LE RADICI DEL NORDEST
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"Sono islamici, via dalla canonica": i fedeli fermano il prete pro-rifugiati
Nel Vicentino l'assemblea dei parrocchiani boccia l'ospitalità.
Il sacerdote: "Sommerso da urla da stadio, ma io non mi arrendo"
Di JENNER MELETTI
08 settembre 2015
VALLE DI CASTELGOMBERTO (VICENZA). Gli pesa ancora sul cuore, quell'"assemblea avvelenata ". "Non me l'aspettavo proprio. Volevamo ospitare sei, al massimo dieci profughi in una canonica abbandonata da anni. Ne abbiamo discusso in assemblea, nella chiesa di Santa Cecilia. Quasi tutti hanno detto no. "'Mio nonno ha costruito quella canonica per i preti, non per i musulmani"', ha gridato uno di loro". Don Lucio Mozzo, 63 anni, parroco di Valle e di Trissino, è ancora scosso. Una chiesa così piena - 250 persone - la vede solo a Natale. Anche mercoledì sera era colma ma quando una ragazza ha mostrato la sua maglietta con la scritta "Chi ha paura muore tutti i giorni..." e ha detto che lei i migranti li avrebbe accolti, "subito si sono alzati - racconta il parroco - i buu e le urla, come allo stadio". "Per fortuna, domenica dopo pranzo, mi è arrivato il primo messaggino. "Don Lucio, il Papa la pensa come te". Spero che con l'aiuto di Francesco le cose cambino. Ma ho i miei dubbi".
Boschi e annunci di sagre, nel paese di Valle, 1.200 abitanti. La canonica è grande, perché ospitava non solo parroco e perpetua ma aveva anche stanze per i missionari. "L'edificio ci è stato chiesto - racconta don Lucio Mozzo - dall'associazione Giovanni XXIII, quella fondata da don Oreste Benzi, per ospitare migranti in attesa di esame, soprattutto donne e bambini. Non abbiamo voluto decidere solo noi, come Consiglio pastorale. Ci sembrava giusto ascoltare il parere dei fedeli che dovranno convivere con quelle persone. Ma il confronto è stato quasi impossibile. Io ho detto che il cristiano, di fronte a chi ha bisogno, non può guardare da un'altra parte. Non può dire soltanto "prima i nostri", come annunciano i nostri sindaci. "Prima i nostri" può andare bene ma non può significare "nulla per gli altri". Onestamente, quelli della Giovanni XXIII hanno spiegato che donne e bimbi sarebbero stati la maggioranza, ma non potevano escludere la presenza di uomini. E allora tanti si sono messi a protestare. "Fate finta di consultarci e invece avete già deciso. La canonica sta fra la scuola elementare e il parco giochi dei bambini. I nostri piccoli non potranno più uscire di casa". Non si è votato, naturalmente, ma almeno l'80% dei miei parrocchiani ha detto no".
Non è finita. Domani sera si riunirà il consiglio pastorale, nella parrocchia di Trissino. Quelli di Valle stanno organizzandosi per andare a protestare. "Guardiamo la televisione anche qui - raccontano Gigi Poletto dell'osteria "El punaro” - e assieme a lui Romina, Davide, Francesco, Benni - e sappiamo cosa succede quando arrivano questi profughi. Gli extracomunitari sono qui da vent'anni, ci sono serbi e cinesi, brasiliani, sudamericani... Ci sono bambini di 12 nazionalità, a giocare nel parco. Basta un adulto per sorvegliare tutto. Non c'è mai stato razzismo, in paese. Ma questi stranieri si sono integrati qui con umiltà, non ci sono stati imposti. Dietro di loro ci sono quelli che fanno business sulla loro pelle. In assemblea ci hanno anche detto che se non prendiamo questo piccolo gruppo magari la prefettura requisisce un hotel o delle case e ce ne manda cinquanta. Questa è una vera minaccia".
