PARTITO DEMOCRATICO (dopo il voto).
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POLITICA
IL VOTO DEGLI ITALIANI.
Walter Veltroni, segretario del Partito Democratico
"Non ho alcuna difficoltà a parlare di sconfitta, ma la mia missione era difficilissima"
"Dal Pd opposizione senza sconti non daremo tregua a Berlusconi"
"Abbiamo perso per l'eredità negativa del governo Prodi"
di MASSIMO GIANNINI
ROMA - Segretario, in questo amaro day-after elettorale c'è una parola chiave che lei non ha ancora pronunciato.
"Qual è?"
È la parola "sconfitta".
"Io non ho alcuna difficoltà a parlare di sconfitta. Ma attenzione. La sconfitta c'è stata nella sfida per il governo: ero il primo a sapere che questa era una missione difficilissima, che non era certo facile vincere in soli quattro mesi invertendo una tendenza negativa consolidata in due anni. Ma se guardiamo alla costruzione di una grande forza riformista, allora non si può proprio parlare di sconfitta: è stato un miracolo, perché oggi quella forza ha recuperato più di 10 punti, esiste ed è finalmente una realtà del Paese".
Ma è una "realtà" che Berlusconi ha oscurato, nonostante l'ottima campagna elettorale che ha fatto lei. Si ricorda la lezione di Nenni sulle "piazze piene e le urne vuote"?
"Piazze piene ne ho avute, eccome. Ma ho avuto piene anche le urne: ora il Pd ha una forza impensabile fino a sei mesi fa...".
Ma il Pdl ha ottenuto alla Camera oltre 17 milioni di voti, circa 3,5 milioni in più del Pd e dell'Idv.
"Dal voto è confermata la forza della destra, con un radicamento in molti strati dell'opinione pubblica. Ma mi faccia dire che è emerso anche il Pd, che ha ottenuto oltre 12 milioni di voti, il livello più alto dal '96, e una percentuale che per un partito del centrosinistra è la più alta nella storia repubblicana".
D'accordo. Ma non si può accontentare di aver ottenuto 160 mila voti in più. Il Nord si conferma off limits, e anche al Sud voi guadagnate solo 1 punto, e il Pdl ne guadagna 15. Come mai?
"Il Pd è andato molto bene nelle zone urbane e nei capoluoghi di provincia. A Torino siamo cresciuti del 6,6%, a Milano del 9,1%, a Venezia del 6,9, a Genova del 6,3%, a Bologna del 6,8%, nelle aree del Nord-Est siamo il primo partito. Anche al Sud a Napoli il Pd è cresciuto del 5,4%, a Palermo del 7%. Al contrario, abbiamo sofferto nelle aree più diffuse e periferiche, e qui pesano fattori sociali e politici".
Dica la verità: non hanno pesato anche le candidature imposte da Roma? Non è stata un'illusione pensare che con Calearo si risolveva la Questione Settentrionale?
"No, sulle candidature non abbiamo proprio nulla da rimproverarci. Finalmente competenze ed esperienze sociali, e abbiamo raddoppiato il numero delle donne e dei giovani".
Allora perché, da questo voto, il centrosinistra esce di nuovo minoranza in Italia?
"Abbiamo perso per due ragioni di fondo. La prima ragione riguarda il Paese. La società italiana è fortemente attraversata da un sentimento di insicurezza, per esempio rispetto al fenomeno dell'immigrazione, e di paura per un possibile peggioramento delle condizioni di vita. Il voto riflette questo bisogno di protezione, che non a caso ha premiato soprattutto la Lega. Noi, in quattro mesi di campagna elettorale, abbiamo capovolto i ruoli, presentandoci come una grande forza di modernizzazione. Ma nel Paese, evidentemente, ha prevalso un istinto di difesa e di conservazione, di cui la destra si è fatta interprete. Dobbiamo aprire una grande riflessione sui mutamenti della società italiana, chiamando a raccolta le energie e le competenze migliori. È uno dei nostri primi impegni".
Vuol dire che non avete sbagliato voi, ma hanno sbagliato gli elettori?
