SINISTRA DEMOCRATICA 2 (del dopo elezioni).

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Paolo Ferrero: «La Costituente è chiusa ora ricostruiamo il partito»

Luca Sebastiani


«Non è un problema di analisi logica. È un problema politico». Paolo Ferrero, firmatario della mozione 1 al Congresso di Rifondazione che si apre domani, ha le idee chiare sul futuro della Sinistra. E del Prc. Per questo preferisce non addentrarsi nelle distinzioni grammaticali che Nichi Vendola, firmatario della mozione 2, ha utilizzato per tentare di aprire ad una parte dei sostenitori della mozione dell´ex ministro della Solidarietà sociale. «Per me - dice Ferrero - costituente e processo costituente sono esattamente la stessa cosa». Invece la priorità è «il rilancio del partito», ergo «la costituente è chiusa». Più chiaro di così. Indubbiamente le posizioni tra le due mozioni arrivate in testa al voto degli iscritti restano ancora lontane e domani, molto probabilmente, a Chianciano la platea dei delegati sarà divisa in due. I sostenitori del governatore della Puglia (che ha raccolto il 47,3% dei voti) da una parte e quelli dell´ex ministro (40,3%) dall´altra.

Ferrero, Nichi Vendola ha detto che vuole incontrare i rappresentanti delle altre quattro mozioni per ricostruire l´unità di Rifondazione. Lo ha già visto?
«Non ancora, molto probabilmente lo vedrò domani (ndr oggi)».

Però sembra che Vendola abbia dialogato con Claudio Grassi, firmatario della sua mozione...
«Non voglio trasformare il congresso in una specie di telenovela. Preferisco attenermi alle notizie ufficiali. E vedo che Claudio ha respinto al mittente le aperture. La nostra mozione resta compatta».

Cosa pensa di questa sorta di «bilaterali» lanciati dalla mozione della maggioranza relativa?
«Noi pensiamo che la sede più opportuna per il confronto sia la Commissione politica del congresso. Crediamo che sia un luogo più trasparente, per il semplice fatto che vi siedono tutte le mozioni».

In molti hanno evocato un congresso della doppia platea, con voi da una parte e vendoliani dall´altra... «Indubbiamente è stato un congresso molto combattuto, ma spero si riescano a trovare degli elementi di ascolto reciproco. Del resto anche durante le discussioni nei circoli, qui e là, questi elementi si sono trovati».

Quindi esclude lo spettro della scissione?
«Nessuno ne ha mai parlato, quindi credo che non si possa prendere in considerazione».

Quali sono i margini di ricomposizione?
«Questi si verificheranno nella commissione politica dove noi proporremo una gestione unitaria, di tutte le mozioni, e cercheremo una convergenza sui nostri punti prioritari».

E il segretario?
«Quello viene dopo, prima dobbiamo definire una linea politica».

Quali sono i punti qualificanti della vostra mozione?
«Per prima cosa ripartire da Rifondazione, la costituente è chiusa».

Andrete alle europee insieme ai Comunisti italiani come ha chiesto Diliberto?
«Credo che dovremmo andare alle elezioni col nostro simbolo, non credo sia il caso in questo contesto andare col Pdci. Dobbiamo rifondare il partito attraverso la ricostruzione della sua utilità sociale. E per mettere il sociale al centro abbiamo bisogno della nostra autonomia. Anche dal Pd che ha scelto la strada sbagliata. Per uscire dalla crisi bisogna scavare in basso a sinistra, il contrario d quello che fanno i democratici».

Che vuol dire scavare in basso?
«Ricostruire il conflitto tra il basso e l´alto perché l´alternativa è tra il conflitto di classe e la lotta tra poveri».

Cioè?
«Nella crisi della globalizzazione la destra rischia di essere egemone proponendo la guerra tra i poveri, cioè gestendo le paure dei cittadini e mettendoli gli uni contro gli altri. Una volta è colpa dei cinesi, un´altra dell´immigrato, un´altra ancora dello zingaro».

