casa o in viaggio, non si lamentino d’aver perso influenza. Se noi dei media soffiamo sul fuoco, poi non stupiamoci dell’incendio. Se la politica accarezza qualsiasi malumore — e sputa sull’Europa, accusata anche per colpe che non ha — o sappia: prepara il disastro. Come Sansone — infelici, rabbiosi, incuranti delle conseguenze — abbatteremo il tempio. Peccato che, sotto le macerie, potrebbe restare la democrazia.

Da - http://www.corriere.it/opinioni/16_dicembre_01/infelice-professione-bb412a2c-b72b-11e6-aef2-f5f620941d44.shtml
5991  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino: scrive su FB del 9 dicembre 2016 (suoi commenti). inserito:: Dicembre 09, 2016, 04:38:04 pm
Arlecchino scrive su FB del 9 dicembre 2016

Di preghiere c'è bisogno e chi sa' pregare è utile, non soltanto a chi ha fede.
Anche di chi sa' manovrare c'è bisogno in una Italia dove capipopolo, disinteressati al bene comune, invitano a votare con la pancia (Grillo) e altri minacciano rivolte di piazza se non si fa ciò che vogliono loro (Salvini).
Ben vengano Franceschini e Renzi che con il Presidente Mattarella ci aiutino a uscire da questo pericoloso "malinteso democratico". Ciaooo
….
Le azioni si devono valutare per le conseguenze negative che lasciano alle loro spalle. Nello specifico: cosa era utile annullare (o modificare) della nostra realtà triste e dispendiosa, quindi ingiusta? La caccia a Renzi, chiamata Referendum, usata come strumento per scopi di parte, che risultato ha ottenuto nei "fatti”? Il resto sono chiacchiere masochiste di chi non ha capito il trucco. Ciaooo
….
Un buon traghettatore deve avere buon equilibrio se non vuole rovesciare la "sua" barca. Renzi deve traghettarci alle elezioni, anche per riscattarsi agli occhi dei più semplici deviati dal "mal di pancia". Se non lo fa deve dare inizio, da subito, ad un "suo Movimento", per farci capire cosa vuol fare del suo/nostro futuro (ma questo potrà farlo in ogni caso dopo la sentenza proporzionalista della Consulta). Ciaooo
….
Ovviamente con il termine "traghettatore" Renzi lo immagino intendo e impegnato, oggi, nell'attraversare il "Fiume Italia" ... non il Mediterraneo tra Africa e Europa. Per i rapporti tra Italia e Africa ci vorrà un poco più di tempo. Ciaooo

Il Referendum, del 4 dicembre ci obbliga, ma obbliga soprattutto "il Potere", alla considerazione che gli "Ultimi" non possono seguitare a rimanere tali, ai livelli cui siamo arrivati oggi.
Siamo ad un punto in cui gli Ultimi sono cresciuti, arrivando ad una misura tale e con una estensione nei vari segmenti del sociale, che paralizza la razionale ricerca delle ragioni del convivere.
Il Referendum ha battuto "l'indifferenza"! Adesso tocca al Potere discernere, "rovistando tra l'accozzaglia" dei NO (ironizzo), per non commettere l'errore di dare a quei NO significati nebulosi, annebbiati dalla peggiore tifoseria, o addirittura rendendolo pericoloso strumento nelle mani di incapaci o peggio.
La Democrazia è difficile da vivere ma non dobbiamo farne fare un uso distorto di corto respiro.

La CULTURA deve avere la forza di mettersi alla testa degli Ultimi come motore di Rinascita e Nascita di una società diversa e più giusta.
I Piccoli Editori Indipendenti, anche loro tra Ultimi (perché poveri, ma non incapaci) sono l'avanguardia coraggiosa di una Dignità Nazionale, da dissotterrare, da liberare da chi l'ha sepolta, da rilanciare nel Mondo. Ciaooo
Da FB del / dicembre 2016

I migliori guerrieri devono anche essere intelligenti e combattere le battaglie adeguate ai tempi che stanno vivendo. Ideologie obsolete e pretese di dominio delle masse, non meritano più, ne battaglie ne guerre. L'uomo ha bisogno di riscattare la propria dignità individuale, non adeguarsi o inseguire libertà e democrazie deviate verso il potere "globale". ciaooo   

Malati di tutte le età attenzione: ai medici adulti, depressi (e svogliati) di oggi, si aggiungeranno giovani medici depressi.
Scegliete, se potete, da chi farvi sopprimere ... (ma dai scherzo).
Ma il problema è molto serio, l'aspettativa di vita non cresce più e in molte regioni sta calando. Ciaooo
….
La politica a suo tempo si nascose dietro il Governo tecnico di Monti, gli fece fare il lavoro "crudele". Poi tornò tranquilla sugli scranni, lieta di aver sbarcato il lunario.
Oggi il PD, dopo aver subito una indegna castrazione, su temi che molti considerano giusti provvedimenti, non deve nascondersi ne fuggire.
I numeri ci sono, si devono vedere confermati da "intese di lavoro a scopo determinato".
L'Italia ha impellente necessità di uscire dalla situazione creata da errori di Renzi, commessi per giusta causa e strumentalizzati per interessi personali e di parte.
Moltissimi Italiani non hanno paura di Renzi al governo, invece temono le pretese di chi ci propone la "democrazia deformata".
Ciaooo
….