"Non ho detto questo. Ma certo non posso nascondere una certa inquietudine per il fatto che un candidato premier che attacca il Capo dello Stato, sostiene che i magistrati devono fare un test di sanità mentale, dice che Mangano è un eroe, definisce grulli tutti quelli che non votano per lui, ottiene un consenso così vasto. Ci sono alcuni punti fermi, senza i quali una democrazia non è più tale. E allora mi chiedo: dov'erano i liberali, quando Berlusconi diceva che Mangano è un eroe? Dov'erano tutti i pensatori illuminati, che continuano giustamente ad occuparsi del '56, quando Berlusconi strappava il programma del Pd?".
Toccava a voi convincerli. Come toccava a voi convincere i moderati, senza rinnegare i valori della laicità.
"Su questo, con tutto il rispetto, vorrei dire una parola anche sulla Chiesa: mi sta benissimo che si intervenga con passione su temi come il testamento biologico, ma forse la battaglia su certi valori fondanti della democrazia andrebbe fatta con la stessa intensità con la quale si combatte quella per i temi etici. Noi, ora, quella battaglia vogliamo farla fino in fondo, anche a costo di ritrovarci al nostro fianco solo un terzo del Paese".
Mi permetta di dirglielo: lei così non ripete l'errore del vecchio Pci berlingueriano, rinchiuso nel mito della diversità come valore in sé? Invece che la critica sul voto, non è più utile l'autocritica?
"No, guardi, semmai noi ormai abbiamo il vizio opposto, che è quello di dare sempre e prima di tutto la colpa a noi stessi. Dovremmo, solo su questo, prendere esempio da Berlusconi, che ha già perso due volte, senza mai fare lo straccio di un'autocritica, ed è sempre andato avanti per la sua strada".
Mi spieghi la seconda ragione per la quale avete perso.
"La seconda ragione riguarda noi stessi. Il nuovo centrosinistra, che noi abbiamo rilanciato con un atto fondativo senza ritorno, la creazione di un grande partito riformista che ha rotto con le vecchie alleanze e si è presentato da solo agli elettori, ha dovuto combattere con l'immagine negativa del vecchio centrosinistra. Negli strati profondi della popolazione i lasciti della vecchia maggioranza hanno finito per essere solo due: troppe tasse, troppi veti incrociati. Questo pregiudizio, alimentato ad arte dalla tv e appesantito dal disastro dei rifiuti e dalla crisi dell'Alitalia, ci ha impedito di coronare con successo la rimonta. In campagna elettorale abbiamo fatto scelte dirompenti, e pronunciato parole di innovazione mai ascoltate prima a sinistra: sul fisco, sulla sicurezza, sulla certezza della pena, sulla fine della cultura dei veti. Ma in soli quattro mesi, evidentemente, i nostri messaggi non hanno prodotto un accumulo sufficiente presso l'elettorato. Avremmo avuto bisogno di più tempo...".
Lei sta dicendo quindi che avete perso per colpa dell'eredità del governo Prodi?
"Io su Prodi continuo a distinguere. C'è un Prodi uomo di Stato, uno dei più grandi che la storia repubblicana abbia conosciuto. E c'è la vecchia maggioranza, che in questi due anni ha scontato, suo malgrado, una caduta oggettiva di consensi, dall'indulto alla prima Legge Finanziaria.
Prodi, e noi con lui, abbiamo pagato una conflittualità permanente dentro una coalizione paralizzata dalla cultura dei no. Ecco perché i partiti della ex Unione hanno ottenuto risultati pessimi. Ma guarda caso, tutti tranne uno: il Pd. È questo, oggi, che mi fa dire che la nostra scelta di discontinuità è stata giusta, e che il nostro coraggio è stato premiato. Se domenica scorsa ci fossimo ripresentati agli elettori con l'assetto del 2006, oggi saremmo stati travolti da uno tsunami dal quale il centrosinistra non si sarebbe mai più ripreso".
Giusto. Ma uno tsunami c'è stato lo stesso. La Sinistra Arcobaleno non esiste più. Colpa vostra, dicono da quelle parti.
"La tragedia elettorale che ha portato la Sinistra Arcobaleno fuori dal Parlamento non è una buona cosa per la nostra democrazia. Ma loro scontano due errori, e fingere di non vederli mi sembra quasi altrettanto grave che addossare al Pd le colpe per la loro scomparsa. Il primo errore è stato quello di aver bombardato fin dal primo giorno il governo Prodi: la prova sta già in quegli oltre 100 tra ministri e sottosegretari con i quali è nato quell'esecutivo. Il secondo errore è riassunto nelle parole di Bertinotti al suo giornale, quando il 4 dicembre 2007 dichiarò testualmente "è fallito il progetto del governo" e definì Prodi, con le parole di Flaiano su Cardarelli, "il più grande poeta morente"...".
