SINISTRA DEMOCRATICA 2 (del dopo elezioni).

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Prc, Vendola annuncia un «tesseramento allargato»


Simone Collini


Figurarsi se pronuncia la parola «scissione», o se anche dà soltanto ad intenderla in modo esplicito. Il tempo gioca a suo favore, e poi bisogna aspettare le europee prima di compiere qualsiasi passo avventato. Però tassello dopo tassello, Nichi Vendola sta preparando il terreno per un’operazione che va ben al di là dei confini di Rifondazione comunista. La settimana scorsa il governatore della Puglia, battuto da Paolo Ferrero al congresso di luglio, si è incontrato a Roma con esponenti di Sinistra democratica, della Cgil, dei Verdi, della minoranza del Pdci. Oggetto della discussione: come rilanciare il processo della costituente di sinistra.

Ieri c’è stato il passo successivo: al parco Brin del quartiere romano della Garbatella, Vendola non solo ha tenuto a battesimo “Rifondazione per la sinistra”, l’area interna al Prc che riunisce quel 47% del partito uscito sconfitto a Chianciano, ma ha anche annunciato l’avvio di un tesseramento rivolto «all’interno ma anche all’esterno di Rifondazione comunista». Parole dette davanti a un migliaio di persone, una platea che ha applaudito con forza tutti gli interventi che più hanno spinto in direzione di un nuovo soggetto di sinistra, come quello del coordinatore di Sd Claudio Fava: «Non ha senso perdersi in discussioni se debba venire prima il contenuto o il contenitore del nuovo soggetto. Il contenuto siamo noi, sono anni e anni di lotte a sinistra. Ora dobbiamo fare presto e bene».

Vendola non ha spinto allo stesso modo sull’acceleratore, anche perché veniva da una giornata di riunioni con i coordinatori dell’area, divisi tra quanti vorrebbero rompere subito con la maggioranza e altri che invece consigliano maggiore prudenza. Però in un’ora e mezza di intervento ha sparato contro la maggioranza del suo «piccolo partito» e ha dato il via all’operazione di unità a sinistra: «Basta con gli annunci, dobbiamo aprire qui e ora i cantieri della nuova sinistra, dobbiamo far partire il processo costituente». Passaggio molto applaudito, così come quello sull’avvio del tesseramento e quelli in cui il governatore pugliese ha criticato la linea politica della maggioranza del Prc, «inefficace», «di nicchia», «di pura testimonianza», fino all’affondo finale: «Non ci si può rinchiudere in un fortino identitario unendo i frammenti e le scorie di tutti i tipi di comunismo».

Il riferimento è, tra le altre cose, all’ipotesi che la maggioranza del partito, di cui fanno parte anche la componente trotzkista e quella che è andata al congresso chiedendo l’unità dei comunisti, proponga di presentarsi alle europee con una lista in cui convivano i simboli del Prc e del Pdci. Molto dipenderà dalla soglia di sbarramento. Secondo i calcoli che vengono fatti in via del Policlinico (con sfumature diverse tra il secondo piano, dove stanno i vendoliani, e il terzo, dove si sono sistemati quelli della maggioranza) se venisse accolta la proposta del Pd di fissarla al 3%, il Prc andrebbe da solo; col 5% richiesto dal Pdl sarebbe necessario unire quante più forze possibili, come vorrebbe Vendola; ma col 4% potrebbero spuntarla i sostenitori della lista Prc-Pdci. Vendola e i suoi aspettano di conoscere la nuova legge elettorale e la proposta di Ferrero su come andare al voto. E intanto si preparano, chiedendo una «consultazione orizzontale democratica con i territori» per la composizione delle liste nel caso in cui venissero abolite le preferenze e dando subito ulteriore sostanza alla costituente di sinistra: prima della manifestazione dell’11 ottobre, insieme a Sd, Verdi, minoranza Pdci e agli altri, verrà stilato un documento fondativo e verranno nominati i coordinatori di questa operazione.


