SINISTRA DEMOCRATICA 2 (del dopo elezioni).

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POLITICA

Aria di guerra al Comitato politico nazionale di Rifondazione

Giordano, commosso, al suo "ultimo" intervento da segretario: "Ecco i nostri errori"

L'Arcobaleno muore, Rc va avanti

Sinistra tra diaspora e resa dei conti

In mattinata assemblea a Firenze per chiedere "un nuovo soggetto"

Bertinotti assente. Ferrero e Russo Spena con una loro mozione. A luglio il congresso

di CLAUDIA FUSANI

 
L'intervento di Franco Giordano, segretario dimissionario di Rc, al Comitato politico nazionale del partito
ROMA - Rifondazione comunista vive, diranno poi, i mesi a venire, come, in che forma e con quali alleati. La Sinistra Arcobaleno è morta, defunta, un mese e mezzo di vita, passerà alla storia come il simbolo che ha estromesso la sinistra dal Parlamento. Fatte queste premesse vale la pena segnalare che Bertinotti, il grande assente, strappa un applauso quando Franco Giordano, segretario dimissionario con tutta la segreteria di Rifondazione comunista, lo ringrazia per "essersi messo in gioco in prima persona".
Lo stesso Giordano ne strappa appena due, di applausi: glieli concede la platea del Comitato politico nazionale del suo partito per fargli coraggio quando la voce si rompe e non riesce ad andare avanti. Mentre dice: "Non possiamo permettere di smarrirci, dobbiamo - proprio adesso - tenerci stretto sia questo partito sia il progetto di un nuovo soggetto unico a sinistra. Rifondazione comunista può sopravvivere a una sconfitta elettorale ma non a una spirale di dissolvimento". E quando precisa: "Non ho mai detto di voler sciogliere Rifondazione comunista...sfido chiunque a trovare una mia dichiarazione in questo senso".

Ma a parte questi due momenti di solidarietà, il clima al Comitato politico nazionale di Rifondazione comunista è da resa dei conti. Finale e definitiva. Da ripulisti generale, via tutti i vecchi avanti i "nuovi". O meglio, via tutti quelli che in questi anni hanno sposato come un sol uomo la linea di Bertinotti e avanti con i riformisti - forse - ma duri e puri.

Auditorium di via dei Frentani, sabato pomeriggio romano quasi estivo. E' qui che Rifondazione va sempre a contarsi nei momenti che contano. Ed è qui anche oggi per questo Cpn (Comitato politico nazionale) che comunque vada, tra oggi e domani, segna la fine di una storia. E l'inizio - lo sperano in molti - di un'altra. Franco Giordano arriva solo, Gennaro Migliore anche, l'erede e il delfino di Bertinotti simulano sorrisi ma hanno facce tesissime. Gli altri, quelli che li aspettano al varco, dal ministro uscente Paolo Ferrero al capogruppo al Senato Giovanni Russo Spena sono già dentro. Sono loro che hanno chiesto il Cpn e che vogliono le dimissioni immediate della segreteria in vista del congresso di luglio. Giordano prende la parola alla 17 e 30. Potrebbe essere il suo ultimo discorso da segretario. A suo modo è un Comitato storico. Alle sue spalle è ricomparso il simbolo di Rifondazione comunista, la falce, il martello, il rosso, la scritta sinistra europea. Quello della Sinistra-Arcobaleno travolto dal voto, è scomparso. Per molti è già un passo avanti. Si ricomincia spesso da piccole cose che possono dare sicurezza. Un simbolo, per esempio.

