JUAN CARLOS DE MARTIN. -

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30/3/2012

Diritto d'autore, niente scorciatoie

JUAN CARLOS DE MARTIN

È certamente possibile attribuire all’Autorità delle Garanzie nelle Comunicazioni (AgCom) compiti in materia di diritto d’autore: basta cambiare la legge sul diritto d’autore.

Che il Parlamento, dunque, discuta liberamente dei diritti fondamentali in gioco - inclusa la libertà d’espressione - e di come meglio contemperarli. Poi, se lo riterrà, che modifichi la legge sul diritto d’autore assegnando specifici, circoscritti poteri ad AgCom. In una democrazia europea questa è l’unica strada percorribile - come sottolineato neanche un anno fa dall’Avvocato Generale presso la Corte di Giustizia Europea, Pedro Cruz Villalon. Qualunque alternativa sarebbe una scorciatoia politicamente inaccettabile e giuridicamente gracile.

Qualifiche che certamente si applicano anche alla bozza di decreto sull’AgCom, che a quanto pare qualcuno nel Governo sta spingendo con gran forza. Confidiamo che il presidente Monti abbia una connaturata avversione per le scorciatoie. Soprattutto se con le gambe corte.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9944

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14/5/2012

Nomine Agcom, chance da non sprecare

JUAN CARLOS DE MARTIN

Immaginiamo di essere nel maggio 2019, sette anni da oggi. Negli Usa, dopo gli otto anni di Obama, la prima presidente donna degli Stati Uniti potrebbe star già pensando alla rielezione. Il presidente francese Hollande potrebbe essere già nel secondo anno del suo secondo mandato.

Gli esseri umani sulla terra saranno circa 7,6 miliardi, ovvero, 600 milioni in più rispetto a oggi.

In Italia, invece, sappiamo per certo che saranno ancora in carica i presidenti e i commissari delle autorità per le comunicazioni (AgCom) e per la privacy che Governo e Parlamento eleggeranno nelle prossime settimane. Sette anni, infatti, dura il mandato dei componenti delle Autorità. Un tempo molto lungo che ha i suoi buoni motivi - in particolare per garantire stabilità al variare delle maggioranze - ma che allo stesso tempo richiede un altissimo senso di responsabilità da parte di coloro che li sceglieranno. Oggi ancor più che in passato. Quei presidenti e quei commissari, infatti, presiederanno con ampi poteri regolatori un periodo non solo lungo in termini di anni, ma quasi certamente cruciale dal punto di vista storico. Molti elementi, infatti, fanno ritenere che nei prossimi anni faremo collettivamente scelte decisive in merito sia al futuro di Internet, la tecnologia del XXI secolo, sia della protezione dei dati personali, il nuovo petrolio che fa gola a interessi colossali.

Mi concentrerò su Internet e quindi sulla nomina del nuovo consiglio AgCom. È ormai chiaro a tutti che Internet è il mezzo di comunicazione su cui stanno inesorabilmente convergendo stampa, radio e televisione: regolare Internet, dunque, significherà molto presto regolare tutti i media. Ma quello che invece sfugge a molte persone provenienti dal mondo dei media tradizionali è che Internet è anche molto altro. Internet, infatti, è la piattaforma che permette a più di due miliardi di persone di esprimersi, di istruirsi, di conoscersi a vicenda, di fare commercio, di usufruire di servizi, di fare politica, di associarsi, di fare volontariato, di innovare. Guardare questo universo con i soli occhiali della televisione o della stampa è tanto miope quanto come guardare una metropoli piena di attività e di persone come New York e di essa vedere solo le edicole o i cartelloni pubblicitari per strada.

