LE RADICI DEL NORDEST

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L’UOMO E LA COMPAGNA ERANO FINITI IN CARCERE E AVEVANO AFFIDATO LA PICCOLA A UNA DONNA CHE ORA LA RIVUOLE
Dal Brasile all’Italia: «Mi sono ripreso mia figlia analfabeta e poverissima»
Il racconto choc di un imprenditore vicentino che otto anni fa aveva lasciato la sua bambina ai bordi della giungla: «Ho dovuto farlo, con 2000 euro l’ho portata a casa»

di Andrea Pasqualetto, inviato a Vicenza

Non è facile per Paolo C. confessare che quel Pablo Milano Escarfulleri finito nelle galere brasiliane con l’infamia della droga, in realtà, era lui. Non è facile riconoscere di aver usato un nome falso per paura, per vergogna, per continuare ad avere una vita senza macchie almeno in Italia. Ma soprattutto non è facile raccontare la storia dei suoi bambini, Isa e Pietro (nomi di fantasia), lasciati nelle mani di due diverse famiglie durante la lunga carcerazione. Due figli che un bel giorno, scontata la pena, decise di riprendersi per averli in Italia. Non è facile perché in questi paesi del Vicentino, il sinistro Pablo è l’insospettabile imprenditore delle cornici Paolo C., patron di un’azienda con trenta dipendenti, amicissimo del sindaco e proprietario di una bella villa «con cinque bagni», come lui stesso sottolinea pensando alla favela di Isa.

La denuncia
Può sembrare un dottor Jekyll e mister Hyde, due vite, due anime. Non è così. A vederlo nello studio del suo avvocato, emozionato e confidenziale al limite dell’ingenuità, il quarantaquattrenne Paolo C. ha l’aria dell’uomo semplice. Come se fosse protagonista di una vicenda che lo supera. Vicenda che gli è esplosa addosso in questi giorni perché Oltreoceano il caso di Isa è diventato mediatico. E si scopre oggi che quando nel 2013 Paolo C. si riprese la bambina, la madre affidataria, Tarcilia Goncalina de Siqueira, lo denunciò alle autorità carioca per sottrazione di minore. «Un uomo è entrato in casa chiedendo un bicchier d’acqua, poi ha preso la bambina per un braccio e se l’è portata via. Sono certa che i rapitori sono i genitori naturali, quel Pablo Escarfulleri», disse allora la signora Tarcilia. Scattarono subito le indagini della polizia federale brasiliana. Qualche giorno fa, la svolta. Annunciata dal responsabile della Direzione contro la Criminalità organizzata, Flavio Henrique Stringuetta: «Abbiamo trovato la bambina, è in provincia di Vicenza». Bufera su Paolo C. Il quale ha chiamato subito il suo avvocato, Paolo Salandin, volendo chiarire la questione. Eccolo qui, dunque, a cercare di dipanare l’intricata matassa.

I guai in Brasile
«Tutto è cominciato nel 2004, quando, fuori del matrimonio, è nata qui in Italia mia figlia. La madre è Isabel, una dominicana. Io ero sposato con un’italiana e non potevo riconoscerla. Con Isabel siamo andati allora in Brasile, dove avevo un’azienda di cornici… Due anni dopo, nel 2006, io ho avuto un guaio con la giustizia brasiliana». Non vuole dire che si trattava di droga. «Pensavo di risolverlo in breve tempo e invece mi sono fatto più di tre anni». La bambina sarebbe rimasta con la madre se non fosse stata arrestata anche lei per lo stesso fatto, sette mesi dopo. E dunque Isa è rimasta senza genitori.

