SINISTRA DEMOCRATICA 2 (del dopo elezioni).

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Europee, Ferrero scrive a Berlusconi


Signor Presidente,
nelle settimane immediatamente successive alle elezioni del 13/14 aprile - che hanno sancito l'esclusione dalla rappresentanza parlamentare delle forze di sinistra - molti esponenti politici di entrambi gli schieramenti hanno notato come questo fatto determinasse un elemento distorsivo nel rapporto tra istituzioni e Paese.

È infatti evidente che le forze comuniste e di sinistra, pur non essendo rappresentate in Parlamento, sono parte integrante della dialettica politica e sociale del Paese. Per affrontare questa situazione alcuni esponenti politici del suo schieramento hanno segnalato la necessità di audire, su questioni di particolare rilevanza, le forze di sinistra, al fine di avere un quadro completo delle posizioni in campo.

Vista la volontà espressa dal suo governo di intervenire al fine di modificare la legislazione relativa alle elezioni europee e vista la possibilità che tali modifiche determinino contemporaneamente la riduzione dei diritti dei cittadini di scegliersi i propri rappresentanti e l'espulsione delle forze di sinistra dallo stesso Parlamento europeo, con la presente Le chiedo di avere un incontro ufficiale con i ministri competenti al fine di poter esprimere le posizioni del Partito della Rifondazione Comunista.

È infatti del tutto evidente che la modifica della legge per le elezioni europee, non avendo per altro alcuna giustificazione dal punto di vista della governabilità delle istituzioni europee, avrebbe l'unico ma gravissimo effetto di determinare un ulteriore ed inaccettabile distacco tra il Paese reale e la rappresentanza istituzionale. Tale indirizzo è con ogni evidenza del tutto estraneo allo spirito della Costituzione che, affidando al popolo la sovranità, non contempla che questa possa essere conculcata da una oligarchia composta dalle maggiori formazioni politiche.

È quindi nella consapevolezza dell'importanza della discussione in corso e della gravità di una modifica non condivisa della legge in questione che Le rinnovo la richiesta di un incontro da tenersi in tempi rapidi. Certo dell'attenzione che vorrà prestare a questa mia, le invio Cordiali saluti,
Paolo Ferrero, segretario nazionale Prc

Pubblicato il: 02.08.08
Modificato il: 02.08.08 alle ore 18.52   
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Comiso, la destra cancella Pio La Torre

Claudio Fava


Quando la mafia ammazzò Pio La Torre, l'attuale sindaco di Comiso Giuseppe Alfano aveva solo otto anni. Pochi. Un'età in cui le cose della vita hanno ancora contorni sfumati, e anche il dolore di un popolo, la violenza, la rabbia sono parole sfocate, concetti astratti. Non so se sia questo vizio di memoria a non permettere al sindaco Alfano di capire la gravità del suo gesto. Che non è solo un gesto inconsulto o uno sberleffo agli avversari sconfitti: è un gesto mafioso. Nel senso che riproduce l'intima cultura della mafia, la sua vocazione a cancellare uomini e memorie, a pretendere che si parli d'altro, che ci si preoccupi d'altro, che si guardi altrove.

Pio La Torre, a Comiso, non è il nome di un aeroporto: è la storia di un popolo, raccolta in uno dei suoi rari e felici momenti di indignazione. Pio La Torre sono i centomila siciliani che ventisei anni fa si presero le piazze e le strade di quel paese e andarono a manifestare davanti ai cancelli della base americana contro i missili cruise. Io c'ero, e ne porto memoria non come una consolazione o come un privilegio: c'ero e basta, confuso tra gli altri, convinto che quel giorno finiva qualcosa, forse il tempo di un'adolescenza che si era protratta troppo a lungo, e che dopo quella manifestazione nessuno di noi avrebbe potuto fingere di non capire. Pio La Torre lo ammazzarono ventisei giorni dopo. Anche per quella mobilitazione, per i centomila in piazza, per il milione di firme che seppe raccogliere in poche settimane, per aver mostrato ai mafiosi l'esistenza di un'altra Sicilia, d'un altro modo di stare al mondo e di battersi contro le cose oscene di quel mondo. Per questo gli hanno avevano intitolato l'aeroporto di Comiso un quarto di secolo dopo la sua morte. Tardi. Ma comunque in tempo a recuperare il filo di quella storia e di quella morte. Adesso arriva questo sindaco di trent'anni scarsi, s'appunta sul petto la sua stella da sceriffo e - come gli hanno mostrato tanti suoi colleghi sceriffi, da destra e da sinistra - si convince anche lui che la politica é far rumore, maneggiare delibere come pistole, dettare la propria legge. Solo che altrove se la prendono con i filippini o i lavavetri; in Sicilia, con i morti di mafia.