5992  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino a Renzi su FB inserito:: Dicembre 09, 2016, 01:08:36 am
Nessuna pausa per Renzi con i voti al SI non se lo può permettere, sarebbe una fuga che non si deve accettare.

Lui sa dove ha sbagliato e deve sapere come ripresentarsi, subito, per correggersi.

Su molte cose aveva ragione e il fatto di essere stato incauto nell'aggredire i problemi (forse mal consigliato, ma non penso) non deve premiare i fanfaroni capaci solo di offendere e sparare cavolate offensive per le intelligenza meno ingenue.   
5993  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino da FB di 7 e 8 dicembre 2016 (3) inserito:: Dicembre 09, 2016, 01:06:34 am
Caro Umberto ……, (permetti la confidenza del caro") questo pezzo di Antonio Gnoli (personaggio che non conosco) è una di quelle opere che permettono alla mia ignoranza di stendersi, quasi accoccolarsi nel leggere sensazioni nuove (o vecchie ma belle) che mi insegnano o ricordano cose delle vita vissuta da altri che "conoscono cose" più di me. Come se me le donassero (si dona talmente poco tra noi e non solo oggi). Penso anch'io che la morte forse non esiste è la Vita che finisce. E prima che finisca la Vita, se invecchi, hai il ricordo di cose o persone che avevi con te o conoscevi, persone che non hai saputo godere a pieno, perché eri distratto dall'essere giovane o dall'essere povero. Tu dici il potere: io penso sia più che una illusione, una realtà, per chi lo ha e lo usa male (in politica quasi tutti), che allontana dalle persone e rende soli, non soltanto moralmente. In fondo, pensando alla morte, i potenti sono esseri inutili a se stessi e dannosi per gli altri. Solo le loro opere sono in grado di riscattarli o condannarli per sempre al nostro disgusto. 
Ciaooo

A R….. (Su la collina dei curiosi) l’8 dicembre 2016
5994  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Arlecchino da FB di 7 e 8 dicembre 2016 bis inserito:: Dicembre 09, 2016, 01:04:56 am
Il Referendum, del 4 dicembre ci obbliga, ma obbliga soprattutto "il Potere", alla considerazione che gli "Ultimi" non possono seguitare a rimanere tali, ai livelli cui siamo arrivati oggi. Siamo ad un punto in cui gli Ultimi sono cresciuti, arrivando ad una misura tale e con una estensione nei vari segmenti del sociale che paralizza la razionale ricerca delle ragioni del convivere. Il Referendum ha battuto "l'indifferenza"! Adesso tocca al Potere discernere, "rovistando tra l'accozzaglia" dei NO, per non commettere l'errore di dare a quei NO significati nebulosi, annebbiati dalla peggiore tifoseria, o addirittura rendendolo pericoloso strumento nelle mani di incapaci o peggio. La Democrazia è difficile da vivere ma non dobbiamo farne fare un uso distorto di corto respiro. La CULTURA deve avere la forza di mettersi alla testa degli Ultimi come motore di Rinascita e Nascita di una società diversa e più giusta. I Piccoli Editori Indipendenti, ultimi (perché poveri, ma non incapaci) sono l'avanguardia coraggiosa di una Dignità Nazionale da dissotterrare e rilanciare nel Mondo. ciaooo         

Da – FB del 7 dicembre 2016


Il Referendum, del 4 dicembre ci obbliga, ma obbliga soprattutto "il potere", alla considerazione che gli ultimi non possono seguitare a rimanere tali, ai livelli cui siamo arrivati oggi. L'egocentrismo, dinamico, per alcuni eccessivo, di Renzi raccogliendo intorno alla sua Presidenza consenso e dissenso ha il merito di avere fatto emergere che anche l'apatia dei disattenti, dei rassegnati, degli imboscati in una realtà comoda ma meschina, si può destare per elevare proteste civili e non violente. Adesso, a tutti noi, il compito di leggere con attenzione il messaggio del Referendum e non commettere errori da animi frastornati.
5995  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / EPIGRAFI di Arlecchino (E ALTRO sia miei sia presi qua e la') inserito:: Dicembre 09, 2016, 01:03:09 am
Nessuna pausa per Renzi con i voti dati al SI, non se lo può permettere sarebbe una fuga che non si deve accettare.

Lui sa dove ha sbagliato e deve sapere come ripresentarsi, subito, per correggersi. Su molte cose aveva ragione e il fatto di essere stato incauto nell'aggredire i problemi (forse mal consigliato, ma non penso) non deve premiare i fanfaroni capaci solo di offendere e di sparare cavolate offensive per le intelligenza meno ingenue.

ciaooo
PS: La Margherita non deve abbandonarlo ...
5996  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Federica Fantozzi. Calise: “Renzi non è solo. 13 milioni di voti vi sembrano ... inserito:: Dicembre 08, 2016, 06:59:31 pm
Interviste
Federica Fantozzi   
@federicafan
· 6 dicembre 2016

Calise: “Renzi non è solo. 13 milioni di voti vi sembrano pochi?”
Referendum   
   

Il politologo: “Il premier non può fare miracoli, ma adesso intorno a lui si è coagulato un segmento forte di società”

Mauro Calise, politologo, insegna Scienze Politiche all’università Federico II di Napoli. Editorialista del Matti – no, è autore di saggi assai calati nella realtà come l’ultimo «La democrazia del leader» (Laterza 2016) o il precedente «Fuorigioco. La sinistra contro i suoi leader» (2013).

