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Autore Discussione: Stefano FOLLI. -  (Letto 106947 volte)
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« Risposta #120 inserito:: Aprile 27, 2013, 05:40:59 pm »

I tre fattori a favore di Letta

di Stefano Folli

26 aprile 2013


Ci sono ancora difficoltà, certo. Ci sono persino colpi di avvertimento, come la dichiarazione sferzante del ministro tedesco Schauble su quanto sia «sciocco» criticare la Germania a proposito della mancata crescita. Ma in definitiva Enrico Letta è vicino a formare il suo governo fondato sull'accordo Pd-Pdl-Scelta Civica. Non proprio un esecutivo di unità nazionale, ma qualcosa che gli si avvicina molto.

Di suo l'incaricato ci sta mettendo un grande impegno e in particolare un tratto giovane ed efficace, un modo di affrontare i problemi con franchezza, senza ricorrere agli stereotipi del gergo politico. Un approccio che ha colpito persino gli arcigni ambasciatori di Beppe Grillo, i due capigruppo dei Cinque Stelle.
S'intende che non basta la simpatia umana e la buona volontà. Se Letta riesce a scalare la montagna entro sabato sera o domenica mattina, lo deve a tre fattori. Il primo, ovviamente, è il fattore Quirinale. Napolitano ha aperto il suo ombrello protettivo sul giovane Enrico e non lo chiuderà più. Date le circostanze, è ciò che davvero conta. Secondo viene il fattore Pd. Salvo alcune voci minoritarie, il partito che era di Bersani ha capito dov'è la sua convenienza e per ora appoggia il presidente incaricato con discreta compattezza. Può darsi che al momento della fiducia mancherà qualche voto, ma non sarà un fenomeno rilevante (e i dissidenti sono già stati ammoniti: chi non vota, è fuori dal Pd).

Terzo fattore, Silvio Berlusconi. Il quale sta ottenendo in queste ore un apprezzabile risultato: una vera e propria rilegittimazione pubblica attesa per anni. È il primo frutto delle larghe intese e di quel «realismo politico» a cui Napolitano ha costretto i vari attori politici. Per Berlusconi tale esito non dipende solo dall'esser stato decisivo nella rielezione del presidente della Repubblica, avendo rinunciato a calcare la mano sulla crisi del centrosinistra. E nemmeno dal fatto che proprio in queste ore egli è tornato sulla scena internazionale grazie al suo vecchio amico George W. Bush che lo ha invitato a Dallas.
Il vero segno della rilegittimazione è nella puntualità con cui l'ex premier tiene fede al suo patto con Napolitano, senza creare veri ostacoli al tentativo Letta. La sua dichiarazione di ieri dal Texas era quasi un modello di ineccepibile buon senso: «Non importa chi guida l'esecutivo, l'importante è dare subito un governo al paese perché l'economia soffre». Niente veti, niente richieste ultimative. Anche sui punti economici c'è la volontà di chiudere: la questione dell'Imu, che per il centrodestra è dirimente, può trovare soluzione all'interno di un'intesa programmatica.

In altre parole, il capo del centrodestra è tornato a indossare i panni dello statista, come gli accade ciclicamente. E vale la pena sottolineare una coincidenza. Ieri era il 25 aprile. Lo stesso giorno in cui, sette anni fa, il premier in carica Berlusconi pronunciò a Onna, la cittadina abruzzese devastata dal terremoto, un discorso di conciliazione che viene ancora rimpianto perché rimase un fiore nel deserto. Pochi giorni dopo cominciò la discesa agli inferi con le vicende boccaccesche in cui erano coinvolti stuoli di ragazze (la prima fu Noemi Letizia).
Ora Berlusconi ripropone gli stessi accenti di allora: rispetto degli avversari, ricerca di soluzioni condivise, attenzione ai problemi dell'economia reale. Ci si domanda quanto potrà durare questa nuova attitudine. Dopo Onna, sette anni fa, durò poco anche perché cominciò l'offensiva della magistratura. Adesso si tratta di capire fino a che punto Enrico Letta riuscirà a mediare, ma anche a volare alto con il suo governo. Peraltro, come si è visto, dietro Letta c'è Napolitano. E Berlusconi lo sa.

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-04-26/fattori-favore-letta-063815.shtml?uuid=Ab35HfqH
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« Risposta #121 inserito:: Aprile 30, 2013, 11:58:44 am »

Governo politico ma presidenziale

di Stefano Folli

28 aprile 2013


Il meno che si possa dire, di primo acchito, è che si tratta di un governo ottimista. Ottimista nelle scelte dei vari ministri, con quei volti nuovi e quel numero senza precedenti di donne. In sintonia con lo spirito dei tempi. Ma l'ottimismo si respira anche nella visibile soddisfazione di Giorgio Napolitano, felice di aver chiuso con successo una delle partite più complesse della nostra storia politica.

E un certo ottimismo, come è giusto che sia, s'intuisce anche nello slancio del neopresidente Letta che domani dovrà dimostrarsi capace di trasmettere questo sentimento al Parlamento. Perché il senso delle scelte compiute si comprende solo se si ammette che questo esecutivo di larga coalizione rappresenta il primo, vero tentativo di un sistema malato e ingessato di passare alla riscossa e di sconfiggere i movimenti di contestazione.

Se i Cinque Stelle continuano a puntare sul fallimento definitivo (in autunno, prevede cupamente il loro leader) e sulla notte della Repubblica, si apre uno spazio non irrilevante per ridimensionarli attraverso un programma riformista semplice e concreto. Senza squilli di tromba, ma scandito dall'istinto di sopravvivenza.
La sfida di fronte a Enrico Letta è tutta qui. Sebbene il suo governo non abbia il passo dell'esecutivo di legislatura, esso gode tuttavia di una condizione privilegiata. Nato quando si era vicini al collasso istituzionale, può ben rappresentare la rivincita della volontà sulla paralisi permanente. Senza dubbio Napolitano, garante dell'equilibrio possibile, ne sarà il tutore ancora a lungo. Anche l'irrompere fisico del capo dello Stato nel salone in cui era in corso l'incontro del neopremier con la stampa ha testimoniato questa verità. E si capisce il desiderio di smentire le definizioni correnti. Ad esempio quella di «governo del presidente», visto che si tratta di un esecutivo tutto politico e parlamentare. Ineccepibile. Ma bisogna ammettere che l'impronta del Quirinale si avverte parecchio dietro il lavoro di Letta ed è bene che sia così: si deve sentire il graffio di quel tanto di presidenzialismo che ha preso forma con il recente discorso del capo dello Stato in Parlamento. Non a caso alcune intuizioni sui ministri sono ovviamente riconducibili a Napolitano. A cominciare dall'eccellente idea di affidare la Farnesina a Emma Bonino, donna di spessore internazionale, nonché di notevole esperienza politica.