L’affido
«Quando io ero dentro, all’inizio, Isabel si era sistemata a casa di Tarcilia con la bambina. Conoscevamo quella famiglia perché la figlia di Tarcilia, Danielle, era stata la babysitter di Isa. Io facevo mandare dai miei parenti 200 euro al mese alla famiglia per il suo mantenimento. Duecento euro, in quel posto del Mato Grosso sono lo stipendio di un mese. Ora, io dico che loro sono stati gentili ad allevare Isa ma si tenga anche conto che non c’è stata alcuna adozione. Era solo in affido temporaneo, giusto il tempo di uscire dal carcere. Non capisco cosa sia passato per la testa di Tarcilia poi, che non voleva più ridarcela». Tarcilia urla al sequestro. Chi era quell’uomo che è andato a prenderla? «Non saprei. So solo che mia moglie, uscita anche lei di galera dopo tre anni, è andata a Santo Domingo. Da lì ha cercato più volte di portare a casa Isa. Ma né io né lei potevamo più rientrare in Brasile. E così ha chiesto a qualche amico se gli faceva questo piacere».

Il pagamento
Il piacere di rapirla? «Ma che rapimento e rapimento. Mia figlia non viveva nemmeno con Tarcilia ma con sua figlia Milca che aveva altri cinque bambini. E Milca era favorevole a consegnarcela. Le abbiamo dato 2000 dollari e qualche amico è andato a prenderla. Cioè, se c’è un sequestro in questa storia non è il nostro ma il loro». Paolo C. non dice tutto, però. Perché in Brasile, nel frattempo, è nato anche il piccolo Pietro, sempre figlio loro. «Sì – sospira – è successo poco dopo l’incarcerazione di Isabel». Storia analoga. Il bimbo, ancora in fasce, viene dato in affido temporaneo a un’altra famiglia. «Ma con loro ci sono stati meno problemi. L’abbiamo ripreso punto e basta». Oggi Pietro ha otto anni, Isa dieci. «Lei era praticamente analfabeta, aveva i pidocchi, camminava scalza. Ha vissuto per anni in quella baracca. Adesso vuole stare con noi, è chiaro. Qui ha tutto. L’ho iscritta a scuola e anche Pietro. E c’è anche un terzo fratellino che ha meno di un anno. Io e Isabel ci siamo sposati. Insomma, siamo una famiglia unita. Abbiamo festeggiato tutti insieme il Natale a Santo Domingo dove è stato battezzato il piccolino. Ma questa storia ci ha sconvolto».

A Santo Domingo
I tre figli e la moglie sono rimasti a Santo Domingo. «Gliel’ho consigliato io – spiega l’avvocato Salandin –. Perché non vorrei che qui in Italia ci fossero sorprese per i figli, che hanno già patito abbastanza». E così, mentre la polizia brasiliana gli sta dando la caccia, Paolo C. allarga le braccia e scuote la testa: «Io penso che i miei figli stiano meglio qui da me che in quel posto». Ma in quel posto c’è la signora Tarsilia che non si dà pace: «Io capisco l’affetto per nostra figlia ma non erano questi gli accordi». Alla fine, stanno male un po’ tutti. Tarsilia che ha visto sparire Isa, Paolo C. che deve nascondere i figli, la mamma che non può tornare in Italia. E i bambini, che hanno già vissuto due mondi e una tempesta di affetti.
24 gennaio 2015 | 07:56
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IL BENZINAIO DI NANTO

Stacchio: «Volevano candidarmi Rifiuto, non sono un predicatore»
«Prego per il bandito che ho ucciso. La politica? Ho già la mia vita»
Stacchio, dalle code in auto a Salvini


NANTO (Vicenza) «Sono sereno».
Come fa?
«La mia serenità è la coscienza pulita, la solidarietà che ricevo dalla gente è la mia forza. Ho avuto una vita meravigliosa, una famiglia stupenda e tante gioie. E poi prego». Per chi prega? «Anche per quel povero bandito. E prego perché i suoi complici capiscano che non possono andare in giro a spaventare le persone e che il denaro non li renderà mai felici».

