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Autore Discussione: ATTILIO BOLZONI. GARGANO, la mafia dimenticata.  (Letto 3937 volte)
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« inserito:: Dicembre 13, 2017, 12:44:50 pm »

GARGANO, la mafia dimenticata.

Di ATTILIO BOLZONI

Sono uomini che alle loro spalle si lasciano poche tracce, a volte nemmeno una fotografia. Tutti sconosciuti, senza passato. Appartengono a “piccole” mafie che non sono mai diventate famose, capi senza gesta “epiche” da raccontare e tramandare, perché non sono Padrini avvolti nel mistero come quelli di Cosa Nostra e non sono ricchi e potenti come quegli altri della 'Ndrangheta. Sono solo feroci, ferocissimi.
E se non avessero ucciso così rumorosamente anche due innocenti - il 9 agosto scorso, a San Marco in Lamis, nell'alto Tavoliere delle Puglie - un'altra delle loro stragi avrebbe avuto lo spazio di appena tre colonne in cronaca sui giornali e un titolo dei TG per una sola sera.

Dimenticata, oscurata, snobbata dai media e per lungo tempo anche dall'apparato repressivo dello Stato, la criminalità di Foggia è diventata sempre più forte e spaventosa dentro i silenzi. Ecco perché abbiamo voluto dedicare questa serie del blog alle mafie di quell'angolo lontano d'Italia.

A parere degli esperti ce ne sono almeno tre. E tutte autonome e "staccate" dalla più nota Sacra Corona Unita. Una è quella dei "cerignolani", rapine a portavalori e spaccio di droghe. Un'altra è quella del Gargano che spreme, con estorsioni a tappeto, le attività turistiche di Vieste e delle altre città sul mare. La terza è la "Società Foggiana", crimine organizzato che opera prevalentemente tra il capoluogo e San Severo.
In dieci articoli - che ha selezionato e raccolto per noi la giornalista Tatania Bellizzi - vi ricostruiamo cosa c'è dietro quell'agguato a colpi di Kalashnikov e di fucili a canne mozze che ha insanguinato l’estate pugliese. Faide, vendette, "sgarri” dentro un mondo arcaico che però è stato svelto ad agguantare le opportunità offerte dai nuovi mercati criminali. Soprattutto quelli dell'altra parte dell'Adriatico.

Terra piena di covi e di arsenali, la provincia di Foggia è sprofondata negli ultimi anni nella paura e nella rassegnazione. Ma la strage di agosto, così brutale e così "facile" da realizzare per chi l'ha ideata, può rappresentare l'inizio della fine per quella mafia colpevolmente ignorata e un principio di cambiamento.

I due volti di Foggia ce li descrivono qui saggisti e giornalisti, poliziotti e magistrati, rappresentanti dell’associazionismo. C'è anche una riflessione dell’arcivescovo Vincenzo Pelvi sui mafiosi e sul loro “Dio diverso”. Chiudiamo con un'analisi di Tea Sisto sulle tante mafie della Puglia, anzi - come si diceva una volta - delle Puglie.

Da - http://mafie.blogautore.repubblica.it/2017/12/attilio-bolz/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P25-S1.6-T2
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« Risposta #1 inserito:: Marzo 03, 2018, 11:14:41 pm »

Mio padre Pio La Torre

Di ATTILIO BOLZONI

La mattina avevano ucciso Pio La Torre e la sera arrivò in Sicilia il generale più famoso dell'Arma dei carabinieri. Era il 30 aprile del 1982. Nominato prefetto di Palermo, Carlo Alberto dalla Chiesa - che quattro mesi dopo sarebbe stato anche lui assasinato - fu circondato dai giornalisti che gli chiesero: «Generale, perché secondo lei hanno ammazzato Pio La Torre?». Rispose il generale: «Per tutta una vita».
Quella vita ce la racconta Franco La Torre, uno dei figli (l'altro è Filippo) di un uomo - ci piace riprendere le parole di Vincenzo Consolo - che è stato “orgoglio di Sicilia”.
Figlio di contadini, nato nella borgata palermitana di Altarello di Baida, sindacalista e capopopolo negli anni infuocati del separatismo e delle occupazioni delle terre, deputato alla Camera per tre legislature, Pio La Torre è stato ucciso trentasei anni fa quando era da appena sette mesi segretario regionale del Partito comunista italiano. Un ritorno nell'isola, un ritorno in quella «città dove si fa politica con la pistola». La sua Palermo.
Il figlio Franco ricorda il padre fra dimensione pubblica e pieghe private. La passione politica e l'incontro con Giuseppina che sarebbe diventata sua moglie, le Botteghe Oscure e le vacanze di famiglia in Polonia e a Panarea, la detenzione nel carcere dell'Ucciardone e la battaglia contro i missili a Comiso, le "attenzioni” che gli avevano riservato i servizi segreti italiani (lo sospettavano una spia di Mosca) e la Commissione parlamentare antimafia, il partito e gli amici. Fino a quel 30 aprile, fino alla morte.
In mezzo c'è la straordinaria esistenza di un personaggio che ha segnato la storia d'Italia con le sue idee e la sua azione. Sempre dalla parte dei deboli. Sempre contro i poteri criminali.
La legge che porta il suo nome (insieme a quello del ministro dell'Interno del tempo, Virginio Rognoni) e che dal settembre del 1982 introduce nel codice penale il reato di associazione mafiosa e la confisca dei beni ai boss è un confine, è semplicemente il prima e il dopo della lotta alla mafia nel nostro Paese.
La storia di Pio La Torre è stata ricostruita in questi ultimi anni dai suoi familiari nei libri “Sulle ginocchia” (edizioni Melampo) ed "Ecco chi sei” (San Paolo Edizioni). Poi hanno scritto Francesco Tornatore ("Ecco perché”, Istituto Poligrafico Europeo), Vito Lo Monaco e Vincenzo Vasile ("Pio La Torre”, Edizioni Flaccovio), Paolo Mondani e Armando Sorrentino ("Chi ha ucciso Pio La Torre?”, Edizioni Castelvecchi), Carlo Ruta ("Pio La Torre, legislatore contro la mafia”, Edizione di Storia e Studi sociali). Ed è appena arrivato sugli scaffali, a firma di Giuseppe Bascietto e Claudio Camarca, "L'uomo che ha incastrato la mafia” della Compagnia Editoriale Aliberti.
Nonostante questa preziosa e abbondante produzione di saggi ho voluto chiedere a Franco una testimonianza sul padre perché credo che non sia mai abbastanza far conoscere la sua figura, soprattutto ai più giovani che in quel 1982 non erano ancora nati.
Alla fine della scrittura Franco La Torre si chiede chi abbia davvero «proseguito con lo stesso impegno le sue battaglie», parla di gesti sinceri ma anche di tanta ipocrisia e di tanto opportunismo, di un'eredità raccolta e ostentata - dalla politica (compreso qualcuno del partito dal quale suo padre proveniva) e da associazioni - con una propaganda non sempre disinteressata. Un simbolo che ha fatto molto comodo a imbonitori, spacciatori di pozioni magiche e pure a qualche ladruncolo. Ma stiamo parlando d'altro, già stiamo parlando delle maschere dell'antimafia.

Da - http://mafie.blogautore.repubblica.it/2018/03/1603/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P23-S1.6-T1
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