Professore, si aspettava il risultato del referendum?

«Ho l’abitudine di fidarmi più dei sondaggisti che del mio naso. E quindi: no, non me lo aspettavo. Non in questi termini. Le previsioni indicavano uno scarto inferiore. Il dato che ha cambiato le carte in tavola è stata l’affluenza che anziché fermarsi al 54% ha raggiunto proporzioni da elezioni politiche».

L’analisi più diffusa è che Renzi ha personalizzato la battaglia, trasformandola in una guerra civile e dunque perdendola. È davvero così oppure, dopo il mandato bis di Napolitano, era un sentiero obbligato?

«Renzi non aveva molte alternative, ma ha fatto quella scelta sulla base di un ragionamento strategico che alla fine non ha funzionato. Questo: in un sistema ormai tripolare, con tre partiti praticamente alla pari, ha cercato una forzatura bipolarizzante come prospettiva di lungo periodo».

Cioè, ha scommesso sull’Italicum?

«Il premier era convinto che l’ondata favorevole delle Europee non avrebbe retto. Del resto, lo si è visto: nonostante le conquiste, tutto ciò che ha fatto il governo, la sua popolarità stava scemando. E non per colpa del referendum ma perché sono tempi durissimi in Europa e nel mondo per chi governa. Soprattutto se è di sinistra: Clinton è stata spazzata via da Trump, Hollande nemmeno si ricandida, la Spd appare come comparsa nel governo di Angela Merkel, i socialisti spagnoli sono ridotti a ruota di scorta del governo conservatore».

Insomma, il premier aveva le sue ragioni per comportarsi come ha fatto?

«Renzi rappresentava e in prospettiva rappresenta ancora un’eccezione a quello che non è il declino ma il tracollo della sinistra. Con questo sfondo, ha cercato di massimizzare la sua posizione lungo due binari. Il primo: la legge elettorale, che spacca in due l’elettorato. Il secondo: le grandi riforme».

Due anni di lavoro spazzati via in una notte.

«Insomma. Marco Travaglio sostiene che si sia messo nella scia di Napolitano, Ezio Mauro si chiede chi glielo ha fatto fare… Io credo che lui si sia reso conto che in un contesto tripolare non sarebbe durato e abbia agito. Non è un ragazzotto sventato: è un politico con idee molto precise. Ha pensato che, senza questo risultato, non lo avrebbero battuto in campo aperto ma comunque rosolato a fuoco lento».

D’accordo, però alla fine ha perso. In che modo può rappresentare ancora una prospettiva per la sinistra?

«Oggi la sconfitta appare molto sonante, anche perché un po’ inattesa. Ma guardiamo i numeri: 13 milioni di voti. Due in più delle Europee. Più di Veltroni, che nel 2009 ne prese 12 milioni. Un bottino elettorale molto rispettabile perché costruito in campo aperto, non in un’occasione distratta. Numeri che eguagliano il Berlusconi dei tempi migliori e che il centrosinistra non si è sognato, tantomeno Bersani. Tutti voti intorno a Renzi e a una radicale proposta di rinnovamento del Paese».

Quindi, quella di Bersani era una non-vittoria e questa di Renzi è una non- sconfitta?

«È una sconfitta, ma va analizzata bene. Davvero Renzi è solo, non ha una classe dirigente intorno, non esiste renzismo nei corpi intermedi, associazioni, intellettuali, professori? La mia impressione è che proprio per la lunghezza e durezza dello scontro, adesso intorno a lui c’è una fetta rappresentativa della società. Se segmentiamo la piramide dei votanti e accettiamo l’assunto che il No sia andato forte nelle classi disagiate e nei ceti bassi, è probabile che intorno al Sì si sia raccolta u n’ossatura dirigenziale, organizzativa, propulsiva. Insomma, quella di Renzi non è più una leadership solitaria. Ha coinvolto segmenti attivi e influenti».

Perché, allora, ha perso?
«Perché era uno contro tutti. Aveva contro i partiti di opposizione e un pezzo del suo partito. Sono numeri da elezioni politiche. Chiedergli pure un miracolo in questa Europa forse è un po’ eccessivo. Se 13 milioni vi sembrano pochi…».

Sembra che il premier abbia la tentazione di lasciare anche la segreteria del Pd. Ipotesi che i suoi gli chiedono di accantonare. Lei gli consiglierebbe di prendersi un sabbatico dalla politica?
«No, nel modo più assoluto. Un passo indietro dal governo, invece, conviene a lui, all’esecutivo e al capo dello Stato».

