PARTITO DEMOCRATICO (dopo il voto).

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POLITICA

Il segretario del Pd ha scritto al sindaco di Torino in rotta con i vertici piemontesi

"In quella città in corso una esperienza amministrativa, sociale e politica esemplare"

Veltroni e la rabbia di Chiamparino "Tu e Bresso moderni riformisti"

L'iniziativa dopo l'ultimatum del primo cittadino al segretario regionale

"Ditemi se quel che la mia amministrazione ha realizzato è o no una risorsa"

 

ROMA - Ha aspettato che passasse il Ferragosto, Veltroni, per cercare di gettare acqua sull'ennesima polemica divampata in un punto nevralgico del Pd, nella Torino 'rossa' di Sergio Chiamparino. Il sindaco ha dato uno scossone al torpore di mezz'estate dei democratici, per prendere carta e penna e chiedere ai vertici regionali del partito, senza troppi giri di parole, di fargli sapere se "quel che la mia amministrazione ha realizzato in questi anni è o no una risorsa su cui investire per il futuro".

Il casus belli risale alle primarie di ottobre quando da Roma si tentò di imporre l'elezione di un candidato rutelliano alla guida del partito piemontese. Nonostante la presa di posizione dei massimi esponenti del Pd regionale, da Chiamparino a Mercedes Bresso, a Piero Fassino, che sostennero la scelta del vertice nazionale, dalle urne uscì il nome di Gianfranco Morgando, appoggiato da un'alleanza tra la componente cattolica e la sinistra interna. Un colpo per il sindaco che aveva da poco ottenuto la riconferma con il 66 per cento dei voti dei torinesi.

Poi la proverbiale goccia. L'iniziativa di un "deputato del Pd" (Stefano Esposito, ndr) che "arriva a proporre d'escludere Torino dalla legge che istituisce le città metropolitane". E il vaso trabocca. Chiamparino si rivolge direttamente ai vertici regionali del partito: il segretario Gianfranco Morgando e il presidente Sergio Soave. Il sindaco ammonisce sul rischio delle correnti: "So che, forse, sono inevitabili - dice - ma so anche che quando queste sono prevalse sui rispettivi partiti, questi sono rapidamente implosi".

Walter Veltroni prova ora a ricucire. Ricorda di aver avviato proprio da Torino la sfida del Partito democratico, aggiunge di averlo fatto anche "perché in
quella città è in corso una grandissima esperienza amministrativa, una esperienza sociale e politica che considero esemplare", rinnova la propria stima a Sergio Chiamparino che "con il suo lavoro sta testimoniando tutto questo nel modo migliore". Il segretario sottolinea che il sindaco e il suo lavoro , "sono parte costitutiva di una moderna idea dell'azione riformista. Ed è la stessa ispirazione che muove il lavoro e l'esperienza di una donna forte e determinata come Mercedes Bresso".

Basterà a calmare gli animi? Presto per dirlo. Per ora si deve registrare il silenzio dei vertici regionali del partito e una nota congiunta di sei esponenti del Pd, giunta ieri, dunque prima della dichiarazione di Veltroni. Bresso e Chiamparino "stanno indiscutibilmente amministrando bene, ma non possono ergersi a difensori contro una lottizzazione che non c'è". Affermano i parlamentari Marco Calgaro, Stefano Esposito e Giorgio Merlo ed i consiglieri regionali Paolo Cattaneo, Stefano Lepri e Roberto Placido. "Si faccia pure un'analisi serena delle nomine fatte in questi anni - dicono i sei rimandando le accuse al mittente -. Si scoprirà, piuttosto che una gran parte è slegata dal vaglio dei partiti e dei cittadini e risponde direttamente al 'partito' (o alla corrente) del sindaco e del governatore".

Chiamparino, al suo secondo mandato, non è rieleggibile e nella sua lettera annuncia che non si ricandiderà comunque alla guida dell'amministrazione torinese, anche se venisse istituita la città metropolitana. Il sindaco di Torino starebbe invece riflettendo sulla possibilità di rilanciare quell'idea del Pd del Nord che aveva proposto lo scorso anno in occasione della fusione tra Ds e Margherita: "Ognuno si assuma le sue responsabilità - dice - in vista delle prossime scadenze elettorali".

(17 agosto 2008)


da repubblica.it

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18/8/2008 (8:16) - INTERVISTA

Sergio Chiamparino: "Le correnti pensano solo alle poltrone"
 
«Grazie Walter, dobbiamo salvarci dalla lottizzazione»


FEDERICO MONGA
TORINO


Chiamparino, Veltroni la porta ad esempio su come si deve costruire il Pd.
«Non nascondo che l’intervento del segretario sull’esperienza di Torino come riferimento per le politiche riformiste, in questi giorni di continui attacchi, mi faccia piacere».

