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Autore Discussione: Gian Antonio STELLA -  (Letto 184716 volte)
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« Risposta #195 inserito:: Febbraio 24, 2013, 03:52:16 pm »

Imu e giaguari, l'Abc delle promesse

Dal Web gratuito al tormentone degli enti inutili fino all'addio all'euro

Tutti a spiegare che cosa farebbero nel primo Consiglio dei ministri, un appuntamento ormai nelle leggende

«Prometto tutto a tutti». Per sbarcare a Palazzo Madama l'aspirante senatore bolzanino Oscar Ferrari si è scelto uno slogan assai versatile.
Del resto, fa il fruttivendolo e lo sa: il cliente ha sempre ragione. Il guaio è che la sua è una beffarda provocazione ma gli altri, troppi, fanno sul serio. E tante ne hanno fatte, di promesse elettorali, da farci apparire come il collodiano paese di Acchiappacitrulli.
C'è di tutto, nel calderone. Impegni futuristi stile «2.0» come la «Cittadinanza digitale per nascita» e «l'accesso alla rete gratuito per ogni cittadino italiano» voluti dal Movimento 5 Stelle. O antichi come l'aratro quale il solito tormentone riproposto dal Pdl: «l'abolizione degli enti inutili», che ha visto finora la bellezza di otto leggi varate da governi di ogni colore a partire dal lontano 1956.
E tutti lì, a spiegare cosa farebbero «nel primo Consiglio dei ministri», appuntamento ormai entrato nelle leggende come il Prete Gianni o l'isola di Aeros creata da Jeanette Winterson dove i diamanti sono così abbondanti da essere usati come combustibile e gli abitanti vanno a dormire «su un letto di storie rimboccandosi una storia fin sotto il mento a mo' di coperta».

Giaguari e pifferi, il meglio (e il peggio) dei leader

di L.Gelmini

Ed ecco Paolo Ferrero, di Rifondazione comunista, spiegare che lui si dedicherebbe ad «aumentare stipendi, pensioni e istituire un reddito sociale per i disoccupati prendendo i soldi ai ricchi» e Magdi Cristiano Allam, leader di «Io amo l'Italia», assicurare che se ci fosse lui, a Palazzo Chigi, per prima cosa farebbe un decreto per restituire al nostro Paese «la prerogativa di emettere direttamente moneta a credito affrancandosi dal signoraggio della Banca centrale europea e delle banche commerciali. La nuova valuta nazionale sarà emessa a parità di cambio con l'euro e suonerà valore legale immediatamente, salvaguardando il potere d'acquisto e il risparmio degli italiani». E se alle borse non garbasse? «Lo Stato provvederà attraverso gli organi di controllo a contrastare la speculazione dei mercati finanziari e a prevenire gli effetti inflazionistici.» Dopo di che «restituirà immediatamente i 100 miliardi di euro dovuti alle imprese e concorderà con le banche straniere e italiane il ripianamento del debito forzoso contratto attraverso l'emissione di titoli a debito...».

Sia chiaro, niente di nuovo in certi impegni di destra, di sinistra e di centro grondanti di ottimismo. Basti ricordare che nel 1928, alla vigilia della Grande Crisi del '29, Herbert Hoover conquistò la Casa Bianca annunciando, ahi ahi, «un pollo in ogni pentola, un'auto in ogni garage». O che il mitico Corrado Tedeschi, per venire a cose nostrane, tentò la presa di Montecitorio alla guida del «Partito della bistecca» con la seguente piattaforma programmatica: «Svaghi, divertimenti, poco lavoro e molto guadagno per tutti. Tre mesi di villeggiatura assicurati ad ogni cittadino, abolizione di tutte le tasse, grammi 450 di bistecca a testa assicurata giornalmente al popolo, frutta, dolce e caffè». Certo, il popolo oggi forse non ci cascherebbe. Forse. Tuttavia...

Arretrati: «Nel primo Consiglio dei ministri, in caso di vittoria del Pdl, verrà deliberata la moratoria di un anno dei pagamenti arretrati che gravano sulle piccole e medie imprese per debiti con il fisco» (Berlusconi a Mattino5 19 febbraio, vedi Ansa: «Inoltre Berlusconi ha promesso provvedimenti per l'impignorabilità dei macchinari utili al lavoro e della prima casa sempre in caso di debiti fiscali. Ha inoltre assicurato l'eliminazione degli interessi, delle multe e degli oneri aggiuntivi nelle cartelle esattoriali che dovranno pretendere "solo quanto dovuto a titolo di imposta"»).

Bambino: «Un bambino, figlio d'immigrati, nato e cresciuto in Italia, è un cittadino italiano. L'approvazione di questa norma sarà simbolicamente il primo atto che ci proponiamo di compiere nella prossima legislatura» (Bersani, intenti Pd).

Cassa del Mezzogiorno: «Ridarò al Sud la Cassa. Nel mio programma firmato dalla Lega c'è un blocco intero che riguarda il Sud. L'istituzione di una nuova Cassa per il Mezzogiorno per canalizzare i fondi europei e fare in modo che siano spesi e quella della Banca del Mezzogiorno, operano già 250 sportelli sperimentali, l'istituzione di zone franche e il potenziamento di uno strumento fatto nell'ultimo anno del Governo Berlusconi» (Tremonti, Corriere del Mezzogiorno 9 febbraio).

Due anni: «Cambieremo questo Paese in due anni» (Grillo in piazza Duomo a Milano, Adnkronos 19 febbraio). Donne: «Voglio applicare nella giunta lo stesso criterio delle liste. E cioè alternanza di genere. E visto che il presidente sarà uomo, ci dovrà essere maggioranza di donne in giunta. Non è demagogia ma esperienza: non hanno una ma due marce in più. La regola sarà questa: 50% uomini e 50% donne» (Maroni, videochat al Corriere , 13 febbraio).

Edilizio, condono: «Se gli italiani daranno la maggioranza solo a me e al Pdl farò un condono tombale e anche un condono edilizio, perché porta nelle casse dello Stato molti miliardi. Altrimenti cercheremo una maggioranza in Parlamento su quello edilizio» (Berlusconi da Annunziata, Leader , 8 febbraio).

Finanziamento pubblico: «Abbiamo inoltre già pronta una proposta per annullare il finanziamento pubblico ai partiti e dimezzare il numero degli eletti in Parlamento e nelle amministrazioni locali» (Berlusconi, Ansa, 25 gennaio).

Giaguaro: «L'impegno che prendo è che smacchieremo il giaguaro» (Bersani 14 febbraio. Risposta di Berlusconi: «Sappia che se si riferisce a me, sotto le macchie c'è un leone»).

Hospital: «La sanità pubblica spende ogni anno 790 milioni di euro in consulenze, la maggior parte delle quali inutili (...) mentre i cittadini spendono di tasca propria 834 milioni l'anno per pagare i ticket sulle visite specialistiche. Il ticket è una delle tasse più odiose e ingiuste perché è una tassa che ricade su chi è più malato. Per questo noi vogliamo eliminare tutte quelle consulenze che non servono per tutelare la salute e abolire il ticket per sollevare da una spesa aggiuntiva quei cittadini che si devono curare (Bersani, Ansa, 20 febbraio. Replica di Alfano: «Una proposta generica con poche possibilità di attuazione»).

Imu: «Credo di aver dato dimostrazione plurima di aver realizzato le cose con serietà. Non mi chiamerò più Silvio Berlusconi se, vincendo e avendo la maggioranza dagli italiani, nel primo consiglio dei ministri non sarà deliberata l'abolizione dell'Imu e la restituzione» (Berlusconi, Tg La7, 6 febbraio. Mentana: e come si chiamerà? «Giulio Cesare»). «Non sono un imbroglione come ha detto Bersani, ho scritto personalmente una lettera a 9 milioni di elettori. Con quella lettera uno potrà andare dai giudici e chiedere quanto ho promesso se sarò presidente del Consiglio. Con quella lettera inviata agli italiani ho dato un fantastico esempio di serietà. (...) Sono pronto a restituire i 4 miliardi dell'Imu utilizzando la mia fortuna. Per Forbes il mio patrimonio attuale è di 4,5 miliardi? Con mezzo miliardo io vivrò benissimo...» ( Tribuna elettorale 22 febbraio).

Libri scolastici: «Graduale abolizione dei libri di scuola stampati, e quindi la loro gratuità, con l'accessibilità via Internet in formato digitale» (programma del Movimento 5 Stelle). Liste d'attesa in ospedale: «Devono essere pubbliche e online» (programma del Movimento 5 Stelle).

Moneta padana: «È utile e può servire nelle crisi economiche a dare aiuto alle imprese e ci sono studi anche alla Bocconi per creare un circuito alternativo: ci stiamo ragionando e non escludo che anche noi decidiamo di farlo» (Maroni, Ansa 9/2/13. Commento di Bersani: «Potrebbero chiamarla il "marone": un marone, due maroni, tre maroni...»).

Mai: «Monti? Come è possibile immaginare che io possa governare con la destra? Perché Monti è la destra, quella destra più compassata, la destra delle élite che pensano di avere il destino del comando. Insomma, io considero Monti, non un nemico, ma un avversario da battere» (Vendola, Ansa, 21/2/13) «Vendola? Allo stato degli atti mi sembra impossibile. Quasi impossibile... Impossibile. Del resto lo ha detto più volte anche lo stesso Vendola» (Monti, TmNews 22 febbraio).

Numero dei parlamentari: «Nella prima riunione del Consiglio dei ministri dimezzeremo il numero dei parlamentari» (Monti, Adnkronos 5 febbraio).

Omosessuali: «Proporrò una legge che garantisca i diritti delle coppie di fatto, anche dei gay» (Berlusconi a Leader di Lucia Annunziata, 8 febbraio).

Patrimoniale: «Vogliamo che la patrimoniale la paghi lo Stato» (Oscar Giannino, Ansa, 13 gennaio, spiegando la sua ricetta per rilanciare l'economia abbattendo il debito pubblico e la spesa: «Corro da solo. È una prova difficile, ma è solo l'inizio. Bisogna dirlo, in fondo il cristianesimo iniziò con dei martiri e dopo duemila anni è ancora tra noi»).

Quadruplo: «Se gli italiani con il loro voto ci daranno la possibilità di governare già nel primo Consiglio dei ministri approveremo un decreto legge che consentirà ad un'impresa di assumere un nuovo collaboratore senza dover pagare né i contributi né le tasse per i primi anni. Converrà più di un'assunzione in nero. Se ogni impresa assumesse anche un solo giovane avremo 4 milioni di nuovi posti di lavoro (Berlusconi, Rai Web Radio , 7 febbraio. Risposta di Bersani: «Stiamo ancora aspettando la milionata dell'altra volta...»).

Reddito di cittadinanza: «La prima cosa che faremo, dopo essere entrati in Parlamento, è il reddito di cittadinanza per chi perde o non ha il lavoro. C'è in tutta Europa, non lo abbiamo solo noi e la Grecia. Così i giovani non saranno più costretti ad accettare qualsiasi lavoro. Non è giusto che chi si laurea, oppure ottiene per esempio un master all'estero, debba poi lavorare in un call center per 400 euro al mese. Vada la figlia della Fornero a fare quei lavori. Con il reddito di cittadinanza per tre anni daremo mille euro al mese, per dare tempo al disoccupato di cercare lavoro. Daremo noi le opportunità di lavoro negli uffici di collocamento dove, attraverso la rete, offriremo due o tre lavori. Se ti rifiuti perdi il sussidio» (Beppe Grillo, Ansa, 30 gennaio).

Spread: «Lo spread si è dimezzato e adesso possiamo impegnarci in una riduzione puntuale e graduale delle tasse, bloccando la spesa. Mi sembra una cosa buona e liberale» (Monti, Ansa, 2 febbraio).

Tasse: «Tratterremo il 75% delle imposte lombarde in Lombardia» (Maroni, slogan elettorale. Berlusconi: «Abbiamo chiesto a un comitato, costituito dai nostri governatori delle regioni del Sud, di esaminare questa proposta della Lega, prima di inserirla nel nostro programma. Ci hanno garantito che è realizzabile senza penalizzare in nessun modo il Sud. In caso contrario, d'altronde, non l'avremmo mai potuta accettare». (Berlusconi, La Sicilia , 23 febbraio). Tombale (condono): «Io sarei assolutamente d'accordo nel farlo. È sempre stato avversato dalla sinistra in maniera totale». (Berlusconi a La 7). «Assolutamente sì. Del condono c'è assolutamente bisogno. Se avrò la maggioranza verrà fatto» (a La7, 4/2/13). «Il condono tombale si impone in caso di riforma fiscale radicale» (conferenza stampa, 4-2-13, correggendo quello che aveva detto la mattina).

Ubriacatura: «Se Monti, Fini e Casini restano fuori dalla Camera mi ubriaco. Questa volta credo che dobbiamo mettere il prosecco in frigo. C'è la possibilità davvero che tra qualche giorno possa ubriacarmi per la prima volta» (Berlusconi, Ansa, 17 febbraio).

Via dall'Italia: «Se Maroni vince ci stacchiamo dallo Stato centrale, quello che munge le mammelle del Nord. Basta, andiamo per conto nostro: senza più minacce o secessioni. (...) Vinciamo in Lombardia, prendiamo il Nord e lo agganciamo ad altre regioni della bassa Europa, i cantoni Svizzeri, la Francia meridionale. I soldi resteranno qui». (Bossi, Repubblica , 3 febbraio).

Web: «Io propongo la diretta web del Consiglio dei ministri» (Oscar Giannino, Sole 24 Ore , 23/2/13 teorizzando la massima trasparenza: peccato che per vanità si fosse inventato un master e un paio di lauree e in un comizio avesse urlato: «Chi è contro il merito avrà una voce che gli dirà "Taci Miserabile"»).

Zanzara: «Se mi reintegrano torno a fare il direttore del Tg1 e non il senatore. Il sacro fuoco del mestiere mi tenta più che fare il deputato» (Augusto Minzolini, La Zanzara , Radio24, 19 febbraio).