E come si fa opposizione?
«Appunto, ricostruendo il conflitto tra chi sta in basso e chi sta in alto. Non solo sui luoghi di lavoro, ma in un senso molto più ampio. Per chiedere gli asili, le scuole, etc. Solo così usciremo dalla crisi che ci ha travolto dopo l´esperienza del Governo Prodi».

Un'esperienza fallimentare?
«Sui punti fondamentali per i quali la gente ci aveva votato, non siamo riusciti a dare risposte concrete. Chi non arrivava a fine mese nel 2006 continua a non arrivarci ora. Chi era precario lo è restato. Tra le altre cose non abbiamo risolto il conflitto d´interessi. È anche questa mancanza che ci ha travolto».

Pubblicato il: 23.07.08
Modificato il: 23.07.08 alle ore 15.02   
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Vendola: no a un «partitino» giustizialista di duri e puri

Andrea Carugati


Presidente Vendola, che giudizio dà della discussione in Rifondazione di questi mesi? Non crede sia stato un dibattito lontano dalla vita reale, anche dei vostri elettori?
«C’è stata una nevrotica separazione dalla realtà, un avvitamento in una contesa intestina che talvolta ha superato i limiti della ragionevolezza. Però c’è anche un altro elemento: 40mila persone che, sfidando la calura, hanno discusso appassionatamente nei circoli anche dopo il trauma di aprile. È un segno di vitalità, una forte domanda di buona politica a cui purtroppo noi gruppi dirigenti rispondiamo in modo fragile perché siamo parte del problema, parte di una crisi ideale e culturale della sinistra».

È possibile che al congresso di Chianciano il Prc esca da tutto questo?
«Sarà possibile se il congresso sarà un pezzo del processo per rifondare Rifondazione, per rimettere in piedi una comunità: un cantiere per lenire le ferite del partito e fare tutti un passo avanti. Ma per farlo bisogna che ci liberiamo da sindromi come l’idea che ci sia qualcuno che vuole sfasciare il partito. Io sono l’ultimo rimasto del gruppo che ha fondato il Prc e per me è stato molto doloroso essere indicato come il suo dissolutore. Si è manipolata la mia mozione per attribuirle disegni che non c’erano: un’esplosione dei risentimenti e veleni, anche da parte di compagni che ho sempre considerato fratelli. Ma ormai questo è alle nostre spalle».

La sua mozione ha vinto ma non ha la maggioranza assoluta. L’ipotesi che il Prc vada alle europee con il suo simbolo può essere un modo per allargare la sua maggioranza, magari al gruppo di Grassi?
«In Europa Rifondazione ha dato vita alla Sinistra europea e ci sta con il suo simbolo: è un processo contrario a una trincea identitaria. Ci sono ancora in gioco variabili importanti, come la legge elettorale e lo sbarramento: ma io credo che il Prc debba proseguire in questo percorso con il suo simbolo. Non è un arretramento».

C’è però il tema del processo costituente a sinistra da lei proposto. I suoi avversari dicono che, con il 47%, il suo progetto è stato bocciato.
«La politica dice che abbiamo la maggioranza relativa: questo ci chiede di sentire la responsabilità di offrire a tutti un percorso che consenta la salvezza della nostra comunità, che ha vissuto un rischio di dissoluzione, e consenta a una parte più larga del partito di riconoscersi in un governo unitario».

Anche con Ferrero?
«Non si tratta di smussare dissensi strategici che ci sono. Sento una grande distanza culturale con Paolo Ferrero, perché avverto in lui il retaggio del minoritarismo di vecchie culture che invocavano l’apologia del sociale, di ciò che sta in basso, persino flirtando con il giustizialismo e l’antipolitica. Non sono solo sensibilità personali, ma differenze strategiche. Con altri compagni le differenze sono più attenuate. Il punto è: lavoriamo a un piccolo partito di duri e puri o per un Prc come pilastro di una sinistra di popolo?».