In che senso conviene al governo?
«Non ci sarà lo stesso premier, ma nel prossimo esecutivo ci saranno molti elementi di continuità con l’attuale. È anche questione di rispetto della comunità internazionale. Renzi ha perso ma non è rimasto a mani vuote. Se ne va con un patrimonio di consenso negli elettori e nel Pd. Non vedo elementi che lo spingano a ritirarsi dalla politica. Mi auguro che non influiscano componenti caratteriali o psicologiche: sarebbe una vera delusione».

Si riparte dal congresso del Pd?
«Intanto, si riparte dal governo, che va fatto in tempi rapidi ed è la tappa più importante. Poi lasciamo decantare i numeri, guardiamoli con attenzione. Non si deve lasciare l’iniziativa a una coalizione eterogenea e antipolitica. Calma e gesso».

Da - http://www.unita.tv/interviste/calise-renzi-non-e-solo-13-milioni-di-voti-vi-sembrano-pochi/
5997  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Umberto DE GIOVANNANGELI - Bolaffi: “La sinistra torni a capire il segno dei tem inserito:: Dicembre 08, 2016, 06:55:27 pm
Interviste

Umberto De Giovannangeli   
· 6 dicembre 2016

Bolaffi: “La sinistra torni a capire il segno dei tempi”

Il filosofo della politica: “Populismo è diventato una sorta di passepartout che non dice niente”
«Ogni realtà nazionale trova in sé una chiave interpretativa che può spiegare, in parte, il perché di una sconfitta politica ed elettorale, tuttavia sarebbe un errore esiziale non alzare lo sguardo rendendosi conto di un dato generale di portata epocale: se la sinistra in Europa non riesce a ridefinire complessivamente le proprie opzioni strategiche e di analisi del reale, sempre che questo sia ancora possibile, essa è destinata inesorabilmente a un ciclo di sconfitte. La sinistra non può sperare di tornare a vincere se resta prigioniera del paradigma socialdemocratico». A sostenerlo è Angelo Bolaffi, filosofo della politica e germanista, dal 2007 al 2011 direttore dell’Istituto di cultura italiana a Berlino, autore di numerosi saggi tra i quali ricordiamo: «Il sogno tedesco. La nuova Germania e la coerenza europea» (Donzelli, 1993), e il più recente «Cuore tedesco. Il modello Germania, l’Italia e la crisi europea». (Donzelli, 2013).

Professor Bolaffi il meno che si possa dire guardando al presente, è che la sinistra in Europa non se la passi bene. È possibile individuare un tratto comune di questa crisi?
«Direi di sì, e questo tratto va ricercato nel fatto che i processi strutturali legati alla globalizzazione, rendono obsolete o addirittura impossibili quelle che sono state le politiche economiche classiche della sinistra, come d’altronde aveva previsto Ralph Dahrendorf quando parlò, circa un quarto di secolo fa, di fine dell’età socialdemocratica. Paradossalmente, dunque, la sinistra socialdemocratica classica si può dire vittima del proprio successo, nel senso che ha realizzato quello che voleva, vale a dire le politiche keynesiane classiche, le politiche di redistribuzione salariale e dei diritti portate avanti dai sindacati. Non è riadattando al Terzo Millennio e all’età della globalizzazione totale, un neo keynesismo che la sinistra può sperare di uscire dalla crisi che l’attanaglia. Una crisi che è innanzitutto di categorie di analisi, e dunque di capacità di comprendere il segno dei tempi, prim’ancora che di programmi o di gestione. Ormai è necessario un cambio di paradigma, tanto è vero che laddove riescono a vincere rappresentanti di forze non riconducibili alle destre, come in Austria o in alcuni Länder tedeschi, costoro sono dei Verdi, i quali hanno sottoposto a critica il paradigma socialdemocratico classico».

Guardando alle sconfitte elettorali che la sinistra ha inanellato in Europa e proiettandosi verso gli appuntamenti elettorali del 2017, le presidenziali in Francia, le legislative in Olanda e Germania, si fa sempre riferimento ad una inarrestata “onda populista”. Ma questo termine, “populismo”, può spiegare tutto?

«Assolutamente no. “Populismo” è ormai diventato una sorta di passepartout che non dice niente, generalizzando fenomeni diversi. Proviamo a distinguerli: i risultati delle elezioni in Gran Bretagna, dove è stato sconfitto il Partito laburista, e negli Stati Uniti, dove a perdere sono stati i Democratici della Clinton, attengono a due Paesi che non avevano in un caso – il Regno Unito – l’euro e nell’altro, gli Usa, la moneta è il dollaro. Questi risultati non sono ascrivibili, come invece sostiene una diffusa narrazione in voga a sinistra, a cosiddette politiche economiche di austerità che sarebbero state imposte dalla Germania. Ancora: la presenza di forze “populiste” in Austria, Olanda e Germania, Paesi che non soffrono di crisi economica, può essere ascrivibile a problemi legati all’immigrazione ma non certo alle politiche economiche di austerità. I Paesi che invece hanno sofferto maggiormente per via della crisi finanziaria dell’euro, come la Grecia, la Spagna, l’Irlanda, non presentano movimenti populisti di destra. Operare queste distinzioni non è un esercizio intellettuale ma è la base politica e concettuale indispensabile perché la sinistra affronti il “populismo “con un’analisi diversificata. Non c’è una spiegazione unica come non c’è un “populismo “unico. Certamente, sul piano politico, siamo di fronte a sommovimenti tellurici di portata globale che hanno bisogno di chiavi di lettura di cui la sinistra è oggi evidentemente priva».