Pubblicato il: 28.09.08
Modificato il: 28.09.08 alle ore 14.50   
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Lun, 29/09/2008 - 06:58

Sinistra Democratica a Castelvolturno

Una mattina particolare. Un modo diverso di fare politica, di essere sinistra

di Arturo Scotto*,Tonino Scala**


Arrivo alle 9.30 stazione di Napoli. Dall’altra parte della piazza c’è il concentramento della manifestazione della CGIL. Una marea di bandiere, il solito camioncino colorato e rumoroso dell’UDS, l’incontro con i nostri compagni del sindacato. Una marea di lavoratori, la sveglia ad un’opposizione politica che non funziona, una domanda di unita’ che un popolo smarrito, ferito, scaraventato nell’angolo del minoritarismo fa salire in questa piazza.

Il corteo è grande, lungo, colorato, incrocia diverse vertenze: da Pomigliano all’Atitech, dagli insegnanti precari della scuola ai migranti che portano la voce di Pianura, Ponticelli, Castelvolturno. Le viscere dell’inferno che si materializzano in racconto collettivo di una lotta per la dignità, i dannati della terra che chiedono non solo diritti, ma cittadinanza, protagonismo, verità. Incontriamo tanti compagni e lavoratori: molti fermano Claudio, chiedendogli di andare avanti nel processo di unificazione della sinistra.

Non è solo un richiamo, ma anche un ringraziamento: quello di esserci ancora, anche dopo lo sconquasso di Aprile; non una semplice cellula di resistenti, ma la scintilla di un nuovo inizio. Lasciamo la manifestazione e ci avviamo a Castelvolturno. Attraversiamo la tangenziale, sfioriamo la bellezza nervosa della costa flegrea ed intravediamo gli allevamenti di bufale del casertano. Castelvolturno è davvero molto estesa, un territorio sterminato, dove la pineta mediterranea che si spinge fino al Circeo, separa plasticamente il mare dalla campagna. Due risorse straordinarie, deturpate da anni di malgoverno, di crescita a dismisura dell’abusivismo e di stupro dei terreni agricoli, trasformati in discariche infinite di rifiuti tossici illegali, di dominio anche fisico della camorra dei casalesi. Qui si è consumato uno dei grandi scempi della speculazione edilizia degli anni settanta: Villaggio coppola, una serie di grattacieli costruiti sul demanio che hanno distrutto la pineta e mangiato la spiaggia fino ad ingoiare il mare. Arriviamo nella Piazza del municipio.

Li’ ci aspettano alcuni compagni, il sindaco Nuzzo e Rosalba Scafuro, assessore di Sd all’immigrazione e le politiche sociali. Con noi c’è anche Renato Natale, ex sindaco di Casal di Principe dei primi anni novanta, animatore del centro don Peppino Diana, un prete che nel 94 fu barbaramente ammazzato su mandato di Sandokan perché  non temeva dal suo pulpito domenicale di fare i nomi e i cognomi dei veri padrini del territorio. Renato non fa più politica attiva, non è iscritto a nessun partito, fa politica in altro modo, raduna giovani, li sottrae alla fascinazione camorristica, li collega alle altre mille reti di Libera. Ma anche Renato ci chiede: che facciamo? Quando nasce una sinistra degna di questo nome, che riaccenda lo spirito pubblico, che rimotivi quelli che in questi anni hanno scelto il disimpegno?

Col sindaco Nuzzo ci intratteniamo una buona mezz’ora: il tempo sufficiente per raccogliere un grido di dolore che proviene da un uomo delle istituzioni, un magistrato che ha dedicato la vita alla difesa dello stato di diritto e che a sessant’anni si ritrova in trincea e con i riflettori puntati addosso.

Dice che anche il governo Prodi ha sottovalutato ampiamente l’emergenza camorristica che sul territorio andava assumendo contorni terroristici. E racconta di essere stato costretto ad affrontare  da solo la folla inferocita di ghanesi e nigeriani che all’indomani della strage di Lago patria aveva deciso di esternare la propria rabbia e la propria disperazione marciando lungo la domiziana e mettendo in poche ore a soqquadro la città. Ha costruito mediazioni, ha ritessuto i fili di un dialogo difficile che non puo’ essere relegato nella mera dimensione dell’ordine pubblico. Nuzzo non vuole – e dichiara di utilizzare in questi giorni i mezzi di informazione anche per questo – che improvvisamente cali il sipario sulla potenza di fuoco dei casalesi per spostare l’attenzione sugli immigrati. Problemi ce ne sono, soprattutto con alcune mafie extracomunitarie che si alimentano con lo spaccio e la prostituzione, ma i migranti oggi possono essere anche un argine significativo contro la camorra e la manifestazione dell’altro giorno dimostra esattamente questo.

