SINISTRA DEMOCRATICA 2 (del dopo elezioni).

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28/7/2008
 
Generazione perduta
 
 
 
 
 
ANTONIO SCURATI
 
Non bisogna fidarsi di nessuno che abbia più di trent’anni». Di fronte allo spettacolo senile e crepuscolare offerto dal congresso del Prc, verrebbe voglia di appropriarsi del motto dei rivoluzionari cubani che abbatterono Batista. Ma ce ne manca il fegato, e l’ardore. Primo perché i rivoluzionari in teoria dovrebbero essere loro, questi anziani signori sconfitti, litigiosi e spenti, secondo perché anche noi giovani scontenti, a furia di sperare nel rinnovamento della sinistra, abbiamo valicato da tempo la dorsale dei trent’anni. Il balletto di mozioni congressuali plurime, di odi di fazione, di scambi di voti a scrutinio segreto, di imboscate fratricide andato in scena a Chianciano ha la cadenza mesta di una danza macabra.

L’ostinata renitenza dei cosiddetti leader della sinistra che fu comunista a ogni ipotesi di ricambio generazionale è l’acuto finale del cupio dissolvi. In un clima di drammatico rischio d’estinzione di una gloriosa tradizione, emerge la figura di un leader di «nuova generazione», Nichi Vendola, che per caratteristiche personali e per storia politica potrebbe guidare la riscossa: un uomo del Sud che, pur del tutto anticonvenzionale, ha coraggiosamente strappato alla destra un suo feudo elettorale grazie all’entusiasmo popolare. Uno che odora di vittoria. I suoi compagni di partito che fanno? Fanno di tutto per affossarlo, a costo di gettare terra sulla propria sepoltura. Qui non si tratta di biasimare gli «stanchi riti della vecchia politica». Ad avvilirci è la loro monotonia ossessiva. Quegli anziani signori a congresso sembrano appassionarsi solo ai riti funebri; paiono aver dimenticato ogni gusto per quelli battesimali o propiziatori.

È lo sconforto di una generazione questo che ci prende. Una generazione perduta alla politica. Se per politica s’intende la possibilità individuale di agire nell’orizzonte grande della storia collettiva. Prima, negli Anni 70, un’infanzia funestata dalle foto segnaletiche dei terroristi di sinistra trasmesse dai tg. Poi, negli Anni 80, un’adolescenza «rieducata» dall’ideologia iperconsumistica delle tv commerciali. Questa l’educazione politica toccata alla generazione dei nati alla fine degli Anni 60, la mia generazione. Arrivati alla soglia dei vent’anni, incontrammo la fine di un’epoca iperpoliticizzata e iperideologica. Anche quelli che, per inclinazione caratteriale o provenienza familiare, si sarebbero sentiti vicini alla storia della sinistra, e dunque alla passione politica vissuta come impegno in prima persona, si affacciarono alla vita adulta con l’atteggiamento disincantato e sfiduciato dell’orfano. Il crollo del Muro di Berlino ci colse a gozzovigliare davanti alla tv, con un bianchino in mano e il sarcasmo obbligatorio in bocca. Nemmeno fosse una serata del Festival di Sanremo. Io, cresciuto a Venezia, di quella notte ricordo solo la battuta di un mio amico che sembrava nato già mezzo ubriaco. Abbandonò per un attimo la ciacola con le ragazze, gettò uno sguardo divertito al televisore e commentò: «Varda quel mona col picón».

Se rievoco quest’episodio apparentemente incongruo, è perché quella notte finì un’epoca della politica ma per la mia generazione non n’è mai iniziata un’altra. Non a sinistra, quantomeno. Siamo entrati nella vita adulta con la sensazione che nell’arena politica non ci fosse niente per noi e niente di noi: nessuno spazio, nessun riconoscimento, nessun nostro leader, nessun nostro progetto, nessun godimento. Quella sensazione ci accompagna ancora mentre ci avviamo ai quarant’anni. Si è corroborata fino a diventare abitudine e vi hanno contribuito tanto la tracotante volontà di potere della nuova destra quanto il decadente cupio dissolvi della vecchia sinistra.

