LE RADICI DEL NORDEST

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Arlecchino:
DIBATTITO SULL'INDIPENDENTISMO

Ma il popolo veneto esiste?
Storici e intellettuali a confronto

Grande Stato o piccola patria? Colpevole bluff o errore tecnico? In piena bufera sul referendum on - line di Plebiscito.eu per l’indipendenza del Veneto - 2 milioni di voti secondo i promotori, 100mila per le società che certificano i flussi web - forse l’unico interlocutore credibile si chiama Giambattista Vico (1668 - 1744). La sua teoria dei corsi e ricorsi storici, seppure secolare, è utile a diradare il caos che si è creato. In sintesi: alcuni accadimenti si ripetono con le medesime modalità anche a distanza di tanto tempo e ciò avviene non per puro caso ma in base ad un preciso disegno della divina provvidenza. Così dalla Repubblica veneta dei desideri alla Catalogna passando per il Kosovo e la Scozia sino alla Crimea, probabilmente, alla resa dei conti è una «logica superiore» che s’impone. Eppure c’è un quesito cruciale finora senza risposta: ma quello veneto è un popolo? Di più. Se sì, ha diritto all’autodeterminazione? In mezzo, le ragioni della Costituzione, della storia, della politica, dell’economia. Gianluca Busato, promotore del Comitato del Sì al referendum, il sindaco democratico di Silea Silvano Piazza e il factotum dell’indipendentismo, già leader della Liga Veneta Franco Rocchetta, ci giurano sopra, ne sono fermamente convinti: quello veneto è un popolo e ha diritto all’indipendenza».

Proprio Rocchetta non accetta i luoghi comuni e rilancia con un’analisi che affonda le radici nella storia delle autonomie: «Ho visto molti infantilismi nell’approccio all’iniziativa di Plebiscito.eu. Il Veneto è contemporaneamente un popolo, una nazione e uno stato. Il Veneto non è Italia così come il Portogallo non è Spagna, la Lituania non è Estonia. Io ad esempio ho seguito la genesi di molte Repubbliche dell’ex Europa orientale sin dai tempi della Guerra fredda. Sono storie di orgoglio e riscatto, fenomeni complessi che hanno un’incubazione di anni. Per questo, - argomenta Rocchetta - mi rendo conto che i simulacri della statualità non possono essere costruiti con la stampante 3D. Per noi, la Repubblica di Venezia è tutt’altro che finita nel 1797. Oggi non ci collochiamo né a destra né a sinistra di nessuno, non siamo un partito ma dialoghiamo con tutti. I segnali sono incoraggianti, - insiste Rocchetta - mi pare di vedere una consapevolezza nuova nei cittadini veneti. Fino all’altro ieri non si sapeva niente di storia veneta, ci parlavano sempre e solo del Risorgimento e mai di Daniele Manin e Niccolò Tommaseo, del loro modello di stato, di società, di sistema economico. Le lacune dei veneti sono grandi - riflette Rocchetta - cinquanta anni dopo la Serenissima, il 22 marzo 1848 fu proclamata ufficialmente in piazza San Marco la Repubblica Veneta, anche questo un capitolo poco noto. Recuperare quello spirito, quello slancio, quegli obiettivi, è una scommessa per il futuro del Veneto. Secondo noi, vincente». Carta che vince, carta che perde. Se quella sull’indipendenza del Veneto fosse una semplice partita, forse si potrebbe giocare alla pari. Il punto è che di mezzo c’è uno stato di diritto, una capitale (Roma), la Costituzione. Mario Bertolissi, costituzionalista, non ha pregiudizi. Riflette serenamente: «Nel discutere significato e effetti che può generare il sondaggio degli indipendentisti, è necessario considerare più di una prospettiva: quella giuridica, quella istituzionale e quella politica. La prima risponde alla seguente domanda: l’ordinamento costituzionale italiano, per come la pensa in particolare la Corte costituzionale, contempla l’istituto della secessione? La risposta è no. È una pratica suggerita anche da Niccolò Machiavelli, il quale avvertiva che ’colui il quale trascura ciò che al mondo si fa, per occuparsi invece di quel che si dovrebbe fare, apprende l’arte di andare in rovina, più che quella di salvarsi’".

Il conflitto - sostiene Bertolissi - riguarderà l’articolo 5 della Costituzione che proclama l’unità e indivisibilità della Repubblica». «La seconda prospettiva, - ragiona il costituzionalista - è quella istituzionale. Un referendum consultivo rappresenta l’espressione di una serie di valori pure essi costituzionali: democrazia diretta, libertà di manifestazione del pensiero, pluralismo sia delle persone (cittadini elettori) sia degli enti (Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni) perché la Repubblica non è costituita solo dallo Stato». Infine c’è la terza prospettiva che indica Mario Bertolissi: «È quella politica che dovrebbe guardare al futuro con visione lungimirante. Perché la politica è l’arte del possibile. Il possibile dovrebbe coincidere con ciò che corrisponde al bene della collettività rappresentata. Nel nostro caso, degli abitanti della Regione Veneto. Ora come ora sono lo Stato e le Regioni negligenti ad essere secessioniste, non il Veneto. Anche se tutto non va come dovrebbe andare, neanche in Veneto». Già, il secessionismo. Tema ricorrente nella storia del Veneto. Ciclicamente capace di coagulare consensi o creare divisioni mai sanate. Tema che da sempre appassiona un raffinato scrittore e cultore della storia della Serenissima come Alvise Zorzi. Che non usa mezzi termini: «Qualora fosse confermato l’esito del referendum organizzato da Plebiscito.eu (due milioni di votanti n.d.r.) saremmo davvero davanti ad un fenomeno inaspettato, inedito per il Veneto. Perché questa comunità - sostiene Zorzi - non è mai stata veramente ribelle. Alla fine, ha prevalso sempre la diplomazia, le ragioni del pragmatismo su quelle dell’idealismo.