È possibile, andando indietro nel tempo, individuare una fase, come quella dell’oggi, nella quale la sinistra era in così evidente difficoltà?
«Se vogliamo trovare in qualche modo una fase di difficoltà di tutta la sinistra in Europa, mi verrebbe da pensare alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso, quando la ricostruzione dell’Europa occidentale venne guidata dalle forze moderate e conservatrici, mentre la sinistra era attestata su posizioni ideologiche quali l’opposizione all’Alleanza Atlantica e alla costruzione dell’Europa unita».

A proposito di Europa non travolta dalla marea populista, l’ultimo baluardo sembra essere la cancelliera tedesca Angela Merkel, che pure di sinistra certamente non è.
«Di nuovo: la sinistra deve fare i conti, fino in fondo, con la Storia. Anche negli anni del secondo dopoguerra, furono dei politici cattolici democratici, come Adenauer e De Gasperi, a guidare la ricostruzione dell’Europa e ad avviare il processo di unificazione dell’Europa occidentale e a dar vita, con la Nato, all’alleanza con gli Stati Uniti. Allora, nell’Europa della Guerra fredda, non solo la sinistra comunista ma anche la socialdemocrazia tedesca si attestò, sia pure in modi diversi, su posizioni ideologiche. Oggi, nell’epoca della globalizzazione, la sinistra, meno ideologica ma più progettuale, dovrebbe ritrovare il senso di sé indicando all’Europa una prospettiva, una direzione di marcia. Renzi ci ha provato. Altri, no, e questo gli va riconosciuto».

Da - http://www.unita.tv/interviste/bolaffi-la-sinistra-torni-a-capire-il-segno-dei-tempi/
5998  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / EUGENIO SCALFARI. Referendum, votiamo per l'Italia e per l'Europa. inserito:: Dicembre 08, 2016, 06:53:05 pm
Referendum, votiamo per l'Italia e per l'Europa. E Prodi spiega il suo Sì
La crisi italiana aggiunge una sorta di disfacimento all'analoga crisi europea. Il peggio si aggiunge al peggio

Di EUGENIO SCALFARI
04 dicembre 2016

L'articolo di Mario Calabresi e quello di Stefano Folli usciti su questo giornale inquadrano perfettamente la crisi che l'Italia sta attraversando, una crisi epocale che ha colpito perfino l'America con la vittoria di Donald Trump e che colpisce in modo particolare l'Europa (e l'Italia), un continente che stenta terribilmente a unificarsi, anzi sta disgregando il poco che aveva creato, ogni giorno di più.

La crisi italiana aggiunge una sorta di disfacimento all'analoga crisi europea, il peggio si aggiunge al peggio. Il tutto è esploso con questo referendum che abbiamo tra i piedi.

Mi permetto di ricordare il calendario: è sabato il giorno in cui sto scrivendo e i miei 25 lettori mi leggeranno domani mentre stanno votando o hanno già votato. Ovviamente né io né i miei lettori conosciamo i due elementi che connotano il referendum: l'affollamento ai seggi e l'esito dello scontro tra il Sì e il No. L'affluenza è importante quasi quanto l'esito, quindi se andranno alle urne in pochi, per esempio un 30 per cento degli aventi diritto al voto, l'esito sarà scarsamente influente. Personalmente non ritengo che andranno in pochi, ma non credo neppure che saranno moltissimi. Vedremo nella notte di domenica (oggi per voi che leggete) e all'alba di lunedì. Nel frattempo possiamo analizzare alcuni aspetti che caratterizzano i votanti delle due parti. Attenzione: quando si vota per il Parlamento il popolo dei votanti dà la delega a rappresentarlo ai deputati e senatori (fin quando il Senato esisterà). Quindi si votano i partiti e i movimenti, i programmi da essi presentati e anche le ideologie che ne costituiscono la base culturale, gli ideali, i valori.

Il voto referendario ha una natura del tutto diversa: i cittadini sono chiamati a rispondere a un quesito che è stato posto da un numero consistente di altri cittadini. La risposta a un quesito, il Sì o il No, decide. Cioè nel caso referendario il popolo è direttamente sovrano, senza delegare ad altri la propria sovranità.

Il quesito che oggi stiamo votando si riassume nell'abolizione del bicameralismo perfetto e quindi nell'instaurazione di un regime monocamerale. Una sola Camera decide, l'altra, cioè il Senato, esiste ancora ma con compiti del tutto diversi e comunque secondari.

Se vogliamo prenderci la briga di vedere com'è la situazione nel Paese dove è nata storicamente la democrazia e cioè l'Inghilterra, vediamo che la camera dei Comuni detiene interamente il potere legislativo mentre la camera dei Lord non ha potere alcuno, emette soltanto pareri; è nominata dalla Corona (in teoria) e cioè dal Premier che propone i nomi e il Re o la Regina appongono la loro firma.

