PARTITO DEMOCRATICO (dopo il voto).

<< < (2/8) > >>

Admin:
6/5/2008
 
Il Pd e il Sud che cambia casacca
 
FRANCESCO RAMELLA

 
Non ha tutti i torti Veltroni quando ricorda che per il Pd esiste anche una questione meridionale oltre a quella settentrionale. Bastano pochi dati per rendersene conto. Nel 2006 alla Camera l’Unione aveva ottenuto la maggioranza relativa dei voti in 22 province del Sud su 41. Nelle elezioni di due settimane fa, invece, la mini-coalizione guidata da Veltroni ha prevalso solo in 9. In tutte le altre si è affermata quella guidata da Berlusconi. La forbice tra i due schieramenti si è notevolmente ampliata. Nelle province già in mano al centro-destra il vantaggio è salito, in media, a 18 punti percentuali (era di 8). In quelle che sono «passate di mano» lo scarto si aggira intorno all’8%. Parte di queste variazioni sono da attribuire alle scelte di coalizione compiute da Veltroni. Parte ad un risultato tutt’altro che brillante dello stesso Pd. Mentre a livello nazionale il nuovo partito registra un leggero aumento, nel Sud ciò avviene solamente in tre regioni su otto (Basilicata, Puglia e Sardegna). La geografia del voto mostra un andamento piuttosto diversificato: in 23 province i democratici perdono consensi (i voti validi in media calano del 2,5%), nelle altre 18 li aumentano (in media dell’1,3%).

Una lettura in chiave socio-territoriale aiuta a capire qualcosa di più. Nel Mezzogiorno il Pd ottiene performance migliori nelle province più prospere e relativamente industrializzate. Per converso, il Popolo delle libertà penetra facilmente nelle aree meno sviluppate e con elevati tassi di disoccupazione. È qui che lo scarto tra le due coalizioni si allarga. Aggiungiamo altri due elementi: 1) ben due terzi delle 13 province che sono passate al centro-destra si collocano in territori economicamente deboli; 2) il Pd registra flessioni maggiori nelle province che negli ultimi anni hanno perso posizioni nella graduatoria del reddito pro-capite.

Naturalmente sarebbe sbagliato trarre da queste indicazioni deduzioni troppo stringenti. E tuttavia i dati suggeriscono alcune congetture. La prima riguarda la persistente fluidità politica del Mezzogiorno. Dagli Anni 90 le regioni meridionali sono state le più aperte sotto il profilo della competizione elettorale, facendo registrare non pochi cambiamenti da un’elezione all’altra. Nel 1996 il centro-sinistra deteneva la maggioranza in 6 regioni su 8 (considerando i risultati all’uninominale della Camera). Nel 2001 solamente in 2. Nel 2006, con un sistema elettorale diverso, aveva riconquistato la maggioranza in ben 6 regioni. Oggi il pallottoliere ne conta nuovamente due. La reversibilità delle vittorie e delle sconfitte appare dunque uno dei tratti ricorrenti della Seconda Repubblica-vista-dal-Sud. Va anche tenuto presente che oggi, nella stragrande maggioranza delle province del Mezzogiorno (30 su 41), la consistenza dei «voti marginali» (dati ai terzi partiti) oltrepassa ampiamente lo scarto esistente tra le due coalizioni maggiori. Questa apertura competitiva segnala che in molte zone non si è ancora prodotta un’«elezione critica»: cioè un riallineamento fondamentale delle opzioni elettorali che decide per vari anni i rapporti di forza tra i partiti.

Come abbiamo visto sono soprattutto i territori più deboli ad avere cambiato «casacca politica». Evidentemente il centro-destra è risultato più abile (in un certo senso più credibile) nell’intercettare le domande di protezione e di assistenza che vengono dalle aree e dai ceti sociali in difficoltà. E tuttavia sarebbe sbagliato liquidare la questione in maniera così riduttiva. La volatilità elettorale di queste zone ci racconta una storia più complessa. Ci dice che i vari schieramenti che si sono fronteggiati negli ultimi quindici anni non sono riusciti a consolidare una maggioranza politica intorno a un credibile progetto di sviluppo per il Sud. Se è vero che la questione settentrionale ha spesso rubato la scena a quella meridionale, è anche vero che le due questioni hanno finito per confondersi una nell’altra. La ricetta che le risolverebbe entrambe è la stessa: una forte strategia nazionale di sviluppo, capace di radicamento locale e regionale. Perché è dai territori, dalla loro energia e dalla loro varietà, che l’Italia trae le sue risorse migliori.
 