Gli incontri con le altre mozioni che lei ha proposto in questi giorni hanno dato risultati?
«Ci hanno aiutato a portare la discussione fuori dal livello delle contumelie. Abbiamo riportato la discussione alla politica e questo ha esorcizzato i fantasmi di scissione o di autodissoluzione. Oggi possiamo andare a Chianciano disarmati dai risentimenti, e rimetterci tutti in cammino per far fronte alla tempesta sociale che sta arrivando. Rifondazione non vuol dire restaurazione: il partito esiste se è la fabbrica di una sinistra più larga, non se è culto identitario o nostalgia».

Sarebbe disponibile a un passo indietro dalla segreteria se questo servisse per trovare una maggioranza più larga alla guida del Prc?
«Sono sempre disponibile a fare un passo avanti per il bene della mia comunità, non indietro. La mia era l’unica mozione che conteneva l’indicazione di un segretario ed è stata votata da 21mila persone: non c’era mai stata un’indicazione così larga, dunque non è una questione di persone ma di democrazia».

È disposto a farsi eleggere segretario solo dai suoi delegati?
«Il segretario è figlio dell’opzione politica su cui si costruisce il governo del partito. Non vogliamo soluzioni pasticciate, ma coraggiose e unitarie».

Come valuta l’esito dei congressi di Pdci e Verdi alla luce del processo costituente a sinistra?
«Lo dico con molto rispetto, ma mi sono parsi ancora più nevrotici del nostro, un rendiconto tutto interno ai gruppi dirigenti e molto aspro, nei Verdi, o scisso dalla realtà nel caso del Pdci. Questo ci fa capire quanto sia profonda la crisi di una sinistra alternativa, per questo il processo costituente deve ricostruire dalle radici, in un panorama di desertificazione a sinistra».

E il rapporto con il Pd?
«Dobbiamo giocare fino in fondo la nostra autonomia e la nostra divaricazione strategica dal Pd e contemporaneamente lavorare con pazienza per rendere largo e forte il fronte delle opposizioni. Il diluvio di aprile ha cancellato l’idea della separazione consensuale. Dove sarà possibile bisogna pensare ad alleanze col Pd: in Emilia Romagna e in Puglia, ad esempio, sarebbe folle immaginare una rottura. Governo e opposizione non sono totem, ma prospettive da affrontare in modo laico».

Pubblicato il: 24.07.08
Modificato il: 24.07.08 alle ore 10.24   
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I giovani delegati: basta, torniamo per le strade

Marco Filippetti


All’ingresso delle terme di Chianciano nonostante il caldo si vedono gruppi nutriti di anziani che con l’asciugamano al collo si dirigono verso le vasche termali, vera specialità della zona. Ma oltre il grande atrio di marmo bianco stile anni sessanta si intravedono delle bandiere rosse. All’ingresso dello stabile tante persone con il cartellino al collo da delegati si muovono freneticamente per ultimare il lavori organizzativi dopo che dalla platea del Palamontepaschi ha parlato venerdì mattina il segretario uscente di Rifondazione Franco Giordano. Non sembra di essere ad un congresso di un partito. Nei giardini del centro termale una elegante signora insieme alla sua orchestra con tanto di fisarmonica fa ballare a ritmo di mazurche e valzer decine di coppie over settanta venute solo a rigenerarsi con le portentose acque di queste parti, ignare della kermesse. Ecco che arrivati al bar si capisce subito che stiamo ad un congresso di un partito di sinistra. I tavolini sono pieni di giovani delegati in pausa, e dagli altoparlanti si sentono le voci degli interventi politici dei dirigenti. I ragazzi discutono animatamente su chi diventerà segretario e chi prenderà le redini del partito da lunedì. Carmelo Usa è segretario della federazione di Udine, ha 29 ed è delegato della prima mozione quella dell’ex ministro Paolo Ferrero. Per lui nel congresso c’è stata "poca analisi politica e troppi personalismi Bisogna ritrovare le motivazioni giuste adatte ad esaudire un grande sogno". Per Carmelo la prospettiva della sinistra sta tutta nella scommessa di ritrovare la capacità di rompere gli schemi tradizionale come successe a Genova nel 2001. "Dobbiamo tornare ad un’orizzontalità politica con i movimenti e non tentare di egemonizzarli. In piu – continua Carmelo - penso che la gente sia stufa di sentire chiacchiere.

