SINISTRA DEMOCRATICA 2 (del dopo elezioni).

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Massimo Mezzetti

Dobbiamo fare presto, abbiamo bisogno di un gruppo dirigente rinnovato


Ho letto con interesse l’intervento a doppia firma Salvi-Villone apparso su l’Unita’ e su questo sito. Condivido molti passaggi presenti nella prima parte del loro articolo, laddove viene indicata una possibile direzione di marcia da assumere dopo le sconfitte elettorali di queste settimane. Da parte mia ho gia’ proposto un mio modesto contributo nei giorni scorsi. Abbiamo ancora molto da approfondire in termini di conoscenza e analisi rispetto alle trasformazioni profonde che questo Paese ha subito in anni e anni, in termini culturali prima ancora che politici. Se manchiamo questa analisi, rischiamo di esercitarci ancora una volta in una discussione autoreferenziale tutta incentrata su formule politiche astratte, su alchimie organizzative e diatribe su gruppi dirigenti che non affondano la loro ragion d’essere sulla realta’ che dobbiamo “aggredire”. Mi ha fatto inoltre piacere cogliere, in particolare in Salvi, che ha condiviso in un ruolo di assoluto primo piano le responsabilita’ delle scelte e degli orientamenti assunti nel corso di questi mesi da Sinistra Democratica, un’autocritica – seppure non esplicitata in questo modo – riguardo all’appannamento della nostra mission originaria intervenuto nel corso di questo anno di vita del movimento. Cosi’ come riguardo alle “molte promesse mancate di Sinistra Democratica tra cui quella di un nuovo modo di far politica. La critica alla riduzione oligarchica dei processi democratici, alla mancanza di partecipazione da parte di iscritti e militanti, alla assunzione di decisioni in sedi ristrette e poco trasparenti…”.
Ora si tratta di capire come, con la consapevolezza degli errori compiuti e con un’assunzione di responsabilita’ collettiva, usciamo fuori dalla palude in cui si e’ cacciato tutto l’ex centro sinistra e come noi, Sinistra Democratica, possiamo dare un contributo in questa direzione.
Non c’e’ dubbio che, una volta compreso che “razza” di Paese abbiamo davanti a noi, la prima cosa a cui dobbiamo dare risposta e che dobbiamo definire e’ il progetto politico in cui dobbiamo incardinare la nostra strategia. Strategia che non puo’ non essere volta a recuperare, da una parte, un rapporto ed un radicamento con il territorio e i suoi concreti bisogni – senza produrci pero’ in una nuova “retorica del territorio” – e, dall’altra, la capacita’ di costruire alleanze politiche.
Il 13 e 14 aprile gli elettori hanno sancito la definitiva sconfitta di due diverse idee di autonomia, quella del Partito democratico e quella di una sinistra antagonista e d'opposizione.
La pesante e netta sconfitta elettorale subita dalla Sinistra Arcobaleno non deve pero’ far dimenticare quanto di buono, pur nelle difficolta’, e’ stato costruito in molte parti d’Italia nel corso di una campagna elettorale in cui le compagne e i compagni di Sinistra Democratica si sono spesi con il massimo impegno mettendosi a disposizione non di un cartello elettorale, ma di un’idea e di un progetto, per la Sinistra e per l’Italia.
Lo spirito che ha animato tanti comitati elettorali e tante compagne e compagni che, pur provenendo da percorsi politici diversi, si sono riconosciuti nel processo costitutivo di una sinistra nuova ci porta a chiedere con forza che parta subito una fase costituente per un soggetto forte e autonomo della sinistra italiana, in grado di concorrere a ricostruire le condizioni per una nuova alleanza di centrosinistra che è, ancora oggi, l’unica reale alternativa alla straripante avanzata delle destre e della loro egemonia culturale.
Chi dovra’ traghettare SD in questa direzione? Abbiamo sicuramente bisogno di un gruppo dirigente rinnovato non tanto e non solo in termini anagrafici – trovo abbastanza trita anche la “retorica generazionale” – ma perche’ espressione proprio di quanto si e’ stati in grado di costruire, pur fra mille difficolta’, sul territorio in questi mesi. Ma penso anche a personalita’ del mondo della cultura e del lavoro che si sono avvicinate a noi con tante speranze andate spesso anche deluse. E penso che, nelle forme, nei modi e nei tempi che insieme decideremo, Fabio Mussi dovra’ continuare a dare il suo contributo prezioso di idee e di cultura politica.
Chi dovra’ indicare le soluzioni organizzative – mi auguro agili ed efficienti – piu’ adeguate, ruoli di coordinamento e direzione politica del movimento? Concordo in linea teorica che il Comitato promotore nazionale non sia forse oggi l’organismo che meglio possa rappresentare la pluralita’ e la ricchezza di uomini e donne che miliatano in SD. Quell’organismo e’ rappresentativo di una delle sindromi di cui SD tarda ancora a liberarsi: quella di essere “corrente” di partito. Un partito “chioccia”, amato e odiato, che alla fine comunque garantiva, oltre che collocazioni politiche in rappresentanza delle minoranze, anche mezzi e risorse utili allo svolgimento dell’attivita’ politica. Una cosa che forse non abbiamo ancora compreso fino in fondo e’ che dobbiamo camminare con le nostre gambe, usare il nostro cervello e costruire il nostro futuro con le nostre mani.
Detto questo pero’, dico con franchezza che non mi convince l’ipotesi avanzata da Salvi e Villone. Anzi, sono contrario. Chiedo scusa a chi legge se trascendo, prosaicamente, nella “cucina” delle pratiche decisionali. In apparenza la proposta di assemblee provinciali che eleggono propri rappresentanti ad una assemblea nazionale – in definitiva e’ uno schema congressuale – e’ la piu’ logica e lineare. Ma non mi e’ chiaro quale e’ il criterio che assumiamo per la determinazione delle quote dei delegati e delle delegate, realta’ per realta’. Non abbiamo un’anagrafe certa e certificabile degli iscritti. Avevamo definito una quota minima di iscrizioni ma ogni realta’ ha messo in pratica criteri differenti con evidente disparita’ di “consegna” delle tessere.
Ho sentito dire che il criterio da assumere potrebbe allora essere quello di decidere le quote dei delegati in base ai partecipanti alle assemblee. Non scherziamo! Non commento neppure questa ipotesi. La democrazia congressuale ha bisogno di regole certe e rigorose. Nessuna furbizia.
Se proprio vogliamo fare perno sul territorio e sulle compagne e i compagni che hanno aderito a SD e hanno partecipato alla campagna elettorale, potremmo chiamare a decidere, piu’ correttamente e realisticamente e al termine di un percorso partecipato, tutti i coordinatori di SD regionali, provinciali e comunali, gli eletti e le elette a tutti i livelli istituzionali nel Paese, i parlamentari uscenti e quelli europei, i compagni e le compagne con incarichi nazionali. Non credo di sbagliarmi pero’, se dico che non ci discosteremo molto da quella che e’ l’attuale composizione del Comitato promotore nazionale.
Quello che credo, invece, e’ che dobbiamo fare presto perche’ abbiamo bisogno di rimboccarci subito le maniche e produrre una iniziativa politica forte ed incalzante. Dobbiamo in tempi rapidi costruire il percorso costituente “con chi ci sta” e tenerlo aperto nel Paese nei prossimi mesi con assemblee, incontri capillari nelle citta’, nei luoghi di lavoro, di studio. Dobbiamo fare nascere “Case della Sinistra” ovunque possibile. Dobbiamo puntare ad avere in autunno, in conclusione di questa prima “consultazione di massa”, un grande momento fondativo nazionale.  Guai se passasse l’idea che siamo in dismissione o, peggio, in vendita.