Ci aveva già provato Gianfranco Micciché, quando faceva il gran cerimoniere all'Assemblea regionale siciliana: "Liberiamoci da questa vocazione al lutto, da questi repertori di lapidi, basta parlar sempre di mafia: togliamo i nomi di Falcone e Borsellino dall'aeroporto di Palermo...". E' per il turismo, si giustificò Miccichè il giorno dopo. Geniale, davvero. Stavolta é peggio. Stavolta il sindaco di Comiso pretende di darsi ragione da solo, e lo fa con poveri argomenti, con parole di miseria: ''Come rileva un sondaggio effettuato a suo tempo, l'intitolazione a La Torre aveva riscontrato scarso gradimento fra i cittadini''. Ecco: è tutto là, in quell'espressione da mercatino televisivo, da auditel della politica: scarso gradimento. E pazienza per Pio La Torre, per le sue battaglie, per il modo in cui è crepato. Pazienza per questi morti di mafia, che ha ragione signor sindaco, troppi morti, tutti lì a prendersi in faccia il vento invece di ripiegarsi come giunchi ad aspettare che la mala giornata fosse passata. Pazienza anche per quei siciliani che per un giorno ebbero l'illusione di essere un popolo fiero e libero. Adesso é tempo che di mafia si torni a parlare a bassa voce. E che si riscriva per benino la storia restituendo all'aeroporto di Comiso il nome che la storia gli aveva dato: quello del generale Vincenzo Magliocco, morto in Africa nel 1936. Altro che mafia.

Pubblicato il: 28.08.08
Modificato il: 28.08.08 alle ore 10.34   
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«Ha ragione su LICIA Pinelli: Stato incapace di riconoscere il dolore di quella famiglia»

Giordano: «Un commissario vale quanto un comunista»

L'ex leader del Prc: Sofri sbaglia, il poliziotto fu una vittima come Guido Rossa e Bachelet

 

ROMA — «Il mio è un giudizio politico, nulla a che fare con le sentenze della magistratura. So bene che gli imputati del caso Calabresi non sono mai stati condannati per terrorismo... però dico che quell'omicidio fu un atto di terrorismo. E che valenza terroristica ebbero tutti gli omicidi di cui si macchiarono le Brigate rosse in quegli anni, per citarne solo due Vittorio Bachelet e Guido Rossa». Parola di Franco Giordano, ex segretario di Rifondazione Comunista dal 2006 al 2008. La sua critica a Adriano Sofri è chiara così come il totale appoggio a Piero Sansonetti, direttore di «Liberazione», che ha attaccato lo scritto dell'ex leader di Lotta continua apparso su «Il Foglio» l'11 settembre scorso.

Piero Sansonetti attacca Sofri: non si può «distinguere in base alla biografia delle vittime», scrive il direttore di «Liberazione».
«Mi ritrovo fedelmente nelle contestazioni di Piero. Quella distinzione di Adriano, anche se maturata in un lungo ragionamento culturale e politico, è sbagliata. Premetto, a scanso di equivoci, di non aver mai creduto alla colpevolezza di Sofri nella vicenda Calabresi. Mi sono sempre battuto per una soluzione politica e continuerò a farlo: Adriano deve poter lasciare, dopo anni, una condizione dolorosa di detenzione che ormai è stata lunghissima. Detto questo, non posso condividere la separazione che lui sembra voler compiere tra un terrorismo di natura stragista, che fa della violenza il fine per gettare nel panico un nemico indistinto, dagli atti di sangue contro i singoli che in qualche modo potrebbero — secondo lui — portare a un recupero, in via drastica, di torti subiti...».