Non si sente un po’ come il primo della classe poi odiato da tutti, alla Derossi da libro Cuore?
«Il punto vero è un altro. Non ho sentito nessuno, all’interno del Pd, fare un’analisi analitica e lucida su cosa abbiamo fatto».

Torino città laboratorio anche per il Pd partito che non c’è?
«Le difficoltà torinesi non sono solo figlie di sindromi sabaude, sono riflesso di difficoltà generali. Ad esempio la sconfitta elettorale non ha aiutato».

Le elezioni sono passate da quattro mesi e il Pd è allo sbando.
«Partiamo dal caso torinese. Io punto il dito contro le correnti».

Ci sono sempre state.
«E sono inevitabili e persino utili. Soprattutto in una fase di costruzione del partito, come la nostra. Però se le correnti sono il tutto, se si esprimono solo sul terreno della lottizzazione allora il partito soffoca. L’esperienza della prima repubblica è finita così».

E’ una lotta di potere e di soldi? In ballo ci sono le grandi fusioni delle municipalizzate dei trasporti tra Torino e Milano e dell’energia tra Torino, Bologna e Genova, la Compagnia di San Paolo e la Banca Intesa.
«Devo notare che le correnti all’interno del Pd torinese, fino ad ora si sono fatte sentire o quando dovevano criticarmi o quando si parlava di nomine e di poltrone».

I detrattori dicono che lei risponda a logiche di potere fuori dai partiti.
«Forse vorrebbero che si tornasse alla lottizzazione, un’idea vecchia della politica. Con me si può discutere di tutto. Ma chi ha responsabilità istituzionali ha il dovere istituzionale di scegliere le persone. Io, come i presidenti delle Regioni, ne rispondo da solo. Semmai si devono discutere le strategie. Sulle persone mi metto di traverso».

Dietro le persone c’è una strategia.
«Mi faccio una critica: ho impiegato troppo tempo a costruire questo percorso che ha portato un sindaco a prendersi l’intera responsabilità delle scelte sulle nomine e ad andare oltre le vecchie lottizzazioni».

I suoi compagni, pardon colleghi di partito, le hanno dato dell’autoritario, del leggero.
«Per trovare attacchi del genere bisogna andare tra l’opposizione più accanita dei tempi più caldi».

Da due partiti, storicamente con organizzazione molto ramificata a un partito leggero o liquido. Cosa cambia?
«E’ un dibattito vecchio. La pesantezza di un partito non è data dall’organizzazione, dal numero di riunioni o di organi. Ma dall’autorevolezza. Dalla capacità di fare proposte serie che convincano i cittadini. Bisogna misurarsi sulle proposte non sui posti da occupare».

Come si garantisce la democraticità?
«Io vengo da un partito che aveva un’organizzazione pesante ma che non brillava per democraticità».

Non si rischia di fare un Pdl senza però il capo Berlusconi?
«Noi facciamo le primarie. Mi pare che sia un grande esempio di democraticità e le faremo per tutte le candidature a sindaco e a presidente di Provincia e Regione. E poi toccherebbe ai segretari garantire la democraticità. Non è mio compito».

Non le piace il segretario piemontese Morgando.
«Mi pare che non si sia impegnato, come anche altri, nell’essere il segretario di tutti».

Bisogna cambiare?
«No. Si deve solo discutere».

Alla festa del Pd ci andrà o no?
«A due condizioni. Primo si devono affrontare i temi che ho proposto perché mi sembra che a livello nazionale abbiano avuto un certo rilievo. Secondo i segretari piemontesi e torinesi devono dirmi se condividono le accuse che mi sono state fatte di essere evanescente e autoritario».

Altrimenti va solo alla festa di An?
«In quel caso so dove vado. So chi incontro e credo che possa essere interessante un dibattito con Alemanno».

Il Pd rischia di perdere anche nel Torinese? Rischia di cadere anche il villaggio di Asterix?
«La gente vede che c’è una lotta interna agli addetti ai lavori e capisce che il Pd è solo capace di litigare».


da lastampa.it

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Tonini: «Il Pd rischia di finire come l´Unione»

Maria Zegarelli


«Attenzione, se continuiamo così finisce come con l´Unione». Giorgio Tonini, della Direzionale nazionale del Pd, legge con preoccupazione le roventi polemiche che a livello nazionale e locale stanno attraversando il partito. «Ci vorrebbe più pazienza», commenta dopo aver letto, tra le altre, le dichiarazioni di Cacciari e Parisi e il resoconto dei quotidiani dell´estate bollente del Pd.