*Consigliere Regionale e Coordinatore SD dell’Emilia-Romagna

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Alla sinistra del Pd

Achille Occhetto


C’è qualcosa di inquietante nel panorama politico che è apparso ai nostri occhi dopo che i fumi dei fuochi d’artificio della campagna elettorale si sono depositati sul terreno. Lo spettacolo a sinistra è desolante. La duplice sconfitta della cosiddetta “area radicale” e del progetto riformista moderato del Pd, ci consegna una lacerante divaricazione tra una sinistra che perde se stessa lungo la strada del moderatismo e una che si abbarbica alle antiche radici intese non già come linfa vitale di una rigenerazione ma come feticcio o, ancor peggio, come mera difesa di piccole rendite di posizione.

Tra questi due poli divaricanti dovrebbe collocarsi una nuova sinistra. Ma chiediamoci: esiste lo spazio politico ideale per questa nuova sinistra?
Una cosa è certa: la sinistra arcobaleno non è riuscita a rappresentare tale esigenza. In verità, non ci ha nemmeno provato. Sono venuti meno alcuni presupposti - una cultura di governo e l’accettazione dell’orizzonte ideale del socialismo europeo - che potevano rendere credibile quel tentativo. L’anelito verso la ricerca di una nuova frontiera, che ha contraddistinto l’impegno di Sinistra democratica e di un parte di Rifondazione, è stato contraddetto dai ritardi e dalle resistenze che di fatto hanno ridotto l’insieme dell'iniziativa a un mero cartello elettorale. Lo stesso vagheggiamento dell’opposizione per l’opposizione ha favorito la macchina micidiale del “voto utile” che ha spinto gran parte degli stessi elettori di Rifondazione comunista a votare per il Partito democratico.

In questa commedia degli equivoci è rimasto sconfitto tutto il centrosinistra, vittima delle reiterate azioni autolesioniste con le quali i vecchi gruppi dirigenti partitici hanno, in vari momenti e in vari modi, affossato il “Grande Ulivo”. Ora, cosa possiamo fare?
Per debellare il male oscuro che ha paralizzato le diverse coalizioni di centrosinistra occorrerebbe superare alla radice l’idea nefasta delle due sinistre, una di governo e l’altra di opposizione. I due capisaldi - cultura di governo e identità socialista - chiamano in causa una sinistra che sappia superare la divisione tra riformisti e sinistra radicale, che sia ferma nei principi, ma di governo. Una simile sinistra non sta al governo ad ogni costo, ma non sta nemmeno ad ogni costo all’opposizione. Svolge il proprio ruolo - quello che le è stato affidato dai cittadini - con la medesima cultura di governo.

Tuttavia qualcuno potrebbe ancora obbiettare: al di là delle ragioni della politica, quali sono le ansie, i problemi, le rivendicazioni che potrebbero definire, sia pure a grandi linee, lo spazio di una nuova formazione politica?
Credo che per rispondere in modo compiuto - e non solo politicistico - a questi interrogativi, occorrerebbe ridefinire il terreno sociale ed economico sul quale si manifestano le contraddizioni del nuovo millennio. Ciò richiederebbe, come ciascuno può ben comprendere, una ricerca di ampio respiro. Tuttavia non intendo esimermi dal sottolineare alcuni temi di scottante attualità che contraddicono la cultura dominante neoliberista. Quella cultura che è la matrice di tutte le teorie tendenti a dichiarare morto e sepolto il mondo del lavoro salariato, inesistenti le contraddizioni - vecchie e nuove - interne al modello di sviluppo capitalistico, assurdamente palingenetiche le richieste di un rinnovamento radicale delle società attuali, al punto tale da rendere obsoleta, se non risibile, l’esistenza stessa di una sinistra alternativa.

In realtà tutto ci dice che siamo di fronte a una nuova fase critica del capitalismo su scala mondiale. Mutano i soggetti e la forma delle contraddizioni, ma rimane la sostanza della critica.
Prima considerazione. Il mondo del lavoro.
I dati parlano chiaro e in modo agghiacciante. Quando Marx era celebrato, copiato, vezzeggiato e usato da quasi tutta la cultura mondiale, i lavoratori salariati erano solo cento milioni. Adesso che l’intellettualità, cosiddetta moderna, si fa beffe dell’idea stessa dell’estensione del lavoro salariato, i lavoratori salariati sono passati da cento milioni a due miliardi.

Seconda considerazione. Di questi due miliardi una parte rilevante è costituita da un miliardo e mezzo di nuovi lavoratori globali aventi diritti e salari minimi e mezzo miliardo di lavoratori dei paesi sviluppati aventi diritti e salari elevati. Terza considerazione. Si ripropone in una forma nuova la tesi di Marx sulla funzione dell’“esercito industriale di riserva” (i disoccupati) nel determinare contraddizioni interne al mondo del lavoro e indebolire l’azione degli occupati per più alti salari e per la difesa dei diritti sindacali.
In tale contesto, la stessa flessibilità, oltre a trasformare la precarietà nel lavoro in precarietà di vita, contribuisce alla frammentazione delle classi lavoratrici e delle loro forme associative.