Il vescovo di Vicenza, monsignor Beniamino Pizziol, ospita già 4 migranti nel palazzo vescovile. A febbraio ha lanciato un appello perché i 22 vicariati che guidano le 355 parrocchie della diocesi ospitino "almeno una famiglia ". Non solo alloggio, ma anche assistenza continua di volontari esperti. Finora hanno risposto 7 vicariati. "Siamo rincuorati - dice oggi - dall'appello del Papa. E chiediamo che anche le parrocchie possano dare una risposta positiva. Possono essere comprensibili timori e titubanze ma non possiamo permettere che il cristiano ceda alla paura".
Don Lucio Mozzo sta pensando al Consiglio di domani sera. "Dopo quell'assemblea velenosa, speriamo di poter discutere non con la pancia ma con intelligenza, cuore e fede. Ma c'è un punto fermo: un cristiano non può chiudere la porta a chi ha bisogno. Lo spiegheremo anche a quelli che, fedeli o no, verranno a contestarci da Valle. Forse il nonno che ha costruito la canonica non pensava davvero che sarebbe stata usata da musulmani, ma certamente oggi obbedirebbe al Papa". Davanti alla chiesa di Trissino c'è un monumento in bronzo "All'Emigrante". "La speranza sia sempre più forte della paura", c'è scritto. Sembra un appello di papa Francesco: la firma è quella di Tacito.
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08 settembre 2015
Da - http://www.repubblica.it/cronaca/2015/09/08/news/_sono_islamici_via_dalla_canonica_i_fedeli_fermano_il_prete_pro-rifugiati-122423061/?ref=HREC1-1
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Perquisizioni nella Banca Popolare di Vicenza, indagato presidente Zonin
L'operazione scattata dopo che, nelle settimane scorse, erano giunti in Procura esposti da parte di correntisti. Indagato anche l'ex direttore generale dell'istituto Samuele Sorato. L'accusa è di aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza
22 settembre 2015
ROMA - Aggiotaggio e ostacolo alle funzioni dell'autorità di vigilanza. Sono questi i reati ipotizzati dalla Procura di Vicenza che ha avviato un'inchiesta che chiama in causa alcuni esponenti di vertice del gruppo Banca popolare di Vicenza. Per questo, gli inquirenti hanno delegato la guardia di finanza ad eseguire una serie di perquisizioni nei confronti delle persone sottoposte ad indagine e di altri non indagati. Le fiamme gialle hanno svolto verifiche anche sul presidente dell'istituto di credito, Giovanni Zonin, e sull'ex direttore generale dell'istituto Samuele Sorato. Nell'ambito dell'inchiesta sarebbero coinvolte altre sei persone.
Le indagini sulla Banca popolare di Vicenza sono seguite dal pm Luigi Salvadori e dal procuratore capo Antonino Cappelleri. Gli accertamenti sono invece condotti dai militari del nucleo speciale di polizia valutaria della guardia di finanza di Roma e dalla tributaria di Vicenza. Le perquisizioni disposte dall'autorità giudiziaria riguardano oltre alla sede amministrativa e legale di Vicenza dell'istituto di credito anche gli uffici direzionali di Milano, Roma e Palermo.
Gli inquirenti, in una nota firmata dal procuratore Cappelleri, sottolineano come "l'obbligo del segreto istruttorio deve tutelare ogni portatore di legittimi interessi anche contrapposti tra loro presenti nel contesto". In ogni caso gli atti d'indagine sono ritenuti indispensabili - si aggiunge - "nell'ambito della più complessa acquisizione istruttoria, per rendere compiuta la necessaria e doverosa ricerca di elementi probatori documentali, intesa sia nell'accertamento e riscontro degli elementi di fatto sia all'attribuzione delle responsabilità soggettive".
E, sempre in una nota, la Banca ha fatto sapere che c'è "piena collaborazione da parte della dirigenza e del personale della Banca Popolare di Vicenza ai nuclei di polizia giudiziaria della guardia di finanza che hanno svolto perquisizioni presso la sede centrale della Banca a Vicenza e negli uffici direzionali di Milano, Roma e Palermo".