da lastampa.it

Admin:
11/5/2008
 
I desideri delle due Italie
 
LUCA RICOLFI

 
Il Partito democratico è alla ricerca di un’identità. Brutto guaio, per un soggetto nuovo, perché non avere un’identità precisa fa sì che tutti si sentano autorizzati a suggerirgliene una. C’è chi lo vorrebbe più laico, e a tale deficit di laicità attribuisce la sconfitta. C’è chi lo vorrebbe più socialista, e invoca l’adesione al Partito socialista europeo. C’è chi lo vorrebbe più liberale, e teme che un partito figlio di due genitori illiberali come il Pci e la Dc sia destinato a restare per sempre un «legno storto». C’è chi lo vorrebbe più antiberlusconiano e meno populista, e registra mestamente l’inesorabile berlusconizzazione di Veltroni. C’è chi si accontenterebbe che il Pd si ricordasse, ogni tanto, di essere un partito di sinistra, o quantomeno di centro-sinistra. C’è, infine, chi sembra pensare che l’identità di un partito si definisce attraverso le sue future alleanze, e così fa infuriare l’ex ministro Di Pietro: «È come se uno si mettesse a cercare moglie prima di aver capito se è un maschio o una femmina».
Forse Di Pietro non ha tutti i torti. Il Pd può darsi l’identità che vuole, progettare le alleanze che preferisce, sognare le politiche che desidera, ma nel frattempo non sarebbe male cercare di capire quali sono i gruppi sociali che di fatto guardano al Pd, e confrontarli con i gruppi sociali che gli preferiscono il Pdl.

Questa operazione non è ovviamente in grado di suggerire una nuova identità al Pd, ma almeno permette in dire qualcosa sulla sua identità attuale.
Ebbene, se si compie questa analisi si scopre che i gruppi che preferiscono la coalizione di Veltroni (Pd + Idv) sono i pensionati, i dipendenti pubblici, i dipendenti privati con contratto a tempo indeterminato, i laureati e diplomati, gli studenti. I gruppi che preferiscono la coalizione di Berlusconi (Pdl + Lega) sono invece le casalinghe, gli autonomi, i giovani che lavorano, i precari, i disoccupati, le persone con meno anni di studio. Che cosa distingue queste due Italie?

La frattura sociale fondamentale, come aveva intuito già trent’anni fa Asor Rosa, non è tanto fra alto e basso, ma essenzialmente fra garantiti e non garantiti. Chi è dentro la società delle garanzie guarda al Pd, chi nuota nella società del rischio guarda al Pdl. Questa non è una novità assoluta, perché in parte era già così nel 2001, ma oggi la frattura fra queste due Italie si è fatta particolarmente profonda. Gli autonomi hanno sempre votato a destra, e sono ormai molti anni che i laureati guardano a sinistra. Ma solo oggi è così netta la sfiducia dei ceti deboli nella sinistra: chi ha già un salvagente di qualche tipo (reddito sicuro, famiglia che mantiene agli studi) si aggrappa al Pd, chi è esposto alle intemperie del mercato spera che la nave governativa gli lanci una cima di salvataggio. Né si può dire che il calcolo sia del tutto infondato: in questi anni la sinistra e i sindacati hanno sempre preferito usare le risorse pubbliche per aumentare le garanzie dei già garantiti (contratto degli statali, controriforma delle pensioni), mentre hanno condotto una vera e propria guerra ai danni dei non garantiti (più adempimenti, più tasse, mancato completamento della legge Biagi). Per non parlare del tema della sicurezza, dove la sinistra incredibilmente non ha capito che i veri deboli sono i cittadini comuni e non i delinquenti, e che il buonismo non è apertura al diverso ma indulgenza verso il prepotente.

È per questo che tanti italiani hanno votato a destra. È per questo che il pensiero di Tremonti spopola. Ed è per questo che la cultura liberale - da sempre minoritaria nel Paese - annaspa nel velleitarismo e nell’impotenza. La realtà è che sia il popolo di sinistra sia quello di destra alla politica chiedono innanzitutto più protezione. Con un’importante differenza, però: la sinistra, per ora, attira soprattutto chi vuole mantenere (o accrescere) le tutele che già possiede, la destra attira chi - per i motivi più diversi - si sente troppo esposto al rischio. Di qui il doppio paradosso che è sotto gli occhi di tutti: la sinistra appare più conservatrice della destra, i ceti deboli guardano più a destra che a sinistra.