La stessa divisa dell’Agip, lo stesso berretto di lana calato sulla fronte e le auto che si fermano a fare rifornimento. A Nanto, in apparenza, è rimasto tutto come quel 3 febbraio, quando una banda di nomadi ha tentato l’assalto alla vicina gioielleria di Roberto Zancan e lui, il benzinaio Graziano Stacchio, ha aperto il fuoco per farli fuggire e difendere la commessa barricata nel negozio. In realtà nulla è più lo stesso. Lo si capisce dai due poliziotti di scorta e dalle frasi degli automobilisti di passaggio. «Hai fatto bene», «Sto dalla tua parte». Qualcuno allunga un’offerta - «Per aiutarti a sostenere le spese legali» - visto che ora è indagato con l’accusa di eccesso colposo di legittima di difesa. E che l’aria sia cambiata, lo si intuisce anche dai giornali che raccontano dei residenti di un quartiere di Oderzo, nel Trevigiano, che hanno sparato ai ladri al grido di «facciamo come Stacchio» e riportano le frasi di Joe Formaggio, il sindaco di Albettone, che anche ieri ha tuonato: «Quelli che vanno in giro per le case a rubare e a picchiare donne di 90 anni per portare via le fedi, vanno ammazzati, basta con questo buonismo». Ma il benzinaio la pensa diversamente. «Non voglio il Far West, prima di imbracciare il fucile bisogna pensarci dieci volte. Non si spara alle persone: la vita è sacra».

Lei però l’ha fatto.
«E non penso che riuscirei a farlo un’altra volta. Ma in quel momento c’era una ragazza in pericolo e io ho agito di impulso, il cuore mi scoppiava. Dovevo fare una scelta: scappare o reagire. Sono rimasto. Quelli erano banditi armati di kalashnikov. I ladri, invece, sono un’altra cosa: se nessuno è in pericolo di vita, la cosa giusta da fare è chiamare le forze dell’ordine. Se invece ci si limita a sparare un colpo in aria per impaurire i criminali, bè, allora è diverso…».

Domani, sabato, a Venezia ci sarà la manifestazione organizzata da Lega Nord e Fratelli d’Italia. L’hanno invitata. Ci andrà?
«No-no-no-no». (Si ritrae di un passo e incrocia le mani al pezzo, quasi volesse difendersi da qualcosa)

Non le piace la politica?
«Al contrario, confido molto nei politici: solo loro possono cambiare questo paese, garantendo alle forze dell’ordine il sostegno di cui hanno bisogno. La sicurezza non è né di Destra né di Sinistra, è un tema su cui tutti i partiti dovrebbero riflettere, invece di continuare a scaricarsi le colpe l’uno addosso all’altro. Anche se, a dirla tutta, c’è una cosa che non mi so spiegare...».

Cosa?
(Rimane in silenzio. Poi risponde, lentamente, pesando ogni singola parola) «Qui sono venuti i leader di molti partiti, Matteo Salvini, Giorgia Meloni, il candidato alle regionali del Movimento 5 Stelle... Ma nessuno di centrosinistra si è fatto sentire».

Le dispiace?
«Non è che ci sia rimasto male, solo non ho capito perché non abbiano preso posizione su quanto è accaduto qui a Nanto. Serve un impegno da parte di tutti i partiti per sostenere maggiormente quei poliziotti e carabinieri che tutte le mattina si svegliano e si mettono in strada per difenderci. La nostra Italia ha bisogno di tre cose: istruzione, sanità e sicurezza».

Sembra un programma elettorale. Qualcuno le ha chiesto di candidarsi alle prossime elezioni regionali?
«Sì, ma non mi chieda di che partito».

Accetterà l’offerta?
«Ho detto di no: voglio rimanere fuori dalla politica. A 65 anni ho già la mia vita e il mio lavoro. Non voglio mettermi a fare il predicatore, non sarebbe giusto. E non mi va neppure di indirizzare, con la mia presenza in qualche lista elettorale, la scelta delle tante persone che in questi giorni mi sono state vicine».

Nei giorni scorsi qualcuno ha fatto recapitare dei proiettili indirizzati a lei e al gioielliere. Ha paura?
«Ho la mia teoria su quelle minacce: siamo in campagna elettorale».
Quindi non crede sia una vendetta dei nomadi?
«Nei campi nomadi ci sono anche buone persone, in mezzo a qualche “pazzerello”, ma hanno una coscienza pure loro: sanno che non volevo la morte di quel ragazzo».