Ci abbiamo fatto quasi il callo oramai. Siamo a un passo dal cinismo, l’ultima spiaggia della rassegnazione. Anche di fronte allo spettacolo di questi distruttori mascherati da rifondatori, sarei tentato di dire, come quel mio amico di tanti anni fa: «Varda quel mona col picón».
 
da lastampa.it

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28/7/2008
 
Piccolo mondo antico
 
 
RICCARDO BARENGHI
 
La storia non finisce mai, ma a volte mette la retromarcia. Una retromarcia così vistosa, così rapida, così spericolata che l’automobile potrebbe anche sbattere irrimediabilmente contro un muro. Questo rischia di accadere a Rifondazione comunista, vista la conclusione del congresso di Chianciano. Oppure, già che siamo in clima comunista (molto comunista), possiamo anche parafrasare Lenin e dire che il partito che fino a ieri è stato di Bertinotti, e che da oggi è di Paolo Ferrero, fa un passo indietro per farne altri due indietro.

La sconfitta di Nichi Vendola, che pure aveva ottenuto la maggioranza relativa ma non quella assoluta necessaria per diventare segretario, è una sconfitta che significa la cancellazione di tutto quello che è stato - nel bene e nel male - il partito guidato da Bertinotti. Con le sue svolte culturali e politiche, la rottura con la tradizione comunista più ortodossa, la scelta della non violenza, i rinculi movimentisti e a volte estremisti, ma anche la decisione di allearsi con il centrosinistra per tentare addirittura l’avventura del governo (avventura però fallita). Una sconfitta che cancella anche qualsiasi ipotesi di alleanze future, dal Pd a quel che resta della sinistra radicale (tranne forse con i comunisti duri e puri di Diliberto). Niente di tutto questo, la Rifondazione di Ferrero sarà un partito autarchico, molto identitario (dove l’identità sta nell’essere comunisti, che poi nessuno è ancora riuscito a spiegare che diavolo significhi nel terzo millennio), che non guarda la sfera della politica ma passa oltre per immergersi nel «bagno purificatore» del sociale e magari del giustizialismo di Di Pietro, che con la tradizione rifondarola non c’entra nulla «ma che almeno fa opposizione». Un partito che riscopre antiche parole d’ordine, slogan e inni che solo a sentirli non fanno venire nostalgia di un passato remoto ma glorioso, semmai provocano la sensazione sgradevole di non sapere più dove si sta, in che mondo si vive, in quale periodo storico. E soprattutto per fare che (ancora Lenin), con chi, quando, come...

Un tuffo all’indietro, insomma, a occhi chiusi e senza neanche sapere se sotto c’è un po’ d’acqua. Non indirizzato verso la tradizione comunista italiana, insomma il Pci, ma molto più modestamente ai quei gruppi extraparlamentari degli anni Settanta (e pure a quelli meno innovativi) che se non funzionarono allora, figuriamoci oggi. Mettendo oltretutto insieme pezzi sparsi che non c’entrano nulla l’uno con l’altro, vecchi militanti di Democrazia proletaria (appunto Ferrero e Russo Spena) con uomini nati e cresciuti nel Pci e poi nella Rifondazione cossuttiana (Grassi e Burgio), improbabili trotzkisti e comunisti anti-imperialisti, qualche scampolo stalinista. Una maggioranza fatta ad hoc, costruita artificialmente per battere Vendola, Giordano, Bertinotti.

I quali escono da questo congresso non solo sconfitti ma anche increduli, come se avessero scoperto solo oggi che genere di partito è il loro (o forse era, chissà quanto resisteranno lì dentro). E qui una qualche responsabilità dell’ex leader e di tutti quelli che per quattordici anni hanno gestito Rifondazione non manca, anzi. Cosa facevano, dove guardavano, chi pensavano di rappresentare mentre il loro partito gli si trasformava sotto gli occhi, cambiando così radicalmente natura? Un accenno di autocritica (altro concetto caro al comunismo storico) sarebbe stato gradito. Purtroppo non c’è stato.
 
da lastampa.it

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Fava: «Bandiera Rossa? È come fare la guardia al proprio museo»

Eduardo Di Blasi



Il Congresso di Rifondazione, spiega il portavoce di Sd Claudio Fava, ha fatto chiarezza.