C'è una riflessione da fare sulle ragioni di tale scelta, competenza a parte: in fondo un governo fondato sul patto politico Pd-Pdl (più i centristi) si dà come ministro degli Esteri una personalità estranea alla logica di grande coalizione, espressione del piccolo e laico partito radicale che si è sempre battuto per allargare e non ridurre i margini di libertà. È un dettaglio di non poco conto che dovrebbe far meditare molti avversari del governo Letta. Coloro che come Vendola sentono odore di «stalinismo». Ognuno fa le sue campagne politiche, ma la nomina della Bonino è destinata a smuovere le acque. Lei che era nella lista votata dai "grillini" come possibile candidata al Quirinale.

Ovvio che non tutti i problemi sono risolvibili con la carta dell'ottimismo. O con i colpi d'ala del presidente-Lord protettore che è riuscito a consolidare il profilo europeo dell'esecutivo anche con un'altra nomina di grande qualità, quella di Fabrizio Saccomanni all'Economia. Ad esempio, un conto sono i volti nuovi del centrosinistra e un altro è l'assenza di tutti i capi storici del Pd. Di solito quando un partito lascia fuori dal governo i suoi personaggi forti, il risultato è una maggiore debolezza. Stavolta si può obiettare che l'attuale Pd è del tutto privo di un vertice e di una gerarchia. E se i vecchi personaggi non sono più rappresentativi, a suo modo il governo Letta anticipa il rinnovamento. Non a caso uno dei più entusiasti è Matteo Renzi, il futuro ineluttabile.

Vedremo. Il Pd lacerato resta un'incognita. E viceversa il Pdl berlusconiano, molto impegnato nel governo e compensato con ministeri "pesanti", ha in mano una pistola carica. Ma bisogna essere, appunto, ottimisti. Ottenere qualche risultato in economia e nel campo istituzionale è interesse di tutti. Di Berlusconi come dell'incerto Pd. E soprattutto di Napolitano.

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-04-28/politico-presidenziale-081040.shtml
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« Risposta #122 inserito:: Maggio 02, 2013, 05:12:58 pm »

La carta europea rafforza la coalizione, l'Imu (caso simbolico) la divide

di Stefano Folli

01 maggio 2013

Da Renato Brunetta, capogruppo del Pdl alla Camera, viene un'affermazione che contiene un nocciolo di verità: «Enrico Letta è paradossalmente più forte in Europa che in Italia». Il perché lo si è capito ieri dopo l'incontro del neopremier con Angela Merkel. La cancelliera ha elogiato la «grande coalizione» italiana («un ottimo messaggio»), interpretandola come una prova di coesione e di volontà riformatrice. Ma il giovane Letta ha tenuto il punto e ha svolto una perorazione a favore di un'Unione europea che non può essere percepita dai popoli come il regno della stagnazione economica e della disoccupazione.

Difficile dire quale sia stato il risultato concreto dell'incontro o addirittura se ci sia stato un risultato. Ma si capisce che l'ospite italiano ha messo le carte in tavola, riproponendo l'obiettivo da tempo dismesso dell'Europa politica. Ora la cancelliera sa che in Italia il tono della musica è cambiato e che l'obiettivo della nuova maggioranza è quello di riappropriarsi dell'ideale europeista in una chiave di sviluppo economico, pur senza abbandonare i criteri del risanamento e anzi mantenendo gli impegni assunti dal precedente esecutivo.

Il sentiero è stretto, certo, ma questo è un punto di fondo che lega centrosinistra e centrodestra e costituisce il sostrato politico delle larghe intese. In altri termini, la grande coalizione che entusiasma la signora Merkel, forse perché richiama analoghe esperienze tedesche, non può limitarsi a replicare l'agenda Monti. Deve trasmettere un segnale dinamico all'opinione pubblica, visto che la mera austerità – lo ha ricordato Letta – ha contribuito a gonfiare il fenomeno delle liste anti-europee.

Il 25 per cento a Grillo è una campana che non suona solo per gli italiani: anche a Berlino, se non sono sordi, l'hanno intesa. Come dire che la minaccia del populismo disgregatore dell'Europa riguarda tutti. E va contrastata anche ricostruendo l'antico, tradizionale asse italo-tedesco.
Del resto, l'Italia è uno dei paesi fondatori della comunità europea ed è bene rammentarlo.

È stata quindi una buona idea il viaggio a Berlino e poi a Parigi del premier che aveva appena ricevuto la fiducia parlamentare.
Un modo per sottolineare una presenza più politica dell'Italia sulla scena continentale. Ma anche la via più sicura per consolidarsi rispetto alle frizioni domestiche. Le quali ruotano tutte o quasi intorno alla questione dell'Imu e al suo ormai evidente valore simbolico. Se si resta alla lettera della polemica, è chiaro che il governo appena nato sarebbe già a rischio, visto che la richiesta del Pdl (abolizione della tassa sulla prima casa e restituzione ai contribuenti di quanto versato nel 2012) non è ricevibile in questi termini perentori e ultimativi.

Letta per la verità aveva trovato una formula di compromesso, attraverso il «congelamento» della rata di giugno e la promessa di rivedere tutta la fiscalità sulle abitazioni. Poi nella giornata di ieri il ministro Franceschini ha usato parole sbagliate per dire cose vere e la miccia si è accesa.
Ma si tratta, appunto, di un simbolo. Impossibile credere che Berlusconi abbia davvero intenzione di buttare all'aria un assetto da lui perseguito con tenacia. Quello che in realtà vuole è far capire a tutti, anche all'opinione pubblica più distratta, che è lui il primo azionista dell'esecutivo.
E che la sua parola conta. A quanto pare ci sta riuscendo.