Di fronte ad una società civile addormentata, timorosa o collusa, per la prima volta emerge direttamente da coloro che sono percepiti e considerati gli ultimi una capacità di resistenza, una domanda di giustizia e di sicurezza. Lasciamo il Municipio, con l’impegno di tornare entro un mese, per una grande iniziativa contro la mafia. Arriviamo al centro Fernandes della caritas, un centro d’accoglienza e di mediazione culturale di Castel Volturno, nell’immediata periferia del centro storico. Qui operano diversi volontari e uomini di chiesa, che assistono, nutrono e aiutano ad inserire decine e decine di persone.

Ci sono camere da letto, sale di lettura, una mensa molto grande. Ci introduce Jean Renee’ Bilongo, compagno di Sd ed esponente di punta della comunità camerunese, che ci presenta il dirigenti del centro e alcuni ragazzi che vivono li’. Facciamo una bella assemblea in sala mensa. Una discussione vera, sui problemi, sulla paura che vive addosso a decine di giovani migranti che qui sono concepiti come semplice manovalanza, vittime di un nuovo caporalato che comincia a massacrarti la schiena alle sei di mattina ed in cambio alla fine del turno di lavoro ti abbandona su una terra dove rischi di beccarti qualche pallottola anche se non c’entri nulla. La paura ed il disorientamento, il razzismo e la voglia di riscattarsi. Di dare un senso ad un’esistenza piegata da un paese da cui ci si aspettava qualcosa in più che un semplice permesso di soggiorno.

Con loro parliamo della difficoltà di far decollare progetti di inserimento concreto dentro un mercato del lavoro regolare, dello sforzo degli operatori Caritas a trovare aperte le porte delle istituzioni, da cui al momento arrivano solo sostegni verbali. Con Tonino Scala, capogruppo Sd alla regione, ci impegniamo a presentare un emendamento in finanziaria regionale che sostenga questo centro d’accoglienza ed altri laici e cattolici che operano sulla zona. Alla fine della riunione, tante sono le parole di riconoscimento di una presenza e di una solidarietà, ma è anche forte l’appello degli operatori a non rendere episodico un appuntamento come questo.

L’impegno è portare Sd qui, a Castel Volturno, entro un mese per una grande mobilitazione nazionale che metta insieme esperienze concrete di lotta e volontariato, che incroci i migranti e i cattolici impegnati nel sociale, le associazioni e quel che resta della sinistra politica: fare di questo angolo di mezzogiorno il paradigma di un nuovo impegno, la cifra di un tentativo di riscatto che si nutre di presidi politici e non di presidi militari, di contenuti educativi ed inclusivi e non di una risposta asimmetrica alla strategia del terrore dei casalesi.

*del Coordinamento nazionale di Sd
**Capogruppo Sd alla Regione Campania

da sinistra-democratica.it

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di Grazia Paoletti, Simona Zoccola*