Gian Antonio Stella

24 febbraio 2013 | 10:12© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/speciali/2013/elezioni/notizie/24-stella-imu-giaguari-abc-promesse_ee32ab4e-7e55-11e2-b686-47065ea4180a.shtml
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« Risposta #196 inserito:: Febbraio 26, 2013, 05:15:28 pm »

Elezioni 2013 Il caso

Le risatine sbagliate di destra e sinistra

Tutti hanno ignorato il successo ottenuto dal «V-day» organizzato in piazza a Bologna nel 2007


«Se Grillo vuol fare politica fondi un partito e vediamo quanti voti prende!» «Grillo è un trombone, non conta nulla». Le acute analisi con cui Piero Fassino e Maurizio Gasparri liquidarono pochi anni fa il trionfatore di oggi restano immortali. Non furono solo loro, però, a sballare la valutazione dei fatti. Anzi, il rifiuto di capire l'ira popolare per certe storture inaccettabili del Palazzo è stata comune a molti. Ed è alla base dell'ondata di «grillismo» che rischia di travolgere tutto e tutti.

Cosa doveva succedere, perché i partiti capissero che una stagione era finita? Doveva prosciugarsi il Po? Sprofondare Venezia? Esplodere il Vesuvio? Creparsi il Monte Bianco? E invece, per anni, anche dopo il successo di piazza del «V-day» del settembre 2007, che avrebbe dovuto spaccare i timpani ai sordi, ne abbiamo lette di tutti i colori.

I tagli ai costi della politica? «Il punto fermo è la nostra dignità», tuonava alla Camera Gerardo Bianco che sedeva lì da nove legislature, «la nostra agenda non può essere dettata da istrioni della suburra». L'insistenza cocciuta sul web da sviluppare perché l'Italia non può essere alla preistoria nella Rete? «La mia Internet è Gianni Letta», sogghignava il Cavaliere. «Grillo ha sempre fatto un po' il ciarlatano», sbuffava lo statista celtico Umberto Bossi.

Risatine. Smorfiette. Spallucce. Al massimo qualche pensosa riflessione sul «termometro che non è sempre rotto se segnala una febbre alta». E via così, per anni e anni. Basti ricordare l'accoglienza ricevuta nel dicembre 2007 dal comico quando arrivò a Palazzo Madama su un risciò per consegnare una catasta di firme raccolte in un solo giorno sotto tre disegni di legge popolare: no ai condannati in Parlamento, no a più di due legislature, no ai deputati e senatori «nominati» dai capi partito col «Porcellum».

Proposte giuste? Sbagliate? Virtuose? Demagogiche? Non vogliamo neppure entrare nel merito. Ma fu vergognoso che pur essendo state sottoscritte da 350 mila cittadini, sette volte di più di quelli previsti dall'articolo 71 della Costituzione per le leggi di iniziativa popolare, quelle proposte non vennero neppure esaminate dal Parlamento. Non aprirono mai i pacchi, non misero mai i progetti all'ordine del giorno, non si sforzarono mai neppure di fingere qualche interessamento per salvare la faccia... né in quella legislatura malamente in mano (si fa per dire...) alla sinistra, né in quella successiva dominata dalla destra. Le firme di cittadini? Chi se ne infischia!

E mentre il guru genovese, blog su blog, email su email, comizio su comizio, continuava a rosicchiare le gambe delle poltrone sulle quali erano seduti gli annoiati custodi del Palazzo, tutto continuava, salvo ritocchi, esattamente come prima. Basti vedere i numeri della Regione Lazio: dopo il 2007, dopo le denunce e il V-Day, mentre il Pil pro capite calava del 6,8% e la vendita di automobili precipitava addirittura ai livelli del 1979 (quando impazzava la Fiat Ritmo) i costi del Consiglio Regionale, prima con la sinistra e poi con la destra, sono saliti del 43,1%. Quello delle consulenze e dei convegni del 493%.

Eppure ancora risatine. Smorfiette. Spallucce. Ed ecco Maroni ammiccare: «Grillo si tenga i suoi boy scout incompetenti. Noi abbiamo i nostri sindaci guerrieri». Ecco Gianfranco Fini sbuffare davanti all'ipotesi che il comico potesse portar via voti al Fli: «Grillo chi?» Ecco Massimo D'Alema in vena di spiritosaggini: «Mi sono sottoposto al sacrificio di ascoltare su internet il comizio di Beppe Grillo: mi sembra un impasto tra il primo Bossi e il Gabibbo». Ecco Silvio Berlusconi: «Grillo è un fenomeno da baraccone che però sottrae voti ai moderati e fa vincere la sinistra». Perfino Giorgio Napolitano, di solito trasversalmente amato per la prudenza, si lasciò sfuggire una battuta che gli avrebbero rinfacciato: «Cosa pensa del boom di Grillo alle comunali?». «Di boom ricordo quello degli anni Sessanta, altri non ne vedo».

E quando nei mesi scorsi, dopo l'irruzione di un manipolo (folto) di guastatori del Movimento 5 Stelle nell'Assemblea regionale siciliana, pareva dai sondaggi che la marea montante della protesta grillina si fosse in qualche modo quietata, erano stati in tanti a tirare un sospiro di sollievo da destra a sinistra, dal Nord al Sud: vuoi vedere che la spinta propulsiva del comico genovese era ormai esaurita o comunque stava rientrando in una ondata un po' meno gigantesca del previsto?

Gli stessi commenti iniziali nei salotti televisivi dopo i primi dati, ieri pomeriggio, quando le dimensioni del trionfo grillino non erano ancora così vistose, resteranno indimenticabili. Pareva quasi che, avendo in quel momento il comico genovese una percentuale più bassa di quanto temessero tutti gli altri, fosse un po' sconfitto lui pure. Non si aspettava forse di più?

Poi, mentre quei numeri montavano, è apparso chiaro che stava accadendo una cosa mai vista: il trionfo di un «partito-non partito» costruito un po' in casa tra mille errori (le espulsioni dei dissidenti, la cacciata dei giornalisti marchiati dalla nazionalità italiana...) ma capace non solo di insidiare il presunto vincitore, cioè il Pd, ma anche di sorpassare quel Pdl che apparentemente poteva contare su una potenza di fuoco televisiva ed economica esorbitante.

E forse ieri sera, quasi affogati dall'alluvione grillina, tutti quelli che in questi anni si sono adeguati al vecchio adagio siciliano del «calati juncu ca passa a china» (abbassati giunco ché passa la piena) pensando di cavarsela tagliando il meno possibile, sforbiciando il minimo necessario per placar la plebe, irridendo ai costi della politica «inventati da giornalisti sfaccendati», hanno finalmente capito una cosa. Che proprio per salvare il Parlamento valeva la pena già anni fa di tagliare, tagliare, tagliare. Senza aspettare di essere costretti a farlo dalla ribellione di milioni di italiani così esasperati da chiedere aiuto a Beppe Grillo e alla sua «banda di boy scout».

Gian Antonio Stella

26 febbraio 2013 | 7:47© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/speciali/2013/elezioni/notizie/26-febbraio-risatine-sbagliate-destra-e-sinistra-stella_3ae58f28-7fdd-11e2-b0f8-b0cda815bb62.shtml
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« Risposta #197 inserito:: Marzo 14, 2013, 06:08:23 pm »

Le parole che descrivono il nuovo pontefice

Tango e battesimo, fidanzata e vangelo l'alfabeto misto di Papa Francesco

«Ho avuto una fidanzata, era del gruppo di amici con cui andavo a ballare. Poi ho scoperto la vocazione religiosa»


ARMONIA - «Nella Chiesa l'armonia la fa lo Spirito Santo. Uno dei primi padri della Chiesa scrisse che lo Spirito Santo "ipse harmonia est", lui stesso è l'armonia. Lui solo è autore al medesimo tempo della pluralità e dell'unità. Solo lo Spirito può suscitare la diversità, la pluralità, la molteplicità e allo stesso tempo fare l'unità. Perché quando siamo noi a voler fare la diversità facciamo gli scismi e quando siamo noi a voler fare l'unità facciamo l'uniformità, l'omologazione». (intervista a Stefania Falasca di 30 giorni , fine 2007).

BATTESIMO - «Il bambino non ha alcuna responsabilità dello stato del matrimonio dei suoi genitori. E poi, spesso il battesimo dei bambini diventa anche per i genitori un nuovo inizio. Di solito si fa una piccola catechesi prima del battesimo, di un'ora circa; poi una catechesi mistagogica durante la liturgia. In seguito, i sacerdoti e i laici vanno a fare le visite a queste famiglie, per continuare con loro la pastorale postbattesimale. E spesso capita che i genitori, che non erano sposati in chiesa, magari chiedono di venire davanti all'altare per celebrare il sacramento del matrimonio». (Intervista a 30 giorni , 2009, al giornalista che chiedeva se erano giustificabili in alcuni casi di battesimi rifiutati bambini figli di genitori «irregolari»).

CERTEZZE - «Le nostre certezze possono diventare un muro, un carcere che imprigiona lo Spirito Santo. Colui che isola la sua coscienza dal cammino del popolo di Dio non conosce l'allegria dello Spirito Santo che sostiene la speranza. È il rischio che corre la coscienza isolata. Di coloro che dal chiuso mondo delle loro Tarsis si lamentano di tutto o, sentendo la propria identità minacciata, si gettano in battaglie per essere alla fine ancor più autoccupati e autoreferenziali». (intervista a Stefania Falasca di 30 giorni , fine 2007).

DEBITO «Siamo stati molto chiari nel sostenere che la politica economica del governo non faceva altro che aumentare il debito sociale argentino, molto più grande e molto più grave del debito estero e abbiamo chiesto un cambiamento». (a Francesca Ambrogetti, La Stampa , 31 dicembre 2001).

DESAPARECIDOS - «Poiché in diversi momenti della nostra storia siamo stati indulgenti verso le posizioni totalitarie, violando le libertà democratiche che scaturiscono dalla dignità umana. Poiché attraverso azioni od omissioni abbiamo discriminato molti dei nostri fratelli, senza impegnarci sufficientemente nella difesa dei loro diritti. Supplichiamo Dio, Signore della storia, che accetti il nostro pentimento e sani le ferite del nostro popolo. O Padre, abbiamo il dovere di ricordare davanti a te quelle azioni drammatiche e crudeli. Ti chiediamo perdono per il silenzio dei responsabili e per la partecipazione effettiva di molti dei tuoi figli in tale scontro politico, nella violenza contro le libertà, nella tortura e nella delazione, nella persecuzione politica e nell'intransigenza ideologica, negli scontri e nelle guerre, nella morte assurda che ha insanguinato il nostro paese. Padre buono e pieno di amore, perdonaci e concedi a noi la grazia di rifondare i vincoli sociali e di sanare le ferite ancora aperte nella tua comunità». (Richiesta di perdono dei vescovi argentini, tra i quali lo stesso Bergoglio aveva una posizione di spicco, 10 settembre del 2000).

EPIGRAFE - «Come si definirebbe?» «Jorge Bergoglio, prete». (a Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, autori del libro-intervista El Jesuita , del 2010).

ESPOSA - «La mia diocesi di Buenos Aires». (intervista a Stefania Falasca di 30 giorni , fine 2007).

FIDANZATA - «Sì, era del gruppo di amici con i quali andavamo a ballare. Poi ho scoperto la vocazione religiosa». (a Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, autori del libro-intervista El Jesuita , del 2010).

FILM - «Il mio film preferito? Il pranzo di Babette ». (a Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, autori del libro-intervista El Jesuita , del 2010).

FIGLI - «Qualche giorno fa ho battezzato sette figli di una donna sola, una vedova povera, che fa la donna di servizio e li aveva avuti da due uomini differenti. Lei l'avevo incontrata l'anno scorso alla festa di San Cayetano. Mi aveva detto: padre, sono in peccato mortale, ho sette figli e non li ho mai fatti battezzare. Era successo perché non aveva i soldi per far venire i padrini da lontano, o per pagare la festa, perché doveva sempre lavorare... Le ho proposto di vederci, per parlare di questa cosa. Ci siamo sentiti per telefono, è venuta a trovarmi, mi diceva che non riusciva mai a trovare tutti i padrini e a radunarli insieme... Alla fine le ho detto: facciamo tutto con due padrini soli, in rappresentanza degli altri. Sono venuti tutti qui e dopo una piccola catechesi li ho battezzati nella cappella dell'arcivescovado. Dopo la cerimonia abbiamo fatto un piccolo rinfresco. Una Coca Cola e dei panini. Lei mi ha detto: padre, non posso crederlo, lei mi fa sentire importante... Le ho risposto: ma signora, che c'entro io?, è Gesù che a lei la fa importante». (Intervista a 30 giorni , 2009)

GARAGE - «Ai miei sacerdoti ho detto: "Fate tutto quello che dovete, i vostri doveri ministeriali li sapete, prendetevi le vostre responsabilità e poi lasciate aperta la porta". I nostri sociologi religiosi ci dicono che l'influsso di una parrocchia è di seicento metri intorno a questa. A Buenos Aires ci sono circa duemila metri tra una parrocchia e l'altra. Ho detto allora ai sacerdoti: "Se potete, affittate un garage e, se trovate qualche laico disposto, che vada! Stia un po' con quella gente, faccia un po' di catechesi e dia pure la comunione se glielo chiedono". Un parroco mi ha detto: "Ma padre, se facciamo questo la gente poi non viene più in chiesa". "Ma perché?", gli ho chiesto, "Adesso vengono a messa?" "No", ha risposto. E allora! Uscire da sé stessi è uscire anche dal recinto dell'orto dei propri convincimenti considerati inamovibili se questi rischiano di diventare un ostacolo, se chiudono l'orizzonte che è di Dio» (intervista a Stefania Falasca di 30 giorni , fine 2007).