06 marzo 2015
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Andrea Priante

Da - http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2015/6-marzo-2015/stacchio-volevano-candidarmi-rifiuto-non-sono-predicatore-2301071588996.shtml

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Pop. Vicenza stringe su Veneto Banca

Di Katy Mandurino
12 aprile 2015

Banca Popolare di Vicenza si prepara alla trasformazione in spa e contestualmente alla fusione con Veneto Banca. Sono questi gli obiettivi che nel prossimo mese si è posto il cda dell’istituto vicentino il quale, ieri in assemblea, davanti a 4.403 soci – ma ne erano rappresentati 6.449 -, ha chiesto e ottenuto, nonostante le contestazioni, l’approvazione del bilancio 2014, chiuso con un rosso di 758 milioni di euro, e l’approvazione del ridimensionamento del prezzo delle azioni da 62,5 a 48 euro, con una svalutazione del 23,2% (che ha portato il rapporto tra valore e patrimonio a 1,2).

La strada obbligata e già tracciata della trasformazione in società per azioni corre parallelamente (e, nella mente dei vertici della banca, conseguentemente) alla definizione di un partner che possa aumentare e consolidare le dimensioni patrimoniali della banca. Da qui il palese “appello” di ieri del presidente Gianni Zonin a Veneto Banca: «Auspico che gli amici di Montebelluna – ha detto alla platea dei soci – raccolgano il nostro invito affinché possiamo fare assieme una grande banca del Veneto, continuando ad operare con azioni sul territorio nonostante la trasformazione in Spa». Nei giorni scorsi Mediobanca, Advisor incaricato di sondare il terreno nel panorama delle popolari, aveva stilato un elenco di quattro nomi possibili. Tra questi (cioè Veneto Banca, Carige, Creval e Popolare di Sondrio), l’istituto di Montebelluna è quello che più di altri permetterebbe il mantenimento della centralità del territorio. «Se ci aggreghiamo – ha aggiunto Zonin –, facciamo una cosa straordinaria, mettiamo in sicurezza i nostri istituti e li rendiamo meno scalabili, restiamo sul territorio e diventiamo la quinta o sesta banca d’Italia».

La fusione con Veneto Banca prima della trasformazione in spa (o contestualmente ad essa) renderebbe più agevole il passaggio del gruppo in società per azioni, gruppo che a questo punto sarebbe più consolidato e già definito. E che potrebbe fare un ulteriore aumento di capitale. «Con una trasformazione in spa – ha spiegato il dg e consigliere delegato Samuele Sorato - è abbastanza inevitabile che ci siano nuovi investitori e, anche se non deciso dalla banca, ci potrebbero essere manifestazioni di interesse per rafforzare il capitale. E un aumento sarebbe la strada migliore». Anche per affrontare eventuali valutazioni della Bce sulle dimensioni (sufficienti?) della nuova società che si verrà a creare.

Società che, però, non avrà come presidente Gianni Zonin: «Quando la banca diventerà una spa io non sarò più il presidente di questo istituto – l’annuncio -. Ritengo che la trasformazione in società per azioni non sia cosa da festeggiare perché si perde la mutualità. Nel 1996 ho accettato di fare il presidente di un istituto popolare, ora un’epoca è finita. Ma auspico che con questa trasformazione la banca possa raggiungere dimensioni europee».

Sarà, dunque, un nuovo presidente a prendere entro l’anno le redini della Popolare di Vicenza e a ereditare i frutti di una politica prudenziale negli accantonamenti e nella valutazione degli attivi, che ha portato nel 2014 le rettifiche di valore complessive a 1,521 miliardi di euro, mentre gli avviamenti sono stati rettificati del 65%, per circa 600 milioni di euro, e ad affrontare il piano industriale triennale 2017-19, «che - ha spiegato Sorato - permetterà alla banca di avere un Cet 1 oltre il 13% e un target per l’utile fissato ad oltre 300 milioni di euro, con un Roe pari alll’8% a fine 2019».

