LA-U dell'OLIVO
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 inserito:: Ottobre 13, 2025, 11:33:01 am 
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Alex Orsi

"il generale Tricarico: « la flottiglia è un braccio operativo di Hamas, ora le connessioni sono provate ma ormai nessuno crede a Israele»
Ci sono prove su prove, eppure le piazze si infiammano sempre di più.
Ci sono persino le prove che la flottiglia è una misura attiva del Cremlino.

Eppure chi poteva arginare questo schifo, che non è cominciato una settimana fa, ma mesi e mesi e mesi fa, non ha fatto un cazzo.
Si ha la netta sensazione che il nuovo 77 alle porte faccia comodo un po’ a tutti.
Fa comodo alla sinistra perché riprende antichi slogan e cerca il morto per camparci altri 50 anni di rendita.
Fa comodo a Mosca per dimostrare che la democrazia in italia è agli sgoccioli.
Fa comodo anche al governo, che li lascia fare, così può restringere il cordone ancora di più.
Fa comodo anche agli analisti soscial che sennò che cazzo fanno dopo se lo spettacolo finisce?
Talvolta sulla mia home leggo feisamici che ritenevo più o meno intelligenti “ tifare” per la flottiglia. Bon, che dire?! Ci vedremo quando il nuovo 77 esploderà con tutta la sua potenza, e so già che vi leggerò contriti per i morti."

Sabrina de Gaetano

da FB

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 inserito:: Ottobre 12, 2025, 11:57:20 pm 
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Nicolini racconta di pugili  ·

L’autobus della linea Greyhound, una delle più antiche degli Stati Uniti, impiegò diciotto ore per portarlo dalla Georgia a Miami, in Florida, con una sola sosta per i bisogni corporali.
Scese dalla parte sinistra dell’autobus, quella riservata alle persone di un colore della pelle diverso dal bianco, perché era il 1949 – l’anno di nascita di mio suocero, peraltro – negli Stati Uniti vigeva ancora la segregazione razziale e lui era un sedicenne afroamericano.
Nella tasca posteriore dei jeans aveva un foglietto stropicciato sul quale vi era un numero di telefono che, giunto il suo turno, egli compose nel telefono pubblico al lato del bar che serviva bibite che lui non poteva comprare.
All’altro lato del filo, gli rispose un uomo dal forte accento.
“Mr. Lou “ – disse il ragazzo al manager e promoter Lou Viscusi – “Sono Cleveland Williams di Griffin, Georgia: sono arrivato!”
Il manager ricordò l’amico che gli aveva raccomandato il ragazzo e gli disse di proseguire per Ybor City, dove sarebbe stato seguito da un allenatore di nome Tony Cancela.
Fino a quel momento, Cleveland Williams – nato in una cittadina senza palestre, senza lavoro, senza opportunità – aveva conosciuto il pugilato attraverso le foto di The Ring, leggendaria rivista che motiva ogni appassionato di boxe da oltre un secolo, aveva cominciato ad allenarsi per strada e stava costruendo il proprio sogno sulle immagini dei grandi pugili afroamericani del tempo, quali Beau Jack, Ike Williams, Ezzard Charles.
Minimamente scolarizzato e impiegato nel duro lavoro nella cartiera sin dai dodici anni d’età, Cleveland Williams gettò tutto se stesso nell’allenamento in palestra, diventando quell’atleta – l’unico al mondo – che mette sul tavolo tutte le proprie carte ad ogni mano servita, ossia il pugile professionista.
Nel 1959, ormai lanciatissimo pugile dalle grandi doti fisiche e plausibili ambizioni mondiali, Cleveland, ormai conosciuto anche col soprannome

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 inserito:: Ottobre 12, 2025, 12:25:56 am 
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Abolizione del suffragio universale

Poco fa, alla Camera, il deputato di AVS Angelo Bonelli si è alzato in piedi davanti al ministro Tajani e con un discorso memorabile e pieno di passione ha asfaltato lui, la Presidente del Consiglio e l’intero Governo.
Da leggere fino in fondo:

