SINISTRA DEMOCRATICA 2 (del dopo elezioni).
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Nel nome di Galileo
Fabio Mussi
Io non sono un credente. Non appartengo alla Chiesa cattolica. E non capisco perché Papa Benedetto XVI non possa oggi qui pronunziare di persona il discorso che ha inviato scritto a questa cerimonia della Sapienza di Roma. È già pubblico, qualcuno lo ha già letto, altri lo ascoltano qui: è un testo che merita di essere ascoltato, e discusso. Io parlo dell’Università, non d’altro. L’Università è laica: cioè libera, tollerante, aperta. Se c’è un luogo in cui la regola è la parola, la parola di tutti, questa è la Universitas.
Non esistono, nell’Università territori inaccessibili alla critica. Quello che dice un Papa può ben essere criticato. Ma non è un attentato al principio di laicità il fatto che il Papa possa prendere la parola in questa sede. Un intervento, e non la lectio magistralis a nome dell’Ateneo. E da ministro della Repubblica, che ha difeso con intransigenza il carattere laico delle Istituzioni pubbliche sotto la sua responsabilità, confermo il mio rammarico, grande, sincero, per il fatto che si siano create le condizioni che lo hanno spinto a rinunciare. (...)
Io parlo di Università, del suo supremo statuto di libertà. Della sua autonomia, che la preserva da vincoli ideologici e confessionali. Dei contrasti intellettuali che la rendono viva, e del piacere del dialogo e del confronto che accende la didattica e la ricerca. In una agorà che non tollera steccati e dogane. (...)
Il mondo contiene tutti i saperi, tutte le filosofie,tutte le concezioni religiose, tutte le idee. È la libera circolazione delle idee che fa evolvere la mente. La terra gira effettivamente intorno al sole, ha avuto ragione Galileo, dunque ha vinto il pensiero critico che poggia su “sensate esperienze”, non su un principio esterno di autorità. Proprio per questo bisogna spalancare le porte al confronto. In anni lontani, in un’epoca di contrapposizioni certo non meno dure di quelle attuali, un matematico, professore di questa Università, Lucio Lombardo Radice, scriveva: «il pluralismo come dialogo tra diversi, come confronto delle idee, come collaborazione dialettica nella reciproca libertà, si impone come principio informatore essenziale di ogni educazione, di ogni scuola che meriti questo nome. Le preclusioni e le incompatibilità, i “ghetti” per cattolici e acattolici, sono davvero revenants, spettri che tornano dal trapassato remoto».
La Sapienza ha voluto quest’anno dedicare l’inaugurazione del suo anno accademico alla moratoria della pena di morte, votata dall’Assemblea delle Nazioni Unite. Un evento che ha visto protagonista l’Italia e il Governo italiano. Non sarà facile passare dalla proposta d moratoria alla moratoria effettiva, alla cancellazione della pena di morte. È un lungo cammino. Il primo Stato al mondo ad abolire la pena di morte è stato il Granducato di Toscana, il 30 novembre 1786. Si respirava l’aria dell’Illuminismo alla vigilia della Rivoluzione francese. È nota poi, una «Dialettica dell’Illuminismo»,studiata in particolare da uno dei miei maestri, Th. W. Adorno: le nuove forme di dominio e alienazione determinatesi nell’era della tecnica e della società di massa. Ma questa dialettica non può essere scagliata contro l’illuminismo da cui scaturiscono nuovi valori, principi democratici e diritti della persona. Quel valore della tolleranza che è uno dei pilastri della nostra civiltà.
L’Illuminismo raccoglieva la lezione della “scienza nuova”, di quello straordinario XVII secolo in cui si era andata accumulando una enorme quantità di conoscenze del mondo naturale e che aveva fatto annunciare a Sir Francis Bacon la nascita di una scienza «a beneficio di tutti, non di qualcuno».
Da allora sono stati fatti passi giganteschi. Ci saranno sempre domande sull’uomo alle quali la scienza non sarà in grado di rispondere, anzi, che non rientrano nei suoi compiti. Ma la scienza ha guardato dentro se stessa, ha scavato nella sua propria logica e nei suoi metodi. Essa è fondata non perché scopre “la verità”, ma perché le sue teorie sono falsificabili. Perché esisterà sempre, ad ogni livello di complessità, una proposizione “indecidibile” - ecco la grande idea di Kurt Godel - , di cui non si potrà mai dire né che sia vera né che sia falsa. Un sistema è coerente, dunque incompleto, è completo, dunque incoerente. C’è un motore democratico che muove il pensiero scientifico. Naturalmente, le tecnologie che si applicano all’economia e alla società possono essere appropriate o inappropriate, inefficiente o efficienti, amichevoli o minacciose. Qui intervengono le scelte politiche ed etiche. Basti ricordare, il tumulto, i drammi di coscienza degli scienziati che lavorano al «Manhattan Project», la bomba atomica. (...)