Anche quello è terrorismo, dunque?
«Lo ripeto. Senza dubbio. Come potrei maturare un giudizio diverso? Sansonetti parla correttamente di giustizialismo. E io non sono un giustizialista. Non lo sono nella versione vendicativa con cui spesso le istituzioni statali decidono di rivalersi verso una persona che ha sbagliato: sono culturalmente contro l'ergastolo e a favore di pene alternative al carcere. Figuriamoci se posso essere giustizialista nel caso di forme violente, e magari nel nome di una "altra giustizia"».

Tornando alla distinzione di Sofri...
«Ecco, ripeto, qui Adriano veramente sbaglia. Prendendo per buono quel distinguo, come ha correttamente argomentato Piero Sansonetti, si potrebbe arrivare a sostenere che l'omicidio di un poliziotto non è un atto di terrorismo. Non sono d'accordo. Io non posso distinguere tra un militante comunista e un commissario di polizia».

Sansonetti arriva anche a un'altra conclusione. Cioè che così si azzererebbero anni di discussione politica.
«Giustissimo. Ammettere una diversa classificazione vorrebbe dire veramente annullare un dibattito maturato a sinistra e che ha permeato ormai persino chi ha praticato la lotta armata negli anni Settanta. Sansonetti paventa possibili disastri culturali e politici, e anche qui concordo con l'analisi. Su un punto, però, sono completamente d'accordo con Adriano. Trovo il passaggio su Licia Pinelli giustissimo. C'è stata incapacità, da parte dello Stato e delle istituzioni pubbliche così come della società civile, di riconoscere alla famiglia Pinelli la stessa intensità del dolore della famiglia Calabresi».

In quanto, appunto, al comportamento negli anni della famiglia Calabresi?
«Ho sempre avuto la massima considerazione per loro. Ho conosciuto Mario, il figlio giornalista, negli anni di lavoro alla Camera e ne ho sempre apprezzato la bravura e la correttezza. In quanto alla vedova e a tutti loro, trovo straordinaria la modalità in cui sono riusciti a vivere il loro dolore: indiscutibile compostezza, sempre la ricerca della giustizia e mai della vendetta. Il tutto con profonda sofferenza e non comune dignità».

Paolo Conti
14 settembre 2008

da corriere.it

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L’opposizione è nelle nostre mani

di Francesca Santoro

 
Si è svolta oggi presso l’Hotel Nazionale in Piazza Montecitorio la conferenza stampa degli organizzatori della manifestazione dell’11 ottobre. Un incontro che ha riunito esponenti della società civile, del mondo politico e di quello sindacale. Insieme ai promotori Anna Picciorini, Ciro Pesacane e Piero Di Siena erano presenti, tra gli altri, anche Fulvia Bandoli, Silvana Pisa, Giorgio Mele, Manuela Palermi (Comunisti italiani), Loredana De Petris e Paolo Cento (Verdi), Mario Sai della Cgil. I promotori sono rappresentanti di associazioni ambientaliste che operano da tempo sul territorio occupandosi di tematiche molto importanti per la comunità e che per questo hanno resistito alla sconfitta elettorale, come sostiene Anna Picciorini, “la nostra ragion d’essere non è mai venuta meno dopo quella sconfitta”.

Dopo la debacle elettorale si riparte dunque fuori dal Parlamento e dai temi sociali con una manifestazione che vuole portare in piazza insieme ai bisogni di tante persone che non si sentono rappresentate e anche la propria idea di Italia.  Piero Di Siena sottolinea che indicendo questa manifestazione “ci siamo assunti la responsabilità di chiedere a tutta la sinistra di assolvere un compito che è doveroso per il Paese”. L’11 ottobre, quindi, non può che essere un punto di partenza perché ci sia un’opposizione viva nel nostro Paese: per affermare un autonomo punto di vista rispetto ai temi sociali”; e riguardo alla manifestazione organizzata da Di Pietro, ricorda come sia fondamentale “creare una duratura trama di rapporti sociali e politici per dare una boccata d’aria all’opposizione”.