Tempi duri. La Banca, negli ultimi mesi, ha affrontato un periodo non semplice, complice la necessità di trasformarsi in Spa dopo il decreto sulle popolari varato dal governo Renzi, il taglio del valore delle azioni da 62,5 a 48 euro, che ha fatto infuriare molti azionisti, il rosso da oltre 1 miliardo di euro registrato nel primo semestre del 2015 e la necessità, dopo un'ispezione della Bce, di iscrivere a riserva indisponibile 611,6 milioni di euro perchè erano stati erogati ai soci finanziamenti per 974,9 milioni per acquistare o sottoscrivere azioni.
Nelle ultime settimane, ad appesantire ulteriormente il clima, lo scontro a distanza tra l'ex dg e ad, Samuele Sorato, uscito dall'istituto a luglio, e Gianni Zonin, storico presidente, in sella da 19 anni. La banca, nel frattempo, si è affidata a Francesco Iorio, che oggi pomeriggio presiederà un comitato esecutivo, e che sta lavorando al nuovo piano 2015-2020 dell'istituto e all'aumento di capitale da 1,5 miliardi. Proprio ieri la Popolare di Vicenza aveva annunciato di aver firmato con Unicredit un accordo sulla garanzia dell'aumento, che vedrà un consorzio di collocamento con 5 joint global coordinator: BNP Paribas, Deutsche Bank AG, London Branch, J.P. Morgan, Mediobanca e la stessa UniCredit. "I due passaggi sopra descritti costituiscono importanti conferme dell'interesse del mercato per il piano di rilancio varato dalla Banca, che andrà ulteriormente a rafforzarsi e qualificarsi con l'approvazione, prevista entro il mese di settembre, del nuovo piano industriale", aveva spiegato l'istituto di credito.
L'inchiesta. Azioni della banca acquistate tramite finanziamenti, per 975 milioni di euro, erogati agli azionisti dallo stesso istituto di credito, in misura tale da costituire violazione delle norme del diritto bancario: è questo il filone principale dell'inchiesta della magistratura sulla Banca Popolare di Vicenza (117mila soci), che fa seguito ad un'ispezione compiuta dalla Bce. La banca avrebbe, dunque, finanziato - secondo l'ipotesi investigativa - un quarto del suo stesso capitale azionario (circa 4 miliardi di euro), superando i limiti consentiti. L'indagine della magistratura riguarda anche una sovrastima del prezzo delle azioni della Banca, che ha determinato numerose proteste degli azionisti, e che nell'ultima semestrale, avrebbe indotto i vertici a svalutare i crediti considerati deteriorati.
Codacons annuncia class action. Il Codacons depositerà formale richiesta di costituzione di parte offesa nell'inchiesta aperta dalla Procura della Repubblica di Vicenza. "Abbiamo deciso di entrare nel procedimento aperto dalla Procura in rappresentanza della collettività e dei clienti della banca - spiega il presidente Carlo Rienzi - e se dalle indagini emergeranno illeciti e violazioni delle norme, avvieremo una class action da parte di azionisti e correntisti dell'istituto di credito volta ad ottenere il risarcimento dei danni morali e patrimoniali subiti, anche nei confronti delle autorità di vigilanza per l'omesso controllo".