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da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-05-01/carta-europea-rafforza-coalizione-063735.shtml?uuid=AbVaY2rH
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« Risposta #123 inserito:: Maggio 18, 2013, 04:42:30 pm »

La mini guerriglia quotidiana anti-larghe intese su cui Letta deve vigilare

di Stefano Folli

17 maggio 2013

È singolare che ogni giorno qualcuno accenda una piccola miccia lungo il percorso già scomodo di Enrico Letta. Nessuna è in grado di far deflagrare la Santa Barbara delle larghe intese, ma tutte concorrono ad alimentare una tensione che s'indovina appena sottotraccia.

Due giorni fa un esponente del Pdl ha pensato bene di riproporre la legge sulle intercettazioni telefoniche, uno dei temi più invisi a sinistra. Ieri è stata la volta di un uomo d'equilibrio, quale di solito è il capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda. In una lunga intervista ad «Avvenire» Zanda dice molte cose, la maggior parte ispirate a razionalità, ma poi lascia cadere giudizi piuttosto pesanti che riguardano l'ineleggibilità di Silvio Berlusconi in Parlamento. E fa capire di considerare senz'altro non eleggibile il capo della coalizione avversaria, in quanto titolare di concessioni televisive.
Si tratta, è logico, di un terreno minato. Anche se nel pomeriggio, di fronte al vespaio, le dichiarazioni sono state derubricate a «opinioni personali», così da non coinvolgere un Pd imbarazzato. Per la verità Zanda esprime anche tutta la sua contrarietà all'ipotesi (peraltro assai remota) che lo stesso Berlusconi possa un giorno essere onorato dal capo dello Stato con la nomina a senatore a vita. Un punto di vista più che legittimo e largamente condiviso in Italia.
S'intende che qualche esponente del centrodestra ha preferito confondere le acque e si è scandalizzato mescolando questioni diverse (l'ineleggibilità e il senatorato a vita) come se fossero due facce della stessa medaglia. Viceversa, il vero punto evocato da Zanda riguarda l'idea che Berlusconi possa essere estromesso dal Parlamento e di fatto dalla vita pubblica attraverso un pronunciamento dei suoi avversari politici.

Ci si domanda: a che serve evocare uno scenario di questo genere, comunque non realizzabile se non al prezzo di una crisi verticale e della fine immediata del Governo Pd-Pdl? Serve a quella parte del centrosinistra che è in sostanza scettica sulle larghe intese e soprattutto teme che il Pd si stia vendendo l'anima. Certe affermazioni sono lo specchio di un malessere destinato a protrarsi nei prossimi mesi. Un conflitto fra l'essere e il dover essere, si potrebbe dire. Di sicuro qualcosa che può solo indebolire Letta, se episodi del genere dovessero ripetersi con cadenza ricorrente.
Non a caso, i Cinque Stelle si sono precipitati a dire al Pd: benissimo, votiamo insieme l'ineleggibilità di Berlusconi. Ed è chiaro che l'alleanza fra Pd e Grillo, inseguita senza successo da Bersani, sarebbe cosa fatta se essa prendesse forma sullo sfondo di un fatto così clamoroso e dirompente quale l'espulsione dal Parlamento (dopo diciannove anni...) di uno storico leader politico. Che peraltro già nel 1994 era titolare di concessioni televisive.

Siamo, come si vede, nel campo delle bizzarrie. Non accadrà nulla. È evidente invece che l'attuale governo «di necessità» ha bisogno, non di una retorica ed equivoca «pacificazione», bensì di nervi distesi da parte dei vari soggetti in campo. Sotto questo aspetto Napolitano ha ottenuto almeno un risultato a breve: convincere Berlusconi a non tornare in piazza, dopo la brutta giornata di Brescia. È un passo avanti. Ma nelle prossime settimane sarà necessario che i falchi dei due schieramenti si prendano un po' di riposo.

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-05-17/mini-guerriglia-quotidiana-antilarghe-064005.shtml?uuid=Ab5ZXdwH
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« Risposta #124 inserito:: Giugno 11, 2013, 05:29:54 pm »

Qualche vantaggio solo per Letta

di Stefano Folli

11 giugno 2013


Meglio sfuggire alla tentazione di sopravvalutare il risultato di queste amministrative. Il "trionfo" del Partito Democratico è tale solo se si ammette che l'ondata dell'astensionismo ha travolto soprattutto gli altri, il Pdl e la Lega.
Il centrosinistra è riuscito a difendersi meglio dalle urne vuote, grazie alla sua buona rete organizzativa e alla capacità di scegliere candidati non entusiasmanti, ma comunque migliori dei competitori.

Detto questo, ci vorranno ben altre prove prima di stabilire se il Pd è sulla via della ripresa. I sondaggi sono lì a ricordarci che per ora, in caso di voto politico, è sempre l'eterno Berlusconi a guidare la danza. Il centrosinistra è indietro e cerca la rimonta.
Ne deriva che il risultato di ieri sera rappresenta un mezzo ricostituente per il Pd in cerca di nuove identità. Ma niente di più. Semmai è la conferma, dopo il 25 febbraio, che gli italiani sono sempre più diffidenti verso i politici. Tant'è che i partiti hanno dovuto nascondersi o mimetizzarsi attravero un profluvio di liste più o meno "civiche", utili per far dimenticare le vecchie nomenklature.

Vero è che Berlusconi aveva intuito lo sfacelo e si era limitato a fare il minimo indispensabile, ma proprio il minimo, in favore dei suoi candidati. A cominciare dal povero Alemanno. Il quale è andato incontro a una sconfitta politica e anche personale che la dice lunga su come è stata amministrata Roma in questi anni. Si considerino i dati romani: astensionismo alle stelle, ben oltre il 50 per cento, nessun ruolo conquistato dai "grillini", una tradizione locale che ha sempre visto la destra in ruoli incisivi. Niente di tutto questo è servito ad Alemanno. E l'astensione a Roma, ma non solo a Roma, ha punito soprattutto le liste del centrodestra.
Per cui possiamo riassumere così. Il Pd esce bene dalle urne, ma è lungi dal rappresentare oggi una proposta politica conclusiva e seducente per la grande massa degli elettori. In compenso il centrodestra sarà pure in testa nei sondaggi nazionali, ma il colpo assorbito ieri sera dovrà suggerire profonde riflessioni ai gruppi dirigenti. Non si potrà andare avanti ancora a lungo fidando solo nei giochi di prestrigio di Berlusconi e nella sua voglia di competere alle elezioni politiche (di solito con successo, come è noto). In ogni caso vale la la pena sottolineare che, quando pure Grillo non è in campo, i voti non tornano più di tanto alle vecchie formazioni. Le persone guardano con sconcerto e delusione alle risse fra i Cinque Stelle, ma si guardano bene dal rientrare nei ranghi.