Tonini, Cacciari critica il gruppo dirigente del segretario Veltroni. Dice: non sono persone autorevoli. Non c´è tregua?
«Io faccio parte del gruppo dirigente, c´è un conflitto di interessi... Ma provo ugualmente a rispondere. Sono stato tra i primi a dire dopo le elezioni che erano necessari una verifica democratica e un congresso. Sono convinto che sia necessario il prima possibile un passaggio congressuale democratico che coinvolga prima gli iscritti e poi tutti gli elettori, perché dobbiamo definire la nostra strategia di opposizione in vista di una rivincita sul centrodestra. Ma per fare un congresso e chiamare gli iscritti a dire la loro bisogna avere gli iscritti: il tesseramento è appena iniziato e non si concluderà prima della fine dell´anno».

Parisi, ma anche Cacciari, chiedono il congresso. Si anticiperà la data?
«Il congresso è previsto entro il 2009, dobbiamo decidere se tenerlo a scadenza naturale, dopo le elezioni europee, o anticipatamente. Non vedo perché, però, debba essere brandito come un´arma polemica all´interno del partito. Se c´è un elemento che vedo come un limite di questa discussione così eccitata è che sembra ci sia davvero poca pazienza. Siamo un partito nato un anno fa, che sta facendo tutto per la prima volta».

È "soltanto" lo scotto che state pagando per l´accelerazione dovuta alle elezioni?
«Probabilmente sì. Abbiamo dovuto affrontare una difficilissima battaglia elettorale, eppure il risultato ci consente di guardare con fiducia al futuro. Ci ha votato un italiano su tre, adesso spetta a noi dare una prospettiva al partito. Fino ad ora abbiamo dovuto dare struttura e regole, avviare la campagna del tesseramento. una stagione di Feste che non sono più quelle dell´Unità e della Margherita, ma del Pd. Abbiamo creato una campagna di opposizione intensa, con la raccolta di firme, che sono già più di un milione e speriamo di arrivare a cinque, ad ottobre ci sarà la grande manifestazione di protesta e di proposta, a settembre ci sarà la summer school di Cortona... ».

Molto criticata...
«Come tutte le cose nuove. Capisco che possono esserci cose che vanno bene bene e altre che vanno corrette. Capisco anche che ci siano critiche dall´esterno e dall´interno, sono normali. Ma quando sento dirigenti che hanno avuto e hanno grandi responsabilità politiche stupirsi per la difficoltà con cui si sta costruendo un partito nuovo, penso non sia degno della loro intelligenza».

Veltroni ha lanciato un appello ai gruppi parlamentari a non farsi del male. Non le sembra che sia caduto nel vuoto?
«Questo dibattito interno somiglia in maniera spaventosa a quello che c´era dentro l´Unione. C´è il rischio che Veltroni vesta i panni di Prodi, di colui che fa gli appelli all´unità inascoltato, perché continua questo malcostume tipico del centrosinistra italiano per il quale se non c´è una differenza tra di noi bisogna inventarla per costruirci su una polemica a puri fini di visibilità di gruppo, di corrente, di questa o di quella persona che deve conquistarsi un titolo di giornale».

Lei sta dicendo che il Pd rischia di finire come l´Unione?
«Dico che se non la smettiamo si creano le stesse condizioni che hanno portato alla fine del governo Prodi e alla dissoluzione all´Unione di centro sinistra. I tanti elettori delusi, amareggiati dalla prova includente del centrosinistra, hanno visto nel nascente Pd una grande speranza di una prospettiva riformista che unisse le forze attorno a un progetto per il riscatto del Paese e che facesse del dibattito interno una risorsa. Non possiamo dare l´idea di un partito che riprecipita in questo deprimente dibattito di tutti contro tutti».

Non teme possa esserci un contraccolpo durante la fase del tesseramento?
«Ancora una volta i nostri elettori si dimostrano più maturi dei loro dirigenti e le feste affollatissime, la partecipazione ai dibattiti ne sono un esempio. Il problema è che se continuiamo a dare di noi stessi questa immagine all´esterno facciamo un grande favore a Berlusconi e al centro destra. Per dare fiducia ai cittadini dobbiamo mostrare coesione e compattezza che non vuol dire smettere di confrontarci e discutere. Vuol dire farlo in maniera propositiva e costruttiva, altrimenti rischiamo di non cogliere le tante potenzialità di questa fase».