Il funerale della Sinistra Arcobaleno. Il funeral party del simbolo che doveva riunire la sinistra massimalista è stata celebrato ufficiosamente stamani a Firenze. L'assemblea ("Sinistra unita e plurale") era stata convocata prima delle elezioni da intellettuali come Paul Ginsborg. Lo tsunami politico l'ha trasformata in una civilissima seduta di autocoscienza collettiva che ha stabilito un paio di cose. La prima: un nuovo soggetto unito e plurale a sinistra è "necessario". La seconda: gli applausi della platea indicano in Nichi Vendola, governatore della Puglia, il prossimo leader. Forse proprio perchè da lui arrivano le parole più dure: "Di fronte a fatti di questa importanza i nostri strumenti analitici e strategici sono asfittici, desueti, poveri, ce la caviamo solo con un pò di sociologia della catastrofe". Vendola, in linea con quello che dirà nel pomeriggio Giordano, avverte: "Evitiamo show down prima del congresso. Attenti alla parole perchè Rifondazione è un soggetto delicato".

Diliberto se ne va. I Verdi guardano al Pd? Della Sinistra-l'Arcobaleno resta in pratica solo Rifondazione. Diliberto e il Pdci risponde all'appello dei comunisti per una nuova unità comunista che potrebbe tenere un suo congresso a luglio. I Verdi - anche loro presto a congresso - sono con un segretario dimissionario e, soprattutto, senza una vera alternativa. Molti di loro stanno guardando al Pd. Il soggetto unico e plurale su cui continua a insistere Giordano, ma anche l'assemblea di Firenze, deve ripartire quindi da Rifondazione. Giordano è chiarissimo: "No alla costituente comunista, tragica regressione culturale e politica".
 
Nichi Vendola e Franco Giordano, futuro e passato di Rifondazione?

"Perchè abbiamo perso". Franco Giordano parla mezz'ora, inizia allentando il nodo la cravatta, finisce citando Andrè Gide. Inizia parlando di "assunzione collettiva di responsabilità", presentando la segreteria come "dimissionaria" e chiarendo che "tra di noi non ci sono nè vincitori nè vinti". Termina con un appello perchè Rc resti "unita" e "nessuno prefiguri adesso l'esito del congresso (10-11 luglio ndr) cedendo a forzature in nome di logiche politiche di parte".

In mezzo Giordano elenca senza pietà le tre cause della sconfitta. 1)"Non siamo riusciti a tradurre in azione di governo quello per cui abbiamo lottato e che avevamo promesso; abbiamo preteso sacrifici senza poi concedere alcun risarcimento sociale". 2) "L'utilizzo cinico e truffaldino dell'appello al voto da parte del Pd". Il terzo punto è quello "più grave" perchè "è il problema soggettivo, è la nostra difficoltà, quella per cui siamo stati percepiti come un residuo e un fuscello nella tempesta: abbiamo uno scarsissimo radicamento nel territorio". Il partito del popolo che non parla più col popolo perchè nel frattempo ha trovato le parole la Lega.

Rifondazione in mille pezzi. Giordano intiepidisce ma non scalda. Dopo di lui si iscrivono a parlare a decine. Finiranno domattina. Ma si capisce subito che quando domani saranno votate le mozioni quella di Giordano (comitato di gestione fino al congresso senza nessuno dell'attuale segreteria) non basta al parlamentino di Rifondazione. Paolo Ferrero, che in questi giorni ha messo alle strette Giordano, presenterà un documento politico insieme con la minoranza di Essere comunisti, guidata da Claudio Grassi per chiedere "un comitato di garanzia che guiderà il partito in vista del congresso". Non c'è molta differenza con la mozione Giordano. Ma è la fine dell'unità. Il segno della deflagrazione. "La cosa importante - spiega Ferrero - è che gli iscritti possano decidere su posizioni politiche chiare, senza ambiguità. Per noi l'importante è ripartire da Rifondazione e avanzare una proposta a tutta la sinistra". Una specie di federazione dove partiti e associazioni sono insieme "ma ognuno con la propria autonomia".