Sarà interessante poi capire se la Lega intende cambiare strada oppure no. Lo sforzo per portare Maroni alla presidenza della Lombardia, sembra aver lasciato il vecchio partito barricadero svuotato e senza idee. Ma la verità è che una fase storica si è chiusa. Adesso o la Lega dimostra di sapersi radicare di nuovo nel cosiddetto territorio (come Tosi a Verona, ad esempio), oppure il destino sarà molto amaro per gli uccisori del padre, cioè di Bossi.
Detto questo, c'è anche chi ha motivo di rallegrarsi davvero: si chiama Enrico Letta. Il risultato taglia le unghie agli iper-critici del governo e rassicura tutto il fronte del centrosinistra. Governare non sempre è penalizzante, sembrano dire i sostenitori del Pd. Sono segnali, naturalmente, e valgono quello che valgono. Ma un passo dopo l'altro l'esecutivo delle larghe intese si consolida. Se il quadro generale non subirà strappi troppo vistosi, il governo potrebbe durare persino più del previsto. E comunque non saranno queste amministrative a determinare esiti imprevedibili.

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-06-11/qualche-vantaggio-solo-letta-063636.shtml?uuid=AbLaFv3H
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« Risposta #125 inserito:: Giugno 15, 2013, 11:11:58 am »

Alla crisi interna Grillo non oppone l'anti-politica bensì solo la non-politica

di Stefano Folli

12 giugno 2013


Da giorni la crisi verticale dei Cinque Stelle rimbalza su giornali e televisioni, ma ciò che sorprende non è tanto l'ampiezza dei contrasti interni quanto l'inerzia del leader Beppe Grillo. Che almeno fino a ieri sembrava non avere la più lontana idea su come gestire in termini politici il problema che sta dilaniando il suo movimento.

Anche ieri, dopo che i dati della Sicilia avevano confermato la portata dell'insuccesso su scala nazionale, Grillo ha fatto ricorso al solito repertorio: espulsione di una senatrice dissidente, accuse alla "politica oscena" di Pd e Pdl (uniti come fossero la stessa cosa), chiamata a raccolta dei militanti in vista di un'ipotetica battaglia finale contro la partitocrazia. La novità, se così si può dire, è il lancio di una sorta di referendum, naturalmente "online", su se stesso. Il quesito ("sono io il problema?") equivale a chiedere al solito popolo del web: siete con me o contro di me?
In altri termini, è un appello plebiscitario per riaffermare una leadership che come tale resta priva di alternative. Nessuno pensa che il M5S possa sopravvivere come forza più o meno organizzata senza il suo fondatore e "guru". Il che naturalmente non risolve le questioni di fondo. È ovvio che Grillo sarà pienamente rilegittimato dai suoi, per così dire. Tuttavia è anche vero che su internet si leggono oggi una quantità di riserve sull'operato del capo, qualcosa che un paio di mesi fa sarebbe stato impensabile. Se ne deducono due punti.
Il primo è che il plebiscito, peraltro privo di riscontri e di controlli, andrà come è ovvio a favore di Grillo: il quale però ha già visto incrinarsi il suo carisma. Piccole crepe destinate ad allargarsi in futuro.

Secondo aspetto, si tratta pur sempre di una risposta non-politica alla crisi interna. Si badi: dire "non politica" è altra cosa dal dire "anti-politica". Quest'ultima equivale a un un modo alternativo di fare politica, mentre nel caso di Grillo si tratta di una replica che si limita a coprire un vuoto e tradisce l'assoluta mancanza di iniziative che non siano la generica riproposizione di un'opposizione globale al sistema. Ed è così, dimostrando di non saper guidare una forza del 25 per cento dei voti attraverso la complessità della vita istituzionale, che Grillo si infila in altri guai. È sorprendente la mancanza d'immaginazione e flessibilità. Un politico, sia pure trasgressivo, si definisce abile quando sa essere duttile; quando sa conservare e magari accrescere le sue forze esercitando, appunto, una leadership e dimostrando che certe astuzie tattiche, compreso qualche compromesso, fanno parte di una strategia di lungo periodo.
Viceversa Grillo è come un carro armato che possiede solo la marcia avanti. Sa arringare le folle e alimentare il "blog". Ma non sa come tenere insieme la sua truppa un po' raccogliticcia (e in molti casi meno idealista di come si pretende), a meno che all'orizzonte non si profili il dissesto finale dello Stato e l'avvio della "rivoluzione".

Il leader sfoggia un'anima sempre più massimalista perché non sa cos'altro fare per obbligare i suoi ad allinearsi. È la scelta che spesso condanna a morte i movimenti populisti. Oggi un gran numero di osservatori punta sulla disgregazione dei Cinque Stelle. È probabile che abbiano ragione, anche se Grillo ha gli strumenti per rallentare la fine del M5S. Ma la scomposizione dei gruppi parlamentari è vicina. Meraviglia che non avvenga grazie a una rivincita dei partiti, bensì per la perdita vertiginosa di credibilità del movimento che doveva rigenerare la politica. Ma senza sapere né come né con chi.

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-06-12/alla-crisi-interna-grillo-064131.shtml?uuid=AbdFkE4H
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« Risposta #126 inserito:: Giugno 16, 2013, 09:07:14 am »

La scommessa di Letta

di Stefano Folli

15 giugno 2013

Comunque vada a finire la diatriba sull'Iva e l'Imu, l'importante è che il governo Letta dimostri di avere una propria idea strategica su come affrontare i nodi economici e sociali. La cosa peggiore sarebbe restare prigionieri della guerriglia fra i due maggiori partner della coalizione. Ma Enrico Letta è in grado di sventare il pericolo, almeno sulla carta. Dietro di lui, Giorgio Napolitano non perde occasione di far capire quello che pensa dei "calcoli meschini" dei partiti.