Quello che è sicuro è che i grandi problemi attuali dell’umanità non avranno soluzione senza uno straordinario sviluppo del sapere e delle conoscenze scientifiche. Della libertà della scienza. Presto sulla Terra saremo nove miliardi, con una inedita concentrazione in alcune zone del Pianeta e nelle città, con una vita media più lunga. E dovremo nell’arco di poche generazioni affrontare problemi inediti, della salute, delle comunicazioni, dell’energia, dei cambiamenti climatici, della scarsità di risorse vitali come l’acqua. In un mondo sempre più globalizzato e connesso.
C’è la via del dominio, della forza del conflitto di civiltà, della guerra. E c’è la via della cooperazione, della solidarietà, della pace. Della humanitas una. Questa seconda via ha bisogno di una diffusione mai conosciuta prima di valori umani, di conoscenze, di scienza. Di un nuovo inventario di beni comuni dell’umanità: primo, il sapere.
L’Università, le istituzioni della ricerca scientifica, hanno dunque un valore immenso. Il nostro Paese deve recuperare ritardi gravi, a cominciare dalle risorse che vi destiniamo.
Quest’anno in finanziaria ci sono più risorse dell’anno scorso. Meno di come la finanziaria era partita: il taglio in extremis alla “tabella C”, per finanziare una cascatella di emendamenti parlamentari minori e l’accordo con i camionisti, ha portato le risorse aggiuntive da 550 a 460 milioni di euro. Tutto il mondo corre. Gli Atenei sono 17.000, il finanziamento globale degli investimenti in formazione superiore e ricerca è passato in pochi anni da 300 a 1000 miliardi di dollari. Corrono velocissime America del Nord ed Asia. Grandi Paesi come la Cina e l’India tornano ad occupare posizioni di primato intellettuale che già hanno avuto in passato. L’Europa è più lenta. Il nostro Paese lentissimo.
Occorre accelerare il passo, e proseguire nelle riforme, volte ad aprire l’Università ai giovani, a fortificare l’autonomia (è pronto il progetto sulla nuova governance), elevare la qualità alzando la capacità di valutare i risultati (l’Anvur, Agenzia di valutazione dell’Università e della Ricerca sarà operativa a metà 2008), premiare il merito. Il merito è l’unico metro con cui si misura il valore di persone e istituzioni, nel nostro campo.
Ho visto volantini che me lo rimproverano. Ma quelli che pensano che invocare il merito significa apologia della diseguaglianza, sono teorici dell’ignoranza, e dimenticano da quali tasche vengono le risorse pubbliche sulle quali si reggono didattica e ricerca: prima di tutto le tasche dei lavoratori italiani. L’Università è preziosa. Dobbiamo averne cura, tutti insieme.
Stralci del discorso tenuto ieri dal ministro dell’Università e della Ricerca alla Sapienza di Roma
Pubblicato il: 18.01.08
Modificato il: 18.01.08 alle ore 8.25
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Sinistra, che fare?
Giuseppe Tamburrano
Che fare? Così titolava il famoso opuscolo di Lenin. Già: che fare? Vorrei proporre alcune riflessioni sul risultato più clamoroso e inaspettato di queste elezioni: la (quasi) scomparsa della sinistra. E mi chiedo, preliminarmente: è l’effetto del superamento nella moderna società della dicotomia destra-sinistra, come molti sostengono, o è il «tradimento» della sinistra politica che non ha saputo interpretare i bisogni e le aspirazioni di un’area sociale - e culturale - che c’è, che è rimasta orfana e si è dispersa nel non voto, nel voto per partiti estranei di centro e di destra?
La sinistra sociale e culturale c’è, c’è stata e con molte articolazioni, divisioni, errori era - nella prima repubblica - attorno al 40% (socialisti, comunisti e «sinistra diffusa»). Non può essere scomparsa.
È mutata perché cambiata è la società, ma c’è. Ci sono le vecchie e nuove povertà, i bisogni sociali, le aspirazioni ideali. La società moderna è divisa, diversamente divisa rispetto a ieri, ma divisa: e la dialettica che è la forza del cambiamento e del progresso non si è esaurita: la storia non è finita. E per tanti aspetti nuova perché è il portato, appunto, del processo e del progresso. Prima conclusione: la sinistra c’è ma si è quasi dissolto il soggetto politico che la incarna e la rappresenta.
La controprova empirica è che in Europa c’è la destra e c’è la sinistra. E la sinistra è socialista: anche se lo è più di nome che di fatto e deve aprire gli occhi sui problemi del mondo e rinnovarsi.