Correnti e scenari. L'annuncio di Ferrero mette a nudo giorni e mesi di divisioni all'interno di Rifondazione. Una volta la maggioranza del partito, circa il 70 per cento, era saldamente in mano a Bertinotti-Giordano-Migliore. Poi c'erano correnti minori come quella di Grassi (Essere comunisti) e l'altra di Pegolo, Giannini e Masella (l'Ernesto). Senza contare che in questi due anni Rifondazione ha perso per strada Sinistra critica e i trotzkisti. Nei venti mesi di governo le cose si sono complicate perchè Ferrero e Russo Spena si sono messi sempre più in contrapposizione con Bertinotti. Oggi infatti Ferrero se ne va con l'Essere comunisti, Russo Spena anche, Ramon Mantovani, molto arrabbiato, pure. In più prende forma una corrente di outsider, per lo più donne, capeggiate da Elettra Deiana, un po' la coscienza critica del partito che prima ancora che la Sinistra-L'Arcobaleno prendesse forma avvertiva: "Così non funziona, è una fusione a freddo che i nostri elettori non capiranno...".

Sono tutte le anime di una possibile diaspora che sarà ratificata domani alla fine del Cpn di Rifondazione. La domanda ora è: quale spazio per Rifondazione e il nuovo soggetto a sinistra tra il Pd e i comunisti?

(19 aprile 2008)

da repubblica.it

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L’Osservatorio

L’8% dei voti lumbard è «rubato» alla sinistra


La Lega è il partito che in queste elezioni ha visto il maggiore incremento di voti in assoluto: 1.300.000. La seconda forza nella graduatoria dell’accrescimento di consensi è, non a caso, l’Idv, con circa 700.000 voti in più: rappresenta la componente «radicale» del centrosinistra, così come la Lega lo è nel centrodestra. Ma il partito di Bossi non ha vinto solo perché ha saputo attrarre nuovi voti. Esso registra il valore massimo nel tasso di fedeltà, vale a dire nel mantenimento degli elettori già acquisiti nel 2006: quasi tutti (95%) hanno riconfermato la loro opzione. Infine, gli elettori della Lega sono stati i più «decisi»: è qui che si trova la più alta percentuale di chi dichiara di avere formato la propria scelta da molto tempo, indipendentemente o quasi dalla campagna elettorale. Proprio lo straordinario afflusso di voti «nuovi» e, al tempo stesso, l’elevata capacità di mantenere quelli vecchi, consigliano di evitare un’unica interpretazione delle motivazioni di voto.

La Lega è un fenomeno composito, dalle tante sfaccettature, e nelle origini del suo voto coesistono molteplici fattori. Che vanno dalla difesa degli interessi economici territoriali, al timore per le novità originate dalla globalizzazione e dal conseguente arrivo di «diversi», sino a ragioni più direttamente legate alla collocazione politica del partito. Ciò suggerisce di distinguere diversi «tipi» di voti leghisti a seconda del prevalere dell’una o dell’altra motivazione. Un primo segmento è costituito da votanti «storici», consolidati nel tempo, spinti soprattutto dall’identificazione col territorio e dalla percezione di questo come prevalente su altre identità. Si tratta dell’elettorato che potremmo definire «padano», assai radicato nelle zone tradizionali della Lega e mosso per lo più dalla difesa degli interessi territoriali economici, specie quelli connessi alla fiscalità. Esso costituisce la maggioranza relativa — grossomodo il 40%— degli attuali votanti per la Lega.

Per un’altra parte di elettori tradizionali della Lega (cui si è aggiunta in queste consultazioni una quota di votanti che nel 2006 si era astenuta), la scelta è più determinata dall’insicurezza sociale, assieme alla paura suscitata del processo di globalizzazione e, soprattutto, dalla conseguente ostilità verso il «diverso», in particolare, verso gli immigrati. È la componente che potremmo definire «xenofoba»: corrisponde al 20% circa dell’attuale elettorato leghista. Entrambi questi settori sono sostanzialmente slegati dal continuum sinistra-destra, in quanto non si identificano con nessun segmento di quest’ultimo o, semmai, si definiscono «di centro». Viceversa una terza, importante, componente, si autocolloca esplicitamente nel centrodestra. Sono gli elettori transfughi da Forza Italia e, in misura minore, dall’Udc, che, in questa occasione, le hanno abbandonate per dare una maggiore radicalità alla propria scelta, pur mantenendo il proprio posizionamento politico.