Al di là delle occasionali iperboli Internet offre davvero possibilità inedite: in Rete non più frequenze limitate, non più la scarsità del mondo fisico che aveva giustificato buona parte degli edifici normativi dei secoli precedenti. In un certo senso è davvero un Nuovo Mondo, come suggerito per esempio dal giurista americano David Post. E come nel Nuovo Mondo del 18˚ secolo, sta a noi contrastare l’impulso a importare - per pigrizia o per proteggere interessi esistenti - le strutture dell’ancien régime e pensare in maniera nuova. È dunque essenziale che il nuovo presidente e i nuovi commissari AgCom conoscano a fondo il nuovo mondo di Internet, i suoi limiti, il suo potenziale, le sue leggi, la sua storia, la sua cultura ormai pluridecennale. È inoltre essenziale che, considerata la posta in gioco - che non è solo economica, ma anche culturale, civile e politica - che vengano scelte - in maniera aperta e trasparente - persone manifestamente indipendenti, ovvero, senza traccia di conflitti di interesse politici o economici. A seconda delle scelte che faranno partiti, Parlamento, governo e Presidente della Repubblica nelle prossime settimane, nel maggio 2019 potremmo ritrovarci a lamentare le scelte AgCom del 2012 come un’ulteriore causa del persistente declino italiano o, come è possibile e fortemente auspicabile, come uno dei punti di partenza della ripresa.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10098

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13/9/2012

Qui ci vuole una costituzione dei diritti digitali

JUAN CARLOS DE MARTIN

Gli smartphone, quei minuscoli computer che consentono anche di telefonare, stanno portando nelle tasche di milioni di persone i due pilastri della rivoluzione digitale: un computer tutto-fare in grado di elaborare qualsiasi informazione rappresentabile sotto forma di uni e di zeri e una connessione a Internet. Chi i computer già li frequenta apprezza gli smartphone perché permettono, in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, molte, anche se non tutte, delle operazioni tipiche di un computer. E gli altri apprezzano subito, anche grazie alle interfacce intuitive, il marchingegno che si ritrovano in tasca. La legge di Moore - quella che sancisce il raddoppio delle capacità di calcolo dei computer ogni 18 mesi - ha contribuito: gli smartphone sono sempre più potenti, veloci e versatili. Pochi anni fa, era impensabile che un dispositivo tascabile riuscisse a registrare e magari anche a montare video ad alta definizione: oggi è la norma. Così per le prestazioni fotografiche, per la navigazione stradale, per le funzioni di pagamento, in un crescendo imperialista che porta lo smartphone ad assorbire nella sua flessibile anima di computer un numero crescente di dispositivi una volta a sé stanti.

Le conseguenze sono chiare. La prima è che lo smartphone diventa sempre di più «il» dispositivo personale. Per molti è più probabile dimenticare a casa il portafogli (che serve solo a pagare) che il proprio smartphone (che fa tante cose, tra cui pagare). La seconda è un netto aumento della produttività. Produttività lavorativa (e non solo perché il tempo del lavoro sembra espandersi senza limiti) e personale: gestione degli impegni, appunti, shopping, social network, email, tempi di arrivo dei mezzi pubblici, lettura notizie, pagamenti, e molto altro ancora.
Tutto bene, dunque? Viviamo in un mondo meraviglioso che non fa che diventare sempre migliore? Non esattamente.

E non solo perché questi strumenti contribuiscono a insinuare il lavoro in ogni momento della vita. Una parte importante della popolazione non può permettersi l’acquisto di oggetti costosi come questi, e del relativo abbonamento dati. Si tratta di un divario digitale che rischia di penalizzare proprio chi avrebbe più bisogno di aiuto.

In secondo luogo, stiamo concentrando in quegli scintillanti parallelepipedi di vetro, metallo e silicio una parte sempre più importante e sempre più intima di noi. Chi riesce ad accedere ai nostri smartphone riesce a penetrare nella nostra vita in modi che le costituzioni non potevano prevedere. Che si tratti di criminali informatici, di aziende senza scrupoli o di governi alla ricerca di scorciatoie, il pericolo è potenzialmente grande.