Oggi in Italia ci sono fondamentalmente due “poli” ma uno, quello diretto da Berlusconi, paradossalmente è alleato con un partito, la Lega, che si reclama rappresentante di vaste categorie operaie, e ospita una intellighenzia che civetta con concetti di sinistra (Tremonti); e l’altro, quello diretto da Veltroni, che, con un altro paradosso, pur avendo le sue radici nella sinistra storica, ha fatto ogni sforzo per non apparire (e non essere?) di sinistra rifiutando persino e recisamente la parola, l’etichetta “sinistra” per disputare all’altro polo la rappresentanza di interessi e di ceti moderati ed occupare un’area di centro.
Insomma vi è una sinistra storica che rifiuta di esserlo tout court, che non si riconosce nemmeno nella sinistra moderata che è il socialismo europeo, e vi è una sinistra politica che ha preteso di esserlo in modo radicale ma è svanita perché ha doppiamente “tradito” la sua area di riferimento partecipando ad un governo che ha praticato una politica impopolare e non rinnovando il suo “antagonismo” in un progetto di socialismo moderno.
Che fare? È possibile rimettere le cose al loro posto? E rivolgo la domanda prima di tutto a Veltroni. Il quale ha tentato di realizzare in Italia l’operazione riuscita a Blair in Inghilterra. Il leader laburista, senza cambiare nome al partito, ha adottato il liberismo della signora Thatcher: molti elettori conservatori stanchi e delusi di un lungo e ormai inefficiente governo conservatore (erano finiti i tempi ruggenti della signora!) hanno sposato il liberismo del giovane e brillante Tony.
In Italia - questo è stato l’handicap di Veltroni - il governo che ha deluso non è stato diretto dall’avversario Berlusconi, ma dall’amico Prodi. E Veltroni non ha potuto scrollarsi di dosso l’impopolarità di quel governo. E il suo disegno non ha avuto successo. Se ha imparato la lezione il leader del Partito democratico deve guardare dalla sua parte, deve guardare a sinistra, a quel progetto tante volte annunciato e mai neanche avviato di costruire anche in Italia un grande partito socialista di tipo europeo e se possibile più avanzato e moderno di quello europeo.
Sarà un processo lungo - ma abbiamo lunghi anni di governo Berlusconi - che forse vedrà la scissione di Calearo e di Colaninno (e speriamo non di tutta l’ex Margherita), ma è l’unica via per un leader che voglia costruire il futuro e “rassembler” la sinistra: come ha fatto Mitterrand il quale ha invertito il corso e la crisi della screditata socialdemocrazia francese; come ha fatto Nenni che, nel 1956, ha capovolto la sua politica frontista e ha restituito al Psi la sua identità democratica.
Ma un compito importante spetta alla residua sinistra radicale. Bertinotti ha lasciato la carica, ma non ha perso la “carica”. Coinvolgendo il Partito socialista occorre avviare un profondo processo costituente, una Epinay o un congresso di Venezia (Psi 1957) ma non per rilanciare l’Arcobaleno: lo lasci perdere perché non ha annunciato bel tempo, ma è stato foriero dell’uragano. La «via maestra, l’immortale» (ho citato Lenin, cito anche Turati), il quadro di riferimento è il socialismo.
Quella sinistra può rinascere dalle sue ceneri a condizione che 1) a provarci non siano solo quelli che in cenere l’hanno ridotta: e perciò Bertinotti deve cercare nuove facce; 2) si parta dalle idee, dalla ricerca di una nuova identità del progetto socialista, e si cerchi di propagare questo processo al Pd, incalzando Veltroni.
E concludo con l’ultimo paradosso. Il modello del capitalismo globalizzato è in crisi; si accentua il malessere sociale nelle aree metropolitane colpite dalla recessione e si aggravano le già drammatiche condizioni dei Paesi poveri colpiti anche da una crisi alimentare di enormi proporzioni. Ormai il ricorso alla mano pubblica è chiesto e praticato dall’establishment. È il momento della sinistra: la quale invece cerca il “centro”, difende il mercato o si gingilla con un “antagonismo” fraseologico mentre operai, lavoratori precari o a reddito insufficiente, pensionati, famiglie povere, giovani in cerca di avvenire, cittadini tartassati da tasse o rifiuti se ne vanno verso la Lega o la sfiducia.
Pubblicato il: 18.04.08
Modificato il: 18.04.08 alle ore 14.44
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Ripartire è possibile
Due compiti all'indomani della nostra Caporetto. Capire e ripartire.
Proviamo dal primo: capire le cause senza cadere nella facile logica delle colpe e delle recriminazioni.
Non solo non siamo stati nuovi, ma non é il concetto di nuovo che determina la qualità di un progetto politico, ma soprattutto non siamo stati convincenti, non siamo stati alternativi. Era evidente, ed ecco la responsabilità degli organismi dirigenti, che la sinistra arcobaleno fosse una creatura artificiale, costruita in fretta e furia per non soccombere alle logiche di questa improvvida legge elettorale.