La motivazione è stata prevalentemente economica, legata alla percezione di lentezza e di inefficienza dello Stato centrale e anche sollecitata, da ultimo, dal «caso Malpensa». Sono stimabili più o meno nel 30% dell’attuale elettorato leghista. C’è, infine, un ulteriore segmento di «nuovi» elettori leghisti, assai meno numeroso, ma molto significativo. Si tratta dei votanti provenienti dalla sinistra, in particolare da quella estrema. Che l’hanno lasciata per dare il voto ad una forza ritenuta più efficace nel difendere i loro interessi. Si tratta dell’8% circa dell’elettorato leghista. Solo un’analisi che tenga conto di questi diversi gruppi coesistenti può dar conto appieno del successo del Carroccio in queste elezioni. Non esiste, insomma, una lettura univoca del fenomeno leghista.

Renato Mannheimer
20 aprile 2008

da corriere.it

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Vendola: «non rinserrarsi nel fortino delle antiche certezze»

Ferrero: ripartire da opposizione sociale

Al comitato di Rifondazione vince la linea dell'ex ministro che critica la linea di Giordano.

La segreteria si dimette

 
ROMA - «Bisogna ripartire da un'opposizione sociale al governo Berlusconi e provvedere al rilancio del Prc dentro una sinistra plurale». Paolo Ferrero analizza la secca sconfitta elettorale delle sinistre e butta lo sguardo sulle prospettive future. Nessuna ricerca di un capro espiatorio, ma la linea politica della segreteria di Rifondazione comunista «è fallita», spiega l'ex ministro della Solidarietà sociale, e ora bisogna «ricostruire la sinistra sul piano sociale, rilanciando il Prc nell’aggregazione di sinistra più ampia».

COMITATO DI GARANZIA - Intanto la segreteria nazionale di Rifondazione comunista guidata da Franco Giordano si è ufficialmente dimessa dalla guida del partito. Il comitato politico nazionale ha approvato a larga maggioranza le dimissioni del gruppo dirigente e ha eletto proporzionalmente ai consensi ricevuti un comitato di garanzia per l'attività ordinaria del partito. Il comitato sarà composto da sei rappresentanti della nuova maggioranza guidata da Ferrero (insieme a Claudio Grassi), cinque componenti del gruppo rappresentato dall'ex segretario Franco Giordano e da Nichi Vendola e un esponente della minoranza dell'Ernesto. Il dispositivo prevede la convocazione del prossimo comitato politico per il 3 e 4 maggio mentre il congresso straordinario del partito si terrà dal 17 al 20 luglio. «È stata una discussione sofferta e difficile. L’elemento positivo è che ora Rifondazione ha un indirizzo politico, non si scioglie, si prosegue verso la costruzione di una sinistra più ampia senza scorciatoie. Ora dobbiamo costruire l’opposizione sociale a Berlusconi e all’aggressione di Montezemolo» ha detto Ferrero in conclusione di seduta.

GIORDANO - «Sono convinto che al congresso possa prevalere la cultura del Prc - è il commento di Franco Giordano -. Nel nostro documento c’è tutta intera la storia e l’apertura alla società del Prc e aggreghiamo personalità importanti come Nichi Vendola e Gennaro Migliore. Nell’altro documento, quello di Ferrero e Grassi, non ci sono i capisaldi del Prc: non c’è la nonviolenza, non c’è il rapporto con i movimenti, mi pare più un cartello elettorale». A chi gli chiede se sia ipotizzabile una scissione dopo il congresso, Giordano risponde: «Assolutamente no perché dovremo scinderci da quello che abbiamo costruito».