Questa immane lotta tra i poveri su scala planetaria reca con sé nuovi conflitti sociali all’interno del popolo, determina una concorrenza cieca e senza esclusione di colpi di cui si alimentano tutte le nuove contraddizioni: da quelle legate agli attuali biblici movimenti migratori, ai temi stessi della sicurezza, su cui si fonda la scissione, anche nel voto, dello stesso operaio, tra la sua figura di produttore (che risponde ai sindacati) e quella di cittadino (che sente il richiamo della destra sui temi dell’immigrazione e della sicurezza).

Un altro terreno su cui mutano i soggetti e la forma delle contraddizioni, ma non la sostanza della critica all’attuale stato di cose, è quello ecologico. Anche questo è un tema che è diventato banale, fino a sfumare in un conformismo riformistico che si infrange impotente contro le alte scogliere delle cittadelle fortificate dell'attuale modello di sviluppo. Ciò avviene perché non si è ancora compreso che occorre ripensare la nozione stessa di progresso, dal momento che viviamo le laceranti contraddizioni tra la necessità di uno sviluppo allargato all’intera umanità e l’esigenza della difesa della natura e dell’equilibrio ecologico del pianeta; tra tecnologia e occupazione; tra internazionalizzazione dei processi produttivi e accentramento delle sedi di decisione e di controllo; tra sovranazionalità e particolarismi e conflittualità etniche e religiose.

E che dire del tema capitale su cui è nata la sinistra mondiale, quello della giustizia? Ormai tutti possono vedere che la più grande ingiustizia che sconvolge la comunità umana è il divario pauroso tra la ricchezza di pochi e l'abissale povertà della maggioranza degli uomini. Come non cogliere che tutto ciò non lo si risolve con la carità redistributiva - che pure è insufficiente - ma chiama in causa l’organizzazione economica e sociale, i modelli produttivi, di vita e di consumo, dei paesi più ricchi?

Chi rappresenta tutto questo? Chi darà voce al mondo dei salariati, dei precari, ai nuovi soggetti figli dei drammi del nostro tempo?
Ho visto che alla notizia della scomparsa della sinistra “radicale” dal Parlamento, alcuni commentatori si sono chiesti attoniti: ma ora chi rappresenterà le tensioni sociali? Correremo il rischio di manifestazioni violente? Il problema è ben più ampio. C’è da rappresentare un universo in movimento. Questo universo plurale e articolato non può essere compiutamente espresso né dalla sinistra radicale né da un riformismo pallido e appannato. Ci vuole una forza animata da una effettiva cultura di governo. Ma che abbia nello stesso tempo il senso e la dignità di un progetto autonomo.

Ho più volte affermato di non avere alcuna nostalgia conservatrice per la vecchia sinistra e di non avere nemmeno alcuna prevenzione verso la formazione di un nuovo partito democratico, che si inscrivesse nell’area della sinistra, capace di fondere, attraverso una effettiva contaminazione ideale e politica i diversi riformismi della tradizione politica italiana. Ma a mio avviso si è scelta una scorciatoia sbagliata. Sarebbe stato meglio meno ma meglio.
Quella ipotesi infatti, a mio parere, doveva essere favorita dal formarsi di una grande coalizione - soggetto politico - nella quale ogni componente, pur mantenendo, almeno all’inizio, la propria identità di partenza, fosse tuttavia ispirata dalla medesima tensione ideale e morale verso una politica profondamente rinnovata.

Era l’idea della Carovana. Il “Grande Ulivo” incominciò a incarnare quella idea. In quella occasione uomini e donne che il muro ideologico della guerra fredda aveva divisi si ritrovarono dalla stessa parte, dando vita ad una effettiva esperienza unitaria di base.
La rottura di quella esperienza perpetrata nel nome del primato dei vecchi partiti è stata un vero e proprio delitto politico. La formazione di un partito democratico che è rimasto isolato nel campo, ormai deserto, del vecchio centrosinistra ha fatto il resto. Rimane tutto intero il problema della rappresentanza politica di grandissima parte delle tensioni e delle aspirazioni che attraversano la nostra società.

In questa situazione abbiamo davanti a noi due strade da percorrere. La prima è quella di dar vita, tra il Pd e le componenti residuali di una vecchia sinistra radicale, ad una nuova formazione politica che, muovendosi all’interno dell’orizzonte ideale del socialismo europeo, vada oltre le antiche appartenenze. Si tratterebbe di un’opera immane, che oltretutto sarebbe costretta a muoversi contro il senso comune semplificatorio che sta infuriando alla cieca sul sistema politico italiano. La semplificazione - da me più volte invocata - rispetto al proliferare di partitini che non hanno alcuna ragione storica al di fuori dell’autovalorizzazione dei loro apparati, è un conto; altro conto è l’autentica rappresentanza di un imperativo di riscatto morale e ideale che sale da una parte rilevante delle moderne società sviluppate. Se non ci poniamo il problema di questa ineludibile “rappresentanza”, tutto il sistema politico italiano rischia di precipitare in una crisi irreversibile e la stessa gigantesca opera compiuta dopo la Liberazione da Togliatti e da De Gasperi per far uscire le masse popolari italiane dal sovversivismo endemico di cui erano ancora prigioniere, verrebbe vanificata.

Queste osservazioni mi suggeriscono l’ipotesi di un modello flessibile, insieme unitario e articolato. Un modello che si proponga l’obiettivo di costruire un nuovo centrosinistra.
Qualcuno ha anche suggerito di riorganizzare la sinistra di cui sto parlando all’interno del Pd.
Non mi faccio il segno della croce: anche questa seconda ipotesi potrebbe essere presa in considerazione. Tuttavia è da escludere un innesto di sinistra all’interno dell’attuale impostazione organizzativa, oltre che ideale e politica, del Pd. Anche in questo caso occorrerebbe un modello flessibile, insieme unitario e articolato. Qualcosa che sia una sintesi più alta tra l’attuale Partito democratico e l’esperienza del “Grande Ulivo”. Ma anche tale ipotesi richiederebbe un ripensamento collettivo delle prospettive strategiche dell’insieme dell’area di centrosinistra.