Resta un problema da risolvere: quello della liquidabilità delle azioni. Non sono stati pochi in assemblea gli interventi dei soci azionisti a contestazione non solo della svalutazione delle azioni ma anche dell’impossibilità incontrata nelle filiali di poter vendere, da un anno e mezzo a questa parte, le azioni detenute. «Tutto il mio patrimonio è bloccato», ha detto Annarita Toniollo. «Più di un anno fa ho chiesto il rientro dei miei investimenti senza ricevere nessuna risposta», ha aggiunto Francesco Bagatella; «Ho messo in vendita le azioni, ho avuto la sicurezza di essere liquidato in seguito ad un investimento immobiliare e la banca mi ha fatto un fido, su cui però devo pagare gli interessi», è il caso di Gianfranco Bertollo. «Dal mese di maggio abbiamo pensato di affidare ad un operatore terzo specializzato, ovvero l’Istituto centrale delle banche popolari, lo scambio delle nostre azioni - ha spiegato il direttore generale Sorato -, su una piattaforma di negoziazione dove si svolgeranno aste mensili con una oscillazione del 5% (cumulabile nelle aste fino al 20%)». Una specie di Borsino telematico. Preludio, probabilmente una volta spa, alla Borsa vera e propria.

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Da - http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2015-04-12/pop-vicenza-stringe-veneto-banca-081351.shtml?uuid=ABXoVHOD&cmpid=nl_7%2Boggi_sole24ore_com

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Regionali Veneto, gaffe e professionisti della Carega: è la patria del trasformismo
Politica
Razzisti, indipendentisti incalliti ovunque, fascisti di ritorno, omofobi in ordine sparso: le liste venete sono un caleidoscopio di facce da bar sport, infarcite di ex e new entry a caccia di promozione.
Tra i quasi 1100 nomi chi voleva usare i mitra con i migranti, l'assessore che "saluta romano" e perfino la cugina di Putin

Di Alessandro Madron | 17 maggio 2015

Gaffeur, trasformisti, vip e amici degli amici. Tra razzisti, indipendentisti incalliti, fascisti di ritorno, omofobi in ordine sparso e professionisti della Carega, in Veneto le liste sono un caleidoscopio di facce da bar sport, infarcite di “ex” in cerca di conferme e new entry a caccia di promozioni. Così scorrere l’elenco dei quasi 1100 nomi dei candidati, divisi in 19 liste, può diventare un’impresa tragicomica.

Tosi e il corso popolare con chi vuole i mitra con i migranti
Il candidato di rottura Flavio Tosi, il sindaco di Verona che si è ribellato a Salvini proponendosi a capo di una coalizione di 6 liste (venetiste ma di osservanza costituzionale, di destra ma moderate), ha imbarcato una marea di suoi fedelissimi. Sindaci, assessori, presidenti di provincia, consiglieri e addirittura un paio di assessori regionali della giunta Zaia che, abbagliati dai fari, hanno scelto di abbandonare il Carroccio.

Nella lista Tosi per il Veneto troviamo candidato niente meno che Daniele Stival, assessore regionale alla Caccia e all’Identità di ferrea fede leghista fino a poche settimane fa. Nel corso della sua carriera politica ha collezionato una serie non indifferente di perle, passando agevolmente dalla bestemmia in aula (udita da molti, ma non dai microfoni istituzionali) alle offese rivolte all’ex ministro Kyenge: sul profilo facebook aveva condiviso un post nel quale si affermava che fosse “vergognoso paragonare un povero animale indifeso come l’orango a un ministro congolese” (salvo poi smentire di condividerne il messaggio). Ma non è tutto: durante una trasmissione di una tv locale ha invitato ad “usare il mitra” contro gli immigrati, senza dimenticare quella volta in cui citò il “teatro Petruzzelli di Napoli”.

Un altro ex assessore (titolare della Cultura nella giunta Galan all’inizio dello scorso decennio) è Ermanno Serrajotto, candidato con Tosi a Treviso. Al suo attivo ha la proposta di spostare a Venezia il festival di Sanremo e una firma in calce alla delibera di acquisto di un affresco del Veronese. Affresco acquistato da un misterioso privato per una cifra superiore ai 200mila euro, sulla cui paternità (e quindi sul suo valore) negli anni successivi è stato sollevato più di un dubbio.