Questo è il sistema del Paese che è stato la culla della democrazia, ma è anche lo stato dei fatti in tutti i Paesi importanti d'Europa: in Francia, in Germania, in Spagna, ovunque. In Italia non è stato mai così, sebbene all'Assemblea costituente che chiuse i suoi lavori nel 1947 molti fossero favorevoli a una sola Camera, a cominciare dal Partito comunista. Oggi il tema è stato riproposto da Renzi ed è su questo che i cittadini sono chiamati a rispondere direttamente.

Si può dissentire se il quesito referendario sia stato scritto bene o male (secondo me è scritto male e i nuovi compiti attribuiti al Senato non credo siano quelli giusti) ma comunque il nocciolo è la scelta del monocamerale.

Sono tanti anni che il tema è all'ordine dell'attenzione politica, sono state installate varie commissioni bicamerali, alcune delle quali arrivarono anche a concludere ma all'ultimo momento una delle parti buttò tutto in aria (lo fece Berlusconi quando tutto sembrava concluso). Renzi c'è infine riuscito a farlo, questo merito gli va riconosciuto. Il demerito che l'accompagna e che non riguarda lui soltanto, ma anche le altre parti politiche a cominciare soprattutto dai 5 Stelle, è stato quello di aver trasformato il referendum in un'ordalia pro Renzi o contro di lui. Avete deformato il tema ed avete sbagliato a farlo.

***

I No hanno due motivazioni diverse che in certi casi si sommano tra loro, in altri restano distinte. C'è chi vota No perché ritiene che in tal modo il Paese cambierà e c'è chi vota esclusivamente per rabbia sociale, è disoccupato o rischia di diventarlo o si sente escluso dal successo e ne soffre psicologicamente. Tutti quelli che votano No se ne infischiano che la compagnia in cui si trovano sia ampiamente differenziata: c'è Forza Italia di Berlusconi, c'è la Lega di Salvini, ci sono i 5 Stelle di Grillo e ci sono anche le schegge della sinistra-sinistrese, insieme ad un pizzico di anarchici. Ma i No lucidamente consapevoli hanno motivazioni che non sono ispirate da rabbia sociale. Non gli piace la scrittura della riforma costituzionale ma soprattutto non gli piace l'abolizione del bicameralismo che secondo loro diminuisce pericolosamente il potere legislativo. In aggiunta si ritiene che Renzi abbia una vocazione autoritaria che sarebbe accentuata dal monocameralismo. L'esponente principale di chi vota No in piena coscienza è Gustavo Zagrebelsky e, se gli obiettate che votando No si muove in pessima compagnia, ti risponde che in un referendum la compagnia conta pochissimo e a referendum avvenuto la compagnia, buona o cattiva che fosse, non esiste più. Rimane il risultato ed è quello sul quale si deve lavorare. Lui ci lavora. Con chi? Non lo sa, non ha un partito ma ha un'autorevolezza.

È vero, lo conosco bene e siamo stati buoni amici. Spero che continueremo ad esserlo, ma la speranza (o presunzione) che lavorerà con successo per trarre dall'esito referendario tutte le conseguenze politicamente positive dimostra in lui l'esistenza di un Io alquanto esuberante.

Conosco molto bene che cos'è un Io esuberante perché ce l'ho anch'io, ma ne sono consapevole e tengo il mio Io al guinzaglio; molti non ne sono consapevoli e questo è pericoloso se hanno un ruolo importante da sostenere. Ci sono molti altri casi d'un Io esuberante ma non sto qui per fare ritratti e a parlare dell'Io troppo marcato. Da tre anni in qua dovrei mettere Matteo Renzi in testa a tutti. Del resto i protagonisti della politica hanno tutti, salvo eccezioni, un Io marcato: è un fatto naturale. Il problema è di sapere se lo mettono al servizio del bene comune. Loro sono convinti di impersonare il bene comune. Ecco perché non dovrebbero mai essere soli al comando. Debbono essere leader d'un duetto dirigente, all'interno del quale c'è sempre una libera discussione.

In tutti i regimi politici i pochi guidano i molti e se volete l'esempio più classico pensate al Senato romano, almeno fino a Giulio Cesare, che non a caso fu ucciso in Senato e dal gruppo più repubblicano. Alcuni di loro di Cesare erano amici stretti, Bruto lui lo considerava un figlio. Con Cesare era difficile discutere insieme del bene comune. Questo è il punto. Volete comandare? Dovete avere intorno a voi una classe dirigente (io la chiamo oligarchia) altrimenti precipiterete nella dittatura. L'oligarchia è il contrario della dittatura, l'ho scritto varie volte e ne ho fornito vari esempi storici. Perciò non mi ripeterò.