Se riflettiamo su questo paradosso, forse riusciamo a intravedere meglio i dilemmi che Pd e Pdl dovranno affrontare nei prossimi anni. Entrambi dovranno decidere se contrastare o assecondare le domande che provengono dalle loro basi sociali attuali. Per il Pd il problema è che più accentuerà il suo profilo riformista più entrerà in collisione con il conservatorismo dei suoi elettori, mentre più cercherà di assecondare questi ultimi più finirà per somigliare alla vecchia Unione. Per il Pdl il problema è che il vecchio tran-tran del 2001-2006, fatto di poche riforme e modesti risultati, non potrà bastare a un elettorato che esige meno criminalità, più libertà economica, più ammortizzatori sociali. Insomma, il popolo di sinistra è troppo conservatore per il riformismo radicale di Veltroni, il popolo di destra è troppo radicale per il riformismo prudente di Berlusconi. Di qui il doppio dilemma dei due leader: il guaio di Veltroni è che deve voltare le spalle ai suoi elettori se vuole continuare a sognare, quello di Berlusconi è che deve ricominciare a sognare se non vuole deludere i propri sostenitori.

da lastampa.it

Admin:
POLITICA

Prima riunione milanese per il governo ombra e incontro con Formigoni

Il leader del Pd: "Il taglio dell'Ici non basta, c'è anche chi la casa non la possiede"

Povertà, Veltroni attacca il governo

"Questione che non viene toccata"

Tra le critiche dell'opposizione anche la vicenda Rete 4 e il reato di "clandestinità"

 

MILANO - Il dialogo sulle riforme "non è in pericolo", ma di certo la luna di miele tra Walter Veltroni e il governo sembra essere agli sgoccioli. Il leader del Pd ha snocciolato oggi l'elenco dei provvedimenti sui quali l'opposizione intende dare battaglia. "C'è una grande questione che non è stata messa all'ordine del giorno ed è la lotta al rischio di impoverimento di una grande parte della società italiana", ha osservato Veltroni aprendo la conferenza stampa al termine dei lavori del governo ombra tenuta a Milano.

Un rischio sottovalutato. "Fino ad oggi - ha detto Veltroni - sono stati fatti molti annunci dal governo ma è mancato quello che noi riteniamo prioritario: il rischio di impoverimento della società, gli interventi sui salari, sulle pensioni. Di questo non si sente ancora parlare". Veltroni, a proposito della defiscalizzazione degli straordinari ha affermato che, rispetto al tema generale del rischio impoverimento della società, "non è sufficiente".

Il taglio Ici non basta. Lo stesso provvedimento per il taglio dell'Ici, seppure apprezzabile, secondo il segretario dei Democratici non va in questa direzione. "Va bene l'intervento sull'Ici, d'altra parte il governo Prodi era già intervenuto per il 40 per cento - ha ricordato - Ora però è necessario un intervento a favore di coloro che la casa non possono acquistarla", come, per esempio, la doppia defiscalizzazione "per aprire il mercato degli affitti" e la vendita dei patrimoni comunali o statali "per la costruzione delle case popolari".

Il nodo Rete 4. In cima alle contestazioni di Veltroni c'è naturalmente anche la questione dell'emittenza e in particolare l'emendamento che permette di salvare ancora una volta Rete 4 dallo spostamento sul satellite. "Mi chiedo perché ci sia stato bisogno di introdurre surretiziamente un tema di questo genere quando, a mio parere, sull'argomento occorre aprire un dibattito parlamentare. Non si capisce tutta questa precipitazione", ha osservato il leader del Pd.

Maroni come Amato. Quanto al pacchetto sicurezza, Veltroni ha chiarito che su una parte delle norme introdotte esiste l'approvazione dell'opposizione per il semplice fatto che "gran parte degli articoli sono copiati dal decreto Amato per cui non può non esserci il nostro consenso". Fa eccezione quindi "il reato sulla clandestinità, che invece non lo trova".

Il silenzio su Alitalia. La ritrovata verve polemica ha poi spinto Veltroni ad incalzare Berlusconi anche sulla vicenda Alitalia. "Su Alitalia - ha ricordato - è sceso il silenzio e ci chiediamo a che punto è la famosa cordata italiana". "Il tempo passa - ha aggiunto - e le soluzioni non si vedono. Con Air France sappiamo come è andata e ci chiediamo, ora, a che punto è la famosa cordata italiana. Ma, mentre attendiamo il destino di Alitalia che coinvolge migliaia di lavoratori, dobbiamo pensare a Malpensa. Ne ho parlato oggi anche nell'incontro che ho avuto con Formigoni. Dobbiamo cercare dei provvedimenti che permettano di attirare in maggior quota compagnie straniere".