La soluzione non sono solo nuovi lucchetti tecnologici, ma anche e soprattutto una nuova concezione della persona che deve includere anche i dispositivi digitali della persona stessa. Alla legge di Moore, che continuerà a migliorare le prestazioni degli smartphone, dobbiamo urgentemente affiancare un «Habeas corpus et smartphone» che protegga i diritti nell’era digitale.

DA - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10524

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Editoriali
18/10/2012

La rete deve restare libera


Al ministro degli Affari Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata e al ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera

Nei decenni scorsi chi ha progettato, sviluppato e gestito Internet è stato fautore di una struttura di “governance” che, grazie alle sue caratteristiche fortemente evolutive basate su una logica ‘dal basso’, ha contribuito in maniera determinante al successo della “la più grande invenzione del XX secolo” (definizione del Premio Nobel Rita Levi Montalcini). 

Una “governance” improntata al coinvolgimento diretto di tutti i portatori di interessi, alla trasparenza, al rispetto per l’innovazione e alla creatività, anche quando suscettibile di modificare paradigmi politici ed economici consolidati. Un modello di “governance” sicuramente perfettibile, ma che - a oltre 40 anni dalla nascita di Internet e a 20 anni dall’invenzione del Web - non può non essere considerato, nella sua unicità, uno dei principali fattori dello straordinario successo planetario della Rete, quale risorsa globale irrinunciabile proprio nella sua originalità rispetto agli altri mezzi di telecomunicazione.

Nonostante un bilancio così fortemente positivo, però, c’è chi auspica oggi un ritorno a un mondo in cui le tecnologie delle comunicazione siano saldamente nelle mani di pochi e potenti gruppi economico-finanziari e dei governi, con scarso spazio per le ragioni degli individui, della società civile e degli innovatori.

Da questa visione anacronistica nasce la proposta, portata avanti con veemenza, di attribuire all’International Telecommunications Union (Itu), con sede a Ginevra, istituto specializzato delle Nazioni Unite, potere e competenza su aspetti rilevantissimi della policy della Rete, che esorbitano la dimensione strettamente tecnica che dovrebbe caratterizzare Itu.

E’ una proposta spalleggiata da importanti operatori telefonici, che hanno l’ambizione di poter decidere del traffico sulla Rete in una logica di massimizzazione del profitto, e da governi nazionali, tra cui non a caso si annoverano molti di quelli che hanno finora mal sopportato le libertà che Internet ha donato ai cittadini.

Si discuterà della proposta che vorrebbe attribuire a Itu tali poteri regolatori sulla Rete alla conferenza intergovernativa Itu nota come World Conference on International Telecommunications (Wcit-12), che si terrà a Dubai il dal 3 al 14 dicembre.

Noi chiediamo al governo italiano, e in particolare a voi ministri Terzi e Passera, di schierare l’Italia dalla parte della Rete, dell’innovazione, della libertà, come peraltro già raccomandato dalla Commissione europea. Per guardare al XXI secolo con fiducia riconoscendo la novità assoluta rappresentata da Internet anche nel campo dei modelli di regolazione internazionale.

Promotori: Juan Carlos De Martin, Alberto Oddenino e Stefano Rodotà 

Adesioni: Andrea Comba, Edoardo Greppi, Angelo Raffaele Meo, Ugo Pagallo e Marco Ricolfi 

da - http://lastampa.it/2012/10/18/cultura/opinioni/editoriali/la-rete-deve-restare-libera-nF16iQKl0ZzE7eGXGjfrOM/pagina.html

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Editoriali
17/12/2012

Il rischio guerra fredda su Internet

Juan Carlos De Martin

Dopo mesi di discussioni accorate sul futuro di Internet e dieci giorni di lavori con 1600 delegati, Wcit, la conferenza internazionale sulle telecomunicazioni organizzata dall’Itu a Dubai, si è conclusa con un sostanziale fallimento. Ben 55 paesi, infatti, tra cui l’Europa al completo, gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia, il Giappone e l’India, si sono rifiutati di firmare il nuovo trattato sulle telecomunicazioni, compromettendone, forse irrimediabilmente, il futuro.