“Signor ministro, ieri con un atto di pirateria internazionale, la Marina Militare israeliana ha attaccato, non abbordato, con idranti e bombe stordenti le barche della missione umanitaria Flotilla, violando il diritto internazionale per l'ennesima volta.
Ebbene, lei è venuto in quest'Aula e non ha condannato questo atto di pirateria internazionale. Lo riteniamo un fatto estremamente grave.
Ma le barche della Flotilla, in questi giorni, sono state attaccate anche dagli esponenti della maggioranza, anche del Governo, con insulti ripetuti.
Non solo sono stati attaccati dai droni di matrice israeliana prima che arrivassero nelle acque internazionali, ma abbiamo sentito la Presidente Meloni affermare che avrebbero addirittura pregiudicato il fragile equilibrio di pace che si stava andando a cercare.
Ma Presidente Meloni, lei queste parole così forti perché non le ha mai usate contro Netanyahu, che ha ucciso donne e bambini?!
Perché usate questa forza contro chi oggi pacificamente vuole porre con forza e determinazione la necessità di aprire corridoi umanitari?!
Ma diciamo chiaramente una cosa, c'è un elemento positivo di questa missione umanitaria globale: la grande mobilitazione di milioni di persone che si stanno mobilitando nel mondo, si centinaia di migliaia di persone in Italia che non vogliono essere spettatori e spettatrici e di assistere come dei notai alla conta della morte.
Il Parlamento applauda questa Italia che si indigna. Perché c'è un valore civico fondamentale a cui non possiamo rassegnarci, che è quello di dire no alla logica della morte.
Signor Ministro, lei ha detto che il dramma di Gaza nasce dall'attentato terroristico del 7 ottobre. Noi quell'atto terroristico l'abbiamo condannato, ma lei ha detto un falso storico.
Lei ha fatto una manipolazione storica, perché lei ha dimenticato cosa c'era prima del 7 di ottobre!
Decenni di apartheid, di segregazione, di violazione sistematica delle risoluzioni dell'ONU che la comunità internazionale ha consentito a Israele di attuare, l’occupazione delle Cisgiordania, la demolizione delle scuole, il blocco navale che vige dal 2007!
Quindi la prego, signor Ministro, non faccia alcuna manipolazione storica, perché prima del 7 di ottobre non c'era il paradiso, c'era l'inferno a Gaza, c'era la segregazione e su questo è inaccettabile il silenzio.
Ci sono anche i numeri che parlano: 65mila morti, 20mila bambini, 95% degli ospedali distrutti, 95% delle scuole distrutte, il 100% delle reti idriche distrutto, 2 milioni di sfollati, 1300 operatori sanitari uccisi, 250 giornalisti uccisi perché Israele non vuole che qualcuno documenti.
Questo sa come si chiama? Si chiama genocidio.
Allora. signor Ministro: noi siamo con lei io quando dice che il terrorismo va bandito. Dobbiamo essere determinati a bandire il terrorismo dalla faccia della terra. Ma quello di Netanyahu non è terrorismo?
Perché siete silenti su questo? Perché contribuite a delegittimare il diritto internazionale, il ruolo dell'ONU, avete consentito che l'UNRWA fosse definita un'organizzazione terroristica? Tutto ciò che non si allinea al pensiero di Netanyahu o di Trump e viene definito o amico di Ham*s o antisemita.
Poi c'è una questione fondamentale che riguarda il doppio standard. Da una parte si fanno le sanzioni alla Russia, dall'altra parte invece si dice no alle sanzioni a Israele.
Quello di Trump non è un piano di pace. Non è ammissibile, signor Ministro, che il popolo palestinese non possa decidere il proprio futuro, che non si dica niente sullo Stato di Palestina, non si dica niente sui crimini che Israele ha compiuto a Gaza”.

da FB

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 inserito:: Ottobre 11, 2025, 06:45:09 pm 
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Gianni Gavioli
Amministratore

Premessa:
Un solo Albero Sociale e Politico, una potatura a Vasi Policonici al posto delle parassitarie Correnti e Persone diverse dalle attuali il più lontano possibile dal fetore putiniano.

Presentazione alla Gente di veri progetti e non di chiacchiere e sorrisi.

Il Partito Democratico Socialisti Cristiani (PDSC) deve ripartire da solo, fosse anche da un 20% di consenso iniziale.
Dopo ci si può accordare con altre realtà del Centro della politica, su singoli temi o Progetti Nazionali. Ma dopo!


Il PDSC deve vivere di vita propria in simbiosi soltanto con i propri elettori!

È una IDEA RESILIENTE, già tradita una volta dalla cattiva politica adesso, noi elettori, non ci si cadrebbe una seconda volta.

ggiannig

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 inserito:: Ottobre 11, 2025, 06:24:22 pm 
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Alex Orsi