A Roma, dunque, l’11 ottobre partirà alle 14.00 da Piazza della Repubblica il corteo per protestare contro l’azione di Governo e Confindustria, come spiega il documento organizzato in sette punti che presenta gli obiettivi che promotori, organizzatori e circa duecento firmatari fra rappresentanti della cultura e della politica si propongono.  “Spetta alla sinistra contrapporre un ‘altra idea di società e un coerente programma in difesa della democrazia e delle condizioni di vita delle persone. Sette punti che riguardano la politica estera, con particolare attenzione per lo scacchiere del Caucaso, retribuzioni e pensioni falcidiate dal caro vita, precariato, la condizione della scuola pubblica, la violenza contro le donne, le vertenze territoriali (no Tav e no Dal Molin), la tutela delle fondamentali libertà democratiche e civili.

Prima di questo grande appuntamento tanti sono quelli che lo precederanno per dimostrare come questa iniziativa per creare una nuova e forte opposizione debba essere vigile e continua: il 5 ottobre in molte piazze italiane verranno allestiti dei banchetti per spiegare e promuovere il documento in sette punti, il 4 ottobre verrà organizzata una manifestazione contro il razzismo, il 17  ci sarà lo sciopero dei sindacati di base.

Claudio Fava nei giorni scorsi aveva chiesto alle forze di centrosinistra di unirsi in una sola piazza, ed ha dichiarato: “prendo atto prendo atto che il Pd non è disponibile a una manifestazione che rimetta insieme le opposizioni, né alla costruzione di un nuovo centrosinistra, né a unificare la cifra della manifestazione del 25 ottobre che sembra sempre più il Pd pride. Ne prendiamo atto, così l’11 ottobre diventa il momento in cui l’opposizione torna a parlare al Paese: ci sono tutte le premesse per cui questa manifestazione non sia quella dell’orgoglio della sinistra, che dimostra di essere ancora in saluto, ma rilanci l’opposizione, e credo che sarà l’unica piazza che parlerà in questi termini”.

Giorgio Mele, presente alla conferenza, ha ribadito che la manifestazione : “è importantissima per tutta la sinistra, ed è compito di tutti i soggetti che la compongono portare più gente possibile in piazza”, anche per dimostrare come “il Pd in realtà stia facendo un’opposizione flebile a questo Governo”.

da sinistra-democratica.it

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Intervista a l'ex ministro pubblicata su Liberazione del 24 settembre 2008

Mussi: Cara Rifondazione è ora di fare un altro partito

di Stefano Bocconetti


Bisogno di un partito.

Di un nuovo partito della sinistra. «Perché la situazione non è mai stata così difficile come adesso, ma c’è anche una straordinaria opportunità per mettere in campo un pensiero nuovo».

Fabio Mussi, ex ministro della ricerca, dirigente del Pci e dei diesse prima di ”rompere“ con Fassino al congresso di Firenze, per un po’ di tempo - a cavallo delle elezioni - è stato costretto a stare lontano dalla battaglia politica. Un’operazione difficile e poi una dura convalescenza. Ora torna a dire la sua. E a fare. Per esempio, quando lo si sente al telefono, è appena tornato da una riunione sull’occupazione di una scuola. Torna a dire la sua, sul futuro della sinistra. Un tema che, lo sa bene, divide le forze politiche, un tema sul quale - anche questo sa bene - in Rifondazione ha prodotto un dibattito lacerante. Ma la sua la dice lo stesso.

E a quell’obbiettivo - un nuovo partito della sinistra, «un nuovo partito alla sinistra «un nuovo partito alla sinistra del piddì» - ci arriva con un lungo ragionamento. Che comincia con una domanda sull’attualità, sulle cose di questi giorni.