Con Tosi ex Fi, ex Udc, perfino ex Pd
A Treviso Tosi candida anche Maria Gomierato, ex sindaco di Castelfranco, in trattativa fino all’ultimo con la Moretti, e Diego Bottacin, consigliere regionale uscente del Pd che ha lasciato “perché andava troppo a sinistra”. Capolista a Treviso, dopo un lungo tira e molla, è Leonardo Muraro, che resta leghista in Provincia (lui è presidente), ma sfila nelle truppe tosiane per la Regione. A Belluno troviamo il consigliere uscente Matteo Toscani (ex leghista), l’ex segretario provinciale del Carroccio Diego Vello e Daniela Templari, che da assessore provinciale nel 2010 si era autosospesa per via del coinvolgimento del figlio in una questione di droga: un anno dopo, quando chiese il reintegro, le venne negata la poltrona. In provincia di Venezia si candida con Tosi anche Francesco Piccolo, consigliere uscente ex Forza Italia. A conferma delle ambizioni di Tosi è da segnalare la presenza in lista di Luciano Finesso, nel direttivo nazionale dell’associazione Democrazia Cristiana. Infine il sindaco s’è portato dietro mezza amministrazione: c’è il vicesindaco Stefano Casali, l’assessore Luigi Pisa, le consigliere Antonia Pavesi e Barbara Tosi, che con il fratello-primo cittadino condivide anche la condanna definitiva a due mesi per aver propagandato idee razziste contro Rom e Sinti.

Razza Piave e il consigliere che incontrò Karadzic
Tra le liste che sostengono Tosi non ne manca una di ispirazione apertamente indipendentista: Razza Piave-Veneto Stato, un nome un programma. Tra i candidati di questa lista anche Luciano Fior, una delle anime del movimento Noi Veneto Indipendente. Nella lista Unione Nord Est c’è invece Adriano Bertaso, leghista delle origini che, nelle vesti di consigliere regionale, incontrò nientemeno che Radovan Karadzic, leader serbo-bosniaco poi ricercato dal 1996 per crimini di guerra dal tribunale penale internazionale per i crimini nella ex Jugoslavia. Immortalato in una foto pubblicata da Sette che nel 1997 costrinse la Liga Veneta a prendere pubblicamente le distanze da Bertaso.

Con Zaia la cugina di Putin e l’assessore che saluta romano
Se Tosi ha fatto il pieno di leghisti, non badando troppo ai loro trascorsi, alla corte di Luca Zaia le cose non vanno molto diversamente. Tra le liste di sostegno al governatore uscente, la più prolifica sembra essere quella di Fratelli d’Italia. Partendo da Venezia, il primo nome in cui ci si imbatte è quello di Raffaele Speranzon che nel 2011 da assessore provinciale alla Cultura mise al bando dalle biblioteche le opere dei letterati che nel 2004 firmarono l’appello per la scarcerazione di Cesare Battisti, chiedendo di ritirare le loro opere dagli scaffali e di non promuoverne la presentazione.

Adelina Putin. Il compagno di lista Nicola Boscolo Pecchie nel 2010 è passato agli onori delle cronache per aver proposto, quando era assessore alla Cultura di Chioggia, di apporre una lapide in ricordo dei gerarchi fascisti Gennaro Boscolo Marchi e Mario Manlio nel luogo in cui i due furono impiccati il 22 maggio del 1945. In provincia di Vicenza Adelina Luigia Putin, che vanta parentele con il più noto Vladimir: “Amo questo cognome – ha dichiarato – in Italia ci vorrebbero sette Vladimir” e si fa ritrarre mentre imbraccia un fucile di precisione.

Veneto - Raffaele Zanon Ma non è sola in lista, con lei c’è l’ormai noto sindaco Joe Formaggio che con tempismo veneto ha emanato un’ordinanza anti-rom a due mesi dalle elezioni regionali in cui sarebbe stato candidato. In quel di Padova c’è Raffaele Zanon, l’ex assessore regionale protagonista di un noto spot omofobo pubblicato nel 2013 si era già fatto pizzicare ad una cena fascistissima, mentre se ne stava con le mani in tasca accanto ad un gruppo di amici intenti fare un saluto fascista davanti ad una croce celtica.