"Il problema che molti di coloro che parlano del conflitto Arabo-Israeliano ignorano è che le mentalità occidentale e araba sono completamente differenti.
Ci sono differenze inconciliabili tra occidentali, tra cui vi sono anche gli Israeliani e gli arabi levantini. Gli occidentali pensano che la vita sia la cosa più preziosa e che l’onore non sia così prezioso se c’è la vita, all’opposto gli arabi pensano che l’Onore sia la cosa più preziosa, mentre la vita non ha alcun valore se non c’è onore , un po’ tipo Klingon. Questa analogia spiega perché in un sistema in cui l’onore è ontologicamente superiore alla vita non si possono produrre risultati duraturi.
Il fallimento sistematico degli accordi non deriva da fattori politici o economici, ma da questa differenza ossia gli arabi sono nel paradigma che avevamo anche noi fino a quasi un secolo fa, quello dell’onore-vergogna, il medesimo paradigma che ha portato al fascismo e al nazismo. Il fallimento pertanto è dovuto da un "distorsione di lettura" sistematica da parte di israeliani e occidentali della cultura araba, radicata in un paradigma onore-vergogna, contrapposto al paradigma colpa–innocenza tipico dell’Occidente moderno. Per questo la sconfitta militare o l’umiliazione pubblica non sono solo eventi pragmatici o politici: sono ferite esistenziali che richiedono una risposta simbolica forte, anche a costo della vita.
Il fallimento di Oslo e di tutti gli accordi tra israeliani ed arabi non derivi solo da fattori politici o economici (come l'espansione degli insediamenti israeliani o la corruzione nella pubblica amministrazione), ma da un "distorsione di lettura" sistematica da parte di israeliani e occidentali della cultura araba, radicata in un paradigma onore-vergogna come mostrato da Landes (2019).
In questa prospettiva le vittorie israeliane (dal 1948 alla Guerra dei Sei Giorni alle varie operazioni a Gaza e in Cisgiordania) sono vissute come una catena di "umiliazioni" che l'Islam non tollera, richiedendo una "restaurazione dell'onore" attraverso la jihad.
Arafat e la leadership OLP hanno usato Oslo come una tattica hudaybiyyah ossia un trattato temporaneo per guadagnare forza, simile a quello di Maometto con i Quraysh nel 628, che fu violato due anni dopo per la conquista di Mecca. Arafat lo paragonò esplicitamente in un discorso del 1994 a Johannesburg, definendolo un "trattato di pace ingannevole" per mobilitare i fedeli.
Il piano di Trump che poi non è altro che il piano di Biden-Blinken messo in atto da Trump tenta di fare una soluzione di tipo win-win, per entrambi i popoli, non porta gli arabi ad avere alcun gain perché per l’ennesima volta sono stati umiliati, dopo aver aggredito quello del formaggio.
In sostanza, è come se gli occidentali parlassero il linguaggio dell’interesse come dei Ferengi, mentre gli arabi parlano il linguaggio dell’onore come i Klingon e due linguaggi diversi non producono mai un accordo stabile, perché ognuno crede che l’altro stia mentendo."
HT Davide Zampatti

da FB

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 inserito:: Ottobre 11, 2025, 06:22:11 pm 
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Jack Daniel

Riempire una piazza contro è molto più facile che riempirla pro. Prendiamo la manifestazione di domani, 4 ottobre. È stata indetta con lo slogan "Fermiamo il sionismo con la resistenza". (https://tinyurl.com/mpu7hp89 )  Cosa si intenda per resistenza, in questo caso, ce lo ricordano i Giovani Palestinesi, una delle associazioni che hanno convocato la manifestazione. L'anno scorso, ad esempio, alla vigilia del primo anno dal 7 ottobre, indissero un'altra manifestazione non mancando di specificare che "Il 7 ottobre 2023 è la data di una rivoluzione. Dopo un anno il valore dell’operazione della resistenza palestinese e della battaglia del “Diluvio di Al Aqsa” è chiaro a tutto il mondo". (https://tinyurl.com/mryu7duw ) Il 7 ottobre come atto di resistenza, quindi. Del resto: Hamas significa Movimento di resistenza islamica.
Le date non sono casuali: convocare la manifestazione ai primi di ottobre serve, da un lato, a offuscare il ricordo del 7 ottobre concentrando l'attenzione sul dopo, vale a dire la guerra di Gaza e, dall'altro, per taluni, come gli organizzatori, per celebrarlo come scintilla rivoluzionaria. Del resto, non troverete nelle convocazioni della manifestazione accenni a piani di pace, due popoli due stati, o a qualunque prospettiva pacifica. Non parliamo poi di riferimenti a ostaggi: tabù. Si tratta quindi di una manifestazione che è stata convocata su basi antitetiche al pacifismo e ad un desiderio di pace.
Eppure sarà una manifestazione molto partecipata soprattutto da chi, al contrario, spera proprio in un futuro di pace e convivenza. E quindi, da un lato si inneggia alla resistenza e all'Intifada verso la vittoria, dall'altro alla pace e solidarietà sventolando bandiere arcobaleno, da un lato due popoli due Stati, dall’altro Free Palestine from the river to the sea. Elemento unificante: l'avversione a Netanyahu, se non Israele, minimo comune multiplo di tutte le anime che sfileranno. Sin tanto che si è contro, quindi, non è difficile, il problema è il pro: pace o guerra?
Di questa ambivalenza è preda  la sinistra e in particolare la CGIL. Si è trovata spiazzata e scavalcata a sinistra dalle spontanee e partecipate manifestazioni del 22 settembre indette da USB, ed è corsa ai ripari, proclamando lo sciopero generale per oggi, 3 ottobre, e invitando a partecipare alla manifestazione del 4. Dato che però sa benissimo chi ha convocato la manifestazione, si è impegnata, nell’Assemblea generale del 30 settembre "ad organizzare la partecipazione per sabato 4 ottobre alla manifestazione nazionale convocata dalle associazioni palestinesi a Roma sulla base delle nostre posizioni" (https://tinyurl.com/5n6tawtw). Chi siano le associazioni palestinesi, l'abbiamo visto, e quindi la CGIL si cava dall'impaccio partecipando sulla base delle sue posizioni, non quelle degli organizzatori. Nella stessa Assemblea, peraltro, è stato anche deciso di “partecipare alla Marcia Perugia Assisi del 12 ottobre e a sostenere tutte le iniziative per la pace e contro il riarmo”. E quindi riassumiamo: nella stessa assemblea si decide di sfilare in una manifestazione indetta dagli inneggianti ad Hamas e 8 giorni dopo di marciare all’ombra di San Francesco. Il tutto senza che generi contraddizione o riflessione, perché la cappa del contro Netanyahu e Israele nasconde tutto.
Non solo Netanyahu. Ovviamente, si sfilerà, anche e soprattutto, contro la guerra a Gaza e per la cessazione delle devastazioni, obiettivo pel quale, peraltro, sono impegnate h24 le diplomazie di tutto il mondo. Ma la fine della guerra, o almeno una benedetta tregua, contempla il rilascio degli ostaggi e il disarmo di Hamas, argomenti ovviamente non graditi a chi ha convocato la manifestazione e, assai probabilmente, assenti dagli slogan. E, di questo, ne ha fatto le spese il Sindaco di Reggio Emilia, fischiato per aver auspicato il ritorno a casa degli ostaggi, nonché Recalcati che ha osato farvi cenno su Repubblica. E, comunque, rimane sempre senza risposta la domanda sul perché vi sia oggi una tale mobilitazione contro Netanyahu e non vi sia stata in tre anni contro Putin. Misteri.
Una manifestazione che si preannuncia quindi molto partecipata, all’insegna del minimo comune multiplo, vale a dire poche comuni parole contro e vaghezza cacofonica per il pro.
A ben pensarci, una rappresentazione non troppo infedele dello stato della sinistra e dell’opposizione. Fintanto che c'è un minimo comune multiplo, che fosse un tempo Berlusconi, che sia oggi il governo delle destre, un qualche accordo lo si trova. Ma essendo un minimo comune, là dove si chiede un'unione non contro, ma pro, iniziano i problemi.