GIONA - «Giona aveva tutto chiaro. Aveva idee chiare su Dio, idee molto chiare sul bene e sul male. Su quello che Dio fa e su quello che vuole, su quali erano i fedeli all'Alleanza e quali erano invece fuori dall'Alleanza. Aveva la ricetta per essere un buon profeta. Dio irrompe nella sua vita come un torrente. Lo invia a Ninive. Ninive è il simbolo di tutti i separati, i perduti, di tutte le periferie dell'umanità. Di tutti quelli che stanno fuori, lontano. Giona vide che il compito che gli si affidava era solo dire a tutti quegli uomini che le braccia di Dio erano ancora aperte, che la pazienza di Dio era lì e attendeva, per guarirli con il Suo perdono e nutrirli con la Sua tenerezza. Solo per questo Dio lo aveva inviato. Lo mandava a Ninive, ma lui invece scappa dalla parte opposta, verso Tarsis. Quello da cui fuggiva non era tanto Ninive, ma proprio l'amore senza misura di Dio per quegli uomini» (intervista a Stefania Falasca di 30 giorni , fine 2007).

HÖLDERLIN - «Amo le sue poesie» (a Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, nel libro-intervista El Jesuita , 2010).

ITALIA - «Mio padre era di Portacomaro (Asti, ndr ) e mia madre di Buenos Aires, con sangue piemontese e genovese». (a Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, autori del libro-intervista El Jesuita , del 2010).

LAICI - «La loro clericalizzazione è un problema. I preti clericalizzano i laici e i laici ci pregano di essere clericalizzati... È proprio una complicità peccatrice. E pensare che potrebbe bastare il solo battesimo. Penso a quelle comunità cristiane del Giappone che erano rimaste senza sacerdoti per più di duecento anni. Quando tornarono i missionari li ritrovarono tutti battezzati, tutti validamente sposati per la Chiesa e tutti i loro defunti avevano avuto un funerale cattolico. La fede era rimasta intatta per i doni di grazia che avevano allietato la vita di questi laici che avevano ricevuto solamente il battesimo e avevano vissuto anche la loro missione apostolica in virtù del solo battesimo. Non si deve aver paura di dipendere solo dalla Sua tenerezza...» (intervista a Stefania Falasca di 30 giorni, fine 2007).

LEBBRA - «La cosa peggiore che può accadere nella Chiesa? È quella che Henri De Lubac chiama "mondanità spirituale". È il pericolo più grande per la Chiesa, per noi, che siamo nella Chiesa. "È peggiore", dice De Lubac, "più disastrosa di quella lebbra infame che aveva sfigurato la Sposa diletta al tempo dei papi libertini". La mondanità spirituale è mettere al centro sé stessi. È quello che Gesù vede in atto tra i farisei: " Voi che vi date gloria. Che date gloria a voi stessi, gli uni agli altri"». (intervista a Stefania Falasca di 30 giorni , fine 2007)

MICRO - «Per contrastare l'effetto della globalizzazione che ha portato alla chiusura di tante fabbriche e la conseguente miseria e disoccupazione, bisogna promuovere anche una crescita economica dal basso verso l'alto, con la creazione di micro, piccole e medie imprese. Gli aiuti che possono venire dall'estero non devono essere solo di fondi ma tendere a rafforzare la cultura del lavoro della cultura politica». (a Francesca Ambrogetti, La Stampa , 31 dicembre 2001).

NAVICELLA - «I teologi antichi dicevano: l'anima è una specie di navicella a vela, lo Spirito Santo è il vento che soffia nella vela, per farla andare avanti, gli impulsi e le spinte del vento sono i doni dello Spirito. Senza la Sua spinta, senza la Sua grazia, noi non andiamo avanti. Lo Spirito Santo ci fa entrare nel mistero di Dio e ci salva dal pericolo d'una Chiesa gnostica e dal pericolo di una Chiesa autoreferenziale, portandoci alla missione» (intervista a Stefania Falasca di 30 giorni , fine 2007).

OMOSESSUALI - «Non ricorrendo contro la decisione del giudice nel contenzioso amministrativo sul matrimonio di persone dello stesso sesso, ha mancato gravemente al suo dovere di governante e di custode della legge». (Comunicato ufficiale del 26 novembre del 2009 contro il governatore di Buenos Aires Mauricio Macri, reo di non avere fatto ricorso contro la sentenza sul matrimonio gay).

PARANOIA - «A una chiesa autoreferenziale succede quel che succede a una persona rinchiusa in sé: si atrofizza fisicamente e mentalmente. Diventa paranoica, autistica» (a Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, autori del libro-intervista El Jesuita , del 2010).

POSTO - «"Vi faccio una domanda: la Chiesa è un posto aperto solo per i buoni?" "Nooo!" "C'è posto per i cattivi, anche?" "Sìììì!!!". "Qui si caccia via qualcuno perché è cattivo? No, al contrario, lo si accoglie con più affetto. E chi ce l'ha insegnato? Ce lo ha insegnato Gesù. Immaginate, dunque, come è paziente il cuore di Dio con ognuno di noi"». (Dialogo tra Bergoglio e la folla di fedeli alla festa di san Cayetano, in un barrio popolare di Buenos Aires, 30 giorni , agosto 2008, durante la festa).

QUADRO - «Il mio quadro preferito? La Crocefissione Bianca di Chagall». (a Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, autori del libro-intervista El Jesuita , del 2010).

RASSA NOSTRANA - «Drit e sincer, cosa ch'a sun, a smijo: / teste quadre, puls ferm e fìdic san / a parlo poc ma a san cosa ch'a diso / bele ch'a marcio adasi, a van luntan. /
Sarajé, müradur e sternighin, / minör e campagnin, sarun e fré: / s'a-j pias gargarisé quaic buta ed vin, / j'é gnün ch'a-j bagna el nas per travajé. / Gent ch'a mercanda nen temp e südur: / - rassa nostrana libera e testarda - / tüt el mund a cunoss ch'i ch'a sun lur / e, quand ch'a passo ... tüt el mund a-j guarda...». («Razza nostrana», poesia in dialetto piemontese di Nino Costa che il nuovo Papa si picca di saper recitare a memoria, in omaggio ai genitori di origine piemontese).

SIGNORE - «Il Manzoni diceva: "Non ho mai trovato che il Signore abbia cominciato un miracolo senza finirlo bene"». (a Francesca Ambrogetti, La Stampa , 31 dicembre 2001).

TANGO - «Mi piace molto il tango e da giovane lo ballavo». (a Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, autori del libro-intervista El Jesuita , del 2010).

TRADIZIONALISTI - «Paradossalmente (...) proprio se si è fedeli si cambia. Non si rimane fedeli, come i tradizionalisti o i fondamentalisti, alla lettera. La fedeltà è sempre un cambiamento, un fiorire, una crescita. Il Signore opera un cambiamento in colui che gli è fedele». (intervista a Stefania Falasca di 30 giorni, fine 2007)

VERITÀ - «La verità è che sono un peccatore che la misericordia di Dio ha amato in una maniera privilegiata... Errori ne ho commessi a non finire. Errori e peccati» (a Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, autori del libro-intervista El Jesuita , del 2010).

Gian Antonio Stella

14 marzo 2013 | 9:38© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/esteri/speciali/2013/conclave/notizie/14-mar-papa-tango-fidanzata_1069e952-8c70-11e2-ab2c-711cc67f5f67.shtml
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« Risposta #198 inserito:: Marzo 31, 2013, 07:32:47 pm »

LE COMMISSIONI NOMINATE DAL COLLE

L'eterno ritorno al mito dei saggi

L'idea di affidare a gruppi di saggi la ricerca di soluzioni è stata evocata per le questioni più diverse


Non sono mancati neppure i «saggi tra i saggi». In pratica «saggi al cubo». «Saggissimi». Scelti per mediare tra i «saggi» della Bicamerale dalemiana ormai incapaci di mediare. Ma è tutta la storia italiana, spesso stremata da conflittualità dissennate, a traboccare di «saggi».

Prima che Napolitano, nel tentativo di uscire dalle sabbie mobili, scegliesse Valerio Onida, Mario Mauro, Gaetano Quagliariello e Luciano Violante e con loro altri portatori di saggezza pressoché ignoti agli italiani quali il leghista Giancarlo Giorgetti e il pd Filippo Bubbico, non c'è stata occasione di scontro né passaggio storico più o meno importante, che non abbia visto la proposta di ricorrere a un gruppetto di «saggi».

Tre, di solito. E maschi come tutti quelli scelti ieri. A meno che non si tratti di una truppa. Come quando l'Ulivo nel novembre 2006, in coerenza con il governo Prodi che con 102 ministri, viceministri e sottosegretari era il governo più «obeso» di tutti i tempi, diede mandato di scrivere il nuovo Manifesto del Pd alla bellezza di 13 saggi: tredici! Scelta che spinse tutti i devoti della scaramanzia a prefigurare per il nuovo partito fulgidi destini...
Da quando Concetto Marchesi fu saggiamente incaricato dall'Assemblea costituente di una revisione letteraria della Costituzione perché fosse anche «in bello stile», è stato un tormentone interminabile. A tre «saggi» furono affidate inizialmente (prima del varo della commissione d'inchiesta) le risposte sui fini oscuri della P2. A cinque «saggi» giornalisti stranieri (che lasciarono subito perdere: «troppe polemiche») fu chiesto di verificare la correttezza della Rai durante la campagna elettorale del 1994. E via così.

A quattro «saggi» guidati da Fedele Confalonieri fu delegato dalla Federazione Radio Televisioni in quella stessa primavera lo studio «per la revisione legislativa e la razionalizzazione del sistema radiotelevisivo». A un po' di «saggi del socialismo europeo» Gianni De Michelis propose di dare un giudizio sulla leadership del Psi travolta da Tangentopoli. A un comitato di «saggi» Francesco Cossiga voleva affidare l'inchiesta sul «dossier Mitrokhin» sulle liste di presunte spie italiane al servizio del KGB. Ad altri «saggi» pensò Giuseppe Tatarella per «elaborare le regole del gioco della Seconda Repubblica».
E come dimenticare la strepitosa idea di Giulio Andreotti nel pieno della crisi della Dc? Per salvare il partito suggerì di affidarsi a un gruppo di «saggi» che per sottrarsi al sospetto di mirare a cariche interne future avrebbero dovuto «assumere l'impegno assoluto di non accettare più incarichi per tutta la vita». Insomma, sentenziò dall'alto della sua collezione di poltrone, era necessaria una «castità delle poltrone». Risposta: marameo!

Non parliamo delle polemiche. Non c'è stata proposta di ricorso ai «saggi», specialmente sui temi più sensibili, che non sia stata accolta da fuochi di sbarramento. Si pensi alla scelta di Berlusconi nel 1994 di affidare a tre «saggi» (Antonio La Pergola, Giorgio Crisci e Agostino Gambino) l'individuazione di come superare il conflitto di interessi. «E' solo fumo negli occhi: una commissione nominata dallo stesso controllante che dovrebbe essere controllato», sbottò Mario Segni. «Non sono garanti, sono consulenti», accusò il costituzionalista Paolo Barile. E Giuliano Amato rise sostenendo che il Cavaliere «cercava l'imparzialità con lo stile esorbitante degli imperatori cinesi».

Sul fronte opposto restano indimenticabili le risposte all'idea di Massimo D'Alema nell'estate del 1998 di affidare a cinque «saggi» (rifiutando la pretesa della destra d'una commissione d'inchiesta) la rilettura di Tangentopoli. «Una battuta vacanziera pronunciata in un afoso weekend», ghignò Silvio Berlusconi. «Perché no? Poi potrebbero fare una seduta spiritica», ironizzò Pier Ferdinando Casini riferendosi alla famosa seduta prodiana durante il sequestro Moro. «Una commissione di saggi?», malignò Marcello Pera, «Potrebbe presiederla Primo Greganti!»
Sia chiaro, talvolta i «saggi» hanno dato davvero consigli saggi. Capitò ad esempio quando Sabino Cassese, Luigi Arcidiacono e Alessandro Pizzorno, incaricati 17 anni fa dal presidente della Camera Luciano Violante di suggerire come combattere la corruzione, proposero di limitare le spese per la politica («Se la spesa è maggiore, maggiore la tendenza a ricorrere a metodi di corruzione per finanziarsi»), di «far conoscere agli elettori sia il nome dei finanziatori sia la destinazione della spesa», di fissare l'ineleggibilità dei condannati per corruzione e tante altre innovazioni che avrebbero cambiato faccia al sistema. Il guaio è che il loro rapporto finì nel cestino.

Ma i ricordi più indelebili sono legati ai «saggi di Lorenzago». Era l'estate del 2003 e per cambiare la Costituzione voluta dai De Gasperi e dai Nenni, dai Togliatti e dai Lazzati, dai Saragat e dagli Einaudi, la destra mandò in ritiro in una baita sulle montagne bellunesi la crema della crema dei suoi costituzionalisti: il notaio pescarese Andrea Pastore, l'avvocato messinese Domenico Nania, il dentista bergamasco Roberto Calderoli e il professor Francesco D'Onofrio che spiegava: «Sul federalismo sono tutti d'accordo con me, solo mia mamma Filomena è contro: sapete, ha una cultura da Trento e Trieste».
Il portavoce del solenne sinedrio benedetto da Umberto Bossi («Io gli ho dato uno schema, poi loro lavorano») e destinato a partorire la riforma poi bocciata nel referendum era il futuro ministro-lampo (17 giorni di mandato fino alle dimissioni pretese dal Quirinale per le grane giudiziarie) Aldo Brancher. Che spiegò le competenze così: «L'esperto di presidenzialismo è Nania. Se lui è a far la pennichella state certi che non affrontiamo l'argomento». La citazione della pennica non era casuale. I «saggi» infatti lavoravano vincendo l'abbiocco dopo pranzi e cene a base di cacciagione, fagioli, patate e vino rosso entrati nel mito.

Tutti uniti. Tanto da spingere Brancher ad ammiccare: «Non lo nego, ci sono stati dei dissapori tra noi. D'Onofrio aveva serie perplessità sulla polenta che ho preparato per cena mercoledì: grigia, alla segale, l'ho fatta con una certa farina integrale che ci arriva da un mulino della Carnia».
La battuta più divertente fu di Francesco Cossiga: «Anch'io un tempo mi occupavo di diritto costituzionale ma di fronte al concentrato di cultura e saggezza che c'è a Lorenzago sarei presuntuoso a pronunziarmi».