Il candidato Zaia: “Tosiani? Se li vedo li prendo a calci in bocca”
Anche le altre liste che sostengono Zaia non hanno voluto farsi mancare nulla. Un pieno di sindaci, assessori e consiglieri comunali e provinciali in cerca di una ribalta regionale. Tra i tanti candidati si è distinto ad esempio Fulvio Pettenà che nei giorni della rottura con Tosi ha sconsigliato pubblicamente al sindaco scissionista e alla sua compagna, la senatrice Patrizia Bisinella, di palesarsi a Treviso: “Se li vedo li prendo a calci in bocca”. In provincia di Padova, invece, è il vulcanico Roberto Marcato a prendersi la scena, dall’invito ad “evadere di più” al consiglio rivolto ai padovani di non accogliere profughi perché “se avrete problemi vi arrangiate” per arrivare alla “militarizzazione della città”.

Il sindaco di Cittadella e i lager
Il sindaco di Cittadella Giuseppe Pan, degno erede di Massimo Bitonci, rischia di fargli ombra. Un cittadino su Facebook lo invitava ad agire contro gli accampamenti abusivi di Rom lungo il Brenta e Pan non ha tardato a rispondere: “Sono sempre gli stessi rom che continuamente sgombriamo. Non hanno una dimora e vagano disseminandosi nel territorio. Visto che i lager non ci sono e tanto meno i campi rom, se vuoi provare tu!”. Attaccato dalle opposizioni si è difeso nel più classico dei modi: “Travisate le mie parole”.

Lo “spot” del vescovo alla candidata leghista
La Lista Zaia ha fatto parlare nelle ultime ore per via di una email inviata da don Domenico Consolini, direttore dell’ufficio scuole della curia di Verona, a tutti gli insegnanti di religione della diocesi. Allegata alla missiva elettronica una lettera del vescovo scaligero Giuseppe Zenti nella quale si elogiava il programma e l’operato di Monica Lavarini e si invitava a diffondere l’informazione. Poi un mezzo passo indietro dei prelati, che si professano “al di sopra delle parti”. Per restare in area popolare nella lista Zaia Presidente c’è anche Stefano Valdegamberi, eletto nel 2010 con l’Udc. Ex tasiano, cattolico integralista, che ha scelto la via di Zaia è anche il consigliere comunale veronese Alberto Zelger. Nei mesi passati si è distinto per prese di posizione intransigenti sui temi dell’omosessualità ma non solo: durante un dibattito, racconta il Corriere Veneto, assicurò che il cervello delle donne è “diverso da quello degli uomini”, d’altra parte – ha spiegato poi – “basta leggere gli studi scientifici e guardare come parcheggiano le auto“.

Le “candidature imbarazzanti” della Moretti
Spazio a qualche funambolo della politica anche tra le liste che sostengono Alessandra Moretti. Nel firmamento democratico c’è una stella che brilla più di tutte, è quella della lista Progetto Veneto Autonomo che ha portato alla corte della candidata renziana una schiera di candidati che non sembrano aderire all’ortodossia classica del Pd. Su tutti Santino Bozza, ex consigliere regionale leghista (espulso nel 2013), convinto che gli omosessuali sono “sbullonati” che “non devono farsi vedere in giro“. Con lui c’è anche Gianluca Panto, che nel 2010 è stato candidato presidente con il Partito Nasional Veneto, poi confluito in Veneto Stato. Altro leader autonomista nel listone morettiano è Bortolino “Bobo” Sarotre a cui si riconoscono posizioni contrarie alle unioni civili e al riconoscimento della famiglia anagrafica (sostenuta invece dal Pd): “Non sarà che vogliono annientare la famiglia tradizionale svuotandola di significato dall’interno?”.