Riflessioni dopo la riunione del 20 settembre
 

Finalmente il 20 settembre si è prodotta un'accelerazione del processo di ricostruzione della Sinistra evocato dall'assemblea al Palaeur del 5 maggio 2007. Questa accelerazione risponde alle aspettative di quel “popolo della sinistra” che si mostrò numeroso, entusiasta e disponibile all'obbiettivo di dar vita ad una Sinistra unita in Italia che mettesse insieme persone provenienti da esperienze politiche diverse. Molti degli intervenuti alla riunione hanno espresso con chiarezza l'indispensabilità di portare a buon fine l'obbiettivo della “Sinitra Unita”.
Tuttavia a leggere i commenti in alcuni blog relativi alla riunione del 20 sett. dispiace e sconcerta che appaiano ancora delle chiusure e preclusioni, segno non soltanto di immaturità (o infantilsmo politico), ma anche di colpevole sottovalutazione della gravità del momento.
Eppure le indicazioni sono state chiare: iniziamo a costruire un soggetto politico di Sinistra, che faccia sintesi tra uguaglianza e libertà, che abbia capacità di analisi, che sia in grado di elaborare un progetto di società e che si doti di strumenti per essere forza di governo e perciò in grado di recuperare il consenso elettorale perduto negli ultimi anni, e sia capace di costruire coerenti alleanze con le altre forze del centrosinistra, non semplicemente per governare il sistema, ma per cambiarlo.
Non bisogna dare l’impressione di voler fare emergere un pensiero al posto di un altro, ma sentiamo l’urgenza di ridare voce al popolo della sinistra, per riaffermarne i valori,  per costruire nell’interesse del paese e di tutte le donne e gli uomini, a cominciare dai lavoratori e dai soggetti più deboli o in difficoltà, considerati niente più che una merce o un ingombro nel capitalismo globalizzato, una nuova Sinistra democratica e riformista, alternativa e di governo, con la volontà  di cambiare il sistema secondo i nostri valori.  Fare politica per noi implica mirare al potere, correttamente, senza scendere ad inaccettabili compromessi, per operare nell’ interesse del paese, dei soggetti e delle classi sociali che a noi fanno riferimento. Per mutare il sistema bisogna necessariamente essere al potere, riportando a livelli alti la politica, non impantanandosi nella partitocrazia.
Dunque è necessario ripensare insieme a un modello di società, promuovendo un processo politico ed anche culturale, costruendo un percorso per ricominciare a parlare con la gente motivandola a partecipare, a trovare insieme le soluzioni per migliorare la nostra società.
 Bisogna anche ripensare  a un confronto e a una coalizione forte con il centrosinistra. Le elezione europee sono una tappa importante e la nostra presenza per tale scadenza è auspicabile, perché se perdiamo questo appuntamento stiamo per lungo tempo fuori giuoco.
E' chiaro che a questo scopo sono necessarie una organizzazione ed una struttura,  altrimenti la costruzione manca delle fondamenta per stare in piedi e funzionare.
Si è parlato di una struttura a rete, valida per la partecipazione diffusa e per collegarci fra di noi e sul territorio, ma non sufficiente di per sé a raggiungere e implicare tutto il popolo della sinistra: questo richiede di  coinvolgerlo nelle proposte di soluzione, richiede democrazia interna, capacità di relazione, di ascolto, di dialogo, e radicamento sul territorio. Queste, oltre la capacità politica, dovrebbero essere le doti dei dirigenti, non  la fedeltà di parte né l'obbedienza acritica come talvolta è avvenuto. La partecipazione non ha niente a che fare con il populismo, tanto meno con il plebiscitarismo; si tratta di convincere e non di vincere, ed in questo processo tutti gli interlocutori danno e ricevono qualcosa, ed alla fine sono diversi, hanno qualcosa in più.
Tutto questo evoca uno degli strumenti di analisi e conoscenza della realtà tradizionali della Sinistra, l’inchiesta, molto diffusa e praticata sul campo in un passato non molto remoto e che si è sempre rivelato una strumento efficace di coinvolgimento, di partecipazione e  di discussione, che oggi è praticamente scomparso, sostituito dai sondaggi, estremamente distorcenti della realtà.
Oggi il nostro obbiettivo comune è la Costituente della Sinistra, da perseguire con urgenza, peraltro evitando gli obbiettivi intermedi politicisti che hanno distrutto la Sinistra arcobaleno, come ad esempio la formazione di liste prima di essere davvero UN soggetto politico. La sommatoria non funziona mai politicamente, e costruire un soggetto unico non è una passeggiata, ma è l’unica possibilità di avere nel paese una Sinistra non autoreferenziale e con lo sguardo rivolto all'indietro. In un’ottica lunga sosteniamo che c'è bisogno di un Partito che si faccia carico dei problemi della realtà di oggi, di questo capitalismo globalizzato, diverso e peggiore rispetto a quello che abbiamo conosciuto nel dopoguerra, e che miri a cambiare il sistema.