Semmai il problema è che non si intravede ancora quale sia lo "shock" benefico per l'economia invocato ancora l'altro giorno dal segretario della Cisl, Bonanni, ossia non proprio il capo di un sindacato rivoluzionario. Il premier si è dichiarato d'accordo al cento per cento con le sue parole e gli altri sindacati non hanno fatto obiezioni. Quindi, se le cose hanno un senso, il governo sta preparando iniziative non ordinarie e l'apparente lentezza dei passi avanti è dovuta solo all'esigenza di calibrare bene le iniziative. Del resto, dire "shock" significa non lasciare margini alla solita tendenza al compromesso, ai vecchi accordi al ribasso. Equivale invece a comunicare che la forza d'urto della grande coalizione fra poco si manifesterà senza reticenze. Nel campo del lavoro, del fisco e ovunque si voglia stimolare la ripresa della capacità produttiva. Sarà davvero così? Molti ne dubitano, al di là della buona volontà di Letta e della serietà di Saccomanni. Si teme che le intenzioni siano ottime, ma poi vengano avvilite nella debolezza delle intese politiche. Che sono, sì, larghe, ma è un largo non troppo convinto.

In fondo è vero. Non si è mai vista una "grande coalizione", cioè una formula del tutto eccezionale, che si muove in modo così svogliato. Fatto salvo l'impegno personale di Letta e Alfano, i due capifila dei maggiori partiti, non si avverte quella tensione politica e civile, quella operosità febbrile che dovrebbe costituire la caratteristica di una fase fuori dell'ordinario.

Il "Financial Times", impietoso, ha già parlato di "letargo" del governo. Ma senza andare lontano, gli scettici sono numerosi anche in casa nostra. C'è chi guarda alla Corte Costituzionale e poi alla Cassazione per capire quando Berlusconi rovescerà il tavolo. E magari il pericolo non è così vicino come molti prevedono o sperano, ma il solo fatto che si aspetti solo quel momento lascia intendere che c'è poca fiducia nel futuro dell'alleanza destra-sinistra. Naturalmente molti osservano il travaglio interno del Pd e immaginano che Letta sia solo un uomo della transizione, destinato a uscire di scena non appena il centrosinistra avrà rinnovato la leadership.

Tutto può essere, ma il primo a non curarsene deve essere il presidente del Consiglio. Letta ha interesse ad agire come se il suo fosse un governo di legislatura (ha fatto bene a dirlo di recente). Il che non significa puntare alla sopravvivenza, a una mera permanenza in carica, bensì agire con la determinazione di chi pensa che i partiti, per una ragione o l'altra, non siano in grado o non abbiano convenienza a cambiare il quadro politico.
Ora che la luna di miele sta finendo - ed è inevitabile - Letta deve stampare la sua impronta sull'azione di governo senza esitazioni. Si deve sperare in pochi annunci e molti fatti concreti. Profilo basso sul piano mediatico, ma scelte inconsuete e coraggiose. Qualcosa che colpisca l'opinione pubblica, evitando però la nefasta tendenza all'enfasi tipica dei governi passati. In altri termini, il valore della stabilità è fondamentale, ma il nostro giovane premier è il primo a sapere che esso da solo non basta. Per cui non potrà dare l'impressione che lo slancio riformatore sia tiepido e che in realtà il governo italiano sta aspettando qualcosa. Magari le elezioni tedesche di settembre, nella speranza che producano un ammorbidimento delle politiche di austerità. Sperare è legittimo, ma da un esecutivo di grande coalizione ci si attende qualcosa di più di un'occhiata in casa d'altri.
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« Risposta #127 inserito:: Giugno 26, 2013, 12:10:50 am »

Adesso nulla sarà più come prima

di Stefano Folli

25 giugno 2013


Adesso nulla sarà più come prima

Ora nulla sarà più come prima. Non lo sarà per Berlusconi, per il futuro del centrodestra, per gli equilibri complessivi della nostra politica come li abbiamo conosciuti negli ultimi due decenni. Il governo Letta non cadrà, ma non rimarrà estraneo alla burrasca. Perché la sentenza di Milano, nella sua durezza straordinaria e in questo senso persino imprevista, segna una discriminante: c'è un prima e ci sarà un dopo.

Né vale troppo affermare che si tratta solo di un primo grado e che bisogna aspettare l'appello e poi la Cassazione: l'argomento è valido da un punto di vista giuridico, ma poi esiste la dimensione politica dei problemi. Una dimensione d'un tratto prevalente e la cui gestione si presenta assai difficile per un vecchio combattente che alle elezioni di febbraio ha raccolto ancora quasi il 30% dei consensi e che ha investito questo patrimonio elettorale nelle larghe intese. Se la questione era l'auto-tutela dai guai giudiziari, non si può dire che quell'investimento sia stato redditizio. Se invece era un atto generoso e disinteressato per il buongoverno del paese, adesso è il momento di dimostrarlo.

Qui infatti c'è il primo passaggio cruciale. Non sarebbe conveniente per Berlusconi buttare all'aria la grande coalizione. Su questo punto Letta non ha torto quando mantiene i nervi saldi, come dopo la sentenza Mediaset e anzi di più. Ma è logico pensare che Berlusconi e i suoi non si limiteranno a rinnovare il giuramento di fedeltà all'esecutivo in carica. Dopo il micidiale uno-due subito dalla magistratura (undici anni di reclusione virtuale se si sommano i casi Mediaset e Ruby), è illusorio credere che il Pdl si affiderà fiducioso alle mediazioni del presidente del Consiglio. Che giusto ieri, sia detto per inciso ma la coincidenza è significativa, ha fatto dimettere il suo ministro Josefa Idem.

È plausibile che la pressione politica del centrodestra sull'esecutivo si accentuerà intorno ai punti programmatici che costituiscono i cavalli di battaglia del Pdl: a cominciare da Iva e Imu, oltre alla politica fiscale ed europea. Più Berlusconi subisce i colpi dei giudici e non può fare altro per il momento che restare nella gabbia delle larghe intese, più cercherà di presentarsi come una sorta di "difensore civico" del popolo, proprio per questo ingiustamente perseguitato. È una carta da giocare, una delle poche che gli sono rimaste. La natura populista del centrodestra tenderà quindi ad accentuarsi: all'inizio in misura non dirompente, ma alla lunga la corda potrebbe spezzarsi. Specie se la Cassazione, che si pronuncerà sull'affare Mediaset entro la fine dell'anno, dovesse dar torto alla difesa.