Proprio stamane Maurizio Zipponi, sul nostro giornale, scriveva che sarà in piazza l’11 ottobre nella manifestazione promossa da un appello di intellettuali. Ma che quella manifestazione rischia di rivelare l’inefficacia di questa oppposizione. Che ne pensi?
Ho letto... Penso soprattutto una cosa: credo che le manifestazioni, i cortei siano importantissimi. Anche quelli che magari servono solo a scaldare i cuori. Sono importanti anche quelli. Ma mai risolutivi. Sono un evento, se si è in tanti è meglio. Ma poi i cortei finiscono e c’è il giorno dopo. E non si sfugge al problema: un corteo non risolve nulla se non c’è un progetto. Un progetto politico.

Progetto che, naturalmente, non c’è.
Vedo i tentativi che si fanno per definirlo, vedo i passi in avanti che non sottovaluto ma ancora non siamo approdati. Siamo lontani, insomma. E stando così le cose, la strada è chiusa per tutti.

Per tutti chi?
Sto parlando di quel campo che è azzardato definire oggi di centrosinistra. Piuttosto lo chiamerei antiberlusconiano e a-berlusconiano. E in questo campo tutti mi sembrano in un vicolo cieco. Perché c’è un piddì che galleggia sul trenta per cento e che - come dice oggi anche D’Alema, ripetendo una cosa che avevo già sostenuto tempo fa... ma non ha molto senso rivendicare primogeniture davanti a questi drammi...

Perché, cosa sostiene oggi D’Alema?
Che il piddì è passato da quella che chiamavano ”vocazione maggioritaria“ ad una situazione di strutturale minoranza. Un’aspirazione a rimanere minoranza. Con una continua emorragia verso l’altro partito personale della politica italiana, l’Italia dei Valori. E naturalmente, con una sinistra che - lo sanno tutti - è restata fuori dal Parlamento. E che oggi appare come una micronesia di forze, divise, frammentate. Che potranno offrire una testimonianza, ma così non c’è partita.

Però, non si può far finta di nulla: la partita l’hanno chiusa soprattutto gli elettori. Non è così?
Non credo di dire nulla di originale se ti rispondo che gli elettori non si sono fidati di un miniprogetto partorito in qualche mese, vissuto soprattutto fra stati maggiori. E che già all’epoca faceva capire che si sarebbe dissolto. La Sinistra arcobaleno, insomma, ha chiesto un voto per la sopravvivenza. Anche lì, senza un progetto. E la gente non dà mai una cambiale in bianco. Ma tutto questo l’abbiamo analizzato, capito, su questo abbiamo riflettuto. Ma oggi intanto...

Già, intanto cosa accade?
Che è finita quell’orribile manfrina: dialogo sì, dialogo no. Ed è venuta fuori la destra, il pugno di ferro della destra. Che sta modellando un paese esattamente come vuole lei. Senza incontrare una efficace, vera resistenza. Questo è il problema. Se fossi un esperto militare direi che le truppe nemiche stanno dilagando nella pianura, hanno rotto tutti gli argini.

Ma forse gli argini non li hanno superati col voto di aprile. Forse la destra ha vinto tanto tempo fa, quando le sue politiche, le sue scelte sono entrate dappertutto.
In qualche modo hai ragione. Anch’io sono convinto che le ragioni della drammatica sconfitta di aprile siano da ricercare in una lunga storia. In cui la parte maggioritaria della sinistra ha perseguito un’idea di modernizzazione che l’ha portata a spostarsi progressivamente a destra. Ma dall’altra parte, fammelo dire anche se so che susciterà polemiche fra i tuoi lettori...

Nessun problema, di che si tratta?
Credo che qualche responsabilità l’abbia anche una sinistra che è rimasta ancorata a puri principi identitari tradizionali.  Questi due movimenti contrapposti hanno prodotto il deserto.

E adesso?
C’è un’ultima chance per ricominciare. Ma dobbiamo farlo ora, adesso. Tenendo presente però che abbiamo un doppio problema, che non può essere separato. Nè affrontato uno alla volta.

Qual è questo doppio problema?
Sto parlando della sinistra e del centrosinistra. Due questioni che si tengono. Sto parlando in sostanza del tema del governo.