BARBARIZZAZIONE - Ferrero ribadisce dunque le critiche alla linea «bertinottiana» di Giordano, pur sgombrando il campo da quelli che chiama «elementi di barbarizzazione». «Io sono tra i massimi responsabili della sconfitta: non cerco capri espiatori, ho condiviso il percorso politico, non barbarizziamo il dibattito». Ma c’è stata «una sconfitta pesante, nel punto fondante del rapporto tra la sinistra e la società: la gente non ha capito a cosa serviva votare la Sinistra arcobaleno. Nelle ultime settimane di campagna elettorale è diventata soggetto unico, in alcuni casi partito unico, si è parlato di comunismo come tendenza culturale e della necessità di superare i partiti come se fossero degli ostacoli». Per Ferrero «la colpa di Franco Giordano non è stata quella di portare avanti questa linea, ma di non contrastarla: se avessimo preso l’8% alle elezioni ora non staremo facendo questa discussione. Per questo ho chiesto con durezza la riunione di questo comitato politico: c’è Diliberto che propone la costituente comunista, c’è stata l’assemblea di Firenze, la politica non aspetta. La partita si gioca nelle prossime settimane».

VENDOLA - Diverso il punto di vista di Nichi Vendola, governatore della Puglia e anche lui candidato alla segreteria del Prc. Secondo lui bisogna ritrovare un'idea di Paese senza rinserrarsi «nel fortino delle antiche certezze», a cominciare dalla forma partito «come se fosse un dato in sé». Vendola interviene al comitato politico di Rifondazione assicurando che «ognuno farà la sua parte, anche io, per rimettere in piedi questa comunità». Il probabile sfidante di Ferrero inizia il suo intervento mettendo in guardia dal compiere «un’analisi della sconfitta che guarda solo alla superfice e alla fenomenologia dei comportamenti del gruppo dirigente. La realtà è che questo voto è un’autobiografia della nazione: improvvisamente ci rivela in modo imprevisto la società italiana», che ha subìto un mutamento radicale e che ha lasciato il Prc spiazzato». Interessante, per Vendola, quello che succede al nord dove la mancanza di un’identità trova risposta solo nella Lega. Rifondazione deve dunque ritrovare «un’idea del Paese, fermarsi a discutere sulla geografia dei lavori e sulla costruzione delle forme della politica».


20 aprile 2008

da corriere.it

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POLITICA

Il Parlamentino di Rifondazione muove le prime mosse verso il difficile futuro

Vendola: "Spaccare non serve, guardare avanti e non chiudersi in un fortino"

Rifondazione, vince la linea Ferrero nel partito cambia la maggioranza

Passa con quasi 30 voti di scarto il documento del ministro

Sconfitta la proposta del segretario dimissionario Giordano

di CLAUDIA FUSANI


ROMA - Finisce male. Comunque. Dopo la sconfitta elettorale Rifondazione va in pezzi in nome della difesa di non si sa bene cosa e di un progetto vago come può essere quello contenuto tra il no alla costituente comunista e sì a quella di una sinistra allargata. Finisce con un parricidio, quello di Fausto Bertinotti e della sua segreteria - da Franco Giodano a Gennaro Migliore passando per Patrizia Sentinelli - cacciati senza se e senza ma. E con una nuova maggioranza affidata al ministro dimissionario Paolo Ferrero e a Giovanni Russo Spena e alle minoranze più radicali come "Essere comunista" di Claudio Grassi e "l'Ernesto" di Fosco Giannini. E' l'anima più conservatrice del partito, quello che non ha mandato giù due dei leit motiv della campagna elettorale di Bertinotti: l'ipotizzato scioglimento di Rc nella Sinistra-l'Arcobaleno; quel dire che il comunismo è ormai "un orientamento filosofico e culturale". Saranno loro a condurre quel che resta di Rifondazione al congresso di luglio. Finisce tra l'emozione di Franco Giordano, segretario per neppure due anni (fu eletto nel maggio 2006) e l'assenza drammatica di Fausto Bertinotti. Sul palco dell'auditorium di via dei Frentani resta un simbolo, la falce e il martello di Rifondazione. Basterà per ricominciare?