Basta con dirle le cose. Bisogna farle". Conclude Carmelo: "Se un disoccupato non ha casa non gli devi dire; lotta per tuoi diritti. Gliela devi trovare la casa." Spostandosi vicino all’ingresso del capannone incontriamo Daria Lucchesi messinese di 26 anni. Lei invece ha votato la mozione di Nichi Vendola. "Nichi – dice Daria - deve essere il segretario. Ma non perchè rappresenta tutti noi ma perche la sua linea politica è quella vincente". Alla domanda perché ci sono pochi interventi dei giovani nel congresso ci dice che invece "nei circoli c’è stata tanta partecipazione giovanile, ma qui è vero, stenta ad emergere. Però ci sono tanti giovani che negli organismi dirigenti si sono dati tanto da fare ed hanno determinato molto delle scelte del partito".

Daria dice che anche nelle istituzioni i giovani sono stati determinanti, ma che "bisogna sempre considerare le istituzione come un mezzo mai come un fine". "Insieme a Nichi ripartiamo dai territori e dalle specificità di ogni singola realtà" conclude Daria. Paolo Brini è di Modena e fa l’operaio. Ha 27 anni ed ha votato una mozione che vuole rilanciare "la lotta operaia", è la numero quattro, quella che ha sottoscritto la corrente “falce e martello”. "Sono giovane ma voglio capire che cosa deve fare questo partito da grande", dice Paolo. "Dopo la scelta di andare al governo e di abbandonare i movimenti bisogna capire che cosa vuol oggi la classe dirigente. Noi di base lo sappiamo bene. Dobbiamo tornare a radicarci tra i lavoratori, soprattutto tra i giovani lavoratori". "Il rischio – dice Paolo - è che se si continua così si può fare massimo il satellite del partito democratico". Secondo Paolo il Prc deve essere autonomo indipendente ed alternativo al Pd. Matteo Molinaro è di Udine e studia a Milano ed anche lui ha sostenuto la quarta mozione.

Per Matteo in questo congresso non si è discusso di politica ma si è cristallizzato il discorso sullo scontro personalistico trascurando le dinamiche interne e i ragionamenti collettivi. "Dalla platea piu che la politica emerge la poesia e le citazione colte, ma non è tutto così il partito. Nei circoli si è discusso e pure tanto". Continua Matteo, "bisogna ritrovare il modo di fare politica tra la gente senza ingannarla più, come fu con la scelta di andare al governo. Bisogna sperimentare un nuovo concetto di militanza politica".

Per Matteo i giovani devono avere un ruolo centrale. "Tendenzialmente le giovani generazioni nella storia sono sempre state protagoniste dello slancio in avanti delle idee di cambiamento. In questo congresso i giovani non hanno determinato niente, anzi sono stati risucchiati dalle dinamiche e dai malumori interni". Conclude Matteo, "la spinta d ribellione e di cambiamento dei giovani si è esaurita per delle scelte sbagliate della classe dirigente anche giovane". Al bar dello stabilimento con la Peroni davanti ad un “capannello” di ragazzi intorno c’è Valerio Bruni, giovane segretario del Prc di Nettuno delegato della prima mozione. Valerio ha 26 anni e sono gia dodici che milita nel partito.