Vedremo. Quel che è certo, Berlusconi è ancora un uomo che, come si è detto all'inizio, vale ancora quasi il 30% di elettorato. Eliminarlo per via giudiziaria, attraverso l'"interdizione dai pubblici uffici", o per via politica, con quel giudizio di "ineleggibilità" che dovrebbe essere pronunciato dai suoi avversari in Parlamento (ma al quale il Pd non intende affiancarsi), avrebbe effetti destabilizzanti per la democrazia.

Ma anche le convulsioni di una grande forza che si stringe sgomenta e in preda al panico intorno al leader pluri-condannato, è in sé un fattore di destabilizzazione. Nessuno al momento sa come uscire dalla contraddizione. L'unica idea è tener ferma la maggioranza, come un'isola intorno alla quale ribolle il mare. Ma la destra italiana da oggi deve porsi il nodo politico del dopo-Berlusconi. Almeno cominciare a pensarci. In fondo - ed è un'altra singolare coincidenza - è quello che suggeriva Romano Prodi ieri nella sua lettera al "Corriere".©

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-06-25/adesso-nulla-sara-come-063739.shtml
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« Risposta #128 inserito:: Giugno 27, 2013, 04:00:51 pm »

Rete di protezione dal Quirinale

di Stefano Folli

26 giugno 2013


Ora si può cominciare a misurare quanto pesano le sentenze della magistratura sulla solidità del governo Letta. S'intende, è troppo presto per arrivare a una conclusione definitiva.

Ma i tasselli si comporranno giorno dopo giorno e presto si capirà se le larghe intese hanno un futuro e quale. Per ora sappiamo che nel colloquio di ieri sera a Palazzo Chigi Berlusconi ha tracciato il quadro prevedibile: lui, una vittima dei pm e dei giudici, ma anche un uomo con senso delle istituzioni che mai farà pagare al paese il prezzo delle sue sventure giudiziarie.
Si capisce che nel leader del centrodestra prevale oggi la preoccupazione di non deragliare, o far deragliare l'esecutivo, prima del giudizio della Cassazione sull'affare Mediaset. Gesti clamorosi compiuti prima di quella scadenza (prevista fra l'autunno e l'inverno) sarebbero puro autolesionismo. Quindi si resta nella cornice della grande coalizione, come era ovvio, benché tutto lasci pensare che il Pdl ci starà a modo suo, cioè dando segni della sua crescente frustrazione. Il colpo al leader storico è troppo forte perché i suoi possano resistere alla tentazione di battere qualche pugno al tavolo del programma. E se Berlusconi dà garanzie al premier che l'equilibrio generale per il momento non si tocca, egli stesso è molto meno rassicurante sui singoli temi, dove anzi ritiene doveroso far sentire la voce del centrodestra.

Il che induce Guglielmo Epifani, reduce a sua volta da un incontro con Letta, a sottolineare l'"irresponsabilità" di chi vorrebbe far dipendere la solidità del governo dall'andamento dei processi in corso. In fondo è anche un modo per dire che, per quanto riguarda il Pd, la coalizione può proseguire, pur con un Berlusconi condannato. Nessuno ne dubitava, ma è bene che il rappresentante del centrosinistra lo dica con chiarezza in una giornata difficile: così da lasciare al suo "alleato" del centrodestra il compito di cavarsi da solo le castagne dal fuoco. In ogni caso, la soglia di guardia non è stata superata e non lo sarà nel corso dell'estate. Gli incontri di Palazzo Chigi hanno detto questo, nonostante i passaggi non facili del colloquio Letta-Berlusconi. Ci sono provvedimenti in corso sul lavoro, c'è il Consiglio Europeo dietro l'angolo, ci sono le solite polemiche sul rinvio dell'Iva. Ma non c'è alcun annuncio che un partner delle larghe intese intende ritirare il proprio appoggio. Tanto meno dopo la sentenza di Milano, che anzi indurrà il Pdl a misurare bene i passi.

Il problema non è la crisi del governo, bensì il giorno per giorno. La quotidianità. È qui il brodo di cultura dei piccoli e grandi litigi, dei colpi bassi in cui si esprime la vita della grande coalizione meno convinta della storia. Come se i suoi contraenti non sapessero che non ci sono alternative, oggi come oggi, a un'alleanza tanto poco naturale quanto imposta dalle circostanze. E non meraviglia che Giorgio Napolitano abbia chiesto, con parole forse un po' inusuali, la "continuità" dell'azione di governo e la fine delle "fibrillazioni". Inusuali perché l'esecutivo ha pochi mesi di vita e già qualcuno evoca, ha detto a chiare lettere il capo dello Stato, ipotesi di crisi "incombente o imminente". La crisi non ci sarà, ma il pericolo è che il governo non riesca a dispiegare le ali. Quando invece c'è bisogno di un lungo volo.

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-06-26/rete-protezione-quirinale-063827.shtml?uuid=AbdogW8H
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« Risposta #129 inserito:: Luglio 11, 2013, 10:42:48 am »

L'ora dei cattivi presagi

di Stefano Folli

10 luglio 2013


Qualunque cosa si voglia pensare dei verdetti di Standard&Poor's e delle altre agenzie di "rating", non c'è dubbio che la bastonata è autentica ed è una brutta notizia. Se non altro perché tende a esporre l'Italia, indebolita, alle solite operazioni speculative sui mercati. Per cui «il paese resta un vigilato speciale».

La frase è del presidente del Consiglio ed è davvero il minimo che si possa dire, condita di parecchia amarezza. Vigilati speciali... Non è molto incoraggiante. Anche se la frase di Letta è pur sempre un modo per tentare di girare a proprio favore un evento negativo: proprio perché l'Italia è ancora sotto sorveglianza, guai a intaccare quel tanto di stabilità che il governo delle larghe intese riesce a garantire. Tuttavia il problema, a proposito di stabilità, è che il declassamento non è l'unica cattiva notizia di ieri. Ce n'è una assai peggiore e riguarda, come tutti ormai sanno, Berlusconi e il processo Mediaset.