Troppo visibile la discrepanza tra il messaggio politico lanciato (ricambio classe dirigente, questione morale, abbattimento costi politici) e la logica molto partitica che ha caratterizzato sia la scelta di alcuni candidati sia e soprattutto la gestione piatta e rassegnata con la quale si é impostata la campagna elettorale.
Fausto Bertinotti in questa campagna ha fatto il possibile per promuovere il soggetto unitario e per convincere sulla necessità impellente della sinistra ad unirsi ed a proporsi come soggetto politico moderno e plurale.
Ma per la gente, si per la gente, per gli elettori, per il popolo, hanno prevalso l'assuefazione al personalismo della politica e la logica elementare ma efficace del voto utile. Ergo Bertinotti non era spendibile né per la prima né per la seconda.
Ripartire: come, con quale progetto politico, con chi.
A mio avviso o si prosegue, allargandolo, con il progetto unitario o spariamo del tutto. Chi non ci sta si accomodi nella falce e martello. Punto.
Come: intanto superare il metodo classico verticale della rappresentanza politica (classe dirigente-elettorato) e inaugurare un movimento orizzontale che sia in grado di capire e rappresentare la società nella sua interezza, non solo la classe operaia, non solo nelle fabbriche, caro il mio Diliberto, ma anche nelle scuole, nelle università, nei centri di ricerca, nelle attività produttive.
Su questa base allora ridiscutere dei contenuti, del rapporto tra lavoro, rendita, profitto, di laicità e beni comuni, di ambiente e partecipazione.
Cogliere pero´anche i disagi di chi paga molte tasse e ma non ne vede il beneficio diretto sui servizi di cui fruisce, capire, e fare proprio ribaltando la dinamica pericolo-immigrazione, il problema della sicurezza, specie al nord.
Cogliere e fare nostri gli aspetti positivi del federalismo, inteso come diretta amministrazione della cosa pubblica.
Non solo abbiamo perso rappresentanza del mondo operaio, come drammaticamente dimostrano i dati di Sesto San Giovanni, dove la Lega ha rimontato incredibilmente solo a scapito nostro, ma bisogna che ci rendiamo conto che noi scontiamo il silenzio sui ceti medi.
Non abbiamo capito che anche la raffigurazione sociale classica del cittadino piccolo borghese come lo si chiamava un tempo é drasticamente cambiata.
Anche lui non arriva a fine mese ed ha problemi enormi a pagare il mutuo. Anche lui vive con disagio e frustrazione le anomalie di questo sistema capitalistico frutto di una globalizzazione mal governata.
I suoi figli, nostri compagni di scuola e di università non sanno dove sbattere la testa perché non hanno uno sbocco nel mondo del lavoro e pagano il prezzo di una preparazione scolastica ed universitaria non competitiva. Il precariato é un male che non ha classe sociale.
Rivediamo anche la posizione vetusta sul veto al numero chiuso; dobbiamo proporre un sistema che sia in grado di permettere ai più meritevoli di proseguire il percorso formativo che deve essere all'avanguardia garantendo allo stesso tempo la possibilità di percorsi alternativi.
E` necessario poi che si oltrepassino i comodi confini entro i quali si muove la comunicazione politica attuale (televisione con i vari Vespa) per fare spazio alla comunicazione orizzontale, andare incontro alla cultura digitale (reti, bloggers, comunità virtuale), ovvero a quella che Baumann definirebbe la comunità liquida. Che oggi si auto rappresenta in maniera spontanea e che é numericamente molto elevata. Pensiamo ai milioni di persone che condividono informazioni, musica, video e che instaurano tra loro una sorta di solidarietà interna, di condivisione orizzontale che trascende e d oltrepassa ogni differenziazione sociale.
Non lasciamo questo popolo attento ed informato solo a Grillo.
La questione morale, uno dei punti cardini della nostra identità politica, deve riflettersi e rappresentarsi attraverso la pubblicità e la chiarezza che solo questi mezzi di comunicazione, come detto orizzontali, possono garantire. Ogni nostra mossa, ogni nostro messaggio deve essere chiaro, veloce ed accessibile.
Infine, il ricambio generazionale. Dall'osservatorio privilegiato che é l'Europa, l'Italia é un paese gerontocratico con troppi politici poltronipeti.
Allora non basta mischiare le carte, occorre giocare con un nuovo mazzo.
Questo week end si inizieranno a definire alcuni aspetti importanti.
Rifondazione e PDCI hanno convocato i loro direttivi, da cui usciranno lacrime e sangue, ma almeno dopo si saprà cosa e chi vorrà continuare il percorso unitario.