Non è guerra tra correnti?
«Le correnti sono inevitabili in un partito grande come il nostro. Se però diventano cordate verticali che cercano le ragioni della loro esistenza e della loro diversità anziché nascere attorno a proposte e idee si rischia il meccanismo degenerativo che abbiamo conosciuto nell´Unione».


Pubblicato il: 20.08.08
Modificato il: 20.08.08 alle ore 11.14   
© l'Unità.

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Parla Fassino «Incomprensibili gli attacchi al sindaco. Da parte mia nessun interesse personale. E il 2011 è lontano...»

«No a logiche da vecchio partito Giù le mani dal modello Torino»



TORINO —Attaccare Sergio Chiamparino è incomprensibile, strumentale, autolesionista. Meglio sarebbe valorizzare i risultati raggiunti e un «modello Torino» che può continuare la sua corsa ma potrebbe anche incepparsi in mancanza della strategia politica necessaria a sostenerlo. Piero Fassino, l'ultimo segretario dei Ds, il ministro degli Esteri del governo ombra, è anche e forse prima di tutto l'uomo politico italiano più legato alla città-fabbrica dove è cresciuto. «Non posso non mettere passione quando ne parlo, perché è di lì che vengo e perché più volte Torino è stato un caso esemplare. L'interesse personale non c'entra nulla», premette, liquidando così le voci che lo vorrebbero già candidato a sindaco per il 2011. Ma è difficile, sentendolo intervenire sulle polemiche di questi giorni, non cogliere un'idea di città, un progetto per il futuro che potrebbero farne uno tra i nomi più probabili, soprattutto nell'attuale scenario nazionale.

Fassino, perché Chiamparino e la sua amministrazione sono così importanti per il Pd e mobilitano segretari e leader nazionali?
«Chiamparino non è solo un bravo sindaco, come tutti gli riconoscono a cominciare dai cittadini. È uno dei protagonisti dell'operazione di cambiamento che a Torino, con lui segretario del Pds, nel 1993 anticipò di due anni la nascita dell'Ulivo eleggendo Valentino Castellani a Palazzo Civico. Con quella scelta, che non fu indolore per il partito, si unirono le forze di diverse culture riformiste nella migliore tradizione di una città complessa, quella di Gramsci ma anche del beato Cafasso, di Gobetti e di Frassati, di Angelo Tasca, Vittorio Foa e Norberto Bobbio. Scelte come questa, così come i risultati raggiunti nel governo della città, sono un patrimonio di tutto il Pd, compresi quelli che oggi polemizzano, e attaccare il sindaco sulla spinta di qualche piccolo scontro sulle nomine appare francamente incomprensibile».

C'è il rischio che il giocattolo si rompa, che il «modello Torino» si incrini? «Mi auguro di no. Ma non dobbiamo dare nulla per scontato. Oggi giriamo per la città, la troviamo bellissima, siamo contenti di sapere che ha un Politecnico all'avanguardia o una vivacissima vita culturale. Ci pare ovvio, ma non lo è. Dal 1980 a oggi Torino ha dovuto cambiare pelle, superando crisi durissime e continuando a trasformarsi, e deve continuare».

Nel 1980 c'era anche lei alla guida del Pci torinese...
«Sì, e fu l'anno dello choc, della grande crisi alla Fiat che fino a quel momento aveva garantito gli equilibri della città. Solo allora si capì che la fabbrica poteva anche tornare indietro, licenziare, rimpicciolirsi. E che occorreva un patto tra produttori, tra lavoratori e impresa, ma anche che Torino non poteva continuare a reggersi su un'unica vocazione. La città ha cominciato allora a ripensarsi, a percorrere strade nuove. L'indotto auto si è messo a lavorare per giapponesi, tedeschi, americani, ma non bastava ancora. Ci si è dovuti inventare altro, dal Salone del Libro a quello del Gusto, dal nuovo Egizio al Museo del Cinema e, su tutto, la grande metafora delle Olimpiadi. Intanto, la Fiat di Marchionne ha ottenuto risultati importanti e non effimeri, e i presupposti perché possa continuare appaiono molto migliori di dieci anni fa. Sullo sfondo c'è il 2011: gli anniversari dell'Unità d'Italia, dal 1911 al 1961, sono già stati importanti per cambiare questa città».