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Matty Groves
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Giorgio Arfaras
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Ecco una eccellente sintesi di Nico Cavalli del mio video su Gaza.

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 inserito:: Ottobre 11, 2025, 06:15:08 pm 
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Alex Orsi

Il Sunday Times ha identificato 13 ufficiali russi responsabili di uccisioni di massa e crimini di guerra a Bucha. Gli ufficiali sono stati individuati da avvocati e investigatori indipendenti utilizzando informazioni di intelligence open source. Tutti e 13 sono stati confermati dalle agenzie di intelligence ucraine.
"Le truppe russe hanno occupato Bucha, alla periferia di Kyiv, per poco meno di un mese. Durante quei 29 giorni, all'inizio del 2022, hanno commesso atti di tale brutalità che questa città ucraina diventerà per sempre sinonimo di crimini di guerra: la Srebrenica di questo conflitto", si legge nell'articolo.
Ricordo che sedicenti esperti filorussi invitati nelle televisioni pubbliche e private in quel periodo sostenevano che a Bucha era stata attuata una messinscena e alcuni forse lo sostengono ancora oggi.
Ma non vediamo flottiglie ne scioeri generali... da oltre 3 anni.
Pagliacci bastardi ipocriti.

https://www.thetimes.com/.../russian-officers-war-crimes...
da FB

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Enrico Theoldroat
Direi in aggiunta a questa considerazione sacrosanta, che anch'io ripeto da tempo (la presunta "reazione scomposta" della classe lavoratrice verso i presunti "disastri del neoliberismo", come vanno a dire certi opinionisti e intellettuali è una sonora imbecillità, il problema veramente grave è la propaganda amplificata dai meccanismi perversi e micidiali di manipolazione dei social), che la sinistra sta volontariamente spianando la strada a questa catastrofe con la sua assoluta imbecillità: la sua perdurante e complice ottusità ideologica sul tema dell'immigrazione, soprattutto di quella musulmana, la sua ideologia demenziale, e pure reazionaria, sui temi energetici e ambientali che stanno facendo collassare il sistema energetico e facendo schizzare i prezzi dell'energia per la povera gente (nonostante essi ci avessero assicurato fino a ieri per decenni che queste decisioni erano sacrosante e necessarie, e anche che avrebbero reso più leggere le bollette), e in ultimo la sua crescente cooptazione da parte delle ali più estremiste e minoritarie di provenienza accademica e di stampo marxista/postmodernista/islamista, prive di una seria cultura di governo e ignoranti come dei bonobo (con tutto il rispetto dovuto per i primati), e ossessionate pressoché unicamente da questioni ideologiche come la "Palestina" al punto da spalleggiare le frange più facinorose che ostacolano l'ordine pubblico e occupano le Università.