E sabato a Firenze, dove l'associazione x una sinistraunitaeplurale ha indetto un'assemblea alla quale, insieme ad alcuni eurodeputati (a proposito, l'unica istituzione che vede rappresentanti della sinistra Arcobaleno é il Parlamento europeo, cosa sulla quale invito a ragionare) parteciperò e spero sia occasione di riflessione e di confronto per impostare questa nuova partenza. Spero saremo in molti.
da sinistra-democratica.it
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Abbiamo commesso errori ma dobbiamo guardare avanti
Guardiamo lo studio dei flussi elettorali di Carlo Buttaroni, della società Gpf e del professor Paolo Natale, dell'Università di Milano: un milione e mezzo di persone che nel 2006 avevano scelto PRC, PdCI e Verdi questa volta ha scelto il “voto utile” e votato per il PD. Sono certamente voti contro Berlusconi Un'altra parte di elettori della sinistra che non ha votato PD si è divisa tra l'Arcobaleno e l'astensione. Entrambi gli studi fissano attorno al 20% la quota degli ex elettori della sinistra che non hanno votato. C'è un altro dato particolarmente significativo:2,5 milioni di elettori che nel 2006 avevano votato alla Camera dei Deputati per l'Ulivo questa volta non sono tornati a votare. Sono divisi, più o meno, in parti uguali tra elettori dei DS e della Margheritra. Il fatto che il PD abbia incassato 100 mila voti in più rispetto al 2006 è dato dal fatto – sostiene Buttaroni – che 1,5 milioni di astensionisti di due anni fa sono tornati alle urne e hanno scelto Veltroni.
Dunque gli astensionisti hanno fatto la differenza anche in questa occasione determinando la vittoria di Berlusconi e della sua coalizione.
Ci sono stati poi spostamenti di voti in misura minore dall'arcobaleno verso la Lega, soprattutto nel Nord, e verso IDV, ad esempio nelle Marche. Piccoli spostamenti, invece, si registrano nella coalizione di Centro destra.
Queste tendenze nazionali sono le stesse che emergono nelle Marche. L'Arcobaleno perde più del 10% dei voti (alla Camera conquista il 3,02% – 29,603 voti e al Senato 27.882 voti pari al 3,09%) che oltre ad una quota di astensionismo si riversano sul PD e anche su l'IdV. Il PD migliora le sua forza elettorale superando il 41% in tutte e due le schede e tocca come coalizione il 46% dei voti. Ma non sono tutti quelli che perde la sinistra. Ciò vuol dire che come sul piano nazionale non porta a casa tutti i voti dell'Ulivo del 2006. E questo voto è più o meno omogeneo a livello territoriale e sociale, nelle Marche e in Italia.
A destra il movimento dei flussi elettorali è, invece, marginale. Forza Italia cede piccole quote alla Lega a Nord e AN alla destra di Storace. Sostanzialmente l'elettorato di destra e assai stabile e fedele.
Da questi dati marchigiani e nazionali emerge chiaramente la grande instabilità dell'elettorato di centro sinistra. La straordinaria mobilità di voti da una forza all'altra dello schieramento, le notevoli percentuali di astensionisti di sinistra del 2006 e del 2008, che peraltro mutano da una consultazione all'altra, spiegano più di tante parole il vero motivo politico della grave sconfitta della Sinistra segnata il 13 e 14 aprile; I soggetti della sinistra sono ( e questo vale anche per il PD) da troppo tempo ormai non più partiti politici (forse alcuni non lo sono mai stati) ma movimenti di opinione senza radici nella società reale. Il loro legame con i cittadini appare del tutto superficiale e provvisorio. Anche il linguaggio, le forme organizzative e di lavoro, non sono certo in sintonia con una società cambiata e in movimento. Nella campagna elettorale siamo apparsi con poche idee e poco credibili nella possibilità di ottenere trasformazioni a vantaggio dei ceti che abbiamo detto di voler rappresentare. Io credo che anche la scelta di manifestarci come una forza condannata di nuovo ad un ruolo di opposizione non ha giovato. Nell'Italia del 2000 la sinistra deve concorrere al governo del Paese: dev'essere questa la nostra vocazione non quella minoritaria e di testimonianza che una parte della coalizione ha manifestato nel corso della campagna elettorale e subito dopo.
Hanno pesato, poi, fortemente in senso negativo i metodi che sono stati usati nella formazione delle liste, tagliando fuori in maniera drastica non solo la base elettorale ma perfino i gruppi dirigenti territoriali.
Infine, ha giocato negativamente anche la scelta dei candidati, in molti casi inadatti a guidare la campagna elettorale. Invece di volti nuovi, rappresentativi e credibili delle reali esigenze delle categorie sociali che più soffrono nella società, dei giovani, delle donne, del la scuola. ecc..., abbiamo spesso presentato in troppe parti d'Italia la rappresentanza di un ceto politico sotto tiro mediatico in questa fase come non mai.