Solo questo? La Sinistra Arcobaleno non ha pagato anche la campagna sul voto utile, la cannibalizzazione del Pd?
"Ma quale cannibalizzazione? La Sinistra Arcobaleno non ha capito la società moderna. Vuole una prova? Quando lanciai la mia campagna sulla sicurezza, e dissi che non è né di destra né di sinistra, l'estremismo di "Liberazione" li portò ad accusarmi di fascismo. Ecco cosa hanno pagato. Il non aver capito che soprattutto negli strati più popolari c'era un bisogno crescente di protezione. Il non aver capito che occorrevano decisioni forti sul Welfare, sui rifiuti, sulla Tav, e che la cultura del no ci avrebbe portati alla rovina".
E adesso che succede? Riaprirete il dialogo con la sinistra ormai extraparlamentare?
"Al dialogo siamo sempre pronti. Le dirò di più: in Parlamento, come forza riformista, cercheremo di rappresentare anche le culture presenti alla nostra sinistra. Ma indietro non si torna. Discuteremo con loro, ma non saremo mai loro".
Che mi dice di Casini? Ieri vi siete visti: farete l'opposizione a Berlusconi insieme?
"La rottura dell'Udc con Berlusconi è stata tardiva, purtroppo. Se dopo la caduta di Prodi avessero detto sì a un governo Marini per le riforme, oggi la storia sarebbe diversa. Anche loro portano una grande responsabilità, per quello che è accaduto. Nonostante questo, il dialogo con Casini sarà molto serrato. Dovrà essere un nostro sforzo nei prossimi mesi, a partire dalla condivisione dell'opposizione".
Ancora una volta vi aspetta la lunga traversata nel deserto. Siete preparati?
"Faremo un'opposizione molto forte. Berlusconi non si illuda: non gli faremo sconti, e il nostro fair play in campagna elettorale non ci impedirà di alzare la voce, ogni volta che vedremo violati o messi a rischio i valori costituzionali che ho indicato nella lettera-appello lanciata prima del voto. Faremo un'opposizione riformista, dura ma non ideologica. Vigileremo sul rispetto delle regole. Incalzeremo il futuro premier sulla montagna di promesse che ha seminato in campagna elettorale, dall'abolizione dell'Ici a quella dell'Irap. E stavolta non finirà come ai tempi del contratto con gli italiani, che il Cavaliere ha disatteso all'85%. Il governo-ombra servirà anche a questo. Non so quanto durerà Berlusconi, ma so che la crisi economica morderà in modo drammatico, e vedo già che le prime crepe stanno uscendo fuori. Faremo in modo di far esplodere le contraddizioni, che ci saranno, su questo non ho dubbi. La Lega avanza già pretese esorbitanti. Questo creerà grandi tensioni, anche a Nord".
Insomma, il Veltrusconi è morto e sepolto?
"Non è mai esistito. Faremo una battaglia senza quartiere, sui valori e sulle politiche, La nostra idea di società resta radicalmente diversa dalla loro".
In questo clima che fine fanno le riforme? Per ora il Cavaliere sembra disponibile al dialogo...
"Finora non l'ho visto né sentito. Se il futuro premier ritiene utile e opportuno parlare con il leader dell'opposizione, la linea del mio telefono è sempre libera. Ma se invece fa eleggere Schifani presidente del Senato, Fini presidente della Camera e Tajani commissario Ue, allora comincerà un altro film. L'Italia ha bisogno di ritrovare equilibrio istituzionale e serenità".
La sfida di Rutelli a Roma può essere la prima occasione di rivincita, secondo lei?
"Roma è cambiata enormemente in questi 15 anni. E' una città che cresce in economia e occupazione molto più del resto del Paese. È una città che ha in corso una trasformazione paragonabile a quella delle altre metropoli europee. È un bene che questa ispirazione continui. Ed è un bene che ci sia un sindaco, come era capitato a me, di un colore politico diverso da quello del premier, perché questo è utile alla dialettica democratica del Paese".