Lo stesso Pd, o ha un’ipotesi che riguarda l’insieme delle forze di centrosinistra, oppure da solo, come si è visto, non va da alcuna parte. Il gruppo dirigente del Pd, invece di pensare di reclutare, dopo la comune sconfitta di tutto il centrosinistra, piccole pattuglie di sbandati, dovrebbe avere la forza politica e morale dei momenti storici cruciali. Una forza che non si affida alle rese dei conti dentro la nomenclatura, che lasciano il tempo che trovano, ma che si pone il problema effettivo di un ripensamento generale.
Ciò comporterebbe la decisione di dar vita a una seconda costituente del Partito democratico e del nuovo centrosinistra.

Tuttavia in entrambi i casi, sia in quello dell’immediata formazione di un nuovo partito di sinistra, sia in quello di una flessibile e articolata ricostruzione del “Grande Ulivo”, non si potrà prescindere dalla presenza di una grande sinistra democratica e popolare.

Pubblicato il: 08.05.08
Modificato il: 08.05.08 alle ore 11.45   
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Mussi

Tutti i nostri errori Il primo 5 anni fa

«Nel 2003 non abbiamo dato risposte ai movimenti. In campagna elettorale abbiamo fatto un gioco delle parti con Veltroni. Ma un tentativo ancora va fatto. Alle europee». Il 26 luglio di due anni fa Fabio Mussi, ministro della ricerca da un paio di mesi, minacciò le dimissioni di fronte al taglio delle risorse per l'università deciso dal collega Padoa Schioppa. Adesso, che sta portando via le ultime cose dallo studio all'Eur che da stasera sarà di Mariastella Gelmini, ripensa a quel passaggio, «forse avrei fatto bene a dimettermi, questi due anni sono stati terribili, la sinistra era sottorappresentata al governo e noi ministri dell'arcobaleno abbiamo dovuto combattere su troppi fronti». Il risultato del 14 aprile, che ha colto Mussi in piena convalescenza da un'operazione che lo ha tenuto via dalla campagna elettorale, dimostra che i ripensamenti sono tutti utili: «E' stato un catastrofico fallimento».
E' passato un mese dalle elezioni, nella sinistra arcobaleno sono partite le ostilità fratricide ma non la riflessione sul tracollo. Incapacità o incoscienza?
Il fatto è che quello di aprile è stato un risultato epocale, richiede un'analisi complessa. Si è chiusa una fase iniziata nel 1992-93 quando il quadro politico della Repubblica si era ricomposto con i nuovi partiti eredi della Dc e del Pci. E' iniziata allora una lunga partita a scacchi rimasta per 15 anni sostanzialmente in equilibrio. Quando aveva vinto Berlusconi era andato in crisi subito, Prodi era durato due anni, poi i governi D'Alema e Amato, poi il 2001 con Berlusconi che resta in sella cinque anni ma cambiando ministri in continuazione e con una forte opposizione sociale, offrendo comunque una senso di instabilità. E poi la nostra vittoria illusoria di due anni fa, come solo adesso riconosce Veltroni.
Dice «abbiamo fatto finta di avere vinto», perché allora non c'era il Pd.
Falso, l'ipotesi del Pd era già fortemente in campo. E se con il discredito internazionale di Berlusconi, le leggi vergogna, la crescita zero si vinse per 24mila voti era il caso di preoccuparsi. Ed ecco il risultato del 2008 che è un vero finale di partita. Il lungo tira e molla durato 15 anni si è concluso con un deciso spostamento a destra. Non c'è mai stato un parlamento così clericale in Italia. Il paradosso è che il Pd era partito alla conquista dell'America ma si ritrova come il Pci: sostanzialmente senza prospettive, chiuso. E senza il radicamento sociale, la forza intellettuale e i legami internazionali del Pci. Ha assorbito i radicali, portato via la metà degli elettori di sinistra ma ha solo 100mila voti in più della somma di Ds e Margherita. Arriva al 33% perché c'è stato un calo dei votanti.
Parliamo invece del 3% della sinistra arcobaleno.
Non sfuggo, dico anzi che il nostro tentativo è stato tardivo e pasticciato e per questo fallimentare. Vorrei però cercare le cause alla loro origine, il ritardo è di molti anni. Tra il 2001 e il 2003, da Genova al social forum di Firenze, l'Italia partecipò non poco a quella che il New York Times definì la seconda superpotenza mondiale. Il movimento pacifista e alteromondista si sommò alla crescita del movimento sindacale sui diritti dei lavoratori, i 3 milioni per l'articolo 18. Poi l'opposizione a Berlusconi, i girotondi. C'era una battaglia politica forte nei Ds. E la sinistra ha lasciato passare quella fase senza riuscire a dare a quei movimenti una rappresentanza politica minimamente adeguata. Stiamo parlando di cinque anni fa, non del secolo scorso.