E' vero, il “voto utile” e la critica al governo Prodi ha inciso sulla sconfitta della Sinistra ma non dobbiamo illuderci che sia stato soprattutto per questo. Ora bisogna indagare più a fondo per scovare il male che affligge la Sinistra in Italia. Dobbiamo però ripartire prima possibile (la perdita di tempo può essere letale) , facendo tesoro degli errori commessi, per rilanciare quel progetto alla base della nascita stessa del nostro Movimento. La Sinistra l'Arcobaleno ha subito una sconfitta ma non dobbiamo pensare che ha perso la guerra. Non si può tornare indietro: dobbiamo rilanciare la costruzione del nuovo partito della sinistra unitario, plurale, di governo, d'ispirazione socialista, partendo dalle posizioni
che abbiamo nei tanti livelli istituzionali.
*Coordinatore SD delle Marche.
da sinistra-democratica.it
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Una Sinistra unitaria e plurale resta la strada
Sarà un pezzo più lungo di quelli che scrivo di solito, me ne scuso. Ma il momento è serio. Il Popolo delle libertà e la Lega stravincono le elezioni, il Pd resta inchiodato a oltre nove punti di distanza , Berlusconi torna al governo, la Sinistra Arcobaleno subisce una sconfitta storica e per la prima volta non entra in Parlamento. Siamo stati penalizzati dall’appello ossessivo al voto utile ( tanti elettori di sinistra hanno votato Pd illudendosi di poter battere Berlusconi ma il loro voto non è servito) e dall’astensione di un’altra parte delusa dall’operato del Governo Prodi appoggiato anche dalle forze di sinistra.
Questi due elementi però non spiegano una sconfitta tanto bruciante maturata nell’ultimo anno, e che deriva dai nostri enormi e persino incredibili errori.
Non abbiamo convinto gli elettori che avevano votato a sinistra nel 2006, non abbiamo conquistato nuove forze. La Sinistra Arcobaleno in versione lista elettorale finisce qui.
Quando nacque il Pd dicemmo che era un terremoto politico, che nulla sarebbe più stato come prima. Che nessuna delle forze della sinistra poteva da sola rispondere al vuoto che si creava a sinistra del Pd: che era necessaria e urgente una sinistra unitaria e plurale, un nuovo soggetto politico. Ma tra il nostro dire e il nostro fare c’è stato di mezzo il mare. Abbiamo sprecato un anno .
Nonostante gli Stati Generali in dicembre , dove tutti i dirigenti della sinistra politica si erano dichiarati pronti a promuovere e a farsi “travolgere” da una costituente della Sinistra , capace di risvegliare la partecipazione alla politica, pochi giorni dopo tornavano a prevalere chiusure, piccoli egoismi e nessuna costituente è partita nei territori. Siamo così arrivati tardi all’appuntamento delle elezioni anticipate, solo con una lista elettorale ( la Sinistra Arcobaleno), senza una idea di sviluppo di questo paese, senza un progetto chiaro e credibile per il dopo elezioni, noncuranti di ristabilire un minimo di radicamento sociale. Abbiamo puntato tutto sul fatto che la sinistra rischiava di scomparire, che bisognava difenderne l’esistenza. Questo appello non poteva essere sufficiente perché per quanto un elettore di sinistra sia sensibile al mantenimento di una Sinistra nel suo Paese egli vuole capire come sarà, dove lo porta, quali politiche concrete propone per cambiare in meglio la vita delle persone, quali principi mette a base del suo progetto. E vuole anche democrazia nelle scelte programmatiche, nella elezione dei gruppi dirigenti, nella definizione delle liste, condivisione e partecipazione.
Senza democrazia diventa asfittico qualsiasi organismo politico ( oppure diventa leaderistico e personalistico come sono il PDL e il PD). Senza partecipazione siamo stati percepiti come uno dei tanti ceti politici che cercano di salvare loro stessi, e questo, per una sinistra che aveva denunciato la crisi della politica e si era proposta di cambiarla nelle forme e nei modi è risultata una contraddizione enorme. Se ci guardiamo intorno siamo, paradossalmente, noi dirigenti della Sinistra Arcobaleno quelli che più di tutti gli altri risultano travolti dalla pesante critica che montava, spesso con analisi che io non ho condiviso, dalla cosiddetta antipolitica. E a questo voglio aggiungere che l’aver dato una immagine totalmente maschile è stato un limite serissimo che denuncia una cecità profonda e mai superata.
Se sono vere anche solo una parte delle cose che ho scritto fin qui è chiarissimo che siamo di fronte ad una mole enorme di problemi da capire e da risolvere se vogliamo pensare ad una ripartenza. Per ricominciare bisogna avere chiare le ragioni di una sconfitta, rimettere mano in fretta alle pratiche politiche sbagliate che hanno condotto a quegli errori, cambiare con la democrazia ( e non con sommarie rese dei conti) coloro che dirigeranno in futuro l’eventuale progetto di rilancio. Ma bisogna anche dirsi con chiarezza e senza prese in giro qual’è la proposta politica e il progetto di paese che vogliamo rimettere in campo. Ho scritto tante volte della Sinistra che vorrei e non potrei adesso scrivere cose diverse .