***

Una personalità politica di rilievo nazionale e internazionale, Romano Prodi, ha annunciato mercoledì scorso che voterà Sì e ce ne ha anche spiegato il perché. Questa discesa in campo di un personaggio che può essere definito una "riserva della Repubblica" ha sicuramente mosso le acque ed ha convinto un numero rilevante di cittadini a votare Sì superando non lievi perplessità. La sua spiegazione è questa: ci sono motivazioni a favore ed altre contro la legge contenuta nel referendum, ma Prodi voterà Sì perché - motivazioni sulla legge a parte - votare Sì significa impedire che il Paese si disgreghi. Si aprirebbe una lunga crisi e affiancherebbe quella europea. Ecco perché il Sì invece del No.

Alcuni, che per mestiere cercano la pagliuzza nel fienile, si sono domandati a che cosa mira Prodi se il Sì avrà la meglio. Pensa forse a candidarsi come successore di Renzi a Palazzo Chigi?

Prodi non pensa affatto a questo. Se vincerà il No tornerà a fare il semplice cittadino perché non ha l'abitudine di discutere con chi ha cavalcato un cavallo diverso. Se vincerà il Sì cercherà con i suoi suggerimenti critici di migliorare gli interventi, le leggi, i programmi in corso e quelli che il prossimo futuro comporterà. In Italia e in Europa. Per quanto riguarda Renzi, Prodi sostiene che non deve in nessun caso dimettersi. Lo so perché siamo molto amici Romano ed io ed abbiamo sempre avuto comuni opinioni, sia quando era presidente dell'Iri sia quando fondò l'Ulivo insieme ad Arturo Parisi e a Walter Veltroni, che combatté quella battaglia creativa e nel governo che ne risultò fu il vicepresidente del Consiglio.

È qui doveroso ricordare che Veltroni, chiusa la stagione prodiana, fu uno dei fondatori del Pd che era nato dall'Ulivo e a lui fu dato il compito di organizzarlo e guidarlo alle imminenti elezioni. Fu lui a chiamarlo partito riformatore e il programma fu da lui delineato al Lingotto di Torino e confermato all'unanimità dalla direzione del partito. Alle elezioni aveva ottenuto il 34 per cento, cifra eguale a quella del Partito comunista quando raggiunse il suo massimo all'epoca di Berlinguer.

A quel partito bisognerebbe tornare con i debiti aggiornamenti soprattutto in chiave europea e Renzi, a mio avviso, può e deve farlo in ogni caso, sia se vincerà sia se perderà il referendum. Così la pensa anche il presidente Mattarella e così dovrebbe pensare anche la dissidenza interna del Pd a cominciare da Bersani. Cuperlo insegna.

Ora aspettiamo i risultati. Una nuova fase si apre. Speriamo che sia appunto una fase di riforme positive e speriamo che l'Italia si dia carico di se stessa e anche dell'Europa, senza la quale non si sopravvive in una società globale dove contano soltanto gli Stati continentali. Gli altri - l'ho scritto più volte - usano scialuppe di salvataggio che spesso affondano nei mari tempestosi.

© Riproduzione riservata
04 dicembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/referendum-costituzionale2016/2016/12/04/news/referendum_italia_europa-153389360/?ref=fbpr
5999  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Lina Palmerini Mattarella «congela» le dimissioni di Renzi fino al varo della ma inserito:: Dicembre 08, 2016, 06:40:34 pm
DOPO REFERENDUM
Mattarella «congela» le dimissioni di Renzi fino al varo della manovra

  di Lina Palmerini 06 dicembre 2016

Non ci sono state le temute reazioni dei mercati sullo spread e sui titoli bancari ma Sergio Mattarella ha ritenuto comunque più opportuno muoversi con prudenza. Molti sono stati i contatti e le valutazioni che ha scambiato ai massimi livelli – anche con Mario Draghi – e alla fine ha maturato la convinzione che senza un varo definitivo della legge di stabilità non ci sono le condizioni per aprire la crisi e le consultazioni. Tra l’altro nel fine settimana è atteso anche il decreto sul Monte dei Paschi e dunque superare il giro di boa della settimana – o al massimo lunedì – è lo scenario temporale di maggior tutela per il Paese.

È sulla base di queste conclusioni - condivise con Matteo Renzi – che nel colloquio di ieri mattina gli ha chiesto di congelare le dimissioni e presentarle formalmente solo alla fine dell’iter parlamentare della manovra che dovrebbe concludersi al Senato venerdi. Questo comporterà un allungamento del Governo di qualche giorno, lunedì al massimo.

Nel faccia a faccia della mattinata l’ipotesi della “sospensione” era stata accolta da Renzi che però ha voluto aspettare di riunire il Consiglio dei ministri prima di comunicare formalmente al capo dello Stato la sua scelta. E dunque in serata è tornato al Quirinale, si è impegnato ad andare avanti ancora per qualche giorno e ha scambiato qualche idea con il Colle sul dopo.

Certo è che con un suo addio repentino, l’ipotesi più forte sarebbe stata quella di un Governo Padoan proprio per seguire il percorso della legge di stabilità e i provvedimenti relativi alle banche ma – ora – si possono aprire anche nuove ipotesi tra cui quella di Pietro Grasso. O anche nomi più vicini al premier. Insomma, le caratteristiche del nuovo presidente del Consiglio potrebbero essere anche più “politiche” e meno tecniche per accompagnare un lavoro non facile che è quello di trovare un accordo per cambiare l’Italicum.