Alla domanda come vede il futuro di Rifondazone, Valerio è ottimista e risponde con un brindisi al presente e al futuro dei comunisti. "Certo l’unità non è il nostro punto forte. Ma è chiaro che comunque vada una sintesi va trovata"– dice Valerio. Una forza che conta quasi 100 mila iscritti e decine di migliaia di militanti "deve essere il centro della costruzione della sinistra. Questo comunità politica aspetta solo il via da Chianciano per uscire dai circoli e riempire le strade di politica". Su come coinvolgere i giovani il delegato “ferreiano” ha una sola soluzione. Netta opposizione alle politiche neoliberiste costruendo mobilitazioni sul territorio che coinvolgano la popolazione come i No-Tav in Val di Susa o i No-Dal Molin di Vicenza.

Daniele Licheni invece è “vendoliano” e fa parte dell’esecutivo nazionale dei Giovani Comunisti (l’organizzazione giovanile del Prc). Anche per Daniele la soluzione è ripartire dai territori, ma senza porre l’ideologia al centro come un feticcio. "Costruire assemblee aperte a tutti nei contesti locali sulle tematiche specifiche, senza la prerogativa di avere una tessera in tasca. Chi ci sta partecipa – dice Daniele – chiaramente con un ottica ed un indirizzo di cambiamento generale dei rapporti di produzione e della società". Le difficoltà intestine verranno superte "intorno alla figura di Nichi Vendola e a quello che rappresenta il suo percorso politico ampio e plurale". I giovani comunisti hanno contribuito notevolmente all’elaborazione del percorso politico che ha portato il partito "in simbiosi con i movimenti da Genova in poi- dice Daniele – Bisogna riprendere quel cammino sperimentando continuamente una pratica di conflitto che non sia distaccata dai bisogni reali della gente".

Pubblicato il: 26.07.08
Modificato il: 26.07.08 alle ore 9.52   
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L’ex leader oggi parlerà alle assise

L’amarezza di Bertinotti: «Sinistra sprofondata»

Nel mirino la linea giustizialista: la discussione ha raggiunto livelli bassissimi

 
 
CHIANCIANO—Il "suo" partito si divide e si spacca, dietro le quinte si lavora per una candidatura dell'ex ministro Ferrero contro Vendola, da ufficializzare oggi e lui gioca a fare il «delegato semplice». Difficile crederci. Tanto più dopo che Franco Giordano gli rende un appassionato e applauditissimo omaggio dal palco. Allora Fausto Bertinotti si commuove. Con gli occhi lucidi lo abbraccia e poi dice: «Ha fatto un bellissimo discorso, molto profondo ». Ma non tutti gli interventi gli hanno fatto questo effetto. Bertinotti non nasconde, parlando con i fedelissimi, di essere rimasto «impressionato » dalla «regressione non solo politica ma anche culturale » di una parte di Rifondazione.

Il «giustizialismo» abbracciato da Ferrero e i suoi lo ha lasciato di stucco perché non è nel patrimonio genetico del suo partito. Già, quel giustizialismo che Giordano dal palco ha criticato, ricordando a chi nel Prc lo agita, che Di Pietro ha «votato insieme alla destra contro la commissione sui fatti del G8 di Genova». Bertinotti ai compagni di partito spiega la sua delusione. Certe volte la discussione «ha raggiunto livelli bassissimi», sospira amareggiato l'ex presidente della Camera. Lui parlerà oggi («dieci minuti come un semplice delegato»)e volerà alto, come dicono i suoi. Il che non gli impedirà di ripetere, seppure con parole meno nette, quel che va spiegando in questi giorni agli amici. E cioè che «la sinistra ha raggiunto il punto più basso della sua storia».

E che «per non farla sprofondare ancora più in basso bisogna andare avanti con il processo costituente». Insomma, bisogna ricostruire la sinistra e non chiudersi nel guscio di Rifondazione. Ma il Bertinotti che fa il «delegato semplice » in realtà continua a essere ascoltato. E a interessarsi alle vicissitudini interne del suo partito. Non è un caso quindi che Ferrero incontrandolo gli parli all' orecchio per capire che cosa pensa della situazione e che lo abbracci affettuosamente anche se stanno su barricate opposte. E' vero che l'altro ieri sera, alla riunione della maggioranza che ha candidato Vendola, l'ex presidente della Camera, come un delegato di primo pelo, non ha parlato. Ma i suoi consigli, riservatamente, li ha dati (sono stati anche già seguiti).