(18 aprile 2008)
da repubblica.it
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Caro Walter continua a lottare
Giovanni Bollea
Caro Walter,
oggi dopo la sconfitta, io sono tranquillo, se penso che il Partito Democratico chiude un secolo di storia molto discutibile.
Un secolo pieno di difficoltà, che iniziava con la caduta della destra - sconfitta nel 1905/1910 con Giolitti, mai più ricostruita come forza vera moralmente accettabile, chiusa più che mai nel suo impegno neo-industriale e priva ormai del vero spirito morale di una destra-guida - per continuare con la lotta di Aldo Moro e della sua corrente, nella difficile marcia tra Vaticano e sinistra social-comunista.
Io ho vissuto tutto il dramma, ma ad latere, chiuso in forma ossessiva nella mia Neuropsichiatria infantile, che dal 1945 non ho mai abbandonato. Ma, sul piano politico, potevo liberamente pensare, attendere, soffrire, e sperare.
Il tuo partito per me risolve dunque un’epoca e raggiungerà quella sintesi in cui speravo, ma che mi sembrava troppo coraggiosa in un’Italia che trattiene ancora in sé due anime positive controverse e una destra vera.
Ecco perché ha vinto una destra che non è una destra! E ha perso una sinistra che non è una sinistra armonica; intelligente sì, ma a cui i propri ideali non sono del tutto chiari.
Conclusione: il Pd per la nazione Italia, che ha in sé due grandi verità in contrapposizione politica più che ideale, doveva ancora progredire. Il Pd è il vero partito che vince e porta alla vittoria quella ricchezza contraddittoria italiana, rispetto agli altri Paesi, stretta tra Vaticano e mondo del lavoro. Vaticano e spirito di attività e di volontà di dare, che è proprio del mondo impiegatizio-operaio. Ma che la destra italiana non ha mai saputo capire nel suo lato positivo.
Bisogna riflettere molto su questo punto, su ciò che è stato il dramma stesso della mia vita, che ho saputo sublimare solo nel dare al mondo scientifico della Neuropsichiatria infantile.
Dai miei 95 anni vedo una prossima vittoria tua e del tuo partito, se sarà capace di comprendere meglio il dramma positivo e negativo del secolo passato.
La morale, per me, è nelle parole di mio padre che, portandomi a vedere a 8 anni la casa del Lavoro di Torino, che i fascisti avevano bruciato, mi chiedeva di non dimenticare. Da quel tragico fuoco è nata tutta la mia lotta psicologica e politica.
Tu, invece, che sei così giovane, lotta e non rinunciare. Sei riuscito a ridurre l’enorme frammentazione a 2-3 partiti. Hai fatto un lavoro straordinario e stupendo.
Ricordo ancora il tuo discorso nei giorni in cui eri diventato Sindaco di Roma: «...Ma io rimarrò in questo settore», quando ti risposi: «Sei troppo giovane per decidere della tua vita». La frase che forse ti sembrò molto sibillina voleva dire: vai avanti e credi in quello che fai cocciutamente, ogni volta che decidi qualcosa.
Sono sicuro che le tue idee, come supporto al tuo coraggio di costruire e prendere la guida del Partito Democratico, saranno la tua grande vittoria: un irrinunciabile plus valore per il nostro Paese.
Un giorno, scherzando, ho detto a Fassino che volevo essere il numero 12 del Partito, perché lasciavo il posto agli altri undici molto più importanti di me! Ed ora, a parte le battute, mantengo in forma ideale questo mio desiderio. E avendo avuto la grande fortuna di captare le verità essenziali dei tuoi discorsi, ti dico: continua.
Il Pd, come inizio di un’armonica costruzione fra le necessità e gli ideali italiani in una visione europea, deve continuare perché l’Italia è la nazione più ricca di contrasti, ma è depositaria di un vastissimo bacino di insospettabili, costruttive qualità caratteriali e culturali.
La sconfitta deve quindi insegnare a capire molto di più di quanto è giusto, per discutere, costruire e proporre il giusto all’Italia che tutt’ora si interroga.
Buon lavoro.
Pubblicato il: 18.04.08
Modificato il: 18.04.08 alle ore 14.43
© l'Unità.