Sul piano virtuale, la scelta della Corte di Cassazione di accelerare i tempi e di decidere il 30 luglio sul ricorso dei difensori dell'ex premier, equivale all'accensione di una miccia a combustione neanche troppo lenta. Berlusconi per il momento tiene i nervi saldi, sia a pure con crescente fatica. Ma si sente giocato, teme di essere finito in una trappola inesorabile.

È chiaro che l'anticipo giudiziario («qualcosa che in quarant'anni non avevo mai visto» ha detto Franco Coppi, il noto penalista che rappresenta il leader del centrodestra) non potrà non avere, alla lunga, un impatto straordinario sulla maggioranza. D'altra parte, la logica suggerisce che dal Pdl, o meglio da Palazzo Grazioli, non ci saranno colpi di testa prima dell'"ora X" o in prossimità di essa. A questo punto, la rissa o addirittura la crisi di governo sarebbe un errore fatale.

La ragione è una sola. Non è affatto certo che tempi più brevi vogliano dire sicura conferma delle condanne. Significano, questo è vero, un disagio per la difesa costretta a lavorare in spazi più angusti. Ma le questioni di diritto sono le stesse in luglio come in ottobre. Per cui la tendenza al panico che si registra in certi ambienti del Pdl è forse esagerata e di sicuro controproducente. Gridare oggi al complotto e accusare come di consueto la "giustizia politica" è una dimostrazione di debolezza, non certo di forza. Ci sarà tempo, nel caso, per dare la stura al repertorio del vittimismo. Adesso è il momento di misurare bene i passi.

Ovvio che non si potranno tenere distinti, come se niente fosse, il piano politico e quello giudiziario. Questo è un auspicio che Enrico Letta ha l'obbligo di far suo, ostentando fiducia. Ma chissà quanto egli stesso crede alle sue parole. È altrettanto vero, peraltro, che Berlusconi ha tutto l'interesse a concentrarsi oggi sulla Cassazione. Scaricare le tensioni sul governo sarebbe un gesto impulsivo per nulla in grado di avvicinare di un metro la soluzione del tema processuale.

Quello che sappiamo è che da ieri il cammino delle larghe intese è ancora più difficile. Prima la relativa forza di Letta era la mancanza di un'alternativa. Ora l'alternativa continua a latitare, ma la precarietà di Berlusconi determina una potenziale e drammatica novità. Certo, anche in caso di condanna definitiva il leader del centrodestra, sia pure interdetto, dovrà pensare a tutelare la rete di interessi di cui egli è ancora il punto d'equilibrio. Non è detto che il modo migliore per farlo sia buttare tutto all'aria. Il punto però è che nell'ipotesi peggiore la galassia del Pdl non riuscirà a reggere la pressione. Saranno allora le circostanze a decidere il futuro della destra e dunque anche della grande coalizione.

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-07-10/lora-cattivi-presagi-063747.shtml?uuid=Ab7AYtCI
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« Risposta #130 inserito:: Luglio 11, 2013, 11:59:39 pm »

Larghe intese di fronte al bivio cruciale

di Stefano Folli
11 luglio 2013


La crisi italiana è ormai un gioco di specchi in cui si mescolano la realtà e l'illusione, i dati autentici e la rappresentazione teatrale. Il governo Letta, che pure si muove con realismo lungo un sentiero molto stretto, deve fare attenzione a non restare prigioniero di questo singolare viluppo. Nel quale si rischia di perdere la logica stessa di quella grande coalizione di cui ancora si attende il decollo.

Un dato certo è, ad esempio, l'inesorabile impoverimento nazionale denunciato ieri dal neopresidente dell'Abi, Patuelli. Impoverimento che sta incrinando la fibra del sistema produttivo e soprattutto uccide la fiducia nel futuro. Viceversa è puro teatro la minaccia di una crisi di governo adombrata da alcuni esponenti del Pdl dopo le notizie sulla Cassazione che anticipa i tempi del suo verdetto su Berlusconi. Ed è un brutto spettacolo teatrale il caos visto in Parlamento, con la sospensione per un giorno dei lavori. Un caso di "fair-play" da parte del Pd verso le inquietudini del centrodestra, subito pagato con le accuse dell'estrema sinistra e dei "grillini".
Ma il nocciolo, a ben vedere, resta l'interdizione di Berlusconi e in senso lato l'ombra della sua ineleggibilità: una doppia questione che implica l'espulsione dal Parlamento del leader del centrodestra per via giudiziaria o politico-giudiziaria. Si è capito che il Pd, sia pure con sofferenza, non intende subìre questo scenario molto pericoloso che equivarrebbe a consegnare ad altri la leaderhip politica e persino culturale, per così dire, dell'area del centrosinistra.

Ne deriva che si procede a fatica, un passo dopo l'altro. Il caso Berlusconi resta una mina accesa sotto la precaria stabilità delle larghe intese. Eppure è evidente che il diretto interessato non ha cambiato strategia né potrebbe cambiarla: ostenta sicurezza e addirittura ha smentito di sentirsi "in trappola". Fino alla sentenza di fine luglio o inizio agosto vivremo allora questo sdoppiamento: tensioni quotidiane che rischiano di incidere sul programma dell'esecutivo, ma nessun vero chiarimento, nessun "aventino", nessuna archiviazione di una formula politica che resta senza alternative. A meno di non pensare davvero a nuove elezioni, tema su cui ha messo il cappello Beppe Grillo con i suoi toni definitivi e beffardi, ma anche con una prontezza di riflessi di cui gli va dato atto.
Raymond Aron riteneva che nell'era contemporanea non fossero più possibili né le guerre totali né una vera pace globale. Lo stesso può dirsi della coalizione guidata da Enrico Letta. Non si configura come un patto politico determinato ma nemmeno si autodistrugge di fronte alle difficoltà. Procede grazie a un paio di fattori positivi.

In primo luogo, i ministri di una parte e dell'altra vogliono restare dove sono e intendono collaborare fra loro, se possibile ancora a lungo. Si è creato in altre parole il consueto partito governativo trasversale.
In secondo luogo, non c'è crisi all'orizzonte perché al momento ai capi dei maggiori partiti non conviene. Si è detto di Berlusconi inquieto e concentrato solo sulla Cassazione. Ma a sua volta il Partito Democratico di Epifani pensa più che altro a come risolvere il rebus del congresso e del connesso caso Renzi. Prima della sentenza, il quadro è destinato a restare più o meno immobile. Teso, carico di fermenti e di sospetti reciproci, ma senza sbocchi. Né pace né guerra, appunto.