Non tanto per la vittoria di Paolo Ferrero quanto perché, dall’altro lato «prende ancora più forza e più urgenza la necessità di organizzare a sinistra un incontro tra storie, culture, sensibilità, linguaggi, che hanno scelto la sinistra non come museo ma come luogo di trasformazione del presente, laboratorio politico». Parla alla minoranza di Nichi Vendola, ma non solo. «Bandiera Rossa non è una scelta politica, è una fuga dalla politica. Da questa parte può e deve esserci l’idea di un sinistra che riorganizza profondamente sè stessa».

I congressi di luglio hanno visto tutti i partiti stringersi attorno alla propria idea forza...
«L’idea forza di un partito è tale quando produce anche effetti sul piano elettorale. Con il voto di aprile gli elettori ci dicono che non si sentono rappresentati da partiti ridotti a segmenti brevi, minuti, autoreferenziali, e che vogliono una sinistra che sia capace di rappresentarli spostando in avanti il ragionamento sulle identità. Credo che il congresso di Rifondazione, in questo senso, aiuti ad una maggiore verità nel dibattito politico. Tra chi sceglie Bandiera Rossa e chi sceglie di riorganizzare la sinistra in un campo molto più vasto e inclusivo».

Il tempo che avete a disposizione non sembra molto.
«O questo progetto parte subito, o questo laboratorio comincia a riempirsi di contenuti, oppure ricadiamo nel politicismo, nel tatticismo, nell’analisi delle convenienze. Noi siamo stati seppelliti dalle nostre contabilità elettorali e dai nostri tatticismi. E dovremo sentire un po’ più il cuore della nostra comunità che ci dice “mai più ciascuno a guardia del proprio museo”. Tutto questo va fatto subito».

Un’occasione?
«Io penso all’Abruzzo come un primo appuntamento non solo elettorale ma anche politico. La giunta in Abruzzo è scivolata rumorosamente sulla sovrapposizione tra ceto politico e potere locale. Su un tema tragico e fondamentale come la Sanità, che da diritto pubblico diventa profitto privato, è scivolata manifestando l’assoluta assenza di un’etica civile nella politica. E quindi non si tratta solo di scegliere il primo appuntamento elettorale».

Il problema abruzzese tiene dentro anche il timore di riconsegnare la Regione al centrodestra. Di Pietro è intenzionato ad andare da solo...
«Nessuno può stare in campo da solo. A meno che non scelga di stare in campo soltanto per vanità personale. Il centrosinistra può riorganizzarsi in Abruzzo, ma deve riorganizzarsi a partire da un azzeramento di tutte le gerarchie pregresse. Il centrosinistra in Abruzzo, più che altrove, non può avere padroni di casa e ospiti. Questo vale per il Pd come per Di Pietro».

Uno dei temi della sinistra che ha vinto il congresso del Prc è quello di spostare il “conflitto”...
«Il limite di questo gruppo dirigente del Prc è che assume il conflitto come parola onnivora, singolare, capace di rinchiudere dentro di sè una realtà sempre più complessa. Noi parliamo di “conflitti”. Questo è un tempo in cui la politica si deve fare carico di questa complessità e deve assumersi la rappresentanza di tutti i conflitti, non solo del conflitto più ortodosso, più tradizionale, che è il conflitto di classe. Questa è una lettura semplicistica, consolatoria, ma inadeguata a leggere il Paese reale».

L’obiettivo di Sd era quello di tenere insieme la Sinistra, a distanza di un anno e più dall’ultimo congresso dei Ds a che punto è la notte?
«Il punto più cupo è stato il 14 aprile. Da quel voto abbiamo ricevuto una lezione che ci chiede di riorganizzare la sinistra su di un piano di verità, di innovazione, di critica del presente e del passato, di capacità di rischio, di fantasia politica, di inclusività. Alla fine di quest’anno possiamo dire che sappiamo cosa non dobbiamo fare».

Pubblicato il: 29.07.08
Modificato il: 29.07.08 alle ore 8.17   
© l'Unità.