Ad un'assemblea del manifesto nel gennaio 2005 tu invitasti a guardare anche oltre il 13% che era allora la somma delle forze di sinistra.
Da allora si è persa una quantità incalcolabile di battute. Ci sono state complicazioni, come Cofferati che appare come possibile leader e poi si ritira. Ma la sostanza è che c'erano le condizioni e non siamo riusciti a costruire qualcosa di diverso a sinistra. Perché? Perché ha prevalso la logica settaria delle appartenenze. La frammentazione, la competizione che in un certo momento può anche essere un elemento di forza, ma alla fine è diventato un peso mortale.
Ma il 2008 non dimostra il contrario, che l'unità improvvisata non paga?
Così certo: durante la campagna elettorale che ho seguito da un letto di ospedale capivo che ripetere sempre "non siamo un cartello elettorale" voleva dire il contrario, "siamo proprio un cartello elettorale". Da quando siamo usciti dai Ds nel 2007 sono cominciati mesi estenuanti, guardinghi. Ad ottobre il Pd ha fatto le primarie, con tutti i limiti ma ha chiamato 3 milioni di persone. La sinistra ha fatto una manifestazione, quando era il momento di fare un partito.
Due cose non in contraddizione.
E invece ci si è fermati subito. Ricordo la fatica per fare l'assemblea del 7 e 8 dicembre. Ricordo il sospetto reciproco sulla riforma della legge elettorale. Alla fine lo scioglimento delle camere ci ha colto in mezzo al guado.
Basta questo per spiegare il tracollo?
Non basta. Ricordo che a febbraio fui io a chiedere insistentemente un incontro della sinistra arcobaleno con Veltroni per non dare per morta la coalizione. E invece la decisione di rompere a sinistra era stata già presa. E' rimasta la sensazione di un gioco delle parti con il Pd, è sembrata una separazione consensuale. E invece bisognava inchiodare Veltroni su questo punto, spiegare che così consegnava il paese a Berlusconi.
E adesso ci potrà essere un rapporto con il Pd?
Sono per tenere aperta una porta per il centrosinistra. Ma adesso è il momento della lotta politica a denti sfoderati. Veltroni dice che le alleanze per le amministrative si decideranno caso per caso? Rispondiamogli che vada da solo. Sinistra arcobaleno può ancora essere determinante in molti luoghi. Ero per questa linea anche prima delle elezioni, non mi piaceva che Veltroni ci cacciasse dall'alleanza nazionale ma ci chiedesse di sostenere i sindaci del Pd. Dovevamo uscire subito dalle giunte, e poi ragionare.
E adesso come si fa politica fuori dal parlamento, come si fa l'opposizione a Berlusconi?
La prima cosa è riprendere la parola sulle questioni essenziali. La sinistra in questo momento è al mutismo. Due mesi di congressi rischiano di bloccare tutto. L'opposizione fuori dal parlamento sarà indispensabile, anche perché ho l'impressione che dentro ce ne sarà poca. E' tutto un cinguettio: dialogo, collaborazione. Sembra di stare nel mondo di Heidi. Legislatura costituente? Ma cosa. Rimettiamo in piedi il movimento che aveva promosso il referendum del 2006 per difendere la Costituzione.
E la sinistra arcobaleno intanto? Progetto bocciato, progetto archiviato?
Secondo me dobbiamo fare un altro tentativo. Uno. Non è immaginabile un parlamento con nessuno che si dice di sinistra. Il progetto va rivisto, è chiaro. Per fortuna nessuno ha particolare voglia di aderire alla costituente comunista di Diliberto. Una delle cose da rivedere è l'idea di non avere nemici a sinistra. Non tutta la sinistra può essere unita. Ma nessuno può pensare che di fronte al nuovo quadro con due, tre grandi partiti noi si possa restare sbriciolati in quattro, cinque piccole forze. Dobbiamo dare un segno di vita, e velocemente. L'anno prossimo, alle europee, va fatto il tentativo di una lista che si proponga come ponte tra le forze del socialismo europeo e le forze di sinistra alternativa.

da sinistra-democratica.it

Admin:
NON SERVE RINTANARSI CIASCUNO A CASA SUA.

C'E' MOLTA PIU' SINISTRA DI QUANTO SI IMMAGINI


Da due giorni è il nuovo coordinatore della Sinistra democratica. Quella che una volta si chiamava sinistra diesse. Ha preso il posto di Fabio Mussi che ha lasciato. Anche per ragioni di salute. Fra i tanti telegrammi che ha ricevuto, subito dopo la nomina, c'era anche quello di Veltroni. Segretario del piddì che lui conosce da tempo e che, anzi, dieci anni fa - quand'era segretario del pds - si spese molto perché lui dirigesse l'organizzazione di quel partito in Sicilia. Il telegramma di Veltroni ha dato il via ad una serie di supposizioni, che hanno trovato molto spazio sui giornali. Insomma, diversi commentatori pensano che quelle poche parole fossero il segnale di un possibile riavvicinamento.
E' così? Cosa nasconde quel telegramma?
Penso che sia un atto quasi dovuto, che fa parte delle norme di buona educazione politica, se così si può dire. Ma se proprio c'è un messaggio in quel telegramma, non credo che sia quello di cui hanno parlato i media...

Perché? Che cosa ci hai letto?
Forse erano la spia che anche fra le fila del piddì comincia a farsi strada la consapevolezza che con l'autosufficienza non si va da nessuna parte. Forse, la richiesta di un incontro da parte di Veltroni, comincia a rivelare che anche lì si stanno sgretolando le certezze sulla propria solitudine. C'è tutto questo e altro ancora.
Altro? Sempre in quelle poche righe?
Forse c'è anche l'ammissione che di qua, a sinistra, non c'è più solo un cartello elettorale. Certo dopo la sconfitta si sono prese strade diverse, alcuni mettono l'accento su strategie che puntano solo a ricostruire la propria identità ma ci sono anche tanti che puntano a ricostruire un'idea di sinistra. Che sappia superare la tragedia del voto. E con la quale tutti dovranno misurarsi.
Tragedia del voto. Tu come la spieghi?
Col fatto che gli elettori hanno punito il nostro deficit di verità. Parlavamo di nuovo soggetto ma in realtà abbiamo proposto un cartello elettorale, che ha mostrato il lato peggiore della sinistra. Siamo stati percepiti come una somma di apparati che divideva per quattro ogni istanza, ogni spinta dal basso. Ogni passione.
Vuoi dire che ti spieghi quel 3 per cento solo con gli errori della campagna elettorale?
Ovvio che non è così. Il problema viene da più lontano. Quando ti dicevo che c'è stato un deficit di verità mi riferivo anche ad un'analisi mancata. Alla nostra incapacità - di tutti noi - a fare i conti con un linguaggio, con categorie politiche che sono state percepite come vecchie. Antiche. Non sapevamo cosa fosse diventato questo paese e abbiamo fato finta di nulla. E invece dobbiamo proprio partire da discorsi di verità se vogliamo ricostruire la sinistra. Una sinistra che sia percepita come utile.

Utile, dici. Alla vostra ultima assemblea quest'aggettivo è stato sempre accompagnato dalla frase: «e di governo»...
Prima che formuli la domanda ti prevengo. E ti dico che trovo ridicola la contrapposizione fra chi è un teorico dell'opposizione e chi un sostenitore del governo. Contrapposizione falsa. La sinistra c'è e ci sarà se, in nome e assieme a chi vuole rappresentare, sarà in grado di trasformare questo paese. Se sarà in grado di progettare una trasformazione, di modificare lo stato delle cose presenti. E se questo è l'obiettivo, non ha senso che qualcuno dica: no, lì in quel posto dove si possono imporre le trasformazioni, non ci andrò in nessun caso. Non è mai stato così e non avrebbe molto senso riproporlo oggi.