Alle 18, dopo una giornata tesissima in cui fino in fondo Giordano e Nichi Vendola hanno cercato un punto di mediazione e si sono appellati al buon senso per evitare oggi, adesso, una guerra per bande, la segreteria di Giordano non ha più la maggioranza del partito. Il Comitato politico nazionale di Rc, costretto a votare due mozioni - per la verità non così diverse l'una dall'altra - sceglie Ferrero e l'area di "Essere comunisti" con 98 voti. Quello di Giordano resta fermo a 70 consensi. Il documento presentato dall'aerea dell'"Ernesto" prende 16 voti, quello di Bellotti 5, e quello di Franco Russo 1. Quattordici gli astenuti, un'altra frangia del partito che ha seguito l'appello di Elettra Deiana. Nel comitato di garanzia - obiettivo a cui tendevano entrambi i documenti - che guiderà il partito al congresso di luglio (17-20) saranno tutti rappresentati in proporzione rispetto ai risultati del parlamentino di ieri e oggi. Dodici persone quindi di cui 6 che fanno capo a Ferrero, 5 all'area dell'ex segretario Giordano e uno dell'area dell'Ernesto.

E' finita come tutti temevano che andasse a finire. Il segretario dimissionario Franco Giordano aveva letto ieri la sua relazione, aveva parlato della sconfitta di tutti e aveva proposto un comitato di saggi neutrale e superpartes, precluso agli attuali membri della segreteria, per condurre per mano il partito al congresso. Un partito che comunque deve dire no alla costituente comunista proposta da Diliberto e sì a quella di una nuova Sinistra. Per il partito della Rifondazione comunista il ruolo di essere il centro e il motore di questo processo.

Poteva essere una buona soluzione per tutti, anche per i più arrabbiati. Anche per chi, come Ramon Mantovani, da giorni dice: "Il frequentatore dei salotti deve andarsene a casa". Ma Ferrero stamani ha fatto quello che aveva promesso. Quando ha preso la parola sul podio sovrastato dal simbolo storico di Rifondazione comunista, è stato durissimo col segretario. Nonostante la chiacchierata tra i due, a quattr'occhi, durante la pausa caffè, lo ha messo con le spalle al muro. "La sua colpa non è stata quella di portare avanti una linea ma di non averla contrastata. Ho apprezzato che abbia cambiato idea circa il destino di questo partito ma al tempo stesso mi domando se avessimo fatto lo stesso questa discussione nel caso avessimo preso l'8 per cento. Questo gruppo dirigente va azzerato perché il partito nei prossimi mesi deve sapere se esiste o no e deve capire cosa fare". Le colpe di questa segreteria sono varie, ma più di tutte "l'aver detto che il comunismo era destinato a diventare un orientamento filosofico" e aver messo in dubbio la sopravvivenza stessa di Rifondazione. Per non parlare poi del simbolo: "Fare la campagna elettorale con quell'arcobaleno è stato un suicidio" aveva detto un altro delegato. Sul futuro Ferrero sembra avere le idee chiare: "Rinsaldare il ruolo di Prc in una sinistra più ampia contro costituenti comuniste o di sinistra che rischiano di spaccare e sono la negazione del progetto politico di Rifondazione". Insomma, Ferrero come garante etico della nuova mission di Rc. Un ruolo che non è piaciuto e che proabilmente gli ha tolto qualche voto. Elettra Deiana, infatti, ha a sua volta attaccato sia Ferrero che la gestione Giordano e ha chiesto "l'astensione dal voto sulle due mozioni e la costituzione di un Comitato di garanzia neutrale che organizzi il congresso".