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POLITICA

Cosa sta prendendo forma nella galassia del radicalismo italiano

Una formazione sotto la falce e al martello. Un'altra progressista, riformista e verde

La sinistra dopo il congresso Prc

Tra il Pd e la "dacia" di Diliberto

Il sondaggio di Repubblica.it: per la maggioranza dei lettori a sinistra del Pd c'è spazione per un solo partito

di CLAUDIA FUSANI

 

ROMA - Che ne sarà adesso dei quattro partiti che avevano dato vita al progetto, fallito, dell'Arcobaleno? Il mese dei congressi di Sinistra democratica, Comunisti italiani, Verdi e - più di tutti - Rifondazione, doveva dare risposte e indicazioni. Delle prime non si vede traccia. Le seconde abbondano. E la fotografia che abbiamo sotto gli occhi resta ancora molto sfuocata anche se definita da confini abbastanza certi.

Il sondaggio. L'umore dei lettori è misurato da un sondaggio di Repubblica. it (a cui è ancora possibile rispondere) lanciato dieci giorni fa. Un quesito e cinque opzioni di risposte: "E' il mese dei congressi delle forze politiche che facevano capo alla Sinistra Arcobaleno. Secondo voi, a sinistra del Pd: 1) C'è spazio per una sola forza politica; 2) c'è spazio per un partito di sinistra e per uno ambientalista; 3)non c'è spazio per altri partiti; 4) possono esistere solo i movimenti; 5) non so". La maggior parte dei lettori (50% su 33 mila risposte) dice che c'è spazio per una sola forza politica. A ruota (23%) si affaccia l'idea di un partito di sinistra e di uno ambientalista. Il 14% è convinto che, a sinistra del Pd, ci possano essere solo i movimenti; l'11 per cento che non c'è spazio per altri partiti.

La nebulosa. Il sondaggio, che non ha alcuna pretesa di scientificità, va verso la semplificazione del quadro politico. L'opposto di quella che è la situazione nella sinistra radicale dopo un mese di congressi e scelte di linee politiche. Più simile a una nebulosa che a una costellazione. Un quadro che gli stessi segretari appena eletti, confermati o sconfitti, preferiscono maneggiare con cura. Ma che devono affrontare il prima possibile

La nebulosa, quindi. E' dominata da due poli "attrattivi" , uno più spostato verso il centro - il Pd - e uno più verso l'estrema sinistra, la sinistra radicale dove - semplificando - domina la falce e il martello. E' più semplice partire da qui, dai pugni chiusi, da Bandiera Rossa e da quello che è stato definito "armamentario da vecchio museo".

La dacia di Diliberto. Qui, in qualche modo, il padrone di casa sembra essere Oliviero Diliberto, appena riconfermato segretario dei Comunisti italiani, la scelta del ritorno al "centralismo democratico", cioè divieto di ogni corrente. Il sogno di Diliberto è: "Comunisti uniamoci", romanticamente, sotto la stessa dacia. Il professore non ha commentato più di tanto la vittoria di Ferrero e della prospettiva comunista. "Sono certo - ha detto al neoeletto segretario di Rifondazione - che da oggi possa iniziare un percorso comune, un periodo di fattiva collaborazione fra i due partiti". C'è, ad esempio, la manifestazione contro il governo sui temi sociali prevista per l'autunno sia dal congresso del Pdci che da quello di Rifondazione. I punti di unione tra Diliberto e la Rifondazione di Ferrero-Grassi-Pegolo e Giannini sono anche molti altri: il comunismo, la lotta di classe, i simboli, il no ad ogni ipotesi di riedizione dell'Arcobaleno, e più di tutto il no ad ogni accordo col Pd. Insomma, forte identità, quasi settarismo, molto a sinistra e molto dal basso, molto di lotta e mai più di governo. Opposizione a vita e mani libere.
 
Uno scenario che, aggiustato e meglio definito, potrebbe allettare altri transfughi di Rifondazione come il Partito comunista dei lavoratori (Pcl) di Marco Ferrando e la Sinistra critica di Cannavò, Malabarba e Flavia D'Angeli. Quattro sigle che messe insieme sotto lo stesso simbolo possono pensare di raggiungere il 4-5 per cento.