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22 settembre 2015
Da - http://www.repubblica.it/cronaca/2015/09/22/news/perquisizioni_nella_banca_popolare_di_vicenza_indagato_presidente_zonin-123406247/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_22-09-2015
Arlecchino:
BpVi, i compensi dei vertici nell'anno 2015
Non conoscono crisi i compensi incassati dal vertice della Popolare di Vicenza nel 2015, esercizio chiuso con una perdita di 1,4 miliardi e che ha visto il crollo del valore delle azioni di circa 119 mila soci. L’amministratore delegato, Francesco Iorio, in carica dallo scorso 1 giugno, ha ricevuto 2,678 milioni di euro, di cui 1,8 milioni come bonus d’ingresso una tantum. Il vice direttore generale, Jacopo De Francisco, in carica dal 22 giugno 2015, ha percepito 1,02 milioni di euro, di cui 700 mila come bonus d’ingresso una tantum. L’ex presidente Gianni Zonin ha incassato 1,01 milioni. Complessivamente - emerge dalla relazione sulla remunerazione - la banca ha pagato 2,675 milioni di euro di bonus d’ingresso una tantum a sei dirigenti, inclusi Iorio e De Francisco, e 5,2 milioni di euro di buonuscita a cinque ex dirigenti. La più consistente, pari a 4 milioni di euro, è stata riconosciuta all’ex amministratore delegato, Samuele Sorato, che ne ha incassati già due e incasserà gli altri due con differimento triennale. Per l’ex a.d, indagato con Zonin per ostacolo all’attività di vigilanza e aggiotaggio, il compenso complessivo del 2015 (si è dimesso il 12 maggio) è stato di 4,6 milioni. La banca «si è riservata di agire per il recupero» di 4,81 milioni di buonuscite, corrisposte oltre che a Sorato anche agli ex vice direttori generali Emanuele Giustini e Andrea Piazzetta, anche loro sotto indagine. Tra gli emolumenti spiccano quelli dello storico, vicepresidente e braccio destro di Zonin, Marino Breganze (404 mila euro), e dell’ex ragioniere generale dello Stato, Andrea Monorchio (294 mila). Il presidente del collegio sindacale, Giovanni Zamberlan, da moltissimi anni alla guida dell’organo di controllo della banca, ha percepito 180 mila euro. Il nuovo presidente, Stefano Dolcetta, per il periodo che va dal 23 novembre a fine 2015, ha ricevuto poco meno di 120 mila euro.
Da - http://www.ilgiornaledivicenza.it/home/economia/bpvi-i-compensi-dei-vertici-nell-anno-2015-1.4744719
Arlecchino:
Il Cda azzera le azioni: valgono tra 10 e 50 cents.
Bruciati 5 miliardi dei soci di Veneto Banca
Vip, imprenditori e società: la mappa del capitale sparito comune per comune
ANSA
31/05/2016
Gianluca Paolucci, Raphaël Zanotti
Avevano in mano cinque miliardi di euro e adesso si trovano con poco più di niente. Sono gli 87.502 soci di Veneto Banca. Ieri sera il Cda che ha fissato la forchetta di prezzo in vista della quotazione: tra 10 e 50 centesimi. I soci hanno così visto le proprie azioni pagate fino a 40,75 euro precipitare a un valore di pochi centesimi. Un disastro finanziario molto democratico: ha coinvolto grandi e piccoli imprenditori, giovani pensionati, politici ed enti caritatevoli, piccole imprese artigiane e grandi banche americane. Per l’88% si tratta persone fisiche con un’età media di 60 anni. Il resto sono aziende. Risparmi di una vita di lavoro o patrimoni familiari, poco cambia: quei soldi non ci sono più.
L’epicentro è ovviamente in Veneto: 2,8 miliardi di ricchezza svanita. Ma guardando la mappa* si può vedere che la ricchezza svanita colpisce tutta Italia. Dai 575 milioni del Piemonte ai poco più di 200mila euro della Valle d’Aosta. Merito di una campagna di acquisizioni che per quasi venti anni, sotto la guida dell’ex padre-padrone Vincenzo Consoli, ha trasformato la piccola popolare di Asolo e Montebelluna nella decima banca italiana. E da ieri, ufficialmente, nell’ennesimo caso di fiducia tradita tra italiani e banche.
Mettendo insieme Veneto Banca con quanto accaduto alla «vicina» Banca Popolare di Vicenza il quadro è ancora più sconvolgente: almeno 210 soci coinvolti e circa 11 miliardi di euro di ricchezza scomparsa. Due casi vicini e non solo geograficamente. Due banche popolari non quotate, che per anni hanno gonfiato a tavolino il valore delle proprie azioni, vendute allo sportello come prodotti «sicuri» e al riparo delle tempeste della finanza globale. Com’è stato possibile tutto questo e a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro prova a spiegarlo il sociologo Daniele Marini. «Erano le ultime banche di territorio, il controllo era rimasto in mani locali malgrado la crescita dimensionale. I veneti si considerano diversi, adesso abbiamo scoperto che questa diversità non c’era». Marini, che insegna all’Università di Padova e nelle sue ricerche si è concentrato proprio sul «modello Nord Est», sottolinea anche un altro aspetto: «Questa volta non si possono addossare le colpe alla politica, ma va messa in discussione la classe dirigente locale in senso lato». E in effetti nei consigli d’amministrazione c’erano industriali e associazioni di categoria, notabili locali e professori.