Perché, allora, si parla d'altro e si litiga sul sindaco «autoritario»?
«Perché nonostante l'affermazione che occorre maggiore autonomia per chi amministra i comportamenti di molti, nei partiti, non sono ancora cambiati. Se ci fosse un dibattito o anche uno scontro sul futuro della città lo capirei, ma se la ruggine nasce da qualche nomina bancaria dico che non è materia d'intervento di un partito. Se poi ci si vuole posizionare in vista dei prossimi tre anni di elezioni, ricordo che non si può piegare la politica di un partito solo alle proprie ambizioni. Al 2011 manca ancora tanto tempo, e per scegliere il candidato faremo le primarie come abbiamo deciso nelle regole del Pd».

Se nel frattempo le correnti non avranno strangolato il partito...
«Non credo, non dobbiamo avere paura dei gruppi che si organizzano, a condizione che ciò avvenga su posizioni politiche vere. Quanto alla salute del Pd, si tratta di un bambino che da poco si è deciso di far nascere. Tra un po' camminerà da solo e a mano a mano si formerà una personalità autonoma».

Vera Schiavazzi
20 agosto 2008

da corriere.i

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Festa nazionale del Partito Democratico

Bettini: «Nel Pd non ci sono fazioni»

«Nella nuova fase conteranno gli iscritti»

Poi il coordinatore nazionale difende Veltroni dalle critiche:«Berlusconi confonde legalità con giustizialismo»

 
 
FIRENZE - Goffredo Bettini, coordinatore nazionale del Pd, non condivide quanto dichiarato da Enrico Letta sui rischi di divisioni all'interno del partito. «Non ci sono fazioni, ci sono molti leader, ci sono molti rivoli che hanno costruito e stanno costruendo il Pd. Io confido che adesso si apra una nuova fase in cui conteranno gli iscritti e ci sarà una democrazia degli iscritti che disciplinerà molte cose», ha detto Bettini, a margine dell'apertura della festa nazionale del Partito Democratico, alla Fortezza da Basso di Firenze.

IL CONGRESSO - «Io non vedo nulla di drammatico nel congresso - ha sottolineato Bettini -. Noi ne abbiamo previsto uno nell'ottobre del 2009 come data massima. Se ci dovessero essere delle divergenze marcate sulla linea politica prima delle europee il congresso sarebbe necessario». «Altrimenti noi abbiamo l'assemblea programmatica - ha aggiunto - che potrebbe essere una grandissima occasione per mettere a punto in modo democratico e con gli iscritti la linea politica, l'assetto del nostro gruppo dirigente per dare ancora più forza al nostro partito e alla nostra iniziativa».

«GLI ALTRI SONO PARTITI FINTI» - «Noi siamo un partito vivo, vero e pluralista, radicato, che si sta strutturando - ha detto Bettini -. Ci sono polemiche, ci sono differenze di opinione, l'importante è poi lottare e avere un'iniziativa comune. Gli altri sono partiti finti. In Piemonte, la destra risolve preventivamente i problemi firmando dal notaio il contratto sulla divisione del potere, 70% a Fi, 30% ad An».

«LA LUNA DI MIELE DEL GOVERNO E' FINITA» - Poi l'affondo contro il governo Berlusconi. «Tante promesse sono svanite. Stiamo vedendo che la luna di miele di questo nuovo governo è già finita, le promesse sono state ancora una volta promesse mancate, le tasse non verranno ridotte, l'inflazione galoppa molto al di là di quella programmata dal Governo». Bettini ha poi sottolineato che ancora una volta a soffrire sono «i pensionati, coloro che vivono del salario, dei redditi fissi, ancora una volta si vuol far soffrire di più la parte più sofferente della società». L'Italia «non è un Paese in cui possiamo accettare così senza combattere la stasi e la depressione».

«BERLUSCONI CONFONDE LEGALITA' CON GIUSTIZIALISMO» - C'è spazio anche per commentare le dichiarazioni del premier sulla giustizia. «Ritengo che ci sia una certa confusione quando Berlusconi dice che Veltroni è giustizialista», perché il premier in realtà «confonde legalità con giustizialismo», dice Bettini. «Noi siamo per la legalità e lo abbiamo dimostrato. Lo riconosce Battista in un bellissimo editoriale sul Corriere della Sera», ha aggiunto Bettini, che poi ha sottolineato come «noi abbiamo un'attenzione enorme anzi, abbiamo come priorità i diritti e la libertà della persona ma pensiamo che sia molto importante la legalità. Prima di parlare delle questioni che riguardano la giustizia - ha concluso - è importante risolvere i problemi della gente dal punto di vista economico e sociale».


23 agosto 2008

da corriere.it

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