Ma la discussione non è solo teorica. Alle spalle ci sono due anni di governo Prodi. Dammi un giudizio, in pillole, sull'esecutivo dell'Unione.
Un governo di mediazione, prudente, troppo prudente. Che ha balbettato e taciuto quando invece c'era bisogno di segnali forti. Ora la dice anche D'Alema, ora anche lui riconosce che forse si è dato più peso al pareggio di bilancio che non ai bisogni di chi lavora. Magari ci si sarebbe potuto pensare un attimo prima...
E adesso? Come si reinventa la sinistra?
Dovrà esserci un lavoro duro, di riflessione.
Anche se non tutte queste riflessioni vanno nella stessa direzione, non trovi?
E' evidente. Penso alla scelta del Pdci, che non condivido ma rispetto, penso al sofferto congresso di Rifondazione. Come ripartire? Innanzitutto una premessa: credo che anche le vicende di questi ultimi mesi ci hanno fatto capire che l'unità della sinistra non è un valore in sè. Stare tutti insieme, e per forza - come è accaduto prima del 14 aprile - può essere dannoso, per tutti.
Stai dicendo facciamo la sinistra con chi ci sta?
Se vuoi è la traduzione brutale del mio, del nostro pensiero. Facciamo la sinistra insieme a chi la vuole, senza le riserve mentali che abbiamo visto in campagna elettorale.
Da dove cominciare?
Io vedo che c'è molta più sinistra di quanto si possa immaginare. C'è tanta sinistra al di fuori delle organizzazioni politiche, c'è tanta sinistra in piazza a Bari contro la mafia, e in tante altre piazze d'Italia. Ce n'è tanta al di fuori dei partiti. Si deve ripartire da qui, non esistono scorciatoie. Occorre ricominciare dal sociale, dalle migliaia di organizzazioni che in questi anni hanno messo le radici nei territori. Non vedo alternative: alla costituente di una nuova sinistra a cui vogliamo dedicarci o protagonista sarà questa sinistra diffusa, o non se ne esce. E da qui, occorre riprogettare le future alleanze...
Alleanze elettorali?
Parlo di alleanze di progetto. Vedi, l'autosufficienza è una brutta idea del piddì ma lo è anche se la volesse praticare la sinistra. Io penso ad una sinistra autonoma, autorevole, forte, incisiva ma che ha piena coscienza che da sola non può farcela. A meno che non pensiamo di regalare per sempre questo paese alle destre. Ci vuole una nuova sinistra, allora, in un nuovo centrosinistra. Che non assomigli in nulla, però, a quello che abbiamo conosciuto. Quello era una zattera dove sono saltati tutti sopra, salvo poi abbandonarla, facendola affondare. No, io penso ad un'alleanza vera, fra attori che si parlano in condizione di parità.
Ma sii sincero: pensi che questa alleanza possa nascere con un piddì targato Veltroni?
Davvero non ha molto senso fotografare l'attuale situazione e fissarla per sempre. Viviamo un momento molto fluido e vedo, anche nel piddì tanti segnali di chi vuole mettere in discussione la linea seguita fin qui. Quella dell'isolazionismo. Apriamo confronti, incalziamo. Da posizioni separate ma senza la pretesa di autosufficienza da parte nostra.

da sinistra-democratica.it

Admin:
Una costituente per costruire il nuovo soggetto della Sinistra


È stata una lunga giornata di confronto quella del Comitato promotore di Sinistra Democratica che ha eletto Claudio Fava  nuovo coordinatore nazionale.