da FB

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Carmen Nolasco

"Ma non sei senza colpa.
Ti dirò in cosa sia consistita la tua colpa.
Non hai voluto fermarti entro i confini della realtà.
Nessuna realtà ti soddisfaceva.
Fuggivi al di fuori di ogni realizzazione. Non trovando sazietà nel reale, hai creato sovrastrutture di metafore e figure poetiche.
Ti sei mosso in mezzo alle associazioni, alle allusioni, all'imponderabile tra le cose.
Ciascuna cosa rinviava a un'altra, quella si richiamava a un'altra ancora e così via senza fine.
La tua disinvoltura alla fine è risultata noiosa.
Se n'è avuto abbastanza di questo cullarsi sulle onde di una interminabile fraseologia.
Proprio così: fraseologia; perdona questa parola.
Ciò è diventato chiaro allorché, qua e là, in molte anime incominciò a destarsi la nostalgia per l'essenzialità.
In quel momento fosti ormai sconfitto.
Si videro i confini della tua universalità: il tuo grande stile, il tuo barocco che alla tua epoca d'oro era adeguato alla realtà, adesso è risultato soltanto una maniera.
Le tue dolcezze e le tue meditazioni recavano il sigillo della esaltazione giovanile.
Le tue notti erano enormi e interminabili oppure un brulichio di fantasmi simile al farneticare di chi soffre di allucinazioni.
I tuoi odori erano esagerati.
Si mangiavano le tue mele, sognando i frutti dei paesaggi paradisiaci, e davanti alle tue pesche si pensava a frutti eterei di cui nutrirsi col solo odorato.
Avevi sulla tua tavolozza però solo le gamme più acute dei colori, non conoscevi la sazietà e la gagliardia dei bronzi scuri, terrigni, grassi.
Adesso i sogni umani incominciano ad avvertire la nostalgia della realizzazione.
Quei fantasmi adesso vogliono tenersi stretti all'uomo, cercano il calore del suo respiro, l'accogliente rifugio della sua dimora, della nicchia in cui è situato il suo letto."

da FB

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Andrea Ferrario

La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina continua a rimodellare gli equilibri dell'economia globale, mentre entrambe le superpotenze imperialiste si affrontano in uno scontro che va ben oltre le semplici tariffe doganali. Un meme circolato di recente sintetizza efficacemente la situazione: Trump dice a Xi Jinping "ho in mano le carte", e il leader cinese risponde "le carte sono state fabbricate in Cina". Questa battuta racchiude la complessità di un confronto in cui nessuno dei due contendenti può davvero prevalere, nonostante le apparenze.
Molti osservatori occidentali tendono a sovrastimare la forza della posizione cinese, interpretando la capacità di Pechino di resistere alla pressione americana come un segno di vittoria. In realtà, il regime del Partito Comunista cinese sta semplicemente applicando una tattica dilatoria già sperimentata durante la prima amministrazione Trump, trascinando i negoziati di città in città nella speranza che le elezioni di metà mandato del 2026 indeboliscano la posizione del presidente americano. Questa strategia però ha un costo altissimo: durante l'attuale tregua tariffaria, le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti affrontano tariffe medie del 51 percento, contro il 20 percento precedente al ritorno di Trump alla Casa Bianca. La quota cinese del PIL mondiale è scesa dal picco del 18,5% nel 2021 al 16%, mentre quella americana è salita dal 24,8% al 26,2% nello stesso periodo.
Il quadro economico cinese è drammaticamente peggiore di quello dipinto dalle narrazioni ufficiali di Pechino. Il regime di Xi Jinping continua a manipolare i dati economici per nascondere una situazione disastrosa, caratterizzata da deflazione, crollo della domanda interna e una crisi immobiliare che ha cancellato risparmi familiari in misura quasi doppia rispetto alla crisi bancaria americana del 2008. La strategia di compensare la perdita dei mercati occidentali attraverso un aumento massiccio delle esportazioni verso il Sud del mondo sta mostrando tutti i suoi limiti strutturali. Con il 30% della produzione manifatturiera globale, l'economia cinese è semplicemente troppo grande per seguire un modello di crescita trainato dalle esportazioni senza provocare onde d'urto deflazionistiche nei mercati di destinazione.
Trump dal canto suo sta esercitando il potere imperiale americano nella sua forma più brutale e scoperta, imponendo agli alleati termini che ricordano i trattati ineguali dell'era coloniale. L'Unione Europea ha accettato in Scozia un accordo umiliante che prevede tariffe doganali del 15% sulle esportazioni europee verso gli Stati Uniti a fronte di zero tariffe nella direzione opposta. La Corea del Sud ha promesso investimenti per 350 miliardi di dollari, il Giappone per 550 miliardi. Questi accordi rappresentano più propaganda della Casa Bianca che trattati formalmente ratificati, eppure rivelano l'enormità della pressione che Washington è in grado di esercitare. I governi dei paesi del “fronte occidentale” continuano a sottomettersi perché l'alternativa rappresentata da Cina e Russia appare ancora peggiore.
Le politiche di Trump non seguono alcuna logica economica razionale nel lungo periodo. L'obiettivo non è reindustrializzare l'America secondo un piano coerente, bensì estrarre il massimo vantaggio immediato sfruttando il peso superiore degli Stati Uniti. Questo approccio otterrà successi tattici nel breve termine, come dimostrano le capitolazioni di Taiwan, dell'Unione Europea e di numerosi altri paesi. Tuttavia, nel medio e lungo periodo queste politiche mineranno catastroficamente il sistema di alleanze costruito in ottant'anni, eroderanno il ruolo del dollaro come perno del sistema finanziario globale e danneggeranno gravemente l'economia americana stessa, aggravandone il debito e preparando nuove crisi finanziarie.
Pechino non è riuscita a capitalizzare sugli errori strategici di Trump nella misura che ci si sarebbe potuti aspettare. Nonostante le prepotenze americane abbiano alienato numerosi governi, questi ultimi rimangono legati a Washington perché percepiscono la minaccia geopolitica ed economica cinese come ancora più grave. La Cina ha ottenuto un limitato riavvicinamento economico con l'Australia laburista e ha consolidato la propria posizione di leader del Sud globale, ma questo capitale politico non si è tradotto in guadagni economici tangibili. Il regime di Trump ha inoltre cominciato a prendere di mira i paesi terzi che fungono da canali per aggirare le tariffe doganali americane, come dimostra il caso del Messico che ha recentemente imposto dazi del 50% sulle automobili cinesi.
La questione TikTok rappresenta una battaglia cruciale in questo conflitto più ampio. Trump ha promesso di salvare l'applicazione "per i ragazzi" e sta cercando di portarla sotto controllo aziendale americano attraverso un consorzio guidato dal miliardario Larry Ellison. Xi Jinping sembra aver dato il via libera alla vendita, ma i dettagli rimangono controversi. Il regime cinese insiste che ByteDance manterrà il controllo dell'algoritmo secondo le leggi cinesi, mentre Trump proclama che l'algoritmo sarà al "100 percento MAGA". Questa contraddizione rivela come TikTok sia diventata uno strumento di ricatto reciproco: Pechino spera di usarla per ottenere concessioni tariffarie e tecnologiche, mentre Washington vuole trasformarla in un servizio di propaganda politica. La vicenda si inserisce anche nelle lotte di potere interne al Partito Comunista Cinese, dove elementi militari potrebbero voler limitare il potere di Xi, ma non al punto di compromettere l'unità del regime nel confronto con Trump. Questo scontro tra le due maggiori potenze imperialiste rappresenta il sintomo più evidente di un sistema economico mondiale in estrema difficoltà, che offre soltanto regressione, attacchi ai diritti democratici e una lotta feroce tra giganti per soggiogare economicamente il resto del pianeta.
(da materiali pubblicati da China Worker)