Gian Antonio Stella

31 marzo 2013 | 8:36© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_marzo_31/eterno-ritorno_9b8d5d26-99bc-11e2-81ce-7be9fc1a292e.shtml
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« Risposta #199 inserito:: Aprile 02, 2013, 12:18:35 pm »

Udine

La strada costruita vent'anni dopo

Ma ormai non serve più

Chiesta dal distretto della sedia che è in crisi.

Nel 2000 le imprese attive erano più di mille, nel 2011 sono 720

Tempi della società, tempi della politica: nulla dimostra le lentezze del Palazzo quanto il paradosso di una bretella stradale in Friuli. Decisero di farla per il boom del «triangolo della sedia», ora che finalmente la fanno è tardi: il distretto è in crisi nera. E i costi sono diventati stratosferici.

Ripartiamo dall'inizio, dalla metà degli anni Novanta. In un pugno di paesi tra Manzano, San Giovanni al Natisone e Corno di Rosazzo (guarda la mappa) vengono prodotte quattro su cinque delle sedie italiane e una su tre di quelle europee. La provincia di Udine, la più colpita dalla grande emigrazione e reduce dal terremoto del 1976, si scopre di colpo ricca. Gli operai più bravi vengono strappati ai concorrenti per tre milioni di lire al mese. Il settore è in perenne, frenetica, spasmodica corsa verso nuovi record: più efficienza, più produttività, più velocità...

È in questo contesto che si levano le prime lamentele sul traffico crescente della «Palmarina», la provinciale che da Manzano porta al casello di Palmanova. Sempre la stessa accusa: «Investiamo montagne di soldi su macchinari per guadagnare secondi preziosi su ogni componente di una sedia e appena i camion escono dal cancello s'impantanano negli ingorghi per raggiungere l'A4!». Anni di proteste, richieste, confronti, dibattiti... Finché nel 2004, quando già molti hanno delocalizzato e s'avverte la concorrenza di altri Paesi, la giunta regionale di centrosinistra guidata da Riccardo Illy insediata da pochi mesi vara il progetto per una nuova bretella che colleghi Manzano all'agognata A4. Costo: una quarantina di milioni di euro.

Da allora, però, è passato quasi un decennio. E solo da poche settimane (erano in arrivo le «Politiche») è stato approvato il progetto definitivo e successivamente (sono in arrivo le «Regionali») è stata avviata la gara d'appalto. Con il risultato che, se proprio tutto andrà liscio (per accelerare l'assessore alle Infrastrutture Riccardo Riccardi è oggi commissario), i cantieri potrebbero partire in autunno o l'anno prossimo. Vent'anni dopo il boom. Ma quella bretella ha ancora un senso? Lo ha chiesto in una lettera dove invocava un incontro col presidente regionale Renzo Tondo (nessuna risposta), il sindaco di Palmanova Francesco Martines. Il quale ricorda che «nell'ultimo decennio (...) le imprese attive che nel 2000 erano 1.011, nel 2011 si sono ridotte a 720 (fra queste 74 sono in procedure concorsuali e 84 in scioglimento e liquidazione), con un accentuato fenomeno di delocalizzazione per le grandi aziende e una percentuale molto alta di cessazione di attività fra le aziende artigiane (riduzione del 45%) e quelle di piccola dimensione (riduzione del 26,1%)». Col risultato che, parallelamente al crollo della produzione, dell'export e dell'occupazione fra i 40 e 50% anche «i flussi veicolari, soprattutto di quelli di mezzi pesanti, hanno subito una drastica riduzione».

Un quadro fosco. Confermato dai dati della Camera di Commercio e da un reportage del Sole24Ore che un mese fa, sotto il titolo «La crisi azzoppa la sedia di Manzano», scriveva che il distretto «negli ultimi sette anni ha visto volatilizzarsi almeno 6 mila posti di lavoro». Meno lavoro, meno produzione, meno camion. Dice uno studio fatto fare da Martines che sulla «Palmarina» verso Palmanova tra le 11 e mezzogiorno le «punte di traffico» si attestano sui 148 veicoli totali (dei quali 129 leggeri) e che nell'ora peggiore, tra le 17 e le 18, si contano 348 veicoli dei quali solo 20 (venti) pesanti. Uno ogni tre minuti.

Vale davvero la pena, in questa situazione così cambiata rispetto al passato, chiede la giunta di Palmanova, di insistere sulla nuova bretella che sarebbe di 3 chilometri più corta (13 contro 16) rispetto alla strada attuale? Con due carreggiate più ampie di 25 centimetri (venticinque!) in confronto a quelle di oggi larghe tre metri e mezzo? Con 10 rotatorie e un nuovo ponte da costruire? Non bastasse, i costi inizialmente previsti sono raddoppiati. L'ultimo calcolo è di 89.734.717 euro: sette milioni a chilometro. Da brividi.

«Non sarà questa nuova viabilità a risolvere i problemi del "triangolo della sedia"», sostiene il sindaco di Palmanova. E dunque è sbagliato oggi con «risorse sempre più scarse» buttar soldi in un'opera che servirebbe solo ad «annientare, in maniera ingiustificata, una grande porzione del territorio agricolo rimasto ancora intatto». Anche il suo collega di Moimacco, Manolo Sicco, è perplesso. Dice che «è un investimento tardivo» e che «vent'anni fa l'opera aveva un senso» ma «oggi sono soldi sprecati».

Lo stesso primo cittadino di Trivignano, Roberto Fedele, favorevole all'opera, ha riconosciuto sul Messaggero Veneto che «è scontato dire che l'opera è tardiva» ma secondo lui «non fare nulla non crea ricchezza». Quello di San Giovanni al Natisone, Franco Costantini, concorda: «A chi dice che l'opera non serve più rispondo: proprio nei momenti di crisi si investe in infrastrutture e si cerca di stimolare anche insediamenti alternativi». Traduzione: parte per parte della nuova arteria potrebbero sorgere, vedi mai, nuovi insediamenti industriali.

Sarebbe un peccato se questa spaccatura fra sindaci fosse liquidata come una bega locale. Perché c'è dentro tutto: i ritardi pazzeschi della politica, il peso mostruoso della burocrazia, l'ineluttabilità di progetti che a un certo punto vanno avanti per inerzia anche se sono vecchi, l'idea che lo sviluppo si inneschi solo col cemento... Per capirci: con un quinto dei soldi previsti per la bretella (ammesso che bastino...) potrebbe essere completamente restaurata la stupenda cittadella militare di Palmanova le cui mura devastate da decenni di degrado solo recentemente hanno conosciuto i primi interventi solo grazie alla Protezione civile e a migliaia di volontari. Se è vero che l'area è di enorme interesse culturale, turistico ed enogastronomico e che secondo lo stesso Sole24Ore perfino «progetti come il ponte sullo Stretto presentano moltiplicatori di reddito inferiori a quelli evidenziati dai progetti culturali: due volte contro 4-5 volte» vale o no la pena di rifletterci?

E in ogni caso si torna alla domanda posta da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi: le «infrastrutture» da rifare con più urgenza sono le autostrade o i processi burocratici? A che serve che i camion guadagnino cinque minuti su una bretella nuova e costosissima se le aziende perdono mesi in scartoffie?

Gian Antonio Stella

2 aprile 2013 | 7:41© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/13_aprile_02/strada-costruita-vent-anni-dopo-stella_65ada6c2-9b54-11e2-9ea8-0b4b19a52920.shtml
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« Risposta #200 inserito:: Aprile 17, 2013, 11:46:16 am »

Tuttifrutti

Quel grande elettore tutto casa e partito

Chi è Alberto Monaci, indicato dalla Toscana al posto di Matteo Renzi


«È stato un errore escludere Matteo Renzi dai grandi elettori», ha riconosciuto perfino Massimo D'Alema. Gli errori in realtà, se vogliamo, sono stati due. Al posto del sindaco di Firenze, infatti, la Toscana ha deciso di dare il nobile incarico di scegliere il prossimo capo dello Stato a un uomo che anche i lettori più distratti meritano di conoscere meglio.

Si chiama Alberto Monaci ed è tutto «casa e partito»: letteralmente. Presidente del Consiglio regionale, senese, dipendente del Monte dei Paschi in pensione, diccì da sempre, deputato per cinque anni nella I Repubblica, fratello di quell'Alfredo già membro del CdA dell'istituto, vice-presidente della Fondazione Sansedoni delegata ad amministrare gli immobili del «Monte» e poi candidato con Mario Monti alle ultime politiche, quando andò in pezzi il patrimonio della Dc era l'uomo forte del partito a Siena.

Fu dunque tra i primi a sapere della (s)vendita, tra l'altro, della sede del partito: un appartamento immenso su due piani con loggiato in un antico edificio a ridosso di piazza del Campo. Erano anni in cui il mercato tirava. Un monolocale in centro costava un occhio della testa, figurarsi un'abitazione così grande e in quel posto tra i più prestigiosi al mondo. Indovinate chi lo comprò? La signora Anna Gioia, fisioterapista ma soprattutto compagna di Alberto Monaci, al quale aveva dato due figlie. Prezzo di vendita: 570 milioni, cioè 294.000 euro. Pari al valore catastale (allora bassissimo rispetto a quello reale) rincarato di un minuscolo 3%. Saputa la cosa, la raccontammo sul Corriere e arrivò una querela della signora con una richiesta danni di 100.000 euro. Il 21 aprile 2009, finalmente, ecco la sentenza. Definitiva. Che dava torto ai querelanti e raccontava della deposizione di Romano Baccarini, già senatore, segretario amministrativo del Ppi e protagonista della dismissione del patrimonio immobiliare della ex Dc.

Baccarini, che come scrissero i giudici «aveva esordito con un perentorio "tutto vero"», riferì «di una sua visita a Siena accompagnato dal Monaci che lo avrebbe dovuto assistere nella vendita in quanto vi era urgenza di pagare i debiti, in particolare i tfr degli ex dipendenti e le tasse. Ricevette una prima offerta di trecento milioni di lire che giudicò "risibile". (...) Siccome l'esigenza di monetizzare per pagare i debiti si faceva pressante, Baccarini decise la vendita in blocco degli immobili senesi ex dc...». Compreso quell'appartamento al prezzo che dicevamo.

«Quando venne a sapere dai giornali che la convivente Anna Gioia aveva acquistato l'appartamento», prosegue la sentenza, Baccarini «sobbalzò sulla sedia (...) telefonò a Monaci dicendogli che era un farabutto perché non gli aveva detto assolutamente nulla; Monaci gli rispose che aveva fatto tutto la Gioia e che lui non sapeva nulla». A sua insaputa... In altri Paesi avrebbe chiuso con la politica. Da noi lo delegano a votare per il Colle.

Gian Antonio Stella

17 aprile 2013 | 10:27© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_aprile_17/monaci-pd-elettore-toscana_450989f0-a738-11e2-ae64-724b68a647ec.shtml
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« Risposta #201 inserito:: Maggio 01, 2013, 06:40:53 pm »

LA PARABOLA DI «SUPERMARIO»

Monti, dagli osanna all'oblio


Il passaggio di consegne fra Mario Monti ed Enrico Letta (Ansa)Il passaggio di consegne fra Mario Monti ed Enrico Letta (Ansa)
A Trotsky, per carità, andò peggio: dopo averlo fatto sparire dalla celeberrima foto con Lenin che arringava la folla davanti al Bolscioi, Stalin lo fece sparire del tutto mandandogli un sicario in Messico. Altri tempi. Anche la rimozione di Mario Monti, però, ha qualcosa di feroce. Che non fa onore a quanti lo osannarono.

Perfino Enrico Letta, che salutò l'entrata in scena del rettore bocconiano come l'occasione per «girare una pagina della politica italiana caratterizzata dall'incompetenza e dalla divisione del potere con il manuale Cencelli», ha dovuto rinunciare ieri in Senato a chiedere l'onore delle armi per il suo predecessore. Ci aveva già provato per tre volte alla Camera e per tre volte l'aula gli aveva negato anche uno striminzito battimani di cortesia. Gesto rifiutato a Palazzo Madama anche agli unici due accenni di stima, del montiano Gianluca Susta e del pd Luigi Zanda. Il gelo. Monti chi?

Lui, l'ex «Supermario» uscito dalla Santissima Trinità dove son rimasti «Supermario» Draghi e «Supermario» Balotelli, non ha detto una parola. Se n'è rimasto lì, al suo banco, solo. L'altra sera, ceduto a Letta il bastone del comando con un sollievo che possiamo immaginare, è andato con la moglie a cena in trattoria. Un ragazzino di undici anni l'ha riconosciuto, ha raggiunto il suo tavolo e gli ha chiesto: «Ma lei è triste a non avere più un lavoro?». Lui è rimasto un po' così, poi gli ha risposto: «È come quando finisci la scuola: ti dispiace, ma finalmente fai anche un po' di vacanza».

Dicono gli amici che certo, sa bene di avere commesso molti errori. Grandi e piccoli. Come quando, spinto a usare Twitter da chi pensava che fosse utile per le elezioni, passò un'ora e mezzo a cinguettare e quando si presentò alla riunione del partito sospirò: «Ho lavorato una vita intera per costruirmi una reputazione e adesso ho avviato la mia sistematica demolizione». Poteva fare delle cose diverse? Sicuro. Tante. E magari oggi sarebbe lassù al Quirinale. Ma certo fa impressione il modo in cui molti della sua ex maggioranza (altri a sinistra e a destra non c'entrano perché furono coerenti e ostili fin dall'inizio) lo hanno incensato, inghiottito e sputato. Con lo stesso identico cinismo da scafati navigatori dei flutti parlamentari abituati a ogni rotta e sopravvissuti a ogni naufragio.