Sempre stamani, era toccato a Nichi Vendola. Il governatore della Puglia ha provato in tutti i modi a mettere in guardia da spaccature e lacerazioni, soprattutto in questo momento di grande debolezza. E ha avvisato: "Guai a chiudersi. Dobbiamo rimettere in piedi una comunità a cui dare come orizzonte l'innovazione e non un fortino delle antiche certezze in cui rinserrarsi".

Ci sono le premesse per una nuova scissione a sinistra? Era il timore più forte della vigilia del Cpn. Tutto sommato il parlamentino, pur mettendo in minoranza Giordano e quindi Bertinotti, non ha loro totalmente voltato loro la faccia. Resta da capire chi sarà il competitor di Ferrero per la segreteria visto che Nichi Vendola continua a ripetere di voler finire il mandato in Puglia. Ferrero nega ogni interesse in questo momento ("non è questo il problema e io non mi sto candidando alla segreteria") ma molti sono sicuri che a luglio proverà a farsi eleggere segretario. Lo dice chiaro, alla fine, Giordano:"Il nostro documento ricorda la storia di Rifondazione comunista, le sue passioni e le sue aperture: nell'altro documento non vedo nessuno di questi capisaldi, mi sembra più un cartello elettorale".

(20 aprile 2008)

da repubblica.it

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Ingrao: «Basta recriminare, dobbiamo salvare Roma»

Simone Collini


Pietro Ingrao confessa di vivere «con rabbia e con dolore» la situazione politica che si è venuta a creare dopo il 14 aprile. «C’è stata una vittoria delle forze reazionarie raccolte intorno a Silvio Berlusconi e di questo successo di una brutta destra, e delle sue fonti, bisognerà fare un’analisi cruda e approfondita», dice lo storico leader comunista. «Ma guai a rassegnarsi o a considerare la partita conclusa».

«Ci sono questioni brucianti tutt’ora aperte - sottolinea Ingrao - prima fra tutte la lotta per la guida di Roma».

È questa secondo lei la priorità, ora?
«Sono necessarie, contemporaneamente, un’analisi approfondita e di massa delle cause della sconfitta e un tornare in campo, un rilancio della lotta, innanzitutto per le elezioni del sindaco della Capitale. Roma è città simbolo, e oggi la scelta di chi dovrà dirigere il Campidoglio assume una doppia valenza: per il domani di questa metropoli così radicata nella storia d’Italia e del mondo, e per gli sviluppi dell’aspro scontro aperto con la destra berlusconiana».

Una destra diversa da quella che vinse nel 2001, con una Lega più forte. Una destra peggiore sostiene la sinistra.
«Sì, è peggiore. E del resto a questa deriva reazionaria non ha resistito nemmeno la relazione con un moderato come Casini».

È preoccupato per quello che potrà fare il prossimo governo?
«Purtroppo sì. E mi sembra che sia non abbastanza forte l’allarme per questa deriva autoritaria di schietta marca berlusconiana. Forse non tutti, nella sponda democratica, hanno capito bene tutto il rischio di questo blocco reazionario a cui hanno dato vita Berlusconi e Bossi».

Per alcuni commentatori la Lega abbandona i tratti a cui ci ha abituato nel passato e ne assume di più istituzionali. Lei che dice?
«A me sembra di cogliere anche nelle file democratiche una tendenza a leggere la Lega come un buffo folklore. Sarà che ho una chiusura paesana, perché invece io sono colpito dall’intensità con cui si è allargata la connotazione reazionaria dei bossiani».

Che risposta va data a questa destra?
«Noi, forze dell’opposizione, siamo chiamati in questi giorni, direi in queste ore, a sviluppare una doppia azione: capire e rendere chiare le cause della nostra sconfitta e contemporaneamente impegnare compattamente tutte le nostre forze per la prova di Roma e per quelle delle altre città in cui si torna subito a votare. Non ci sono consentiti ritardi o esitazioni».