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Il partito democratico dopo il voto
Pd del Nord, «modello Cofferati»
No di Veltroni a due partiti autonomi. Cacciari: «Sergio capo? Una barzelletta»
ROMA — Un Pd del Nord, quasi una Lega «democrat» che copra l'area della Padania e aiuti Veltroni a risalire la china. È la nuova frontiera del Loft, la questione che appassiona e divide le varie anime del partito dopo la sconfitta. Una discussione bifronte, con un lato «cofferatiano » che non dispiace al segretario e un altro che invece lo allarma. Il progetto di Sergio Cofferati è una «macroarea» che unisca Emilia Romagna, Triveneto, Lombardia, Piemonte e Liguria. Non un partito federato col Pd, ma un Pd federale. E qui sta la differenza con l'altra proposta, l'«atto di coraggio» chiesto a Veltroni da Ezio Mauro su Repubblica: «Andare da un notaio e firmare l'atto di nascita del Pd del Nord, federato al partito nazionale, con il sindaco di una grande città come segretario».
Nel Pd se ne parla, ma Veltroni non è in sintonia con l'idea di due partiti autonomi, da cui conseguirebbe una doppia leadership e il relativo dimezzamento della sua segreteria. Piuttosto, è la linea del Loft, urge lavorare al radicamento sul territorio e per cominciare lunedì Veltroni riunirà a Milano i segretari regionali. Il modello che Enrico Morando indica è quello del Carroccio: «Le camicie verdi sanno offrire soluzioni ai problemi sollevati dai loro elettori ».
Massimo Cacciari rivendica la paternità dell'idea, «sono 15 anni che predico il Partito del Nord...», ma a sentire il sindaco di Venezia il problema è del Lombardo-Veneto quindi l'Emilia Romagna non c'entra niente. E Cofferati leader? «Una barzelletta ». La battuta non proprio affettuosa di Cacciari rivela le tensioni innescate nel Pd dalla questione nordista. Sul Riformista il professore dalemiano Roberto Gualtieri ammonisce il segretario. Lo invita a cimentarsi con una «seria analisi» del voto e sottolinea «la fragilità del risultato del Pd».
Dalla Puglia il sindaco Michele Emiliano respinge come «eresia» un Pd del Nord mentre Pierluigi Bersani, che a detta di alcuni avrebbe le carte in regola per guidarlo, vede con favore un partito «federale, popolare e presente nel territorio».
Veltroni intanto lavora agli organigrammi, incontra Arturo Parisi e Rosy Bindi e medita di ridisegnare l'esecutivo: fuori qualche giovane leva e dentro i big nazionali. A Viterbo un siparietto tra Beppe Fioroni e Massimo D'Alema fa luce sullo scontro in atto per i ruoli chiave. La presidenza del Pd? «Se Marini si candida io lo voto», butta lì il vicepremier uscente. E Fioroni, che forse fiuta la trappola: «Non sono io che lo propongo, basta chiederglielo».
Monica Guerzoni
19 aprile 2008
da corriere.it
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Veltroni: Pd è nazionale. No al modello leghista
Il Pd deve radicarsi sul territorio senza perdere la sua vocazione nazionale e ripartire dal Nord per rilanciare una proposta politica nuova, ma senza cedere alle lusinghe delle "sirene" autonomiste. Sono queste le posizioni con cui dovrà fare i conti Walter Veltroni, nell'incontro che avrà a Milano con tutti i segretari regionali per fare un primo bilancio del voto e decidere le strategie per proseguire con la costruzione del partito.
Nessun Pd "in salsa leghista", insomma, anche se gli amministratori del Nord continuano a chiedere maggiore attenzione e più autonomia nei loro territori. Sono queste le posizioni con cui dovrà fare i conti Veltroni. A Milano, la "capitale" del Nord, (scelta «simbolica», come spiega Ermete Realacci) la questione settentrionale sarà uno dei temi caldi sia per l'analisi dei risultati elettorali, sia per le prospettive future del partito. In attesa dei tre seminari al Nord, al Centro e al Sud, che sta mettendo a punto Goffredo Bettini, per approfondire i risultati regione per regione, i "nordisti" del Pd intanto insistono sul fatto che proprio da lì si debba ripartire.