Come si sa, al Quirinale si dà priorità alle scelte del partito di maggioranza relativa e del suo segretario che avrà il compito di indicare quale soluzione per il dopo. Dunque si attende la direzione inizialmente programmata per oggi ma poi slittata per dare tempo di costruire un quadro “fermo” da portare al Colle. Su un punto il premier e il capo dello Stato sono d’accordo: procedere con ordine, senza strappi e senza mettere in circolo incertezze dannose alla reputazione italiana già alle prese con l’ennesima crisi nell’arco di tre anni.

La road map per il momento prevede che nel fine settimana - lunedì al massimo - Renzi dia ufficialmente le dimissioni e che si apra subito il percorso della crisi con le consultazioni. Compito di Mattarella sarà verificare l’esistenza di una maggioranza, e se sussista quella attuale, per affidargli innanzitutto il compito di riscrivere la legge elettorale che attende anche il responso della Consulta. Perfino al Colle non scommettono che si possa arrivare alla scadenza naturale della legislatura anche se nel comunicato di ieri alcune indicazioni sono molto precise. «Vi sono di fronte a noi impegni e scadenze di cui le istituzioni dovranno assicurare in ogni caso il rispetto, garantendo risposte all’altezza dei problemi del momento».

Il riferimento è alla legge di stabilità ma Mattarella tiene molto anche a due appuntamenti internazionali – a marzo le celebrazioni dei 60 anni dei Trattati di Roma che fecero nascere l’Europa e a fine maggio il G7 a Taormina. È anche tenendo conto di queste due date che in Parlamento già si fanno i conti sulla scadenza del voto anticipato. A giugno o a settembre?

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-12-05/mattarella-congela-dimissioni-renzi-234401.shtml?uuid=ADjgm77B
6000  Forum Pubblico / L'ITALIA DEMOCRATICA e INDIPENDENTE è in PERICOLO. / Pop Vicenza, Zonin va all’attacco e cita la banca in tribunale inserito:: Dicembre 08, 2016, 06:39:34 pm
Pop Vicenza, Zonin va all’attacco e cita la banca in tribunale
L’ex presidente della Popolare di Vicenza ha notificato un atto di citazione al Tribunale delle Imprese di Venezia per l’accertamento della correttezza della sua attività nell’istituto di credito dal 1996 al 2015.
È una risposta all’azione di responsabilità decisa dal consiglio di amministrazione nei suoi confronti

Di Stefano Righi

Si accende la battaglia legale attorno a ciò che resta della Banca Popolare di Vicenza. Lunedì scorso l’attuale presidente dell’ex cooperativa bancaria (8,750 miliardi di buco, 120 mila soci coinvolti) ha indicato, davanti al consiglio comunale di Vicenza, la precedente gestione come responsabile del dissesto dell’istituto. Non fu, ha detto Gianni Mion, il concorso di cause esterne a portare al dissesto, bensì – numeri alla mano – la mancanza della diligenza «del buon padre di famiglia». Ora, l’ex presidente Gianni Zonin – che ha guidato la banca dal 1996 al 2015 – si rivolge al giudice del Tribunale delle Imprese di Venezia per l’accertamento della correttezza della sua attività di presidente.

Una mossa strategica che evidenzia la lucidità dell’azione dell’ex presidente – che, giova ricordarlo, a fronte di una gestione verticistica della banca e di una funzione meramente simbolica del consiglio di amministrazione, non ha mai avuto deleghe operative – suggerita dai legali Francesco Benatti e Lamberto Lambertini. L’appuntamento è per il 24 maggio 2017, quando saranno chiamati in causa, oltre agli attuali legali rappresentanti della banca, anche Samuele Sorato ed Emanuele Giustini. Sorato è stato a lungo direttore generale e poi amministratore delegato della banca, Giustini fu suo primo collaboratore. Ai due, a differenza che a Zonin, facevano capo le deleghe operative.

La strategia di Zonin (la miglior difesa è l’attacco…) punta a far ricadere le eventuali responsabilità su fattori esterni all’istituto e casomai sulla coppia Sorato-Giustini. Ma l’analisi sintetizzata lunedì sera da Mion apre a scenari diversi. Si annuncia una vivacissima battaglia legale che dovrebbe prendere il via martedì prossimo, 13 dicembre, quando l’assemblea straordinaria dei soci della Popolare di Vicenza (oggi controllata per oltre il 99 per cento dal Fondo Atlante di Quaestio sgr), saranno chiamati a votare l’azione di responsabilità verso gli amministratori della passata gestione.

Intanto, a Vicenza è atteso l’arrivo di Fabrizio Viola. Sarà lui l’amministratore delegato della Popolare al posto di Francesco Iorio («ho nuove prospettive» ha dichiarato al Il Messaggero), con l’incarico di arrivare rapidamente a una fusione con Veneto Banca di cui sarà anche presidente operativo, con Cristiano Carrus confermato direttore generale.

7 dicembre 2016 (modifica il 7 dicembre 2016 | 15:19)
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