Parla col “noi”: per la prima volta nella storia repubblicana, in Parlamento non ci saranno esponenti di partiti comunisti e socialisti.
«È un dato su cui non c’è stata finora un’adeguata riflessione. Eppure io mi ricordo che svolta e che emozione per noi quando, cacciati i tedeschi da Roma, nelle nuove assemblee elettive entrarono finalmente anche i “rossi”, quelli che venivano da Gramsci...».

Nelle forze della Sinistra arcobaleno si è aperto un vero e proprio scontro sulle cause della sconfitta. Secondo lei è ciò di cui c’è bisogno, adesso?
«Non propongo né a me né ai miei compagni e amici il silenzio sulle cause e le responsabilità della sconfitta. Vengo da una storia di aspre battaglie anche interne alla mia parte, forse c’era anche una pesante inclinazione a “punizioni” pesanti e affrettate. Ma io credo, spero, che noi della sinistra abbiamo anche imparato qualche cosa dai nostri errori del passato».

Cosa vuole dire?
«Ho una formazione leninista-stalinista. Ho vissuto in Italia le vicende straordinarie e talvolta eroiche con cui la componente comunista ha animato nel mio Paese, ma più largamente nel vasto mondo, una lotta epica per i diritti dei lavoratori. E tuttavia quella lettura e pratica del mondo, che chiamammo leninismo, è stata sconfitta. E oggi io e tanti altri miei compagni sappiamo bene per quali errori pesanti si determinò il crollo».

Tornando alla sinistra e applicando il suo ragionamento all’oggi?
«Lo scontro con la destra reazionaria è tutt’ora in corso, e anche il confronto elettorale è ancora in atto in molte città italiane. Per me questo passa avanti a tutto. Può anche darsi che dentro di me ciò sia radicato nell’antica, ostinata tensione che avevamo per realizzare l’unità, quella parola scelta addirittura a nome e simbolo del nostro giornale...»

Però è innegabile che errori a sinistra sono stati commessi, non c’è da stupirsi se ora si avverte la necessità e l’urgenza di capire...
«Ripeto, non sto chiedendo il silenzio. Anzi. La stessa battaglia aperta per Roma e altre città italiane chiede una iniziativa fresca e rapida per realizzare ciò che ci è mancato per la vittoria. Seppure da lontano, riesco a vedere le carenze, le divisioni, i silenzi che ci hanno fatto male. Ma dico un duro no alla rissa interna nelle nostre file».

Insiste molto sul ballottaggio di domenica: che ne è delle questioni di più ampio respiro a cui si è dedicato?
«Questo è il primo passo, necessario, ma è chiaro che l’amara vicenda italiana non cancella per nulla - non deve cancellare - lo scontro che continua nel vasto mondo: scontro a mano armata. In luoghi cruciali del globo tuttora si spara: nei modi della moderna “uccisione di massa”. Sembra incerto persino il luogo in cui si terranno le Olimpiadi. Le dimensioni della lotta hanno questi connotati. È viva in me l’amarezza per la scomparsa di quella nozione solenne e dimenticata che usammo chiamare: pace. Chi spera ancora nella pace?».

È la cosa che più la turba?
«Questa, sì. Ma resto turbato anche da questioni - come dire? - più semplici. Ostinatamente (forse ottusamente...) non riesco a capire perché siano ancora in campo istituzioni umane (chiamiamole così...) come la pena di morte, o anche l’ergastolo. Non le capisco nemmeno quando vengono usate contro gli assassini o i massacratori come quel tale Saddam Hussein...».

I difensori della pena di morte sostengono che sia per scoraggiare gli assassini.
«Scoraggiare uccidendo... Che straordinaria invenzione. Quante ne sappiamo inventare noi esseri umani».


Pubblicato il: 22.04.08
Modificato il: 22.04.08 alle ore 9.37   
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