E ha spiegato che a suo avviso l'ex cossuttiano Claudio Grassi non abbandonerà Ferrero. Anzi, secondo lui il gioco di Grassi nasconde un'insidia: «Cercare di trovare un' intesa politica tra la loro mozione e la nostra per poi proporre che però Nichi faccia un passo indietro». E mettere un altro, sempre della maggioranza, al posto suo. E a quel punto sarebbe molto difficile dire di no, perché non ci sarebbe più la scusa delle differenze politiche per rompere e si sarebbe costretti ad accettare quella proposta. Ma secondo Bertinotti non si deve svendere la linea politica e «non si può e non si deve rinunciare a Nichi ». Perché, Vendola, può essere in grado di portare avanti il processo di ricostruzione della sinistra. E quel che avviene in serata sembra dare ragione all’ex presidente della Camera.

Infatti Grassi fa sapere che le differenze politiche tra la sua componente e quella di Vendola non sono insormontabili e che perciò si può lavorare «a una ricucitura ». E precisa che nel caso di un’intesa non si può negare alla maggioranza il segretario. Senza però aggiungere che quel segretario è Nichi Vendola. Per evitare trappole e per seguire i consigli di Fausto Bertinotti la maggioranza decide perciò di disertare la commissione politica, ovvero il luogo del possibile compromesso che potrebbe far saltare Vendola. Ma se oggi l’ex ministro Ferrero si candida i giochi possono cambiare per l’ennesima volta. Chissà in questo caso quali saranno i consigli che dispenserà il «delegato semplice».

Maria Teresa Meli
26 luglio 2008

da corriere.it

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Il Prc sceglie la "linea dura" Ferrero è il nuovo segretario

Vendola: la nostra battaglia va avanti

Marco Filippetti


Paolo Ferrero è il nuovo segretario di Rifondazione Comunista: 142 dei 280 delegati del Comitato Politico Nazionale lo hanno eletto, per un soffio sopra il 50 per cento dei voti. Quando sul aplco di Chianciano è avvenuta la proclamazione, Nichi Vendola, lo sconfitto del congresso, era già ripartito per la Puglia. Non ha sentito, perciò, le prime parole del nuovo leader che apriva la segreteria ad una «gestione unitaria» per ricucire la frattura interna, che è stata troppo forte. Vendola non c'era, ma già nel pomeriggio di questa infuocata giornata a Chianciano aveva messo in guardia: «Escludo qualsiasi livello di compromissione nella gestione politica del partito». Insomma non se ne va dal Prc, ma non ci sta nemmeno a subire l'esito di questo congresso che ha spaccato Rifondazione.

Il partito ha scelto  - con 342 voti contro 304 - la mozione 1. Il momento più atteso della giornata è stata proprio la presentazione del documento politico elaborato nella notte dalla commissione politica congressuale. In quel testo, infatti, c’è la linea politica che il partito dovrà tentare di perseguire nei prossimi anni. Giovanni Russo Spena dal palco comincia a leggere il documento che sancisce la vittoria delle mozioni di minoranza: «Il congresso considera chiusa e superata la fase caratterizzata dalla collaborazione organica con il Pd nella fallimentare esperienza di governo dell’Unione, della Sinistra Arcobaleno, e della sbagliata gestione maggioritaria del partito». Queste prime righe sembrano il “manifesto” della Rifondazione che verrà. O, come dirà Vendola più tardi, la «fine» del partito stesso. Basta alleanze con il Pd, dice Russo Spena «dobbiamo essere veramente alternativi al “veltronismo” e alle destre». Il secondo punto è un abiura dell’esperienza dell’Arcobaleno che vuol dire in altre parole un brusco stop al progetto di Nichi Vendola della “costituente della sinistra”. Il terzo punto è la messa al muro della gestione uscita dallo scorso congresso, quello di Venezia, che sanciva la svolta “governista” del partito allora diretto da Fausto Bertinotti. Insomma, nel giro di tre giorni si rinnega tutto quello che è stato fino all’altroieri. E a guidare la “rivoluzione” è Paolo Ferrero, ministro fino a quattro mesi fa nel governo Prodi e difensore della linea vincente a Venezia.