Il ruolo del governo ombra. Con il presidente della Regione Lombardia il segretario del Pd ha parlato però soprattutto di federalismo fiscale, chiarendo di condividere con lui l'idea di un federalismo solidale. "Ringrazio - ha detto ancora Veltroni - il presidente Formigoni per l'incontro che abbiamo avuto questa mattina. E' la dimostrazione che il governo ombra è un soggetto istituzionale come lo è in tanti altri paesi, dove è codificato il rapporto tra il governo ufficiale e quello ombra".

(23 maggio 2008)

da repubblica.it

Admin:
Pd, Veltroni: «L'Unione del 2006 non ci sarà più»


Un partito federale e radicato sul territorio, che ha come metodo le primarie per la scelta dei candidati per ogni tipo di elezione e che è disposto ad alleanze solo sulla base di un programma riformista condiviso. È l'identikit che Walter Veltroni ha tracciato al teatro Strehler di Milano del partito che è convinto che tra cinque anni tornerà a governare. «Il dialogo sulle riforme istituzionali - ha ribadito - si farà e ciò non esclude un'opposizione intransigente. Noi volevamo cambiare le regole se avessimo vinto ma le vogliamo cambiare anche adesso che siamo all'opposizione. Tra cinque anni governeremo noi e dobbiamo avere un Paese che consenta un'azione riformista».

Lo aveva detto quando decise che il Pd sarebbe andato da solo alle elezioni e Veltroni ha voluto ribadire che una coalizione come quella dell'Unione del 2006 «non ci sarà più» anche se non ha escluso alleanze future. «Penso - ha detto - sia un problema per la democrazia italiana la mancanza di rappresentanza in Parlamento della sinistra radicale, alla quale però dico che, oltre a prendersela con noi farebbe bene a fare autocritica e a ragionare su una lettura ideologica della società italiana che ha impedito di capire, per esempio, il tema della sicurezza». Basta, insomma, con alleanze che coagulano tutti contro qualcuno: «Noi pensiamo solo ad un' alleanza dove al centro c'è il programma e per questo guardiamo a tutti, compresa una parte della Sinistra Arcobaleno. Quando però alle manifestazioni sento slogan come "10-100-1000 Nassiriya", penso che siamo agli antipodi di ciò che bisogna fare».

Ha parlato chiaro agli ex alleati ma è stato altrettanto diretto con il suo partito e, soprattutto, con coloro che pensano alle correnti: «Smettiamola di prendere il gruppo sanguigno di ciascuno. Siamo un partito nuovo e la domanda non è da dove si viene ma dove si va. Basta con le riunioni degli ex che, come quelle della scuola, fanno tanta tristezza». Un partito nuovo a vocazione maggioritaria in grado di stare tra la gente per intercettare le domande, le paure e gli stati d'animo, proprio come ha fatto la Lega che in Emilia Romagna «ha preso l'8% dei voti pur non esistendo».

Interpretare le esigenze della gente come, per esempio, sul tema della sicurezza senza però perdere la propria cultura o, peggio, imitare la destra: «Le ronde padane non si fanno. Dobbiamo mantenere la nostra cultura anche se il vento spira contrario, altrimenti rischiamo il pensiero unico e come ben sapete le imitazioni sono sempre peggiori dell'originale». Passate le elezioni, l'obiettivo del Pd è di radicarsi sul territorio «magari aprendo uno sportello in ogni realtà anche piccola dove i nostri consiglieri comunali, provinciali, regionali e i nostri deputati potranno essere al servizio del cittadino». Una cosa però è certa: l'esperienza delle primarie proseguirà: «Alle prossime elezioni provinciali le candidature saranno scelte attraverso le primarie che faremo per tutti gli appuntamenti elettorali». Subito dopo le elezioni si era aperto il dibattito sul partito del Nord, sostenuto principalmente dal sindaco di Venezia, Massimo Cacciari. L'idea non è passata ma Veltroni ha assicurato che il partito sarà federale. «Lo sarà - ha spiegato - dentro un'idea federale dello Stato. Deve essere un partito che non si fa fare l'agenda politica dagli altri. Noi dobbiamo pensare alla scuola, alla cultura e alle politiche per i giovani. Ai giovani dobbiamo restituire il senso dei valori condivisi e dobbiamo farlo magari anche navigando contro corrente».

Pubblicato il: 24.05.08
Modificato il: 24.05.08 alle ore 21.07   
© l'Unità.