Fu bagnato da un acquazzone di 27 applausi in una quarantina di minuti, Mario Monti, il giorno del suo insediamento al Senato. I cittadini, ricorda un' Ansa , lo acclamavano al suo passaggio come un messia fuori dai giochi della politica che l'avevano costretto a fare i conti, nelle consultazioni, con 34 gruppi parlamentari. E l'aula, intimorita dal momento di caos e di panico dei mercati, non fu da meno. E si lanciò in spiritati battimani a ogni passaggio, ogni battuta, ogni citazione dei giovani e delle donne, dell'Europa e della legalità. Ventisette! Per non dire di certi titoli e certi articoli sui giornali che raggiunsero vette inarrivabili, subito infilzate dall'ironia spietata di Marco Travaglio, dopo la Prima alla Scala. «Il Don Giovanni si fa sobrio», «Meno botox e più loden, un trionfo minimalista». «Alla Scala debutta la sobrietà bipartisan». Ed ecco Roberto Formigoni precisare «il mio smoking è vecchio di 10 anni» e Giuliano Pisapia «il mio è no logo» e la presidente di Expo 2015 Diana Bracco «la pelliccia l'ho tirata fuori dall'armadio, i gioielli sono di mia mamma».

E se il direttore d'orchestra Daniel Barenboim sussurrava a Monti «tutto il mondo sta pregando per lei», sul versante rock Vasco Rossi affidava i suoi pensieri a Facebook: «Sono contento di essere sopravvissuto per poter assistere all'insediamento del nuovo governo Monti». Fino al capolavoro, un flash d'agenzia che suonava il violino per il premier narrando: «La sua riservatezza è proverbiale, tanto che intervistato davanti a casa nel 2004, quando era in predicato per diventare il nuovo ministro dell'Economia al posto di Giulio Tremonti, rispose con un "no comment" anche a una domanda sul nome del suo golden retriever. Ora il cane è cambiato, ma la sua riservatezza no».

Marcello Veneziani dedicò al tema, sul Giornale , una rubrica di irrisione omicida: «Oggi c'è il sole. È stata la battuta più audace di Mario Monti in questi giorni. E tutti a scorgere allusioni cifrate, messaggi elioterapici, metafore ottimiste. L'Uomo Grigio che sognammo in un cucù dopo il colorito Berlusconi si è avverato». Sembra passato un millennio. Tutto dimenticato, tutto rimosso, tutto cancellato. A partire dagli elogi al fu-Supermario. Come quello di Sergio Marchionne nel luglio 2012: «L'accordo di Bruxelles scongiura un disastro che la gente ha assolutamente sottovalutato. Monti è stato veramente un grande, ha fatto un capolavoro che a livello internazionale non credo abbiamo mai avuto nessun altro capace di fare». O quello di Herman Van Rompuy: «Mario Monti ha fatto un buon lavoro da primo ministro. Ha restituito fiducia verso l'Italia ed è stato utile a mantenere la stabilità nell'eurozona». Parole oggi ributtate in faccia all'appestato: se lo elogiavano quei due vuol dire che...

C'è chi dirà: ha senso ricordare oggi la parabola umana, politica, istituzionale di un economista salutato ieri come l'ennesimo Uomo della Provvidenza della nostra storia e finito lui pure appeso per i piedi al giudizio spietato di chi l'ha liquidato poi come «un professorino»? Sì. Lo dimostrano gli osanna di oggi, da parte più o meno della stessa maggioranza, a Enrico Letta. Troppi, per essere sinceri. Ed è lui, come ha già detto, ad esserne spaventato per primo.

Gian Antonio Stella

1 maggio 2013 | 8:06© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_maggio_01/monti-oblio-stella_3032b4f2-b223-11e2-876c-e00ef3e168b7.shtml
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« Risposta #202 inserito:: Maggio 06, 2013, 11:37:22 am »

I record dell'Italia

Copertura con le accise sui giochi solo un bluff di conti sballati

Incassi dell'erario sono scesi a 8,1 miliardi nel 2012.

Innalzare le accise non farà crescere la cifra che serve per coprire l'Imu


Giocassimo a poker, sarebbe un bluff. L'idea di coprire il buco dell'abolizione dell'Imu aumentando le accise sui giochi, infatti, non regge. Neanche turandosi il naso davanti a una scelta moralmente discutibile che già ci vede quarti al mondo per soldi buttati nell'azzardo. Lo dicono, inequivocabili, i numeri dei Monopoli.

Secondo i dati ufficiosi dell'Agenzia Dogane e Monopoli la massa di denaro puntata dagli italiani per mezzo dei vari giochi organizzati dallo Stato biscazziere messo sotto accusa dalla Chiesa e da un numero crescente di giornali, associazioni, osservatori, ha continuato nel 2012 ad aumentare inesorabile. Dai 79,8 miliardi di euro del 2011 a 87,1 dell'ultimo anno. Un incremento del 9,2%.

Un segnale invocabile di quanto questa droga mentale, che agita gli incubi di circa 800 mila italiani schiavi del gioco compulsivo, si sia impastata con la crisi e con la speranza folle di uscirne con una botta di fortuna.

In parallelo, giacché ogni pusher sa che i «clienti» vanno incoraggiati sennò vanno da altri spacciatori, sono aumentate di più ancora le vincite, cioè i soldi rientrati nelle tasche dei giocatori: erano 62,1 miliardi nel 2011, sono stati 70 nel 2012. Con un incremento del 12,8%. I soldi buttati dai cittadini nei vari «game» dell'azzardo pubblico sono dunque scesi da 17,7 miliardi di euro del 2011 a 17,1 nel 2012. Con un calo di circa 600 milioni di euro pari al 3,5%.

In proporzione, però, gli incassi dell'erario sono calati di quasi il doppio: il 6%. Come mai? Perché i Monopoli trattengono una determinata quota, diversa da caso a caso, sui soldi rimasti dopo avere restituito le vincite. Cioè sulla vera e propria «spesa». E mentre crollavano le somme legate ai giochi tradizionali più tassati (meno 23,2% quelli «a base sportiva», meno 24,4% sul Lotto, meno 28,4% sul Superenalotto, meno 27,8% sull'ippica) crescevano in contemporanea del 101,2%, ad esempio, quelle delle «Vlt», cioè le «videolotteries» che a differenza delle slot-machine piazzate anche nei bar accettano anche banconote ed esistono solo nelle sale dedicate.

Fatto sta che lo Stato, trattenendo su questa «spesa» finale al netto delle vincite restituite il 47,3% («una tassazione seconda solo al comparto delle accise sulla benzina», dicono ai Monopoli) nel 2012 ha incassato in totale 8 miliardi e 100 milioni di euro. Cioè mezzo miliardo in meno del 2011. Gli altri 9 miliardi, pari al 52,3%, finiscono alla filiera, cioè a concessionari, esercenti, tabaccherie, agenzie, intermediari, fornitori di macchinari, sistemi e software. Un settore che, stando all'Agenzia statale, vede circa «6.600 imprese, con un bacino occupazionale di oltre 150 mila addetti, se si considerano anche coloro che operano nel gioco unitamente ad altre attività come, ad esempio, gli esercenti, le tabaccherie».

È «cosa buona e giusta» abolire l'Imu, come ripete Berlusconi, perché «produce negatività nelle famiglie che hanno incertezza sul loro futuro e consumano meno»? Certo è che chi segue il settore dei giochi è convinto che sia praticamente impossibile farlo con la ricetta proposta dal Cavaliere: una «revisione delle accise sui giochi, sul lotto».

Sia chiaro: chi è convinto come noi che l'azzardo sia una pestilenza, come ci ricordano anche traumi quali quello di Luigi Preiti che giorni fa sparò davanti a Palazzo Chigi ferendo i due carabinieri («L'ha rovinato il demonio del gioco», dice la moglie), sarebbe tentato di annientare il settore mettendoci le tasse più alte del Creato. Se servisse, però. Il guaio, riconoscono anche i peggiori nemici, è che non si risolverebbe il problema.

Anzi, se c'è del vero nella tesi che l'irruzione dei Monopoli con le sue slot-machine e i suoi giochi legali (380 mila apparecchi distribuiti sul territorio nazionale) ha in qualche modo riassorbito almeno una parte del gioco fuorilegge in mano alle mafie, è possibile che una marcia indietro sarebbe controproducente. E che l'improvviso ritiro dello Stato dal settore, dopo dieci anni passati a spingere gli italiani verso questa specie di crack mentale, potrebbe spalancare spazi enormi alla criminalità organizzata che già gestisce nell'azzardo illegale un'altra ventina di miliardi. E spingere ancora di più gli schiavi del gioco verso gli «sportelli» stranieri.

Già oggi, proprio contando sul vantaggio di non pagare tasse, l'immenso casinò virtuale del Web agganciato a banche di Paesi compiacenti e Stati-canaglia sparsi per il globo, rastrella enormi risorse italiane. Secondo la stima della società inglese Ficom Leisure, considerata la più attendibile e ripresa dall'agenzia Agipronews.it, nel solo 2012 «il volume di gioco dei casinò online ".com", la definizione in sintesi delle case da gioco su Internet non autorizzate che naturalmente sfuggono al sistema fiscale italiano» è stato di 9,2 miliardi di euro. Il doppio abbondante del peso dell'Imu sulla prima casa. Bene: di tutti quei soldi dei nostri giocatori molti sono tornati con le vincite, ovviamente, ma quelli espatriati e finiti nei conti all'estero di chissà quali società anonime sono stati 276 milioni. Un milione in più dello stanziamento così faticosamente recuperato a gennaio per i disabili. Con un aumento di 44 milioni di euro sul 2011. E il fenomeno, dicono gli esperti, è destinato a crescere, crescere, crescere.

Gelano il sangue, certi numeri. Come i dati di «Source H2 Gambling Capital», che si discostano appena dalle stime dei Monopoli. E dicono che su un monte di 321 miliardi di euro spesi nel mondo nel 2012 nei giochi legali (ripetiamolo: 321 miliardi netti, rimasti agli organizzatori dopo aver pagato le vincite) circa il 25% dei denari buttati nell'azzardo era americano, il 15,6% cinese, il 9,7% giapponese e quasi il 6% italiano. Quarti al mondo.

Siamo i primi in Europa, in questa classifica che non ci fa onore. I primi. Stiamo arrancando da due decenni, non arriviamo al 3% del Pil mondiale ma consegniamo ai biscazzieri il 6% degli incassi planetari. Il doppio dei tedeschi, che pure sono molto più ricchi e ben messi di noi. Prova provata, purtroppo, che c'è uno spread che non può essere aggiustato dalla Bce. Ma solo da noi.

Gian Antonio Stella

6 maggio 2013 | 8:03© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/economia/13_maggio_06/stella-copertura-accise-sui-giochi_7511a118-b60c-11e2-9456-8f00d48981dc.shtml
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« Risposta #203 inserito:: Maggio 10, 2013, 11:01:41 pm »

IL DIBATTITO SULLO IUS SOLI

Le inutili forzature

Cécile Kyenge, che vive la nomina a ministro dell'Integrazione con una certa euforica loquacità, è riuscita a farsi bacchettare perfino dal presidente dei medici stranieri in Italia, Foad Aodi. Il quale le ha raccomandato di muoversi «con cautela». Un passo alla volta. Partendo «dalle cose che uniscono e non da quelle che dividono». Parole d'oro. A mettere troppa carne al fuoco, com'è noto, si rischia di bruciare tutto.

Il tema centrale, gli altri vengono dopo, è quello sollevato da Giorgio Napolitano quando si augurò che «in Parlamento si possa affrontare la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati. Negarla è un'autentica follia, un'assurdità. I bambini hanno questa aspirazione». Verissimo. Ed è uno dei temi che possono unire. Purché, appunto, lo si faccia nel modo giusto. Annunciare genericamente il passaggio dallo ius sanguinis allo ius soli , cioè dalla cittadinanza ereditata dai genitori a quella riconosciuta automaticamente a chi nasce qui, senza spiegare bene «come» e con quali regole, è un errore.
Per carità, le reazioni isteriche di razzisti del web o della politica come Mario Borghezio, che si è spinto a parlare di un «governo bongo bongo» e a dire che gli africani «non hanno mai prodotto grandi geni, basta consultare l'enciclopedia di Topolino», ignorando che erano neri ad esempio Esopo e Alexandre Dumas, cioè due dei più grandi e dei più tradotti scrittori di tutti i tempi, andavano messe in conto. I razzisti sono quella roba lì...

Il guaio è che il modo con cui la Kyenge ha annunciato, insieme con tante altre cose, un disegno di legge in «poche settimane» per lo ius soli è stato così spiccio e insieme vago da creare una reazione di inquietudine, se non di ostilità, anche tra molti che danno per ovvia la necessità di cambiare la legge attuale. In realtà, come hanno spiegato Graziella Bertocchi e Chiara Strozzi nel saggio L'evoluzione delle leggi sulla cittadinanza: una prospettiva globale , non esiste una ricetta universale. Nell'Europa del Settecento dominava lo ius soli figlio del feudalesimo che legava l'uomo alla terra e al feudatario. E lo ius sanguinis d'origine romana che oggi ci pare egoista verso gli «altri», fu reintrodotto proprio dopo la Rivoluzione Francese. Non è automatico che di qua stiano i buoni e di là i cattivi. In diversi Paesi africani dopo l'indipendenza, Congo compreso, chi aveva lo ius soli l'abolì all'istante per passare allo ius sanguinis prevedendo in vari casi l'«obbligo» di pelle nera. Una reazione forse comprensibile dopo il colonialismo ma, piaccia o no, razzista.

Certo è che, stando ai numeri, buona parte dei Paesi civili ha seguito da mezzo secolo in qua un percorso abbastanza comune verso l'approdo più sensato: il sistema misto. Nel 1948 lo ius soli , scrivono le due studiose citate, «risulta applicato nel 47% circa dei Paesi (76 su 162), lo ius sanguinis nel 41% (67 Paesi)» mentre il misto è adottato nel restante 12%. Tra i Paesi dove i nati sul suolo patrio erano subito cittadini c'erano «gli Stati Uniti, il Canada, tutti i Paesi dell'Oceania, la maggior parte dei Paesi dell'America Latina, le colonie inglesi e portoghesi in Africa e Asia e, in Europa, Regno Unito, Irlanda e Portogallo».
Oggi non è più così: solo gli Usa hanno mantenuto di fatto lo ius soli integrale. Gli altri, davanti alle grandi ondate migratorie che rischiavano di scatenare reazioni xenofobe difficili da gestire e dunque negative per gli stessi immigrati, hanno preferito introdurre nuove regole. Esattamente come altri Paesi dove valeva lo ius sanguinis ed erano in imbarazzo nei confronti di tanti cittadini nati e cresciuti lì, hanno seguito il percorso opposto andando loro pure verso il misto. Cioè il riconoscimento della cittadinanza grazie al doppio ius soli (ai figli di chi già era nato sul posto) o a precise norme, più o meno restrittive (esempio tedesco: dopo 8 anni di residenza dei genitori) che garantiscano a chi è nato sul luogo la certezza di diventare un cittadino per un diritto e non per concessione di questa o quella autorità.