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E, molto democraticamente, a rimanerci incastrati sono stati tutti. Renè Caovilla, lo stilista che con le sue scarpe fa sognare le donne di tutto il mondo, ha perso 7,5 milioni. Senza contare quelli dei familiari e i 18 persi con la Popolare di Vicenza. Due storie che continuano a incrociarsi. La Società italiana accumulatori di Avezzano, provincia de L’Aquila, oltre 2 milioni di euro investiti in azioni Veneto Banca, fa parte del gruppo Fiamm, guidato da Stefano Dolcetta che è anche presidente della Popolare di Vicenza. Poi c’è la famiglia Beretta, quella dei salumi. O la Argo finanziaria, cassaforte del gruppo Gavio, un colosso tra autostrade, grandi lavori e logistica. Hanno azioni che al prezzo massimo valevano quasi 25 milioni di euro.
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Ci sono anche i vip. Come Silvio Berlusconi, 29.700 azioni che valevano oltre 1,1 milioni di euro e adesso non valgono più niente. O Bruno Vespa che ha perso anche lui circa un milione contando anche le azioni dei suoi due figli. Il suo caso è un po’ diverso. Legato all’ex ad Consoli (le rispettive mogli socie in una masseria in Puglia) nel 2013 riesce a vendere la parte più consistente delle sue azioni e incassa otto milioni di euro. Storia nota. All’altro socio della masseria pugliese, il dentista padovano Paolo Rossi Chauvenet, è andata peggio. Tra lui e familiari hanno visto sparire circa 2,5 milioni.
Accanto a loro, fanno meno rumore ma molti danni le poche migliaia di euro di un piccolo supermercato in provincia di Perugia, i 200 mila euro di un’azienda agricola nell’Alessandrino. O ancora i 12 milioni di una famiglia d’imprenditori di San Nicola La Strada, provincia di Caserta. Ancora Marini: «Le ricadute di questa storia si faranno sentire ancora a lungo non sui grandi, ma su piccoli imprenditori, artigiani, famiglie che avevano investito i risparmi». E si faranno sentire soprattutto in Veneto, dove le due crisi bancarie hanno il proprio epicentro. La provincia di Treviso ha visto sparire 1,6 miliardi di euro. In classifica è seguita da Vicenza con oltre 500 milioni. Il comune più colpito da questo terremoto è invece Montebelluna, dove la banca ha la sua sede: 31 mila abitanti e 334,5 milioni di euro che non ci sono più. Fanno 10.800 euro a testa. Risparmi rasi al suolo e fiducia da ricostruire.
* Nota metodologica
La mappa è stata creata utilizzando l’elenco degli 87.502 azionisti di Veneto Banca con il numero di azioni di ciascun socio. Per ricavare la ricchezza perduta è stato calcolato il valore massimo raggiunto dalle azioni (40,75 euro) ed è stato sottratto il valore odierno delle azioni (10 centesimi).
Alcuni diritti riservati.
Da - http://www.lastampa.it/2016/05/31/economia/il-cda-azzera-le-azioni-cos-sono-stati-bruciati-cinque-miliardi-dei-soci-di-veneto-banca-TOvidU8D6Jz1dgNon8YrfI/pagina.html
Arlecchino:
Bossi: “Maroni candidato premier. Salvini non tocchi la parola Nord”
Il Senatùr: “L’unica alleanza è con Berlusconi, i grillini non sono seri. Se Matteo cambia il simbolo tradisce un progetto politico”
Pubblicato il 30/07/2017 - Ultima modifica il 30/07/2017 alle ore 07:36
ALBERTO MATTIOLI
INVIATO A CERVIA (RAVENNA)
Per due giorni, la capitale estiva della Lega è «l’altra» Milano: Milano Marittima. Alla festa della Lega romagnola, in piazza, nel capoluogo Cervia, sono attesi tutti i papaveri del partito, compresi il leader attuale, Matteo Salvini, che ci ha comiziato ieri sera, e quello storico, Umberto Bossi, che parlerà stasera. Bossi anticipa quel che dirà in questa intervista, la prima dopo la condanna in primo grado per la vicenda del «cerchio magico». «Ma ci piacerebbe parlare di politica», fanno sapere dall’entourage del Senatur.