 

E’ vero che ben 89 paesi hanno invece firmato, ma la forza economica e politica degli oppositori, a partire dagli Stati Uniti, pesa come un macigno.

Cosa ha deragliato una conferenza attesa e preparata da anni? Non è facile capirlo. 

 

Il punto di sensibile, infatti, era Internet, eppure la parola Internet non compare mai nelle dieci pagine del trattato (compare in una risoluzione allegata al trattato, ma le risoluzioni non hanno alcun valore vincolante). Inoltre l’articolo 1 specifica esplicitamente che il trattato «non riguarda gli aspetti relativi ai contenuti delle telecomunicazioni», espressione ritenuta da tutti significare: «no Internet». Né compare la proposta, avversata dagli Usa, di alcuni grandi operatori telefonici di far pagare il traffico Internet a Google, Facebook e gli altri grandi servizi Internet. L’unica perplessità di un certo peso la suscita l’articolo 5B, dedicato al contrasto della cosiddetta «spam» (posta elettronica indesiderata inviata a moltissimi indirizzi): con l’obiettivo di eliminare lo «spam», infatti, non si corre il rischio concreto che l’articolo 5B venga usato per legittimare pratiche invasive di ispezione dei messaggi, le stesse usate anche per censurare e sorvegliare? E poi chi decide cosa è «spam» e cosa no? L’obiezione è fondata. Ma appartiene alla categoria dei motivi che portano al deragliamento di una conferenza intergovernativa? Forse - ma c’è ragione di ritenere che i motivi dell’opposizione del blocco guidato dagli Usa siano anche, e forse soprattutto, altri. In particolare è probabile che gli Stati Uniti abbiano scelto di far capire a tutti, nella maniera più esplicita possibile, che l’attuale sistema di governo di Internet non si tocca. Il sistema di governo attuale, infatti, è articolato su organismi come Icann, Ietf e Internet Society, entità emerse nei decenni scorsi dal mondo Internet, ma proprio per questo - nonostante i numerosi tentativi di renderle sempre più rappresentative - di chiara matrice Usa.

 

Saranno i prossimi anni a dire se la scelta degli Usa e degli altri paesi che non hanno firmato il nuovo trattato è stata positiva per lo sviluppo di Internet o se invece ha dato al via a una Guerra Fredda digitale. Se da una parte, infatti, è ragionevole concentrare gli sforzi su un miglioramento del sistema attuale di governo di Internet, che finora ha assicurato alla Rete un successo straordinario, dall’altra parte è ora di iniziare a dar maggior voce a questioni che finora sono rimaste spesso fuori dalla porta. In quale sede discutere efficacemente, per esempio, di chi vince e di chi perde a livello economico con Internet? Dove decidere in tema di diversità culturale? In quale sede globale porsi seriamente il problema di come portare Internet a quella larga parte della popolazione mondiale che ne è ancora esclusa?

 

Sono temi importanti e se l’Itu, con la sua logica intergovernativa, non è l’entità adatta per trattarli, ciò non vuol dire che si possano sostanzialmente ignorare. Qualunque sia la sede, comunque, la chiave per superare sia le pulsioni egemoniche dei governi sia i concreti interessi delle multinazionali è la società civile. E’ la società civile globale, infatti, con le sue organizzazioni non profit, le università, gli intellettuali, che può meglio assicurare che Internet rimanga uno strumento al servizio delle persone, nonché, come da anni dice Stefano Rodotà, il più grande spazio pubblico della storia dell’umanità.

da - http://lastampa.it/2012/12/17/cultura/opinioni/editoriali/il-rischio-guerra-fredda-su-internet-XKC7Udht3AVuqM9Hu7VULJ/pagina.html

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