Fatto sta che se nel 2001 erano ancora legati allo ius sanguinis il 69% dei Paesi africani, l'83% di quelli asiatici, l'89% di quelli latino-americani, l'Europa in gran parte era già passata al «misto». Che via via ha visto aggregarsi l'Irlanda, il Portogallo, la Grecia... Insomma, i bambini nati in Italia che frequentano le nostre scuole e parlano solo italiano e cantano l'inno di Mameli e magari vincono come Lihao Zhang il premio Voghera per la poesia dialettale lombarda, aspettano da tempo una risposta. E se rispettano le regole hanno diritto a diventare italiani. Ma proprio per riconoscere loro questo diritto occorre stare alla larga da improvvise forzature solitarie. E soprattutto da certe ambiguità che eccitano le risse e non aiutano il dialogo.

Gian Antonio Stella

7 maggio 2013 (modifica il 9 maggio 2013)© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/13_maggio_07/inutili-forzature-Stella_9b191d88-b6d3-11e2-8651-352f50bc2572.shtml
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« Risposta #204 inserito:: Maggio 21, 2013, 04:53:49 pm »

GIUSTIZIA

Querela la nuora: cucina male gli agnolotti

Le denunce assurde ai magistrati onorari

Lo spaccato dell'Italia in lite: le storie paradossali nel libro scritto da un viceprocuratore


Un vassoio di agnolotti spiega più di mille saggi. Per salvare la giustizia occorre abolire un mucchio di reati minori (da sostituire con multe) e colpire con durezza implacabile i colpevoli di un reato gravissimo: la denuncia cretina. Che intasa i tribunali. Come appunto quella di un tizio che ha querelato la nuora perché gli agnolotti non erano fatti secondo la tradizione familiare. L'episodio è raccontato nel libro Precari (fuori)legge curato da Paola Bellone.

Paola Bellone è una «Vpo» che insieme con altri Vice procuratori onorari (questo significa la sigla) ha raccolto decine di casi che dimostrano come buona parte del peso della nostra elefantiaca giustizia gravi sulle spalle appunto di questi magistrati «provvisori» e aggiunti. E soprattutto come tra le malattie del nostro sistema sia l'ottusità con cui la legge bolla come reato penale che il pescivendolo metta sul tonno il cartello «tonno» e non «Thunnus tynnus». O un'interpretazione abnorme e cancerosa del diritto di ogni cittadino di rivolgersi alla magistratura anche per i motivi più minuti e ridicoli senza poi dovere rispondere dei danni (tempo perso, pratiche burocratiche, raccomandate postali...) causati alla giustizia distratta dalle cose serie.

Sia chiaro, molti dei processi affidati ai 1.920 Giudici Onorari di Tribunali (Got) e ai 1.691 «Vpo», sono su temi serissimi. Anzi, in certi casi (come le denunce di tante donne contro mariti, fidanzati o corteggiatori violenti che a volte finiscono poi per ammazzare le poverette) viene da chiedersi fino a che punto la giustizia possa essere affidata a magistrati «precari» che per metà fanno anche un altro lavoro e prendono fino a 1.600 euro al mese e sono pagati a cottimo in base a quanto producono e non hanno né ferie né maternità. E più ancora come sia possibile che questi «onorari» assunti «provvisoriamente» per tre anni «prorogabili una sola volta» nel lontano 1998 (e da allora prorogati di anno in anno) si facciano carico del 97% dei processi davanti ai giudici monocratici. Un rattoppo incessantemente ricucito sullo sbrego. Senza una riforma degna di chiamarsi tale.

Ma oltre alle cose serie, nel campionario c'è davvero di tutto. La donna che guida di notte ubriaca fradicia con accanto un enorme peluche. Il tutore della morale che denuncia: «Su entrambi i lati della strada due donne mostravano, una le grandi tette, una il gran culo. Avrei voluto valutare meglio le misure della maggiorata ma una violenta tirata d'orecchie mi ha fatto desistere. Mia moglie non era d'accordo». Il processo al «piccionicida» reo d'aver ucciso un colombo e alla domestica accusata d'aver avvelenato l'anziana paralitica Carlotta: «Chi avesse assistito senza sapere che Carlotta era un cane, avrebbe pensato che si procedesse per omicidio».

E poi i procedimenti interminabili contro un padre che non vuol pagare gli alimenti e dichiara che «avrebbe preferito mantenere tutti i bambini della Bielorussia piuttosto che versare qualcosa per la propria prole». E il processo a un impiegato autore di questa lettera: «Penso che nonostante le risorse finanziarie aziendali siano in rosso possiate permettervi di comperare delle gomme da masticare per la signorina S.R. Quando si entra in quell'ufficio viene da svenire. Ha un alito da fogna e questo non aiuta certo il rapporto con i clienti».
È lo spaccato di un'Italia in lite perenne. Popolata da figure ridicole e orrende. Il padrone d'una fabbrichetta che versa lo stipendio alla dipendente che l'ha respinto con la causale «saldo prestazioni sessuali mese di...». La padrona del centro estetico che attacca le unghie finte con l'attak e minaccia la cliente «ti mando il mio fidanzato sotto casa». La belloccia che rifiuta i suoi dati al vigile che vuol multarla per l'auto in seconda fila: «Poi ti vengono i ghiribizzi e mi telefoni durante la notte, ma la mia bigioia non fa le ragnatele stronzo, io ho tutti gli uomini che voglio, cretino». Il ladro pirla che passa alle rapine ma non ha la pistola e «acquistava al mercato una banana giocattolo in plastica, l'avvolgeva con nastro adesivo nero e applicava in punta un tondino di metallo per simulare il mirino» col risultato che in banca «ingenerò il terrore dovuto nei presenti, ma dopo pochi istanti il silenzio fu rotto dalle risate generali» e lui fu riempito di botte.

E poi ecco i ragazzi denunciati perché giocavano nel campetto d'una scuola («arbitrariamente invadevano terreno pubblico per trarne profitto») contendendosi «n. 1 pallone in cuoio di colore bianco e nero con apposita scritta Diadora in colore verde; in stato d'uso deteriorato e rotto in un punto dal quale fuoriesce un pezzo di camera d'aria di colore nero». E il nigeriano che al posto del permesso di soggiorno dà agli agenti il facsimile avuto da un prete: «Ministero del Regno di Dio, Amministrazione della Pubblica Giustizia, Dipartimento della Pubblica Accoglienza». O ancora, appunto, la denuncia della nuora per gli agnolotti fatti senza seguire la tradizione.

Certo, in quello come in tanti altri casi (l'allora Procuratore Marcello Maddalena ancora ride ricordando la denuncia contro Byron Moreno, l'arbitro ecuadoregno che ci fece uscire ai mondiali in Corea) il giudice ha archiviato. Ma la procedura è un delirio. Anche la denuncia più assurda dev'essere registrata da un poliziotto (che deve girarla alla Procura) o depositata all'ufficio giudiziario apposito e protocollata. Dopo di che un procuratore deve leggerla, pesarla, iscriverla nel «modello 45» (nome, indirizzo dei protagonisti, riassunto dei fatti...) e decidere cosa farne. Anche decidesse di archiviarla per manifesta demenza, deve avvertire il querelante con raccomandata e ricevuta di ritorno per permettergli di fare ricorso. Finché il Gip deve decidere cosa farne ed eventualmente motivare l'archiviazione che va protocollata... Sperando che non finisca tutto in Cassazione...

Domanda: perché non fissare sanzioni esemplari (tipo una multa di 5000 euro) per chi sottrae tempo prezioso ai magistrati costringendoli a occuparsi di inezie manifestamente insulse o secondarie? Con tutti i problemi che abbiamo, è mai possibile che i carabinieri debbano occuparsi del furto di un anatroccolo e del suo riconoscimento? Leggiamo il verbale di una pattuglia che aveva riportato il rapito al padrone della nidiata: «Alla vista di altri simili coetanei, l'anatroccolo vi entrava gridando e festoso, mentre gli altri gli facevano festa. L'anatra madre non si scagliò contro l'anatroccolo, cosa che avrebbe fatto qualora l'anatroccolo fosse stato estraneo...».

Gian Antonio Stella

21 maggio 2013 | 8:36© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/13_maggio_21/querela-nuora-agnolotti-denuncia_e78b9804-c1db-11e2-a4cd-35489c3421dc.shtml
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« Risposta #205 inserito:: Maggio 25, 2013, 05:45:59 pm »

Il caso - La lotta per estendere gli sgravi fiscali al consolidamento

Le 24 mila scuole a rischio sismico

Ecco come risanarle

Due edifici su tre hanno oltre 40 anni

Almeno gli uragani, grazie a Dio, non li abbiamo. Le immagini della scuola di Moore in Oklahoma, però, dovrebbero essere di monito anche per noi.
E ricordarci che le nostre scuole sono in larga parte esposte alle calamità di un territorio ad alto rischio sismico e idrogeologico. E che piuttosto che gli scongiuri servirebbe un'opera profonda di risanamento.

Vogliamo rendere omaggio sul serio, un anno dopo, alle vittime del terremoto in Emilia? Cominciamo a mettere in sicurezza quel patrimonio edilizio, pubblico e privato, di cui scopriamo la fragilità ogni qualvolta viene giù una frana o la terra dà uno scossone per rammentarci che l'Italia è uno dei paesi storicamente più colpiti dagli eventi sismici. I quali dall'Unità a oggi avrebbero ucciso, secondo le stime della studiosa Emanuela Guidoboni, circa 200 mila italiani.

Come scriveva sei mesi fa il Sole24Ore, dei 64.797 edifici scolastici censiti dal Rapporto Ance-Cresme sullo stato del territorio italiano nel 2012 «6.415 sono stati realizzati prima del 1919, 6.026 fra 1919 e 1945, 28 127 tra il 1945 e il 1971. Il 62% del patrimonio ha quindi più di 40 anni e spesso è stato sottoposto male e poco a manutenzione straordinaria. Ma è l'esposizione al rischio a rendere la situazione seria: il 37% degli edifici scolastici si trova in aree ad alto rischio sismico e il 9,6% a elevato rischio idrogeologico. Delle 24.073 scuole localizzate in aree ad alto rischio sismico 4.894 si trovano in Sicilia, 4.872 si trovano in Campania, 3.199 in Calabria».

Certo, con questi chiari di luna non è facile trovare i soldi per risanare tutti quegli edifici. E Dio sa quanto sia da rimpiangere lo spreco di risorse negli anni buoni. In ogni caso, la storia si è fatta carico di dimostrare che, purtroppo, intervenire «dopo» è peggio. Non solo perché si piangono i morti. Ma anche perché le ricostruzioni costano di più delle manutenzioni straordinarie.

Almeno per il patrimonio edilizio privato, comunque, qualcosa può essere fatto subito. Lo afferma una risoluzione votata all'unanimità dalla Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera. La quale chiede che non solo sia rinnovato il patto coi cittadini perché possano scaricare dalle tasse il 55% delle spese fatte per migliorare l'efficienza energetica degli edifici ma l'estensione di questa opportunità «agli interventi di consolidamento antisismico» rendendo «obbligatoria la certificazione antisismica degli edifici pubblici e privati e i relativi controlli strutturali periodici».

«E i soldi dove li trova lo Stato per fare quegli sconti a tutti?», dirà qualcuno. Il presidente della commissione Ermete Realacci (l'unico, tra l'altro, ad aver rinunciato integralmente all'indennità di presidenza pari a 26.700 euro lordi l'anno), giura che non c'è problema. E che «tutti i soldi di tasse cui lo Stato rinuncia finiscono per rientrare e le misure si ripagano da sole, favorendo un aumento del fatturato e l'emersione del sommerso».

Tanto è vero, spiega, che «esistono dei problemi nelle regioni meridionali dove l'edilizia in nero è più forte». Lo dimostra una tabella dell'Enea. Su 100 interventi di riqualificazione nel 2011 la Lombardia ne contava 22,2 e la Campania un decimo: 2,1. E così la Sicilia: 2,0. Un peccato: «Si parla tanto di Imu: la gran parte degli italiani paga meno di 500 euro per la prima casa e tra una casa costruita bene e una inefficiente passa la differenza di una bolletta di 1.500 euro l'anno. Il triplo. Se tutti se ne rendessero conto...».

Mesi fa, una ironica campagna pubblicitaria dell'Agenzia per la cooperazione e lo sviluppo norvegese studiata per ribaltare gli stereotipi verso il continente nero e basata sullo spot di bambini neri che cantavano «Africa for Norwey», si intitolava «Mandiamo termosifoni ai norvegesi!». Le nuove tecnologie e la migliore edilizia, in realtà, dimostrano che le case del futuro potranno farne a meno, dei termosifoni. Perfino a Oslo. Dove l'inverno è più lungo che sull'Appennino.

Un dossier del Cresme sul mercato delle costruzioni garantisce: «Il solo bilancio dello Stato evidenzia come ad entrate immediate o di poco posticipate (Iva, oneri sociali, Irpef, Ires, etc.) corrispondano uscite spalmate su 10 anni. Per effetto dell'attualizzazione dei valori in gioco, dunque, lo Stato trae un vantaggio nel décalage dei tempi fra gli incassi e le minori entrate. In estrema sintesi è dunque corretto affermare che al 2021 l'impatto del 55% sul sistema paese produrrà un saldo positivo quantificabile in 9.051,5 milioni di euro».

A maggior ragione, sostiene la commissione, sarebbe un peccato se a fine giugno l'agevolazione fiscale del 55% fosse lasciata cadere per essere sostituita con la detrazione fiscale del 36%, originariamente prevista per le sole spese di ristrutturazioni edilizie.