*Associazione Luigi Longo


da sinistra-democratica.it

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Manifesto per un nuovo patto sociale

Achille Occhetto


Uno degli organi vitali del capitalismo - la finanza - è stato aggredito da un male terribile che rischia di estendersi a tutto il sistema, di passare dalla crisi creditizia e bancaria a quella dell’economia reale.

In questa situazione indubbiamente rischiosa per tutte le classi sociali si è posto il problema della più vasta solidarietà possibile per andare in soccorso del sistema bancario. Non c’è dubbio che la minaccia del crollo dei fondi pensione, dell’insolvenza delle banche e della bancarotta delle assicurazioni colpisce la sicurezza e l’avvenire di tutti i cittadini. In questo frangente drammatico si rendeva e si rende pertanto necessario uno sforzo comune per fronteggiare la crisi. Ma tale sforzo non poteva e non può prescindere da una precisa constatazione. Di fronte a questa crisi non siamo tutti uguali: ci sono i colpevoli e ci sono le vittime. Per questo anche nell’opera di soccorso occorre distinguere tra intervento immediato per rianimare il sistema bancario e sostegno al vecchio modello di sviluppo. Nelle grandi crisi epocali la diversità degli interessi e il conflitto sociale non scompaiono, anzi si acuiscono e si manifestano in forme diverse dal passato. Per questo la sinistra non può dividersi tra solidarietà unanimista e protesta corporativa. Occorre lanciare un Manifesto di comportamento che tracci a grandi linee il rapporto che ci deve essere tra la sinistra - e più in generale il centro sinistra - e la crisi.

Ecco quelli che potrebbero essere alcuni capisaldi di tale manifesto:

1 Siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità nazionali e internazionali per fronteggiare nel modo più rapido ed efficace possibile l’emergenza ma attraverso una netta distinzione tra il salvataggio immediato del sistema bancario, la rimozione delle cause della bolla finanziaria e immobiliare, la rianimazione del mercato dei prestiti interbancari, da un lato, e il salvataggio dei banchieri e dei leaders politici che hanno creato la crisi, dall’altro.

2 Operiamo una netta distinzione tra salvataggio del sistema finanziario e rilancio del vecchio modello di sviluppo. Lo stesso salvataggio del sistema finanziario non deve essere funzionale alla ripresa del modello di sviluppo neoliberista. Nel momento più acuto della crisi i santoni del neoliberismo hanno riscoperto il valore della mano pubblica, dalle forme più indirette come quelle che vanno da vaste iniezioni di denaro statale alla compartecipazione negli istituti di credito privati, fino a giungere alle decisioni, assunte dal santuario del neoliberismo, di vere e proprie nazionalizzazioni. Dopo essere stati costretti per un decennio a mangiare la polvere, trascinati dietro al carro del vincitore neoliberista, siamo arrivati a un mutamento di clima solo alcune settimane fa inimmaginabile! Non possiamo tuttavia accettare che i soldi dei cittadini servano soltanto a ridare fiato ai vari responsabili della crisi.

3 Occorre avere ben presente che si rischia che gli stessi interventi pubblici siano una forma rovesciata di privatizzazione, qualora, come sta avvenendo, si risolvano esclusivamente in una sorta di salvataggio, con i soldi dei cittadini, che finirebbe per rafforzare il circolo vizioso del reciproco rapporto di dipendenza tra classe politica e i sedicenti capitani coraggiosi della speculazione finanziaria. Così, dopo avere dissanguato le casse dello Stato - che dovranno essere rimpinguate dalle tasse e dai tagli della spesa pubblica - gli stessi cittadini si troveranno di fronte allo spettro della disoccupazione e della recessione.

4 Lo stesso intervento dello Stato non è neutro: occorre mettere in campo un sistema pubblico diverso per il modo di operare e per le finalità produttive e sociali che lo devono contraddistinguere. Non vogliamo il ritorno dei boiardi di Stato! Chiediamo pertanto che la compartecipazione dello stato nelle banche private sia accompagnata da una compartecipazione democratica dei cittadini da realizzarsi attraverso forme efficaci di nuova democrazia economica. Deve riemergere, al di sopra del mercato, il tema ineludibile delle regole. Ciò comporta il rafforzamento dei controlli pubblici e la discussione democratica degli orientamenti di spesa e di investimento. Questa è la prima condizione per realizzare un effettivo passaggio dalla finanziarizzazione selvaggia di questi anni alla centralità del lavoro produttivo.