La proposta di Sergio Cofferati di un partito federale, basato sulle macroregioni, pur bocciata dallo stato maggiore del Pd, continua a far riflettere. Sono scesi in campo i piemontesi, l'ex segretario dei Ds Piero Fassino e il sindaco di Torino Sergio Chiamaparino. Entrambi a sottolineare la necessità che il cambiamento passi prima di tutto attraverso il «rinnovo della classe dirigente» che, dice Fassino, deve essere «capace di rappresentare davvero» quell'area del Paese e allo stesso tempo «deve pesare in modo forte anche sul piano nazionale». Fassino però chiarisce che al Nord il Pd ha tenuto, e che si deve fare attenzione a non darne un'immagine «di terra straniera dove il Pd è estraneo».
Nessuno tuttavia (compreso Cofferati), sembra volersi autocandidare alla guida di un'eventuale struttura del partito per il Settentrione. Disponibili a offrire il proprio contributo, «se sarà necessario» è la formula. Il partito del Nord, comunque, non piace a chi, come Pierluigi Bersani, era stato indicato come il suo leader naturale: «Quando un partito è del territorio, è del Nord al Nord, del Centro al Centro e del Sud al Sud - spiega il ministro uscente dello Sviluppo Economico - non c'è bisogno di inventarsi tante altre cose». Anche perché, avverte Marco Follini, a parlare di Pd del Nord si rischia la «sudditanza culturale verso il leghismo imperante».
Decentrare, insomma, può essere utile, ma a patto che non si cada nella «lottizzazione geografica del partito». Meglio allora, come suggerisce Massimo Calearo, eletto nel Pd proprio come rappresentante di quella parte del Paese, «ascoltare di più i problemi della gente», perché, spiega, «dove lo abbiamo fatto il Pd è cresciuto».
Pubblicato il: 21.04.08
Modificato il: 21.04.08 alle ore 10.38
© l'Unità.
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Veltroni: « Il Pd avrà un doppio coordinamento, sia al Nord che al Sud»
Il Partito democratico ha deciso di organizzare un coordinamento del Nord e uno del Sud tra i segretari regionali, i sindaci delle città principali e i presidenti delle Regioni e delle Province. È stato Walter Veltroni ad annunciarlo dopo la riunione tenutasi a Milano di tutti i segretari regionali del Pd.
«Ci sarà un coordinamento - ha spiegato il segretario - che promuova le iniziative politiche al Nord su temi programmatici». Proprio al Nord, soprattutto nelle metropoli, Veltroni ha parlato di un risultato elettorale positivo da cui partire.
«C' è bisogno di strutturarsi meglio, ma non è una questione organizzativa - ha sottolineato - non spezzetteremo il partito». Ci sarà dunque un coordinamento che inizierà a lavorare già nelle prossime settimane.
Veltroni ha precisato che un analogo coordinamento dovrà realizzarsi anche per il Sud.
«Più che ad una soluzione di tipo organizzativo che riproducesse un apparato, un ulteriore elemento di pesantezza - ha aggiunto Goffredo Bettini - come partito federalista abbiamo ritenuto più utile mettere in rapporto tra di loro le realtà regionali di volta in volta.
Veltroni apre ai centristi: «Partiamo da una grande forza che se farà opposizione in maniera intelligente, se costruirà i rapporti con altre forze, e penso all'Udc, ci sarà la possibilità di far ripartire la sfida riformista».
Quanto al tema il segretario Pd lancia un affondo al primo cittadino di Milano, dopo che Letizia Moratti aveva espresso critiche su questo terreno. «Mi ha colpito la mancanza di stile del sindaco Moratti. Sulla sicurezza abbiamo fatto grandi passi avanti. Il partito della Moratti - ha ricordato Veltroni - ha votato a favore dell'indulto e ha dato l'autorizzazione a centinaia di persone di entrare nel nostro Paese senza alcun controllo». Le polemiche innescate da due recenti episodi di violenza sessuale fanno dire a Veltroni: «non capisco perchè se un caso di violenza sessuale avviene a Roma è colpa dell'amministrazione locale mentre se avviene in qualsiasi altra città è colpa del Governo».
Secondo il leader del centrosinistra molte responsabilità vanno individuate nella legge Bossi-Fini. E il vero problema, considera, è quello di «riuscire a garantire l'accoglienza e la legalità». Veltroni si dice colpito da questo uso politico di «bruttì fatti di cronaca, nei quali alla fine nessuno più parla delle donne violentate. Si sta attenuando l'attenzione».
da ilsole24ore.com
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