Il documento segna la «svolta a sinistra del Prc» e ribadisce con più forza «la critica alle politiche neo liberiste». Rispetto alla linea Bertinotti, egemone da quattro annia questa parte, si dà spazio all’alleanza con «la sinistra anticapitalista e comunista fuori dal partito» e si tenta il recupero «dell’importanza storica delle esperienze storiche comuniste». I “vendoliani”, dal canto loro, in linea con la svolta segnata da Bertinotti qualche anno fa, hanno sempre sostenuto di non ritornare alle «formule novecentesche» e di «aprirsi alla società civile» perché «il comunismo deve essere una tendenza culturale di una sinistra più ampia».

Unico trait d’union tra le due principali mozioni che si sono sfidate a congresso, la volontà di «ricominciare dall’esperienza di Genova e della commistione con i movimenti sociali, tentando di apprestarli sostanzialmente e non solo formalmente».

Subito dopo Russo Spena, che presentava il documento votato da tutte le mozioni di minoranza che però insieme arrivano solo al 52%, è la volta di Gennaro Migliore. L’ex capogruppo del Prc alla Camera presenta un documento alternativo elaborato interamente dalla seconda mozione, che da sola ha raccolto il 47% dei voti. Migliore esordisce dicendo con voce tuonante che «è la prima volta nella storia della democrazia che una maggioranza relativa in un’organizzazione viene messa in minoranza dalle altre minoranze coalizzate». Per Migliore il congresso «è stato un accordo contro Nichi Vendola, e non una proposta di un progetto alternativo. Le quattro mozioni di minoranza non hanno percorsi comuni – ricorda – anzi sono spesso contrastanti».

Nel momento delle dichiarazioni di voto sale sul palco il grande “sconfitto” , Nichi Vendola che inizia il suo intervento riconoscendo la sconfitta e denunciando «il clima pesante tra le mozioni, spesso con malignità personali». È sconfitto, ammette, ma non se ne va: «I compagni della mozione 2 – rilancia Vendola dal palco – non intendono abbandonare per un attimo, per un millimetro Rifondazione comunista. Staremo qua a costruire – prosegue - la nostra battaglia». Vendola dice chiaramente che ora inizia la sfida «per capovolgere una linea che non ha il fiato necessario per rifondare il partito nel campo largo delle sinistre». «Per anni – analizza Vendola – Rifondazione è stata guidata da una diarchia, non è mai stato un partito acquietato e ha vissuto in modo sempre febbricitante la propria ricerca di rifondazione, ma non è mai stato un guazzabuglio di mozioni di minoranza, un fardello di reazioni di pancia». Questa volta, invece, è andata così: «Una mozione di minoranza - afferma il governatore pugliese - ha cercato in altre mozioni un'aggregazione informe, che porta alla guida del partito una maggioranza precaria, che ha come collante un'ambiguità e un equilibrismo semantico». Per Vendola, quindi, non c’è tempo da perdere: «Lancio un appello – annuncia - per una campagna di iscrizioni per arrivare a capovolgere la linea di maggioranza, e quanto prima faremo una manifestazione. Dalla sconfitta – conclude – noi ripartiamo convinti che c'è in essa un seme per il futuro».


Pubblicato il: 27.07.08
Modificato il: 27.07.08 alle ore 20.40   
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