da FB

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 inserito:: Ottobre 11, 2025, 06:11:37 pm 
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Post di Marco

Marco Maria Freddi

LA PIÙ GRANDE DELUSIONE D’EUROPA: EMMANUEL MACRON
Sebastien Lecornu si dimette dopo appena ventisette giorni. Il suo governo non è mai nato, travolto da divisioni, scelte miopi e ambizioni personali. Ma dietro la sua caduta c’è la fine di un ciclo politico: quello di Emmanuel Macron, l’uomo che aveva promesso di rifondare la Francia e rilanciare l’Europa, e che invece consegna il suo Paese ai neofascisti del Rassemblement National.
Macron non è soltanto in crisi, è l’emblema del fallimento di una generazione politica che ha scambiato il carisma per arroganza, la visione per marketing, il potere per narcisismo. Il suo progetto, quello di un’Europa “a due velocità”, capace di avanzare con coraggio verso un’unione federale lasciando indietro chi frena, era forse discutibile, ma almeno aveva un respiro strategico. Poi si è dissolto nel suo ego. Macron ha finito per parlare solo a se stesso, perdendo prima i cittadini, poi i partiti, infine i suoi stessi collaboratori. Lecornu ne è soltanto l’ultimo esempio bruciato in meno di un mese da un sistema ormai imploso.
La Francia è stanca, confusa, divisa. E quando la sinistra non sa unire e il centro implode, la destra estrema avanza. È la regola più antica della storia politica europea. Macron, nel suo autismo di potere, non ha voluto ascoltare né la piazza né la realtà: ha pensato di poter governare da solo, senza mediazioni, con la sola forza della retorica e del prestigio personale. Oggi paga la più umiliante delle sconfitte, quella di aver preparato, con le proprie mani, il terreno alla normalizzazione del neofascismo.
Non sarà la Francia a cadere per Macron, ma l’idea stessa di un’Europa capace di credere in sé stessa. Perché senza Parigi, senza una leadership all’altezza della sua storia, l’Unione rimane un gigante amministrativo, incapace di scegliere il proprio destino.
Emmanuel Macron è la più grande delusione d’Europa. Non per ciò che ha fatto, ma per ciò che aveva promesso e non ha saputo essere: un leader. L’Europa non ha bisogno di presidenti innamorati del proprio riflesso, ma di donne e uomini capaci di servire un’idea più grande di loro.
E Macron, di quell’idea, è diventato il principale ostacolo.
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David Garzella
Caro Marco, scusami se non sono d'accordo totalmente sulla tua analisi. Il fallimento interno di Macron non è quello di aver portato i fascisti vicino a governare. Sono almeno 23 anni che subiamo questa minaccia. Il fallimento delle politiche interne è in parte dovuto a Macron, ma è soprattutto dovuto alla rigidità delle istituzioni politiche francesi, ad un corpo elettorale e ai suoi rappresentanti in parlamento, in media fortemente imbarbariti rispetto alla qualità e alle competenze degli anni di Mitterrand e Chirac. Macron ha solo subito, senza rendersene conto, della Berlusconizzazione avviata nelle istituzioni francesi dalla presidenza di Nicolas Sarkozy, e in parte continuata anche sotto Hollande. Macron, un gigante sicuramente in politica estera, non ha saputo leggere la deriva della cinquième République, ma non ne è lui l'artefice, lo sono prima di tutto Marine le Pen e Jean Luc Mélenchon, novelli Sansoni delle estreme.