Non è per sminuire il senso delle tue affermazioni ma ti sembra un tema di attualità?
Non c’entra nulla. Non credo che il tema vada posto quando ci sia la possibilità di andare al governo. E’ un argomento che però la sinistra deve porsi. Poi, può essere delegata dagli elettori a governare, scegliere se collocarsi in un’alleanza, se rinunciarci, può decidere dove stare, ma deve porselo. Ti faccio un esempio, così ci capiamo. Nel ’56, il Pci non aveva la minima possibilità di governare. Le elezioni le vinceva la Dc, c’era una situazione internazionale che non rendeva possibile l’alternanza. Eppure, anche in quella situazione, il Pci proponeva un progetto politico, faceva una proposta di governo: si chiamava esecutivo per la pace. Insomma, io non credo che la politica sia solo potere. E’ passione, valori, ideali. Ma esiste una questione che riguarda il potere, ignorarla non serve.

Resta la domanda: e ora che si fa?
La sinistra ha un compito immediato. Quello di ricostruire un popolo, una coscienza, una visione, una cultura politica. Costruire un nuovo blocco sociale, che sappia immaginare alleanze.

Continui a parlare di sinistra. Ma te come la immagini?
A me piace parlare in modo diretto: io immagino un partito. L’alternativa quale sarebbe? La micronesia di cui ti parlavo. Servirebbe a qualcuno? A qualcosa? Ma ci rendiamo conto con che cosa abbiamo a che fare?

Con cosa?
vedo che nel nostro paese parliamo di tutto meno di quel che accade nel mondo. Ma ci rendiamo conto che c’è il gigante Usa che ha nazionalizzato il debito delle più grandi banche d’affari? Ci sono osservatori che hanno scomodato Keynes per l’occasione. Ma ad una cosa così Keynes non aveva mai pensato. Aveva pensato ad interventi sulla domanda aggregata, aveva immaginato lavori per far crescere la domanda. Ma mai ad un intervento come quello deciso dal governo Usa. Il tutto dopo anni in cui ci hanno spiegato e insegnato che doveva essere il mercato a dettare le regole. Noi, la sinistra, sapevamo che il puro mercato era un’idea immaginaria. Evocarla significava solo adattarsi ai rapporti di forza economici, sociali, adattarsi alla legge del più forte. Sono anni, da Seattle, che la sinistra elabora progetti nuovi per contrastare la ”bestia feroce” - per citare Spiegel - del capitalismo finanziario. E quando si arriva al dunque che accade? Che la sinistra non c’è. Sono anni che la sinistra si affanna a riflettere su come governare la complessità. E poi che accade? Che arriva la destra e offre la risposta più semplice. E noi, a guardare.

Ma insomma cosa proponi?
Te l’ho detto e lo ripeto. Un nuovo partito, una nuova sinistra. Naturalmente anch’io penso ai movimenti, ai movimenti sociali. Che sono in una fase di riflusso ma non mi preoccupo. So che torneranno. Ma ha poco senso credo indicare l’obiettivo del semplice ritorno al sociale...

Come fa Ferrero. Ce l’hai con lui?
Sto discutendo, non faccio polemiche. Ma anche qui, nel sociale occorre tornare non a fare propaganda, non testimonianza. Ma a dire: badate, stiamo lavorando a trasformare la vostra  condizione con un progetto politico che ha l’ambizione di diventare maggioranza. Non lo sarà oggi, ma io voglio diventare maggioranza. E a scanso di equivoci ti dico che quando parlavo di alleanza non mi riferivo all’attuale fase, all’attuale piddì. Oggi vedo  una fase di conflitto coi democratici. Ma non dobbiamo smarrire l’obiettivo di cambiare la loro linea, di costringerli a fare i conti con i bisogni di chi vogliamo rappresentare.

E tutto questo lo può fare un partito?
Lo deve fare un partito. Che avrà un compito immane. Non deve rinunciare alle culture di provenienza, libertaria, socialista, comunista. Ma deve essere in grado di costruire una sinistra che sfida i meccanismi che regolano il mondo. L’alternativa, ti ripeto, è coltivarsi il proprio orticello. Ma di sinistra in Italia non se ne parlerà più per un pezzo. E’ una prospettiva che a me fa paura, vale la pena provarci.


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