Indipendentisti die hard
Tra le fila di Indipendenza Veneta spiccano invece i nomi di Fabio Padovan e Lucio Chiavegato. Il primo è il fondatore della LiFe, il movimento degli imprenditori federalisti che si battono contro l’oppressione fiscale, è stato in Parlamento con la Lega Nord dal 1992 al 1994. L’amore per il Carroccio è finito quando la Lega di Bossi ha preso le distanze dai Serenissimi che lui, al contrario, ha sempre sostenuto (anche economicamente) definendoli degli “eroi” . Da allora è sempre stato un uomo d’azione, pronto a scendere in piazza anche a rischio di prenderle (come nel 1997, quando la manifestazione davanti al tribunale di Venezia contro il processo agli otto Serenissimi finì a botte, sassate e lacrimogeni tra autonomisti, autonomi e polizia). Il suo animo barricadiero, anticasta e antiromano non gli ha impedito però di schierarsi contro il taglio ai vitalizi, che ha spiegato dicendo di essere “contro alla riforma delle pensioni”. Da imprenditore Padovan viene ricordato per due episodi: il regalo di 500 euro a testa ai suoi 150 dipendenti in occasione del suo matrimonio e il viaggio con i dipendenti a Medjugorje, per scongiurare una crisi che poi non lo ha risparmiato.

Lucio Chiavegato è l’altro nome forte del sodalizio autonomista. In prima fila con il movimento dei Forconi che ha paralizzato il Veneto nel 2013, Chiavegato si è fatto sentire parecchio negli ultimi anni, il suo nome figurava anche tra i 24 arrestati su mandato della procura di Brescia nell’inchiesta sul presunto terrorismo armato veneto.

Di Alessandro Madron | 17 maggio 2015

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/05/17/regionali-veneto-gaffe-e-professionisti-della-carega-e-qui-la-patria-del-trasformismo/1690551/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2015-05-17

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LO STABILIMENTO NEL VENETO
Electrolux e il tabù di Ferragosto Disposti a lavorare solo pochi operai
Il gruppo svedese ha chiesto di tenere aperta la produzione anche sabato 15 agosto per soddisfare la domanda di frigoriferi. Sindacati contrari: «Si assumano persone»

Di Fausta Chiesa

Ferragosto, lavoro mio non ti conosco. Rinunciare al giorno di vacanza per antonomasia in Italia è difficile. Almeno così sembra se si guarda al caso della Electrolux di Susegana, in provincia di Treviso. Sarebbero appena una quarantina i lavoratori dello stabilimento (in tutto sono 1.100) disposti a lavorare il 15 agosto, che per di più quest’anno di sabato. Va detto che il 15 agosto sarebbe per altro l’unico sabato non lavorativo del mese, perché per gli altri è già stata raggiunta un’intesa nelle scorse settimane con le organizzazioni sindacali. La Rsu ha confermato la propria contrarietà. Eppure, i vantaggi - economici - non sono da poco. Per chi vorrà trascorrere il Ferragosto in fabbrica è prevista una maggiorazione del 75%, un po’ meno del 50% di maggiorazione più 2 euro concordati con il sindacato per i 6 sabati lavorativi fissati.

I sindacati chiedono, invece, nuove assunzioni per far fronte alle aumentate esigenze produttive. «E’ lapalissiano che più straordinari facciamo, meno occupazione creiamo - aveva detto già a inizio agosto Augustin Breda della Rsu di Electrolux Susegana -. Dunque, se la ripresa è strutturale, allora si aprano nuove linee di produzione e si assumano persone». Quest’anno Susegana raggiungerà gli 830 mila pezzi, mentre un anno fa la produzione si era fermata sotto le 750 mila unità.

La maggiore produzione con gli straordinari servirebbe a soddisfare la domanda aggiuntiva e raggiungere anche l’obiettivo degli 830mila frigoriferi prodotti nel 2015. Per far fronte al fabbisogno di Ferragosto servono tra i 100 e i 130 volontari e questo per produrre 450 pezzi circa. I numero di addetti così raccolto non basterebbe a ottenere il quantitativo di produzione. Il gruppo svedese non demorde. La verifica sulle disponibilità si sarebbe estesa ai lavoratori assenti per ferie per valutare una loro accettazione di un rientro anticipato al 15 agosto anziché il lunedì successivo. La decisione sull’attivazione delle linee a Ferragosto sarà assunta solo al termine di quest’ultima ricognizione.

5 agosto 2015 (modifica il 5 agosto 2015 | 13:51)
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Da - http://www.corriere.it/economia/15_agosto_05/electrolux-tabu-ferragosto-disposti-lavorare-solo-pochi-operai-0396d20a-3b62-11e5-b627-a24a3fa96566.shtml

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