    3 h

    Rispondi

Marco Maria Freddi
David, capisco bene il tuo punto di vista ma io mi riconosco in una visione socialista liberale, certamente europeista e federale, che crede nella libertà come responsabilità collettiva, nella giustizia sociale come fondamento della democrazia e nella politica come strumento per costruire uguaglianza, non per gestire disuguaglianze.
Non sono un fine conoscitore della realtà francese, ma credo tu abbia ragione: la crisi francese non nasce con Macron. È figlia di una Quinta Repubblica ormai sclerotica, costruita per garantire stabilità ma divenuta un freno alla rappresentanza. È il risultato di un lungo processo di personalizzazione del potere, iniziato con Sarkozy e proseguito sotto Hollande, che ha trasformato la presidenza in un trono repubblicano. Ma Macron non è stato una vittima di questo sistema, ne è stato il perfezionatore.
Si era presentato come il rottamatore del vecchio ordine politico, il volto giovane di una nuova Europa, l’alternativa alla demagogia e alla nostalgia. In realtà, ha prosciugato la politica del suo contenuto sociale, riducendo la Repubblica a un esercizio di managerialismo e di comunicazione. La sua “marcia” si è trasformata in un monologo. Macron ha creduto di poter governare da solo, con la sola forza dell’intelligenza e dell’immagine, ma la storia non perdona chi scambia la leadership con la centralità del proprio ego.
Da socialista liberale, non gli rimprovero di aver creduto nell’Europa, ma di averla svuotata di sostanza. L’Unione che lui immaginava non era una comunità di popoli solidali, ma una federazione dei vincenti, in cui chi resta indietro è colpevole. Questa non è l’Europa di Spinelli né di Delors, è l’Europa dei tecnocrati, dove la crescita è più importante della coesione e la competenza più importante della giustizia.
Macron è il simbolo di un fallimento culturale prima ancora che politico, l’idea che la modernità possa fare a meno dell’uguaglianza. Ma senza uguaglianza la modernità diventa violenza e la libertà diventa privilegio. Per questo oggi la Francia rischia di consegnarsi ai neofascisti, perché chi doveva difendere la democrazia l’ha resa irrilevante e chi doveva riformare la Repubblica l’ha trasformata in un’arena personale.
L’errore più grave non è stato perdere consenso, ma perdere il popolo. E quando un presidente perde il popolo, non resta che il silenzio della piazza, pronto a essere riempito da chi promette tutto e non crede in nulla.

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David Garzella
Marco Maria Freddi purtroppo non ho tempo né computer per scrivere in modo estremamente articolato. La tua visione di base è anche la mia , mi ci riconosco totalmente, sennò non ti seguirei e non avrei commentato. Continuo a pensare però che sei troppo duro con lui. In parte le ragioni dei suoi errori sono quelle che hai elencato, ma non sono d'accordo sulla tua analisi della sua visione di Europa, e non credo alla volontarietà di quello che tu chiami il fallimento culturale. Questa è stata la caricatura usata appunto da Mélenchon&Co, ripresa anche dai giornali Italiani. Mi dispiace , ma credo veramente che sia stata l' estrema sinistra (LFI) di fatto a consegnare soprattutto la Francia ai fascisti, non Macron in prima persona.

    2 h

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Marco Maria Freddi
David, la mia delusione e nel vedere infrangere una aspettativa forte. Sono certo tu conosca meglio la realtà francese e credo alle tue parole. Abbiamo tanti politici, nessun leader (progressista europeo) e questa, è la notizia più triste.

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David Garzella
Marco Maria Freddi Già, purtroppo, questo è il grosso problema....... Condivido la tristezza.....