Se gli «interventi di green economy, finalizzati alla riconversione ecologica dell'economia, sono un importante volano per la ripresa dell'economia italiana dalla grave e prolungata crisi economica in atto», dice il documento, vale la pena di insistere. Allargando tutto alle ristrutturazioni per mettere le case in sicurezza. Un guadagno per i privati, un guadagno per lo Stato.

«Il presente e il futuro dell'edilizia, uno dei settori più in difficoltà con oltre mezzo milione di posti di lavoro persi dall'inizio della crisi, è legato più che a nuove costruzioni (e nuovo consumo di territorio) a scelte diverse come la riqualificazione del patrimonio esistente, la demolizione e la ricostruzione, il recupero di aree urbane degradate, la bellezza. Alla qualità più che alla quantità», dice Realacci, «Del resto concordano su questo anche i costruttori, le imprese, i sindacati, i professionisti... Non è un caso se il voto in commissione è stato unanime».

Gian Antonio Stella

24 maggio 2013 | 7:51© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/13_maggio_24/le-24-mila-scuole-a-rischio-sismico-che-ci-rendono-fragili-gian-antonio-stella_7698d9ca-c42b-11e2-9212-dfc1a4ff380d.shtml
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« Risposta #206 inserito:: Giugno 30, 2013, 04:42:09 pm »

Gli scioperi e il caos

Unesco, l'ultimatum su Pompei e il disastro dei beni culturali

Mancano soldi e personale. Così s'impoverisce l'Italia


«Ma in quali mani si trovano, gran Dio! Perché mai il Cielo invia tali ricchezze a gente così poco in grado di apprezzarle?».
La celebre invettiva lanciata nel 1776 da Alphonse de Sade davanti alle rovine di Pompei sarà stata ripetuta chissà quante volte, parola più parola meno, dai turisti bloccati dai cancelli chiusi nel «venerdì nero» dei beni culturali. Scaricare sui custodi tutta la colpa di questa figuraccia mondiale, che ha spinto l'Unesco a lanciarci un umiliante ultimatum pochi giorni dopo averci riconosciuto altri tre siti patrimonio dell'umanità, però, è troppo facile.

Un'immagine della manifestazione di Pompei.Un'immagine della manifestazione di Pompei.

Certo, scegliendo di lasciar fuori dalla porta, sotto il sole, da un capo all'altro della penisola, com'era già successo al Colosseo, migliaia di turisti venuti dalle più lontane contrade perché innamorati del nostro Paese, i custodi si sono assunti pesanti responsabilità. In momenti come questo la reputazione dell'Italia dovrebbe venire prima di qualunque altra cosa. Perfino delle battaglie contrattuali giuste. Ed è francamente inaccettabile che il comunicato ufficiale di tutte le organizzazioni sindacali diffuso a Napoli per spiegare l'agitazione non contenga neppure un cenno di scuse, manco uno, verso quei visitatori bloccati a Pompei, Oplontis o Ercolano dopo essere arrivati da Vancouver o da Tokio. Non si fa così.

Detto questo, le assemblee destinate a bloccare gli ingressi dei musei il 28 giugno erano state comunicate al ministero, come prova un documento ufficiale, il 10 giugno. In questi casi, dicono i sindacati, «un ministro subito si muove, convoca, discute, ascolta, propone. Invece Massimo Bray cosa fa? Ci dà appuntamento per l'8 luglio! Quattro settimane dopo!».
Beghe contrattuali loro? No. Episodi come il «venerdì nero» dei nostri musei e dei nostri siti archeologici, infatti, finiscono per rimbalzare sui giornali di mezzo mondo. Rinsaldano antichi pregiudizi sulla inaffidabilità degli italiani. E vanno a incidere profondamente nelle tabelle che poi pesano sul nostro credito internazionale quindi anche sulla nostra economia.

Basti dire che il Country Brand Index 2013, la classifica sulla reputazione di 118 Paesi stilata dall'agenzia FutureBrand, vede il «marchio Italia» primo tra i sogni dei visitatori stranieri, primo nella tabella del patrimonio culturale, primo nella cucina. Eppure perdiamo cinque posizioni su 2012 scivolando al 15º posto. Per non dire della graduatoria Travel & Tourism del World Economic Forum sulla competitività turistica che ci vede arrancare al 26º posto.
Non basta possedere il Colosseo e Taormina, le mura di Palmanova o Selinunte: devi occupartene. Garantire trasporti, una rete web decente, alberghi e ristoranti decorosi ma non avidi, sicurezza sul fronte della piccola criminalità. Ma soprattutto devi mostrarti consapevole delle ricchezze che hai e coscienzioso nella loro gestione. E qui non ci siamo proprio.
Dal 2001 ad oggi, mentre gli altri Paesi si muovevano in direzione opposta, gli investimenti sulla cultura sono calati dal 39% al 19% del nostro Pil. E i risultati si vedono. Anche nelle carenze del personale di chi dovrebbe occuparsi dei nostri tesori. Come ha scritto Vittorio Emiliani, in tutta l'Italia «gli archeologi in organico sono 343 per oltre 700 siti archeologici e monumenti dello Stato, spesso di dimensioni imponenti, e magari in località decentrate.

Più altri 1.300 siti su cui vigilare. Non va meglio con gli storici dell'arte scesi a 453 per altrettanti musei dello Stato, più altri tremila circa su cui vigilare, centomila fra chiese e cappelle (nel Sud veri e propri musei), 734 musei ecclesiastici, ecc...». Un panorama agghiacciante, per un Paese che si vanta di avere più siti Unesco di qualunque altro.
Fatto sta che gli stranieri, davanti alle condizioni in cui versano le cascine di Tavola di Lorenzo il Magnifico o la reggia di Caserta, il castello di Cusago o la residenza borbonica di Carditello, la cittadella di Alessandria o l'anfiteatro di Paestum segato a metà dalla strada mai rimossa per non infastidire i gelatai e i mercanti di souvenir, restano allibiti.

Quanto ai custodi in carico al ministero, sono meno di 9 mila (contro un organico fissato in 12 mila), hanno in media 58 anni (dopo una giornata passata in piedi sono a pezzi), lavorano per contratto non più di 26 turni festivi all'anno, vanno in pensione senza essere reintegrati e denunciano di non ricevere da mesi la mercede concordata per gli straordinari. Risultato: dopo esser stato esteso dalle 9 alle 19 con aperture nei festivi fino a mezzanotte, l'orario rischia d'essere ridotto.

Di idee per marcare una svolta ce ne sarebbero pure. Ad esempio Gianfranco Cerasoli, storico punto di riferimento della Uil per i beni culturali, propone di far pagare almeno un euro, il costo di un caffè, a quei 20 milioni di visitatori che entrano gratis grazie alle tante esenzioni: basterebbero ad assumere duemila persone nei periodi di piena. Ma ce l'hanno, le controparti, l'elasticità necessaria?

In Sicilia l'assessore Mariarita Sgarlata, tirandosi addosso le ire dei pezzi più corporativi del sindacato, ha denunciato ad esempio l'assurdità di avere oltre 1.200 custodi di cui 484 a Palermo con vuoti da incubo nei musei e nei siti disagiati. Per non dire di certi furbetti che avendo concordato con la giunta Lombardo di fare solo 10 domeniche l'anno pagate in soldoni e non con riposi compensativi, si autogestiscono bruciando i turni nei mesi invernali coi musei vuoti per poi battere cassa per altri straordinari quando arriva l'emergenza a Pasqua e in estate.

Ecco: Pompei, come hanno scritto il New York Times o Le Monde , è la metafora di tutto questo. Cioè dell'abuso di un patrimonio immenso sprecato giorno dopo giorno per sciatteria, egoismi, cecità. Basti leggere il dossier degli inviati dell'Unesco. Scandalizzati dalla scoperta che 50 domus su 73 sono chiuse al pubblico, compresa quella dei Vettii, sbarrata per restauri dal lontano 2003. O che su terreno archeologico, come inutilmente aveva denunciato il presidente dell'osservatorio archeologico Antonio Irlando, sono stati edificati nuovi magazzini «impressionanti» mentre l'Antiquarium resta chiuso dal 1977. O che esiste una carenza «allarmante» di tecnici addetti alla manutenzione, come i mosaicisti (l'ultimo è andato in pensione il 1° aprile 2001: dodici anni fa) con il risultato che perfino il mosaico più famoso, quello del «cave canem» all'ingresso della domus del Poeta Tragico, è ormai sfigurato dall'incuria.

Come ricorda Vincenzo Esposito sul Corriere del Mezzogiorno , gli esperti dell'Unesco scrivono nel loro rapporto che «in quasi tutte le domus sono stati trovati affreschi in pericolo, mosaici a rischio e una allarmante vegetazione che invade peristili e atri. Molto preoccupanti sono giudicate le infiltrazioni d'acqua».
Il giudizio sulla ristrutturazione del teatro decisa da Marcello Fiori, il commissario della protezione civile mandato da Bondi, denunciata dal Corriere e seguita da un'inchiesta giudiziaria, è pesantissimo: «Nella prospettiva di organizzare spettacoli numerosi e grandiosi (...) il teatro ha subito una ripugnante ristrutturazione in tufo dei suoi gradini di marmo e l'installazione dietro la scena di un certo numero di baracche tipo container da cantiere...».
E torniamo ad Alphonse de Sade: «Cosa direbbero questi maestri, questi amatori delle arti belle, se bucando lo spessore delle lave che li hanno inghiottiti potessero tornare alla luce e vedere i loro capolavori affidati a mani così?».

Gian Antonio Stella

30 giugno 2013 | 8:41© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/13_giugno_30/unesco-stella-pompei_bcdb1b98-e14d-11e2-a879-533dfc673450.shtml
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« Risposta #207 inserito:: Luglio 05, 2013, 11:51:43 am »

L'Italia ha il triplo degli avvocati rispetto alla media Ue

Benvenuti nel paese dei «sinistri stradali»

Truffe alle assicurazioni, una costante.

E la Campania ha il record di cause per gli incidenti, 61 5, spesso inventati


«Boccaccia mia statte zitta»: la guardasigilli Anna Maria Cancellieri, davanti alla reazione degli avvocati, si sarà morsa la lingua come il pupazzo Provolino di un vecchio Carosello.

Sulle lobby professionali che ostacolano le riforme, però, ha ragioni da vendere. Basti dire che l'Italia ha il triplo degli avvocati rispetto alla media europea. E l'anomalia pesa troppo spesso, in certe aree, sulla macchina della giustizia. Un esempio? La Campania ha il 61% delle cause per sinistri stradali, spesso inventati.

Sia chiaro: guai a fare di ogni erba un fascio. C'è avvocato e avvocato, Ordine e Ordine, regione e regione. E sarebbe disonesto confondere i professionisti che fanno il loro mestiere al meglio, cercando di dare una mano per far funzionare i tribunali, con una quota di azzeccagarbugli che drogano un'enormità di cause finendo per intralciare la giustizia giusta. Lo stesso Pietro Calamandrei, del resto, in un saggio per «I quaderni della Voce» di Giuseppe Prezzolini intitolato «Troppi avvocati!», se la pigliava nel 1921 con «l'esistenza di questo proletariato forense» considerato «la sciagurata causa di tutti mali dell'avvocatura» proprio per difendere quella professione così vitale in una democrazia. E per lo stesso motivo attaccava «gli avvocati (che) riempiono le aule del Parlamento trasformandolo in Camera d'Avvocati».

Sulla base dei dati del Cepej (European Commission for the Efficiency of Justice), l'economista Leonardo d'Urso, collaboratore de «lavoce.info», ha composto una tabella che da sola dice tutto. Ogni 100.000 abitanti ci sono in Europa 127 avvocati. Bene: la media italiana è di 406. Solo la Val d'Aosta (la più virtuosa con 139) si avvicina al resto della Ue. E la sproporzione via via si accentua fino a toccare a Roma e nel Mezzogiorno numeri da brivido: 524 «toghe» nel Lazio, 586 in Puglia, 652 in Campania, 664 in Calabria. Dove c'è un legale ogni 150 abitanti contro la media continentale di uno ogni 787. Cosa vorrà mai dire: che da noi i cittadini sono molto più tutelati? Ma dai!

E sarà un caso che le regioni in cui ci sono più avvocati sono quelle in cui ci sono anche più cause? È il numero esorbitante delle cause che ha man mano fatto crescere quello dei legali o piuttosto, al contrario, è l'esubero di legali ad aver fatto crescere le cause fino a intasare i tribunali? La stessa Banca d'Italia, nello studio «La giustizia civile in Italia: i divari territoriali» di Amanda Carmignani e Silvia Giacomelli, sottolinea il parallelo: «L'effetto del numero di avvocati in rapporto alla popolazione sulla variabile dipendente risulta positivo e statisticamente significativo. In base all'evidenza empirica, le variabili che hanno maggiore impatto sul tasso di litigiosità sono il valore aggiunto pro capite e il numero di avvocati per abitante».

Traduzione: esattamente come accade nel film di Billy Wilder «Non per soldi ma per denaro», dove Walter Matthau convince il cameraman Jack Lemmon a fingersi gravemente ferito in un incidente di gioco per spillare all'assicurazione un milione di dollari, sono talvolta certi trafficoni delle aule giudiziarie a cercare i clienti e a spingerli a fare causa. E per trarne profitto è essenziale che la Giustizia funzioni peggio possibile. Per una coincidenza, mentre gli avvocati si sollevavano contro il ministro e la sua tesi sulle lobby di traverso alle riforme, l'Ania (l'associazione delle imprese assicuratrici) metteva online il suo rapporto 2012-2013. Dove si legge che «delle oltre 240 mila cause civili pendenti davanti a un giudice di pace circa 150 mila sono concentrate in Campania e, di queste, 108 mila nella sola città di Napoli. Di quelle rimanenti, altre 26 mila riguardano la Puglia, mentre 18 mila sono quelle presenti in Sicilia e quasi 10 mila in Calabria. Escludendo il Lazio (e in particolare la città di Roma), con circa 16 mila cause civili pendenti, le rimanenti regioni d'Italia si suddividono in modo uniforme appena 23 mila procedimenti». Insomma, la Campania assorbe da sola il 61% di tutti i processi per i risarcimenti danni da incidente stradale che ingombrano gli uffici dei giudici di pace. E la città capoluogo, da sola, copre il 45% più di tutto il resto d'Italia messo insieme, tolta la Campania.