La costituente di Sd - Più deluso di tutti per come sono andate le cose a Chianciano, oltre lo sconfitto Nichi Vendola, è il coordinatore di Sinistra democratica Claudio Fava. Il partito era nato nell'aprile 2007 dopo l'ultimo congresso del Pd e in polemica con l'idea stessa di Pd. Il disastro elettorale ha disperso le già poche truppe. Fava ha rilanciato, all'inizio di luglio, con l'idea della Costituente di sinistra che sarà in dialogo dialettico e continuo, sulla base di punti di programma certi e definiti, con il Pd di Veltroni. Il primo appuntamento è il 20 settembre. Ferrero è stato chiaro: mai col Pd. Diliberto ha in testa la dacia dei comunisti. I Verdi sono un po' in mezzo al guado. Con chi fare allora la Costituente? "Il progetto va avanti" spiega oggi Fava in un'intervista all'Unità "e deve partire subito o è già finito. Gli elettori ci dicono mai più ciascuno a guardia del proprio museo e ci chiedono di riorganizzare la sinistra in un campo molto più vasto e inclusivo. Invece, cantare Bandiera Rossa è come fare la guardia al proprio museo".

Il dilemma verde. La spaccatura di Rifondazione riflette, con le dovute differenze, la divisione nei Verdi. Grazia Francescato è stata eletta portavoce dieci giorni fa, in continuità con la gestione Pecoraio Scanio e con forti differenze rispetto alle corrente di Marco Boato, l'ex deputato che al congresso ha strappato un buon successo personale. Francescato ha commentato a caldo chiudendo a Ferrero e aprendo allo sconfitto, per otto voti, Nichi Vendola. "Auguri a Ferrero - ha detto- ma ora Vendola ha le mani libere per costruire il futuro di una sinistra fuori dagli schemi e all'altezza delle sfide del prossimo millennio, cosa che se fosse diventato segretario con una maggioranza risicata, non gli sarebbe stata permessa". Messaggio chiaro: insieme per una costituente di sinistra. Ma come la mette con l'anima più radicale che l'ha votata, Paolo Cento, De Petris, Bonelli? In quanto a mani libere, nei Verdi le ha forse di più Marco Boato che il 26 ottobre lancia nelle elezioni in Trentino il simbolo del Sole che ride con la dicitura "Verdi e democratici nel Trentino" e dove in lista, tutta di indipendenti, ci sarà Lucia Coppola, ex capogruppo di Rifondazione. L'ex deputato dice "no ad ogni riedizione mascherata di Arcobaleno". "Diliberto e la Rifondazione di Ferrero sono scelte identitarie che difendono spazi da riserva indiana" aggiunge. Fatta questa premessa, quale futuro per i Verdi? "E' presto per parlare di modalità di confronto ed eventuali alleanze. I Verdi che ho in mente li immagino comunque con un proprio simbolo e disponibili ad alleanze col centrosinistra, con una vocazione alla cultura di governo anche se sono all'opposizione e fuori dal Parlamento".

Il boccino in mano a Vendola. Che farà il governatore della Puglia? Esce e porta fuori Rifondazione 2? Oppure resta e fa opposizione dall'interno? La domanda deve fare i conti con due scadenze elettorali molto importanti: il voto anticipato in Abruzzo travolto dallo scandalo sanità e dove Rifondazione è in giunta e le Europee. La linea ufficiale è restare. Ma l'area "Rifondazione per la sinistra", i vendoliani, si riunisce oggi a Roma per la prima volta e a settembre avranno anche un loro organo di informazione. Ma se Vendola esce e allea con sé Sd, parte dei socialisti, parte dei Verdi, creando quel partito di sinistra indicato dal sondaggio, porta via voti al Pd e non certo alla sinistra della falce e del martello. Se Vendola resta può invece prendere tempo, che non guasta, e attendere qualche fibrillazione interna. C'è più di un mese di tempo per riflettere. Anche per il Pd che se non trova spazi e alleanze a sinistra deve per forza guardare al centro.

(29 luglio 2008)

da repubblica.it

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Politica
 
Luxuria: il congresso? Un brutto «compagnicidio».