Apertura e conclusioni dei  lavori sono toccate al coordinatore uscente Fabio Mussi, che ha compiuto anche un’analisi della sconfitta elettorale. Il dibattito, così come il risultato della votazione di Fava, ha evidenziato come il movimento sia giunto a questo fondamentale appuntamento compatto nell’analisi e concorde negli obiettivi.
Un’analisi della sconfitta elettorale che riporta in quasi tutti gli interventi al voto utile, ma anche al fatto che la Sinistra l’Arcobaleno è stata percepita come un cartello elettorale e alla mancata interpretazione, da parte della Sinistra, dei problemi della società, effetto del distacco con il territorio.
L’obiettivo resta, per tutti, quello di costruire un nuovo soggetto unitario di Sinistra che abbia le carte in regola per riaprire il dialogo con il Pd, per costruire un nuovo centro-sinistra.
Quello che segue è un resoconto parziale di alcuni degli interventi che si sono susseguiti.
Achille Occhetto  individua la causa di quello che è successo il 13 e 14 aprile per poi proseguire di quello che la sinistra deve fare: “la sinistra è stata sconfitta soprattutto per colpa di quella macchina infernale che è il voto utile e proprio per questo noi avremmo dovuto dire dal principio che la campagna elettorale era iniziata subito con un colpo di mano anticostituzionale. In più bisogna aggiungere che la condotta della sinistra non è stata geniale, anzi, sono stati compiuti errori catastrofici. Non c’era la voglia di sinistra ne della Sinistra Arcobaleno, un dato politico e culturale estremamente grave. Il volto di alcuni era ancora piegato all’indietro, di quegli stessi che difendevano l’idea di una cultura di sinistra di opposizione e per l’opposizione”.
Occhetto usa una bella immagine, forte, che piace alla platea e che dà il senso di quello che questo movimento è stato e vuole continuare ad essere: “Sd è una scialuppa di salvataggio che tra i due estremi, una sinistra feticista e un partito di centro come il Pd, ha scelto la costruzione di una nuova sinistra. Lo spazio storico socio-culturale c’è, così come le motivazioni storiche, anche se cambiano soggetti e forme e dovremmo cambiare anche i linguaggi.
Nel 1892, all’inizio del movimento operaio, c’era un forte legame tra società politica e società civile. In questo senso dobbiamo parlare di partito di governo con autonomia di progetto, e passare da una guerra di posizione ad una di movimento. Non dobbiamo dire di no al Pd solo per partito preso: loro sono i veri sconfitti di questa battaglia e quindi abbiamo tutto il diritto di porre le nostre condizioni. Per me ce ne sono due fondamentali: un nuovo centro sinistra e una costituente di tematiche del centro sinistra. Non mi interessa il dibattito Veltroni-D’Alema, nel quale il primo, come un pugile suonato, ripete all’infinito di voler andare da solo, e il secondo, come sempre, parte da sinistra per volgere a destra. Noi dobbiamo gettare il seme del dubbio nel Pd e dobbiamo essere nel centro dell’operazione, coloro i quali reggono le relazioni con associazioni e movimenti. Mettiamo un gruppo che costruisca delle reti di informazione nuove e lavoriamo per costruire forme di mutualità nella società civile. Anch’io appoggio Claudio Fava- conclude Occhetto- persona che gode di grande prestigio nel Parlamento europeo e tra i colleghi del Pse. Grazie a Fabio Mussi per aver gettato questa scialuppa in mare”.
Poi è la volta di Cesare Salvi che accoglie la proposta di Claudio Fava come coordinatore. “Stiamo provando ad uscire dalle forme tradizionali dei partiti  quindi ad essere aperti a tutti quando si vota. Per Sd è un piccolo ma non irrilevante contributo, un modo diverso di fare politica. Restituire la parola agli iscritti perché decidano tutti quanti”. Secondo l’ex capogruppo di Sd al Senato bisogna  continuare a lavorare per un soggetto unitario della sinistra, secondo la linea decisa il 5 maggio. Sulla sconfitta è chiaro che “c’è un deficit politico istituzionale della sinistra: in questi due anni è mancata una sinistra di governo, con una cultura di governo, fin dal primo momento. E il Pd ha anteposto la conquista del governo a tutto il resto, ma così il governo non dura. Sono mancate alleanze politico-sociali, anche se lo spazio c’era. Questo la sinistra deve fare. Questa è la questione del Pse. È stato un pennacchio per marcare la differenza quando i Ds ne uscivano o ci dobbiamo credere?- si chiede Salvi-. Io credo che ci dobbiamo credere. In Francia e in Spagna sarebbe successo. È che in Italia c’ è un sistema da est Europa. Dobbiamo confrontarci ad ampio raggio: essere socialisti oggi significa anche porsi il tema di avere una cultura di governo. La capacità della sinistra in Italia, del resto, è stata sempre quella di coniugare gli ideali con i programmi”.
E’ la volta poi di Chiara Cremonesi, che, come coordinatrice provinciale di Sd a Milano, conosce a fondo la realtà della sinistra nel Nord del paese e avverte: “non dobbiamo dare risposte che servano solo a superare la crisi, ma trovare risposte che servano per ripartire. Ripartire dall’ascolto ma farlo davvero e iniziare a riempire uno spazio politico nuovo. Rivedere il ruolo della sinistra e le alleanze, anche sul piano nazionale. Siamo soli ma non dobbiamo correre il rischio di essere velleitari. Dobbiamo capire se i processi possiamo metterli in moto con altri soggetti. C’è bisogno di un’opposizione di verità per uscire dalle ambiguità”.
Dopo la Cremonesi, sale sul palco Fulvia Bandoli che, analizzando la sconfitta, parla di inadeguatezza seria della sinistra e si iscrive tra coloro che hanno sbagliato. “Oggi, dopo il voto, abbiamo quattro piccoli partiti comunisti. Prima ce n’erano due. Ormai sono un’enclave. Vogliamo dirlo questo? Vogliamo dirlo alla sinistra italiana? In Italia è possibile costruire una sinistra nuova con le forze che vogliono rinnovarsi. Dobbiamo partire da chi ci sta per creare comitati costituenti e partecipare a quelli che nascono nelle città dove non ci siamo. L’invito a votarci perché “una sinistra deve rimanere in vita in Italia” non poteva convincere nessuno. Bisogna darci degli obiettivi, ritornare a fare politica”. Sulla questione del coordinatore esprime il suo disaccordo nei confronti della linea del movimento: “io avrei proposto un coordinatore e una coordinatrice, in una fase come questa. Mi è stato detto che una regola di questo genere verrà inserita in un nuovo statuto. Ma non credo sia giusta una risposta di questo genere: se non c’è accordo si vota, e, eventualmente, si stabilisce la proposta duale. Inoltre, mi lascia poco convinta lasciare in vita per un mese e mezzo la presidenza dimissionaria. Io voterò Fava che avrebbe potuto scegliersi una squadra di collaboratori. Ritengo inoltre importante valorizzare il rapporto con i territori e le regioni”. Ma qual è la proposta politica?, si chiede la Bandoli: “unire la sinistra che vuole rinnovarsi, non tutta la sinistra. Io a discutere con Rizzo e Diliberto non ci sto più, perché una parte dei dirigenti della sinistra vuole soltanto restare nel proprio perimetro. Dobbiamo trarre la forza dai cittadini e dal territorio. Dare sostegno alle costituenti e non credere di essere autosufficienti”.
Quindi è il turno di Antonio Attili. Che si concentra soprattutto sul nodo dei territori e del rapporto che ci deve essere con il progetto di unificazione della sinistra. “Per il nuovo progetto di sinistra unita prevedo una struttura federale che lasci i giusti spazi ai partiti nei vari territori. Credo che  quello deve essere un punto dello statuto. Nei rapporti col Pd sono d’accordo con la pari dignità, ma sono totalmente in disaccordo a rispondere no alle alleanze locali se il Pd non cambia idea su un alleanza a livello nazionale”.