5 Riteniamo che la ripresa dei flussi finanziari e il mercato dei prestiti bancari - il cosiddetto money market - debbano essere messi al servizio di nuovi modi di consumare e di produrre che abbiano al proprio centro l’economia del sole e dell’aria al posto di quella del petrolio, del carbone e del nucleare. Ciò comporta un deciso spostamento delle risorse finanziarie dalle politiche riarmiste a quelle dell’intervento per la salvezza del pianeta.

6 Affermiamo la necessità che la compartecipazione del pubblico da mero salvataggio transitorio dei vecchi poteri forti si trasformi in un nuovo patto sociale che comporti una diversa distribuzione del reddito e del potere tra capitale e lavoro e sposti il baricentro a favore delle classi e dei paesi meno abbienti.

Si tratta come si vede solo di alcune direttici molto generali che tuttavia, a mio avviso, potrebbero essere messe alla base di un lavoro ben più ponderoso di discussione e elaborazione di concreti progetti alternativi rispetto al fallimentare pensiero unico globale del monetarismo neoliberista, messo in ginocchio dalla più grave crisi del capitalismo dal 1929.

Pubblicato il: 18.10.08
Modificato il: 18.10.08 alle ore 13.47   
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Valori e identità, la sinistra guardi lontano


Luigi Manconi


Con la sgradevolezza e la trasandatezza un po' snob di chi "poche palle, vi dico io come stanno davvero le cose", Luca Ricolfi (sul Corriere della Sera) contesta quanto da me scritto sull'Unità di lunedì scorso. L'argomento è quella affermazione di Walter Veltroni ("l'Italia è migliore della destra che la governa") che ha già suscitato qualche scandalo.

La polemica affronta malamente due questioni che sono, invece, cruciali. Ovvero: la politica richiede una "concezione del mondo"? E poi: che cosa qualifica la "concezione del mondo" della sinistra? Per quanto riguarda la prima domanda la risposta è ovvia: una delle ragioni della sconfitta della sinistra è stata proprio quella di aver attribuito agli avversari un'idea tutta pragmatica e angusta dell'azione politica.

I partiti del PdL sono stati presentati, in definitiva, come "comitati d'affari" destinati a gestire gli interessi materiali (proposti nella versione più gretta) di ceti e lobbies, interamente concentrati sul "particulare". Insomma, partite IVA e manager, piccoli imprenditori e grande borghesia degli affari, tutti rigorosamente "senz'anima", interessati ad una politica votata solo alla tutela della "roba" (il proprio benessere economico). Questa rappresentazione caricaturale dell'elettorato di centrodestra, oltre che falsa sotto il profilo socio-culturale, è risultata disastrosa sotto quello politico-elettorale.

La destra è dotata di una sua concezione del mondo, che è poi nient'altro che la sintesi tra interpretazione della realtà e valori che orientano le scelte individuali e collettive. Insomma, un'efficace difesa degli interessi materiali richiede un quadro di riferimento, costituito da un sentimento condiviso e da una comune interpretazione della società. Dei suoi problemi e delle strategie per risolverli. Quel sentimento e quell'interpretazione possono apparirci abietti, o semplicemente non condivisibili, ma formano una concezione del mondo.

Ad essa nemmeno la politica più pragmatica può rinunciare, pena l'inefficacia. A sua volta, la sinistra ha bisogno come il pane di ricomporre una propria concezione del mondo: che pure, smozzicata e frantumata, sopravvive. E che può essere ricostruita, nella speranza che sia "migliore" (più lungimirante) di quella dell'avversario. D'altra parte, l'identità della sinistra può aggregarsi solo a partire dalla capacità di guardare lontano (almeno un po') nello spazio e nel tempo. Nello spazio: ed ecco la questione dell'immigrazione.

Nel tempo: ed ecco la tematica ambientale che ci impone di pensare, oltre la congiuntura presente, ai nostri figli e alle generazioni future.

Pubblicato il: 29.10.08
Modificato il: 28.10.08 alle ore 21.22   
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