Il popolo veneto esisteva una volta, non oggi. Lo stesso ricordo della Repubblica veneziana si perpetua da tanti anni. Spesso viene rilanciato ma oggi non mi pare esista una classe politica che possa recuperarne lo spirito autentico e applicarlo al Veneto moderno. No, onestamente il movimento Plebiscito.eu non riesce ad emozionarmi. Dietro la Serenissima, alle spalle di quella Venezia e di quel Veneto - ragiona lo scrittore - c’era una vera e propria potenza economica. Non mi pare che oggi gli industriali del Nordest abbiano le stesse risorse e la stessa voglia di combattere. E poi all’orizzonte, in piazza San Marco, non vedo nessun Mocenigo, nessun Foscari, nessun esponente politico in grado di raccogliere eredità illuminate di quello spessore». Del referendum on line sull’indipendenza del Veneto sorride Mario Isnenghi, per anni titolare della cattedra di Storia contemporanea a Ca’ Foscari. «Non vorrei infierire né apparire poco rispettoso, - esordisce lo storico - davanti ad un’iniziativa probabilmente ispirata da sentimenti sinceri e oneste attese. Ma devo dirglielo con franchezza: il popolo veneto non esiste. Vero anche che reagivamo con lo stesso riso nella metà degli Anni ’80 davanti alla Liga Veneta e alle spinte secessioniste. Ancora più vero che dopo la Lega ha ottimizzato il malumore di questa comunità con risultati elettorali di tutto rispetto ma la lotta politica, indipendenza inclusa, non si fa con la semantica. La stessa Lega che oggi si barcamena con esiti elettorali disastrosi e che rilancia a fini elettorali temi e metodi che una volta risultavano vincenti». Una pausa e Isnenghi riprende il suo ragionamento: «C’è un’immagine che può aiutare a capire. Eric Hobsbawn (grande storico, autore del Secolo breve n.d.r.) sostiene che le tradizioni non si inventano. Io aggiungo: non si semina il rosmarino nel deserto, non crescerà mai. E’ la politica con le ragioni del consenso che decide sempre quale pianta crescerà o no. Per carità, siamo seri. Tra l’altro, - conclude Mario Isnenghi - siamo ancora fermi alla costruzione mentale della Padania e lei pensa che un da un referendum on - line possa davvero nascere la Repubblica veneta?». Di segno opposto invece è l’analisi di Beppe Gullino, docente di Storia moderna e Storia dell’Europa moderna all’università di Padova.

Il referendum di Plebiscito.eu, per lo storico, è comunque «un tentativo da considerare e da studiare, uno fra i pochi che meriti attenzione in questo Veneto irriconoscibile». «Sì, irriconoscibile, - argomenta Gullino - dove piuttosto che leggere un libro si preferisce farsi ammazzare, dove ormai i figli si chiamano Jessica o Denis. Personalmente mi vergogno di essere italiano. Dopo ottocento giorni due fucilieri della nostra Marina militare sono ancora prigionieri in India e non facciamo nulla di concreto per riportarli a casa. Ai tempi della Serenissima - riflette amaramente lo storico - una cosa del genere non sarebbe mai accaduta. La Serenissima aveva una tradizione immensa non solo in ambito politico - economico ma anche sotto il profilo della diplomazia per non parlare del livello all’avanguardia di ordinamento dello stato. Non si dimentichi, - aggiunge Gullino - che Jean Jacques Rosseau prima di scrivere il Contratto sociale fu attaché presso l’ambasciata francese a Venezia e della città, delle sue leggi, dei suoi uomini più illuminati, assorbì tutto. Allora, - conclude lo storico - ben venga ogni iniziativa che riporti il Veneto a quel periodo d’oro». Non sappiamo quale sarà l’esito finale del referendum di Plebiscito.eu e cosa sarà dell’indipendenza del Veneto. L’unica cosa certa al momento è che di dorato in tutta questa storia, c’è poco o niente. Ma forse è irrilevante: l’oro è in crisi di tempo. Come la politica.

28 marzo 2014 (modifica il 31 marzo 2014)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Massimiliano Melilli

Da - http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cultura_e_tempolibero/2014/28-marzo-2014/ma-popolo-veneto-esiste-2224279868658.shtml

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