Si è visto di tutto, in questi anni. Comprese, come qualche lettore ricorderà, sentenze false emesse da giudici falsi e notificate da avvocati falsi per incidenti stradali falsi. E come dimenticare Gerardo «Tapparella» Oliva, un tappezziere che in un solo anno ebbe la ventura di assistere, così disse, a 650 incidenti? Usciva di casa e vedeva un tamponamento, girava l'angolo notava un pedone finire sulle strisce sotto un motorino... È considerata praticamente un ammortizzatore sociale, qua e là, la truffa alle assicurazioni. Le quali, per carità, badano ai loro interessi e a volte fanno penare per anni dei risarcimenti sacrosanti e scaricano sui clienti rincari da brivido, ma certo devono arginare imbroglioni di ogni genere. Ecco la famigliola che in un anno denuncia 12 schianti tutti e dodici con la stessa macchina. La Lancia Y che colleziona 20 incidenti in due anni. Le cartelle cliniche false. E via così.

A volte scappa un sorriso perfino alla vittima della truffa. Come nel caso di una Suzuki 1000 che, impennandosi alla Valentino Rossi, era finita contro un'auto causando danni ingenti. Alla guida figurava una vecchia di 85 anni che non usciva di casa da tempo immemorabile. Possibile che fosse sua l'idea tentare di tirar su qualche soldo con l'assicurazione? La tradizione, del resto, è antica. Nel 1729 Montesquieu annotava già questa abbondanza esagerata di avvocati: «Non c'è un Palazzo di Giustizia in cui il chiasso dei litiganti e loro accoliti superi quello dei tribunali di Napoli. Ho sentito dire dal Viceré che ci sono a Napoli 50.000 di questi "causídici", e vivono bene. Lì si vede la Lite calzata e vestita». Da allora son passati tre secoli...

Gian Antonio Stella

4 luglio 2013 | 7:36© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/cronache/13_luglio_04/benvenuti-nel-paese-dei-sinistri-stradali-stella_1473720c-e468-11e2-8ffb-29023a5ee012.shtml
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« Risposta #208 inserito:: Luglio 10, 2013, 10:03:33 am »

CARITÀ CRISTIANA E STATO DI DIRITTO

Terre promesse, sogni e realtà


«E tra loro un vescovo c'era / dando a tutti / la sua benedizion...». È probabile che Jorge Mario Bergoglio abbia nelle orecchie fin da bambino le note dolenti de «Il tragico naufragio del vapore Sirio», dedicato alla tragedia del bastimento affondato nel 1906 mentre navigava verso il «suo» Sudamerica. Canzone che sfuma narrando di José de Camargo Barros, il vescovo di São Paulo del Brasile che morì tra i flutti consolando gli altri poveretti.
Scrisse il Corriere : «Il suo ultimo gesto, prima di incontrare la morte (...), fu di sacrificio, perché cedette il suo salvagente a un altro naufrago quando già erano in mare».

Sono anni che, sotto i nostri occhi, si ripetono quelle apocalissi vissute dai nostri nonni. Anni che siti come «fortresseurope» contano i morti ufficiali (poi ci sono quelli di cui non si sa nulla) inghiottiti dal Mediterraneo, saliti via via a 18.653. Anni che l'Onu, registrando 214 milioni di persone che vivono «altrove» rispetto al Paese natio («la patria è là dove si prospera», scrisse Aristofane) spiega come chi emigra in un Paese ricco incrementa mediamente di 15 volte il proprio reddito e abbatte di 16 la mortalità dei propri bambini. Anni che l'Alto Commissariato per i rifugiati denuncia che ogni giorno 23 mila uomini, donne, bambini sono costretti a lasciare la propria casa per mettersi in salvo da guerre, pulizie etniche, persecuzioni religiose o sessuali. Anni.

Ma ci voleva un Papa figlio di emigrati in Argentina, sulle cui rotte affondarono l'Utopia e il Sirio e il Principessa Mafalda e altri piroscafi carichi di italiani, per dare uno scossone all'indifferenza quotidiana non solo dell'Italia ma dell'Occidente. Certo, anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI («Quando si respingono profughi e immigrati non è forse Dio stesso a essere respinto da noi?») ci avevano provato. L'immagine di Francesco accanto a una croce fatta col legno colorato dei barconi degli immigrati, però, ha avuto ieri un impatto immenso. Deflagrante.

E quella immagine ha sottolineato parole dure come cazzotti. Contro i trafficanti di uomini «che sfruttano la povertà degli altri». Ma anche contro l'ipocrisia di chi, guardando un «fratello mezzo morto sul ciglio della strada» si gira dall'altra parte. Contro la «cultura del benessere» che «ci fa vivere in bolle di sapone» e ci ha portato alla «anestesia del cuore». Contro la «globalizzazione dell'indifferenza». Contro coloro che «nell'anonimato prendono decisioni socioeconomiche».

C'è chi dirà, come già è stato detto più volte in passato con parole spesso offensive, che è facile fare omelie ma governare un Paese e le sue paure è un'altra faccenda. Basti ricordare, al di là dei barriti di chi voleva sparare sui barconi o degli incitamenti a essere «più cattivi», una delle tante tesi: «Il principio dell'accoglienza è un principio cristiano, ma deve essere calato nella realtà». Traduzione: la politica deve fare altri conti.

È vero, perfino padre Enzo Bianchi ha ammesso il problema: «Occorre riconoscere che esistono dei limiti nell'accoglienza: non i limiti dettati dall'egoismo di chi si asserraglia nel proprio benessere e chiude gli occhi e il cuore davanti al proprio simile che soffre, ma i limiti imposti da una reale capacità di "fare spazio" agli altri, limiti oggettivi, magari dilatabili con un serio impegno e una precisa volontà, ma pur sempre limiti».
E anche il Papa non ha invitato a spalancare le porte a tutti. Sa bene che certi generosissimi avventurismi potrebbero essere controproducenti.
Il rispetto per le speranze, i sogni, i diritti, i lutti e i dolori degli altri, però, almeno quello è un dovere assoluto. Non solo dei cristiani.

9 luglio 2013 | 15:39
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Gian Antonio Stella

da - http://www.corriere.it/editoriali/13_luglio_09/terre-promesse-sogni-realta-gian-antonio-stella_f939eba0-e850-11e2-ae02-fcb7f9464d39.shtml
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« Risposta #209 inserito:: Luglio 19, 2013, 11:40:49 am »

Proclami e tattiche

Salvate il soldato Matteo (da se stesso)

Il rischio di disperdere in una alluvione di dichiarazioni la simpatia accumulata

 Gian Antonio Stella

 
È arrivato mezzogiorno, e taceva. Si sono fatte le tre, e taceva. È trascorso il meriggio, e taceva. Al calar della sera galleggiava nell'aere un'inquietudine leggera: perché non parla? Erano mesi, infatti, che non faceva mancare la sua parola per un'intera, lunghissima, interminabile giornata. Alle 19.43, giusto per i Tg, Matteo Renzi ha finalmente rotto il silenzio. Ed è venuto giù, come sempre, il diluvio.

INIZIA A PARLARE - Sia chiaro, le cose che ha detto sono serissime. Di più, condivisibili: «Io sto con le forze dell'ordine. Perché scaricare su servitori dello Stato tutte le responsabilità senza che venga mai fuori un responsabile politico è indegno per la politica. E per l'Italia». C'è chi dirà, a destra, che non è andata così e che Alfano è stato davvero menato per il naso dai funzionari e che anche questa sortita dell'astro fiorentino fa parte della lunga campagna elettorale che ha nel mirino come obiettivo immediato Enrico Letta.

TROPPE DICHIARAZIONI? - Sia chiaro anche che, con tanti compagni di partito che da anni gli ripetono «sta' zitto, lascia parlare i grandi» con l'aria dei vecchi barbieri che mettevano in riga i «ragazzi spazzola», il sindaco di Firenze ha ottime ragioni per non tacere. Le premure esercitate su di lui perché se ne stesse «bono bonino» ad aspettare il suo turno (domani, posdomani o forse nel 2036 quando in fondo avrà solo l'età di Bersani...) sono state talmente tante che solo la Beata Teresa Manganiello, che fece il voto del silenzio perpetuo, avrebbe potuto tacere. Detto questo, per amor di Dio, salvate Renzi da Renzi. Proprio chi pensa che non sia per niente leggerino e che dietro l'aria sbarazzina si regga su una spina dorsale d'acciaio (quell'ambientino che è il partito buro-geronto-democratico si sarebbe ingoiato qualunque altro «ragazzino» quarantenne avesse osato affacciarsi) si chiede infatti: ma non parlerà un po' troppo? Insomma, a forza di esibirsi non solo su battaglie giuste ma su un ventaglio incontenibile di varia umanità, non finirà per passare, per dirla coi vecchi fiorentini, per un «cianciatore»? Col rischio di disperdere in una alluvione di dichiarazioni misto fritto il patrimonio di simpatia, fiducia, credibilità accumulato?

SESSANTA INTERVISTE - Per dare un'idea: nell'ultimo anno, stando alla banca dati della Camera, ha dato 60 interviste. Una ogni sei giorni. Senza contare quelle ai giornali, alle televisioni e alle radio locali. Un record difficile da battere. La sola Ansa nel solo ultimo anno ha lanciato, con Renzi nel titolo, 4357 notizie. Molte di più di quelle dedicate a Giorgio Napolitano (4294) e perfino a papa Francesco, che pure rappresenta una «novità» addirittura più grande e vistosa che non l'irruzione del sindaco. Certo, molto spesso Renzi non è il soggetto ma l'oggetto di parole altrui. E c'è chi lo ama e chi lo disprezza, chi lo attacca e chi lo difende... Il più delle volte, però, è lui che accusa, esulta, ammonisce, vezzeggia, invita, denuncia, ipotizza, ammicca, esorta, s'indigna... Un mucchio di volte ha il merito di dire cose che vanno prese sul serio. Sulla necessità di svecchiare (anche se pare avere accantonato il verbo «rottamare») la classe dirigente del Paese, di dare più spazio alle donne, di procedere a riforme radicali perché sono decenni che andiamo avanti coi piccoli passi finendo per restare fermi, di cambiare subito al Senato, di abolire le Province, di puntare sulla ricerca e così via... Tutti temi sui quali ha spesso ragione da vendere e ha spalancato varchi importanti per parlare a un elettorato col quale la sinistra non era mai riuscita ad aprire un dialogo. E di questo, piaccia o no a chi fa le battutine («Renzi è la cosa più di destra nata a sinistra») gli va reso merito.

UN UOMO CHE DIVIDE - È un uomo che divide? Sicuro. Basti leggere quanto dice in tema di lavoro: «Per me è più di sinistra pensare a chi non ha lavoro che discutere delle tutele più o meno corrette per chi invece il lavoro ce l'ha. So che non è la linea della Cgil e che parte del gruppo dirigente della Cgil mi detesta. Ma la penso così». Ha ragione? Ha torto? Opinioni libere: ma ha il merito d'essere chiaro. E Dio sa quanto ne abbiamo bisogno. In parallelo a questi quotidiani affondi su tutti i temi centrali, però, il giovane leader nascente si è esibito in una lista infinita di show. Ed ecco uscire biografie in cui il parroco don Giovanni Sassolini narra che il giovinetto seguì «con entusiasmo tutto il percorso da lupetto a capo» negli scout amati in famiglia e che «a una riunione dei capi del Valdarno rottamò in pubblico le idee del babbo Tiziano» e che l'amico Paolo Nannoni ricorda come «imparò a leggere il giornale a cinque anni» e che quando cominciò la primina «sapeva già leggere e scrivere e tenere di conto» e che il babbo «due volte l'anno con la moglie va a far visita alla Madonna di Medjugorje» e che lui stesso, Matteo, rammenta «che la mamma lo ha incantato raccontandogli la vita di Bob Kennedy».

MONDANO - Ed eccolo ancora in un servizio su Chi, calzoncini e petto nudo, mentre corre su un campetto con moglie e figli, subito sbeffeggiato da Dagospia insieme con il direttore del settimanale Alfonso Signorini: «Alfonsina la pazza dedica quattro pagine a Matteuccio che gioca a calcio, panzetta all'aria (...) Uno spottone al lato family del prossimo leader di Pd e Pdl...». Per non dire di una leggendaria copertina su Oggi dove abbracciava le nonne Maria e Anna Maria col titolo: «Rottamerò quei politici (non le mie nonne)». È la nuova politica, baby... L'importante è esserci. Sempre. Sempre. Sempre. Marcando il proprio distacco, il giorno del delirio sulla bocciatura di Franco Marini al Quirinale, con il tweet: «Tutti in Piazza Dalmazia a inaugurare il nuovo fontanello!». Esultando per l'arrivo alla Fiorentina di Gomez: «Straordinario. Ho mandato un messaggino a Pep Guardiola per dirgli grazie». Dichiarando guerra ai graffitari: «basta scrivere sui muri». Augurando a Enrico Letta di durare ma punzecchiandolo tutti i sacrosanti giorni. Chiedendo al governo di trasformare le caserme in condomini per giovani coppie. Censurando i giudici Usa: «Da amico dell'America mi vergogno della sentenza Zimmerman». Una pioggia di Ansa con lui nel titolo lunedì, uno scroscio martedì, un diluvio ieri... Quando, dopo avere buttato quel petardo tutto politico nel mezzo dell'affare kazako, ha dettato una dichiarazione per le pagine sportive: «Sono molto intrigato dal tipo di gioco che mister Montella riuscirà a mettere in campo...». Ah, ecco cosa mancava...

18 luglio 2013 | 7:33
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Gian Antonio Stella

da - http://www.corriere.it/politica/13_luglio_18/salvate-il-soldato-renzi_e1eeabf0-ef69-11e2-9090-ec9d83679667.shtml
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