    53 min

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La terza faccia della medaglia
Macron ha vinto le elezioni due volte e non può ricandidarsi. Se stavolta vincerà Bardella, significa che senza di lui la sinistra non vince.
Servirebbe un altro Macron, ma non c’è. E probabilmente la sx dovrà sperare nella destra un po’ meno destra di Bardella.

    3 h

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Alessandro Pagliaro
Macron vero statista. Se i fascisti di Le Pen non sono al governo il merito è suo. Piuttosto Melanchon con il suo estremismo è il vero ostacolo per una sinistra riformista e moderna di governo. E comunque Macron ha avuto il coraggio di riconoscere lo Stato di Palestina. Di certo con Meloni l'Italia non sta meglio.

 39 
 inserito:: Ottobre 11, 2025, 06:05:24 pm 
Aperta da Admin - Ultimo messaggio da Admin
Maurizio Molinari

"Fondamentale è stato il riposizionamento del Vaticano in Medio Oriente. Vedremo se ci sarà anche quello della Russia alleata dell’Iran. È una grande opportunità per rilanciare gli Accordi di Abramo e ridefinire in prosperità l’intera regione”, dice Maurizio Molinari, spiegando come cambiano le prospettive per Trump, Netanyahu e Stato palestinese ora che è stato accettato il piano per la pace a Gaza.
Tornano in campo dunque gli Accordi di Abramo. Questo processo può cambiare il volto del Medio Oriente? "Questa è la maggiore novità. Hamas voleva affondarlo, impedendo la normalizzazione fra Israele ed Arabia Saudita, per accelerare la sfida esistenziale dell’Iran a Israele ma ora avviene l’esatto opposto. I Paesi arabi e musulmani seguono Trump nel siglare con Israele un patto che apre lo scenario a dei Patti di Abramo non più solo fra Paesi arabi e Israele ma fra i giganti dell’Islam e lo Stato ebraico [...]"
Quale è il ruolo che il Vaticano sta giocando in questa partita diplomatica? "Possono esserci pochi dubbi sul fatto che Leone XIV ha riposizionato il Vaticano in Medio Oriente in tempi rapidi rimediando ai gravi errori commessi dal precedessore. Se Francesco aveva dimostrato scarsa empatia per gli ostaggi israeliani, aveva sposato le critiche più aspre allo Stato ebraico e si era spinto fino ad avvicinarsi alla condivisione dell’accusa di 'genocidio', Leone XIV pur confermando la piena e forte solidarietà per le sofferenze dei civili palestinesi a Gaza non ha esitato a prendere le distanze dal termine 'genocidio', a riequilibrare l’approccio al conflitto e, soprattutto, ha denunciato con forza il grave ritorno del l’antisemitismo nei nostri Paesi [...]. L'intervista su Huffingtonpost.it > bit.ly/3IOsXP1
Per altre notizie bit.ly/4mRREce

da FB

 40 
 inserito:: Ottobre 11, 2025, 12:11:22 am 
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Maurizio Molinari

"Fondamentale è stato il riposizionamento del Vaticano in Medio Oriente. Vedremo se ci sarà anche quello della Russia alleata dell’Iran. È una grande opportunità per rilanciare gli Accordi di Abramo e ridefinire in prosperità l’intera regione”, dice Maurizio Molinari, spiegando come cambiano le prospettive per Trump, Netanyahu e Stato palestinese ora che è stato accettato il piano per la pace a Gaza.
Tornano in campo dunque gli Accordi di Abramo. Questo processo può cambiare il volto del Medio Oriente? "Questa è la maggiore novità. Hamas voleva affondarlo, impedendo la normalizzazione fra Israele ed Arabia Saudita, per accelerare la sfida esistenziale dell’Iran a Israele ma ora avviene l’esatto opposto. I Paesi arabi e musulmani seguono Trump nel siglare con Israele un patto che apre lo scenario a dei Patti di Abramo non più solo fra Paesi arabi e Israele ma fra i giganti dell’Islam e lo Stato ebraico [...]"
Quale è il ruolo che il Vaticano sta giocando in questa partita diplomatica? "Possono esserci pochi dubbi sul fatto che Leone XIV ha riposizionato il Vaticano in Medio Oriente in tempi rapidi rimediando ai gravi errori commessi dal precedessore. Se Francesco aveva dimostrato scarsa empatia per gli ostaggi israeliani, aveva sposato le critiche più aspre allo Stato ebraico e si era spinto fino ad avvicinarsi alla condivisione dell’accusa di 'genocidio', Leone XIV pur confermando la piena e forte solidarietà per le sofferenze dei civili palestinesi a Gaza non ha esitato a prendere le distanze dal termine 'genocidio', a riequilibrare l’approccio al conflitto e, soprattutto, ha denunciato con forza il grave ritorno del l’antisemitismo nei nostri Paesi [...]. L'intervista su Huffingtonpost.it > bit.ly/3IOsXP1
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