Va benissimo. Bossi, allora, in tutto questo tira e molla sulle alleanze in vista delle elezioni, con chi dovrebbe farla la Lega?
«Io credo che la Lega debba ripartire dall’alleanza con Berlusconi. Per una ragione molto semplice: anche se ha avuto i suoi problemi, Berlusconi è comunque un uomo che mantiene la parola. E se vogliamo vincere le elezioni e governare, l’accordo lo dobbiamo fare con qualcuno di cui ci possiamo fidare. Non si può certo pensare di mettersi insieme con i Cinque Stelle, che non sono seri. Quindi l’unica coalizione che può davvero vincere passa dall’accordo fra la Lega e Berlusconi».
Cita sempre Berlusconi e mai Forza Italia.
«Infatti. Io parlo di Berlusconi».
L’alleanza, però, ha bisogno di un candidato premier. Di nomi appunto Berlusconi ne ha fatti molti, e l’ultimo è quello di Maroni. Che ne pensa?
«Penso che in questo momento Maroni abbia una responsabilità enorme, che è quella di portare a casa l’autonomia della Lombardia al referendum del 22 ottobre. Vinto quello, tutto diventa possibile».
Quindi Maroni candidato primo ministro le andrebbe bene?
«Sì, potrebbe andare bene».
Altro nome di cui si parla molto in questi giorni è quello di Giovanni Toti, che del resto di tutti gli uomini di Forza Italia è il più vicino alla Lega...
«È una brava persona ma al momento non penso che abbia le spalle abbastanza larghe per fare il candidato premier».
Altro problema: i confini della coalizione. Alfano lo riporterebbe dentro?
«Secondo me, lo ripeto, l’asse della coalizione è l’accordo fra Lega e Berlusconi. Alfano non è un problema nostro, è un problema di Berlusconi. La scelta di riprenderlo con sé deve farla lui. Noi non c’entriamo».
C’è anche l’ex sindaco di Verona ed ex leghista Flavio Tosi, che Berlusconi, pare, sta cercando di arruolare. Crede che per la Lega sarebbe accettabile?
«Sappiamo tutti com’è stato sbattuto fuori. Ma se è stato sbattuto fuori così lui, allora chissà quanta gente avremmo dovuto cacciare dalla Lega. Per me, non sarebbe un problema se entrasse nell’eventuale coalizione. Anche perché in ogni caso ci sono stati dei momenti in cui una figura come la sua è mancata».
Lei continua a parlare di coalizione. Alla fine con quale legge elettorale crede che si andrà a votare?
«Credo che alla fine ci si metterà d’accordo, magari all’ultimo momento, su una legge elettorale maggioritaria. Con un premio alla coalizione, appunto».
In questi giorni girano dentro la Lega dei simboli dove sparisce la parola «Nord». Il partito smentisce che si voglia toglierla, però sembra assodato che la questione settentrionale non sia più la priorità. Immagino che non sia d’accordo.
«Cancellare la parola Nord dal nome e dal simbolo della Lega significherebbe tradire un progetto politico. Sono convinto che la questione settentrionale esista sempre e sia tuttora attuale per la Lega e per la nostra gente. Così attuale che l’obiettivo immediato dev’essere la vittoria al referendum per l’autonomia di Lombardia e Veneto».
Dentro la Lega, lei è ormai all’opposizione. In sintesi, cosa rimprovera a Matteo Salvini?
«Per il momento nulla, perché la Lega in questo momento ha bisogno di essere compatta per portare a casa il risultato del referendum. Una volta vinto il referendum, parleremo di quello che non va».
Ultima domanda. Dopo le ultime vicende giudiziarie, è pentito di essersi fidato di Belsito?
«Sì».
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