Simone Collini


«Una brutta lotta compagnicida». A Vladimir Luxuria non ha fatto una bella impressione il congresso di Rifondazione comunista. «Ero presente quando, dopo il discorso di Ferrero, una parte della platea ha intonato Bandiera rossa, come per far passare l’idea che c’è chi difende il comunismo e chi invece vuole annacquarlo». A Chianciano è andata come osservatrice esterna, visto che la tessera del Prc non l’ha mai presa: «La mia non è una storia di militanza nel partito. La candidatura è stata frutto della decisione di aprire a personalità esterne. Io mi considero un’espressione del movimento lesbo gay trans, e ho continuato a mantenere questa mia autonomia». Però dice: «Le storie dei partiti vanno calate nel contemporaneo, le ideologie non vanno viste come rifugio ma bisogna essere pronti alle contaminazioni, a mettersi in discussione. Le identità forti sono quelle capaci di avere dei dubbi, di assorbire i cambiamenti che avvengono nella società e anche di dialogare con i movimenti che lottano per la libertà».

Sperava in un esito diverso?

«Ho sperato fino alla fine che si evitasse la spaccatura. Alla fine a decidere è stata una manciata di voti. Per me non ha né vinto Ferrero né perso Vendola. Ha perso tutto un partito, che ha fatto quanto di peggio potesse fare dopo una batosta elettorale: una lotta compagnicida. E agli altri non va meglio. Mi sembra siamo in pieno divide et impera, stiamo attraversando davvero un deserto: il Prc con questo congresso di spaccatura, i Verdi con i fischi, il Pdci con una parte dei delegati che non è rimasta fino alla votazione finale. Per non parlare di come si stanno muovendo Pd e Di Pietro. Ci sarebbe da resettare tutto, per sperare di poter davvero riconsegnare l’Italia a un centrosinistra».

Come si può rilanciare la sinistra, secondo lei?

«Sicuramente non con un dialogo privilegiato tra comunisti, tenendo fuori le altre forze politiche e i movimenti. Io continuo a credere in un forte partito della sinistra unita, che abbia anche interessi ambientalisti e animalisti».

Ferrero pensa a un’immersione nel sociale, evitando operazioni politiciste. Che ne pensa?

«È giusto immergerci nel sociale. Ma non bisognava aspettare una batosta elettorale per farlo. Ognuno dovrebbe mantenere i rapporti col proprio elettorato e la propria storia. Io sono stata applaudita in tutti i Gay pride, non ho ricevuto fischi. Forse perché, io che provengo dal movimento lesbo gay trans, in questi due anni ho continuato a mantenere questo rapporto».

Cosa è mancato in questi congressi, secondo lei?

«La solidarietà, la coesione, il rimboccarci le maniche e invece di cercare i capri espiatori di lottare e coalizzarci. Credo fosse anche quello che si aspettava il nostro elettorato».

Ferrero ha detto: meno televisione e più popolo. È la ricetta giusta?

«La televisione è un grande strumento, come lo sono i comizi, le feste di partito. Io ho fatto e continuerò a fare tv, ma in questi giorni sono stata alla Festa di Liberazione a Osnago, in provincia di Lecco, al campeggio dei Giovani comunisti a Pineto, sabato sarò alla Festa di Liberazione di Chioggia, poi a Scandiano, in provincia di Reggio Emilia. Non mi sembrano incompatibili le due cose. Bisogna parlare alla gente che già ci vota e anche alla gente che o non vota o preferisce altri a noi».

È per questo che ha deciso di partecipare all’Isola dei famosi, scelta che ha creato anche dei malumori nell’elettorato Prc, per veicolare messaggi?

«Io spero di poter fare un’Isola dei famosi civile, nella quale cioè a prevalere non siano le risse e l’idea che per vincere bisogna essere lupo tra lupi, ma l’idea che si possa essere coesi e che si possa anche parlare di argomenti interessanti».

Non sarà facile, visti format e precedenti, non crede?

«Si devono rispettare coloro che vedono questa trasmissione. Io mi auguro di vincere questa sfida. Si può essere vittime di momenti trash anche in luoghi importanti. L’episodio con la Gardini (la deputata forzista l’attaccò perché aveva usato il bagno delle donne, ndr) è avvenuto dentro un Parlamento. Magari invece all’Isola dei famosi potremo dimostrare una convivenza con le donne più da sorellanza. È una sfida. Magari la perdo, magari avrò fame e andrò subito fuori di testa. Però più le sfide sono difficili e più mi stuzzicano».

Pubblicato il: 31.07.08
Modificato il: 31.07.08 alle ore 10.14   
© l'Unità.

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