Nuccio Iovene parla della necessità di fare una riflessione all’altezza della sconfitta., che è di tutto il centro sinistra. “Il ‘96  ed il 2006 sono stati due fallimenti. Quali sono i problemi di fondo? Bisogna aprire da subito una sfida, un’interlocuzione col Pd, con un occhio attento ai movimenti e a quello che c’è fuori. Dobbiamo proporre un progetto credibile rispetto ai problemi che ci sono”.
Gianni Speranza, sindaco a Lamezia Terme, ha fra l’altro detto: “bisogna trovare un luogo dove la politica non sia né casta né cooptazione. È possibile lasciare la bandiera dell’innovazione istituzionale a movimenti qualunquistici come l’Italia dei valori?”.
Quindi è la volta di Titti Di Salvo. Per l’ex capogruppo di Sd alla Camera l’elemento principale della sconfitta elettorale è stato la grande rottura con la realtà. “La politica è utile se è rappresentanza non soltanto simbolo – avverte la Di salvo –. Non aspettiamo i congressi degli altri partiti ma apriamola noi la costituente, dandole un senso, decidendo che cos’è, privandola delle ambiguità tattiche. Dobbiamo costruire una sinistra popolare, nazionale, di governo e moderna, che sappia rinnovare la sua cultura politica e sappia leggere la realtà. Dobbiamo porci il problema del rapporto col sindacato, dobbiamo fare iniziativa politica per affermare un’altra idea di società”.
Carlo Leoni esprime soddisfazione per l’indicazione di Fava “perché dà il segnale che non smobilitiamo. Fava è un uomo di grande personalità, una persona con tante battaglie civili ed esperienza di movimento. Un dirigente che ha i pregi di quella sinistra orgogliosa. Lui ha avuto coraggio ad accettare, ma non lo lasceremo solo”. E indica come prioritaria la scelta “aprire un ampio processo costituente di una nuova sinistra che coinvolga nuove forze.
Noi dobbiamo influire nel dibattito interno al Pd, ma nello stesso tempo fare un piano di iniziative, assemblee pubbliche  aperte, case della sinistra sul territorio, partecipare alle iniziative di costituenti della sinistra come Firenze, aprire alle associazioni e alla Cgil, avere una nostra agenda di opposizione al governo Berlusconi”. E superare il fallimento elettorale, “non cercando più un’esperienza come la Sinistra Arcobaleno, federazione di forze distinte e non in comunicazione. È venuto il tempo di costruire un soggetto della sinistra, che lavori su un  nuovo centro sinistra. Solo se nascerà una sinistra della quale il Pd non possa fare a meno, nascerà un nuovo centro sinistra. Fava avrà pieni poteri ad operare. Insieme non solo saremo più forti tutti, ma più forte ognuno di noi”.
Per Alfiero Grandi il problema del governo è stato fin da subito quello di mettere in discussione i punti fondamentali del programma dell’unione.
Mentre Betty Leone individua nella mancanza di una nuova interpretazione dei problemi della società il vero problema della sinistra e indica tre priorità fondamentali per ripartire: “la questione del modello di crescita, il rapporto tra politica e sindacato e i luoghi della cultura e del lavoro, con un’attenzione particolare alle donne”.
Stelvio Antonimi, coordinatore di Sd nelle Marche, chiede di aprire l’assemblea nazionale non soltanto ai rappresentanti di Sd, ma anche a personalità nuove.
Finito il giro degli interventi, la parola torna a Fabio Mussi per le conclusioni.
Pochi punti, ma chiari, secondo l’analisi del coordinatore uscente. “Il Pd ha perso la scommessa. Ha perso perché l’alleanza con Di Pietro non era competitiva come quella tra il Pdl, la Lega e Lombardo. Dobbiamo agire per cambiare la posizione del Pd”. “Dobbiamo valutare nella formazione dell’opinione pubblica il peso dell’informazione”. “Dobbiamo regolare il sistema di alleanze. Ora che gli accordi per i voti locali vanno fatti prima del voto, dobbiamo far pesare il nostro sostegno. Non possiamo permettere che Cofferati a Bologna, ad esempio, dica sprezzante che non si alleerà più con noi, quando la sua giunta si regge sui voti determinanti dei nostri consiglieri. Veltroni non può pensare di scegliere gli alleati a la carte: qui non mi servi, vado da solo, qui mi servi e allora ti concedo di darmi i tuoi voti. L’apertura a sinistra deve essere il frutto di un’intesa politica. E questa posizione è condivisa anche da molti esponenti autorevoli del Pd. Lo stesso Bersani, con cui ho parlato pochi giorni fa, si è detto d’accordo con me. Nei governi delle regioni e dei comuni, del resto, c’è uno degli errori fatali di questa sinistra. Prima in Italia le amministrazioni locali della sinistra erano il mito del buon governo e senza miti, come diceva Gramsci, non esiste politica. Oggi invece tra le nostre esperienze ci sono macchie come quella della Campania e quella della Calabria, dove saremmo dovuti uscire dalla maggioranza. E tutto questo in un periodo in cui molte amministrazioni della destra al nord governano bene quanto noi, se non meglio”. “Il programma della Sinistra l’Arcobaleno era un bel programma. Peccato che durante la campagna elettorale non ce ne sia stata traccia. Ma non va buttato, anzi. Dobbiamo reagire ad atti gravi come quello di Sacconi che, da ministro del Welfare, come prima cosa ha attaccato la legge Nicchi”. “Sul sindacato c’è stato un pudore comprensibile nel dibattito di oggi. Del resto se questi 15 anni sono stati duri per la rappresentanza politica, lo sono stati anche per quella sociale. Non a caso l’Italia oggi è ultima in Europa per i salari insieme alla Grecia”. “Sull’assemblea dei primi di luglio, bisogna farla dandole un carattere strutturato”. La conclusione invita alla speranza: “le idee si possono cambiare – dice con quell’ironia tipica dei toscani – ma solo dopo un’adeguata resistenza a cambiarle rapidamente. Mio nonno, del resto, diceva che il mondo è dei fissati, intendendo per fissati quelli che hanno un’idea fissa e non la cambiano. Noi abbiamo sempre previsto che fosse sbagliato e improduttivo continuare a spostare verso il centro l’asse dei Ds in questi anni. E il risultato elettorale ci ha dato ragione. E abbiamo sempre pensato che questo spostamento avrebbe aperto un vasto spazio a sinistra e rinnovato le forze. Qui il risultato elettorale ci ha dato torto, ma bisogna insistere”.
Quindi si passa all’elezione di Claudio Fava, che procede senza intoppi proclamandolo rapidamente coordinatore nazionale di Sd all’unanimità con solo due astenuti.
L’ultimo discorso è il suo. E’ un discorso breve, intenso, chiaro, “per titoli” come dice Fava stesso. Cinque titoli, per la precisione, con cui dare il via al nuovo cammino di Sd: “Ricostruire il centro sinistra. Non l’Unone, ma un nuovo centro sinistra”. “Vogliamo autonomia per il nostro lavoro e pari dignità nei confronti del Pd”. “L’obiettivo è una costituente di sinistra: altro da noi e oltre noi. Una costituente in cui Sd sia uno strumento, non il padrone di casa”. “Le assemblee devono essere iniziative politiche, non formalità o semplice liturgia”. “Le assemblee che si terranno sui territori in questi giorni non potranno essere la nostra unica iniziativa politica”. L’ultima parte del suo discorso conclusivo è un appello al movimento: “La scelta di oggi è politica. Io vi chiedo un mandato politico pieno per questi 40 giorni. Non lo considero un passaggio formale”.
Come dicevamo questa è una sintesi parziale della discussione. Chi fosse interessato a proseguire il confronto può inviarci il suo contributo.



da sinistra-democratica.it

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