Vedo moltiplicarsi in questi giorni convulsi appelli di ogni genere ma ciò che li accomuna è un dato chiaro: la richiesta di tornare ognuno nei propri accampamenti e nei vecchi perimetri culturali. Il solito ritornello che vuole i comunisti con i comunisti, i verdi con i verdi, i socialisti con i socialisti..ripropone solo la congenita e maledetta incapacità delle varie culture della sinistra italiana a stare insieme. E’ una resa. Credo che ognuna di queste culture politiche per quanto ben organizzata non possa, da sola, andare da nessuna parte. Temo che andrebbe solo verso il suo esaurimento. Sento anche che alcuni altri ( pochi per fortuna) propongono di trasferirci armi e bagagli nel Pd : mi pare anche questa una proposta disperata e sbagliata. Se siamo uomini e donne di sinistra come potremmo ritrovarci in un partito che , per sua stessa ammissione non è e non vuole essere un partito di Sinistra?
Tutte le ipotesi che ho elencato rinunciano alla sfida che resta intatta davanti a noi e che ci è caduta addosso quando è nato il Pd : come e chi ridarà forza ad una sinistra in italia? Come ricostruirla?
E su quali basi? Dobbiamo tenere i nervi saldamente ancorati alla ragione perché in un momento tanto grave i gesti istintivi e frettolosi possono apparire più semplici, ma in genere sono sostenuti da poco pensiero e rischiano di diventare altri errori che si accumulano a quelli già fatti. Io penso che resti tutto intero davanti a noi l’obiettivo di una sinistra unitaria e plurale perché ritengo maturo ( anzi oramai quasi scaduto) il tempo nel quale le culture più storiche della sinistra possano convivere insieme a quelle più recenti e nuove ( quelle nate dall’ecologia scientifica, dal pensiero della differenza di sesso e dalla libertà femminile, dalla critica alla globalizzazione). E del resto quanti di noi interrogando la loro coscienza ( e anche la loro pratica politica quotidiana) potrebbero dirsi oggi solo e soltanto comunisti, o solo socialisti o soltanto verdi? Siamo molte culture ( ognuno di noi ne raccoglie nel suo intimo molte più di quel che ci diciamo) e insieme dobbiamo cercare di radicare nel paese una sinistra unitaria e plurale. Che non può essere la somma di tanti partitini e dei suoi gruppi dirigenti, ma un soggetto politico nuovo.
Per quel che attiene al progetto riparto anche qui da cose già dette :
“Se non si cresce non c’è nulla da ridistribuire. La crescita prima di tutto e il Pil come totem” Questo è stato il tema della campagna elettorale del PDL ma purtroppo è diventato anche il motivo dominante di quella del Pd. La Sinistra parte da altri presupposti: è una forza politica che vede il mondo e le sue contraddizioni globali e ha il coraggio di dire al Paese cosa deve crescere e cosa invece deve decrescere. Devono crescere, ad esempio,i servizi immateriali, i trasporti di merci su ferro e per mare e i mezzi pubblici per le persone, il risparmio energetico e le energie rinnovabili, il salario e gli stipendi, la sicurezza e il ruolo sociale del lavoro, l’agricoltura non modificata, le reti idriche, l’edilizia di manutenzione e di recupero , l’impresa sociale, i diritti. Devono diminuire le rendite, le speculazioni edilizie e finanziarie, l’uso di cemento che ci vede tra i primi Paesi nel mondo, il trasporto di merci su gomma, la dipendenza dal petrolio, il numero di automobili, la chimica più inquinante, le spese per armamenti ( che negli ultimi dieci anni toccano il picco). La chiave di volta è una idea di sviluppo fondata sulla riconversione ecologica di settori importanti della nostra economia. Una diversa concezione dei consumi,dei cicli produttivi e delle merci. Lanciare allarmi sui cambiamenti climatici e sui limiti delle risorse naturali non vale nulla se si rinuncia ad indirizzare lo sviluppo verso altri fini, anche attraverso indirizzi chiari e forti dello Stato in economia.