Admin:
Sui rifiuti: "Scontri a Napoli frutto di politica dei veti"

Veltroni: "Sinistra radicale faccia autocritica"

Il leader del Pd apre uno spiraglio al dialogo a sinistra: "Arcobaleno voglia rimettersi in una logica di governo, mai più alleanze contro qualcuno".

E annuncia: "Tutte le candidature si faranno con le primarie".

Ottimista per il futuro: "Tra 5 anni governeremo"



Milano, 24 mag. - (Adnkronos/Ign) - Riflessioni e spunti per il futuro del Pd. Walter Veltroni nel suo intervento al primo forum dei circoli lombardi del Pd, oggi a Milano, parla di una nuova fase del Partito Democratico che apre anche un piccolo spiraglio sulle alleanze a sinistra. "Un partito nuovo", sottolinea Veltroni, che deve puntare sul "radicamento sul territorio. Dobbiamo essere un partito federale dentro un'idea federale dello Stato. Dobbiamo recuperare un alfabeto ricco, farci da soli la nostra agenda e recuperare il tema dei giovani".

"Basta con le riunioni degli ex e basta con il guardare al gruppo sanguigno di ognuno", dice il leader del Pd aggiungendo che "d'ora in poi tutte le nuove candidature si sceglieranno attraverso le primarie, in modo da dare la parola ai cittadini".

L'ex sindaco non perde l'ottimismo annunciando che "tra cinque anni governeremo". Ma per questo bisogna preparare il terreno. "Stiamo cercando di europeizzare la vita politica italiana -spiega-. Il dialogo sulle riforme istituzionali si farà, ma questo non esclude un'opposizione intransigente". E precisa: "Noi volevamo cambiare le regole del gioco se avessimo vinto, ma le vogliamo cambiare anche ora che siamo all'opposizione. Siccome tra cinque anni governeremo dovremo avere un Paese che consenta un'azione riformista".

Parlando poi della alleanze, il pensiero va alla sinistra radicale e Veltroni si augura "che la Sinistra Arcobaleno voglia rimettersi in una logica di governo" sottolineando che "non si faranno più alleanze contro qualcuno, neanche a livello locale. Non basta mettersi insieme per vincere le elezioni, bisogna governare per vincere anche quelle successive". Comunque la sinistra radicale "farebbe bene - afferma- a fare autocritica sull'inadeguatezza della riflessione ideologica sulla società italiana che ha impedito di analizzare temi centrali come quello della sicurezza".

Critico poi nei confronti della vecchia maggioranza, Veltroni dice che "il governo Prodi ha fatto bene, ma la sua maggioranza ha fatto male e questo ha creato una situazione difficile". Mentre affrontando il 'capitolo Lega', secondo lui, "ha vinto perché ha saputo interpretare uno stato d'animo, una domanda a cui anche noi dobbiamo guardare ma con la necessaria autonomia".

Non mancano i temi di attualità, sicurezza, rifiuti e ponte sullo Stretto, su cui il leader del Pd si sofferma. "Quello della sicurezza è un tema da affrontare con severità, ma senza travalicare i limiti propri della democrazia", dice Veltroni che contesta il centrodestra sul pacchetto sicurezza riguardo all'immigrazione clandestina come reato. "Che reato è -si è chiesto Veltroni- un reato che prevede l'espulsione? Cosa facciamo dei 650mila immigrati italiani? Li mettiamo in carcere? L'idea che l'immigrazione sia un crimine è da combattere".

Per il leader del Pd bisogna "distinguere tra il criminale e chi viene in Italia per lavorare e che ormai rappresenta il 6% del nostro prodotto interno lordo. Dobbiamo invece mettere queste persone nelle condizioni di lavorare". Quanto alla proposta di istituire ronde cittadine contro la criminalità, Veltroni ha affermato che "le ronde non si devono fare. In nessun paese europeo esistono cose del genere".

Poi sui rifiuti sottolinea che gli scontri degli ultimi giorni in Campania "ci raccontano che sono l'effetto di una politica del veto e di un atteggiamento ideologico presenti sia nel centrodestra che nel centrosinistra. Non siamo riusciti a sbloccare opere a cui una parte continuava ad opporsi".

Ed è "sbagliato" il ponte di Messina secondo il leader del Partito democratico che rivolgendosi ai rappresentanti dei circoli li invita ad anadare "nei bar, nei ristoranti e nei mercati a chiedere ai dirigenti della Lega perché il ponte era sbagliato prima del 14 aprile, mentre ora è diventato una priorità".

da adnkronos.com

Navigazione

[0] Indice dei messaggi

[#] Pagina successiva

[*] Pagina precedente