Il cambiamento del modello di sviluppo liberista è il nostro obiettivo e la riconversione ecologica dell’economia è l’insieme di riforme da mettere in campo per conseguirlo. Spesso la Sinistra non ha saputo vedere quanta giustizia sociale passi attraverso la riconversione ecologica, e ha sbagliato. Proviamo a pensare all’acqua. Di quale giustizia sociale si può mai parlare in un mondo nel quale una parte enorme di persone non ha accesso all’acqua e da qualche settimana neppure al cibo minimo? Che l’acqua resti un bene comune, un diritto, e che la gestione delle reti resti pubblica è una scelta precisa, di sinistra, redistributiva, antiliberista. Il Pil misura in modo indifferenziato la produzione di un Paese, non ci parla degli squilibri. Il Pil non misura i diritti e non li garantisce, non riequilibra le risorse, non ci parla di democrazia, non si cura della sicurezza sul lavoro, non ci dice che stiamo consumando troppo territorio agricolo, che cementifichiamo le coste ( vera risorsa per un turismo di qualità), che abbiamo il 40 per cento di acqua che si disperde . Il Pil è un indicatore nudo e crudo.
Lo consideriamo, ma non è la bussola della Sinistra. A noi interessa il benessere economico netto . Il disco rotto della crescita indifferenziata gira sul piatto da molti anni. E da molti anni nulla di buono cresce. Noi lavoriamo invece per l’aumento della qualità sociale e ambientale dello sviluppo. Se queste ( e molte altre ancora) sono alcune delle nostre idee, dalle quali derivano progetti di cambiamento che migliorano la vita delle persone, un altro nodo va sciolto al nostro interno.
Si tratta del fatto se la Sinistra alla quale pensiamo debba avere oppure no una cultura di governo. Che non vuole dire stare al governo. Io provengo da una forza politica, il Pci, che aveva una solida cultura di governo. Che sapeva misurarsi con tutti i problemi che i lavoratori, i cittadini, gli insegnanti, i tecnici, le città come organismi complessi presentavano. Si può stare all’opposizione con una solida cultura di governo e ottenere risultati importanti, si sta spesso al governo per anni senza ottenere alcun risultato e senza governare ( la Campania insegna). Ebbene io penso che una sinistra unitaria e plurale per diventare una forza popolare, radicata socialmente, presente sui problemi del territorio debba avere una cultura di governo su tutti i temi che si aprono davanti a noi in questo secolo così difficile. Nessuno escluso, anche quelli che ci imbarazzano di più o che vedono una nostra elaborazione assai scarsa. Parlerei di egemonia, una parola fondante per la sinistra, ma non vorrei aprire un confronto filosofico.
Da ultimo le forme, i modi, le relazioni, le nostre parole. L’unica forma per organizzare una forza politica di qualsiasi genere è la democrazia. Nessuno accetta più, a sinistra di vivere senza democrazia. Se la Pdl e il Pd hanno scelto il modello leaderistico e personale di tanti uomini soli al comando io ritengo che la Sinistra non possa farlo perché negherebbe in radice la sua natura. I modi sono quelli della trasparenza delle scelte, della partecipazione e dell’ascolto, del ritorno ad organizzazioni territoriali e a rete.
Le relazioni sono quelle tra le persone nelle quali si riconosce ad ogni livello e si rispettano le differenze e la presenza e la libertà di tutti e due i sessi. Le parole nuove ce le dobbiamo inventare tutti e tutte insieme, e non sarà facile perché spesso, parlando quasi sempre tra noi abbiamo assunto un linguaggio autoreferenziale e incomprensibile a chi ci ascolta, ai giovani in particolare. Vedo in questi giorni tentativi sommari di trovare capri espiatori, di consumare rese dei conti. Inutili pratiche, vecchie come il mondo.
Chiarito il percorso che vorranno fare tutti coloro che non sono disponibili a tornare dentro i recinti di prima allora democraticamente e con un forte collegamento con i territori dovremo trovare tutta la democrazia che serve per eleggere in modo trasparente chi dovrà portare più responsabilità di altri. Vendola nella sua intervista di ieri ha detto un nuovo gruppo dirigente che comprenda al suo interno anche una nuova generazione, e io concordo. Dice anche che si potrebbe pensare ad una direzione duale ( un uomo e una donna), può essere e sarebbe un fatto nuovo. Ma la condizione è che percorsi, programmi, persone vengano scelte con la democrazia e con il voto. Abbiamo fretta da una parte ma abbiamo anche un po’ di tempo. Rifondazione è alle prese con un dibattito congressuale difficile che io rispetto e che credo vada svolto. Ma pur seguendo con attenzione quella riflessione non è detto che nel frattempo si debba restare fermi.
Ripartiamo dal territorio, dai gruppi unitari che si sono formati in tante realtà, dalle case della sinistra, dalle associazioni che sono disponibili, dagli eletti nei comuni, nelle province e nelle regioni. Costruendo attorno a loro partecipazione , legame con i territori e discussione politica. Riuniamoci, compagne e compagni, diciamoci tutto quello che pensiamo…e poi, finite le critiche e le invettive, rimettiamoci in cammino.
*della Presidenza di Sinistra Democratica
da sinistra-democratica.it
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