E allora tocca a Enrico Letta maneggiare questa realtà poliedrica e sfuggente. Tocca a lui distingere la realtà dalla fantasia e trasformare una fragilità in un elemento di forza. La grande coalizione ha un senso se affronta i problemi con spirito innovativo e con un pizzico di fantasia. Inutile fare l'elenco delle cose che il paese attende: ognuno è in grado di stilare una propria, convincente agenda delle priorità. Quello di cui c'è bisogno è maggiore coraggio. In ogni caso.
Se il governo è destinato a cadere nelle prossime settimane o mesi a causa di un Pdl destabilizzato dalla magistratura, questo è un argomento per spingere il premier a gettare subito il cuore oltre l'ostacolo, senza ulteriori esitazioni. Se invece Berlusconi alla fine si salverà dalla condanna penale, ecco un'ottima ragione per accendere fin da subito i motori dell'esecutivo.

Comunque sia, l'autentico nemico del governo è l'ordinaria amministrazione. Perché una grande coalizione si realizza proprio quando l'ordinaria ammnistrazione non è sufficiente. Ci vuole una leadership forte per parlare all'opinione pubblica e andare oltre le tensioni che si vanno accumulando. Per dominare la sensazione di essere entrati in una fase senza precedenti. E forse non è un caso se Grillo ha ripreso a parlare di fucili e di moltitudini rivoluzionarie che solo lui saprebbe tenere a bada. Non va preso alla lettera, il capo dei Cinque Stelle, ma va notato il suo ritorno in campo. Segno che il quadro generale della maggioranza e del governo, anzi dello stesso Parlamento, rischia di deteriorarsi. Un punto che senza dubbio preoccupa il Quirinale.

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-07-11/larghe-intese-fronte-bivio-063639.shtml?uuid=AbdvgDDI
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« Risposta #131 inserito:: Luglio 19, 2013, 11:53:04 am »

L'assoluzione di Mori indebolisce il teorema della trattativa Stato-mafia

di Stefano Folli

18 luglio 2013


Due sono i fatti della giornata di ieri i cui riflessi politici diretti o indiretti sono evidenti. Il primo è l'assoluzione a Palermo del generale dei carabinieri Mario Mori. Il secondo è la sfida di Enrico Letta al «partito della crisi», chiamiamolo così: il premier difende a spada tratta il suo ministro Alfano e venerdì sarà in aula al Senato quando si voterà la sfiducia individuale.

Nessun nesso fra i due eventi, salvo uno: entrambi hanno a che fare con la salute delle istituzioni. E quindi con la credibilità complessiva del sistema. Nel primo caso (Mori) la sentenza fa bene alle istituzioni perché restituisce pienamente l'onore a un fedele servitore dello Stato. Il tormentato processo è finito con la sconfessione della tesi accusatoria: l'allora comandante dei Ros non favorì il capo-mafia Bernardo Provenzano. Non ci furono collusioni mafiose e i fatti contestati «non costituiscono reato». Ma la vicenda non finisce qui. Il processo Mori era ed è connesso a un altro procedimento: quello che riguarda la cosiddetta trattativa Stato-mafia. Si ricorderà che intorno a questa ipotesi, peraltro assai fumosa, si creò a un certo punto un cortocircuito che arrivò a sfiorare il Quirinale, attraverso l'intercettazione abusiva delle telefonate di Napolitano. In altre parole, si rischiò di destabilizzare la presidenza della Repubblica.

Ora l'assoluzione di Mori è un colpo molto duro, forse mortale, alla leggenda della trattativa. Formalmente il teorema resta in piedi, ma pochi scommettono che le tesi dei pubblici ministeri possano essere accettate dopo che ne è stata smontata la premessa, o se si preferisce l'architrave: appunto la responsabilità di Mori che di quella «trattativa» doveva essere il primo esecutore.
Anche l'altro capitolo di giornata (Alfano) tocca da vicino le istituzioni, ma qui si naviga nella nebbia. Certo, Letta ha fatto l'unico passo utile per un presidente del Consiglio che vuole salvare il suo governo: si è schierato senza mezze misure a fianco del ministro dell'Interno. Ha preso di petto tutti coloro che lavorano per indebolire l'esecutivo o addirittura provocarne la caduta in piena estate. Si dirà che l'affare kazako è di tale gravità che la difesa d'ufficio del ministro alla fine potrebbe non bastare. Può darsi, ma ciò non toglie che Letta ha agito da uomo politico. C'è una relazione (del capo della polizia) e c'è un'esigenza generale: evitare un collasso senza alternative.

Letta con il suo intervento ha fatto da sponda a quanti nel Pd vogliono comunque difendere la stabilità, per quanto sia amaro il calice da cui oggi bisogna bere. Che il partito sia diviso, non c'è dubbio: basta ascoltare le parole di Anna Finocchiaro e di Cuperlo. Ma se il presidente del Consiglio parla con la determinazione dimostrata da Letta, la vicenda si può tenere sotto controllo. Senza dubbio l'incredibile autolesionismo di Casal Palocco ha fatto molto male alle istituzioni e non ha rafforzato il governo. Ma adesso si tratta di reggere l'impatto dell'onda di marea. Può essere discutibile, ma questa è politica. Tanto più che il premier continua a godere dell'appoggio di Napolitano, il quale prenderà oggi la parola nella cerimonia del "ventaglio" e non potrà evitare di affrontare i temi d'attualità, in un modo o nell'altro. Se il Pd tiene e Letta non si scoraggia, il caso Alfano potrebbe chiudersi. Renzi sembra averlo capito e non a caso ieri sera ha rassicurato tutti: non è sua intenzione far cadere il governo.

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-07-18/lassoluzione-mori-indebolisce-teorema-064241.shtml?uuid=AbW8iDFI
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« Risposta #132 inserito:: Luglio 22, 2013, 06:14:45 pm »

Due storie, lo stesso discredito

di Stefano Folli
16 luglio 2013


Il caso Calderoli-Kyenge e l'affare Kazakistan. Due brutte storie del tutto diverse fra loro eppure intrecciate in modo inestricabile. Con una sola certezza: entrambe irrisolte, hanno provocato un gravissimo danno all'immagine internazionale del nostro paese. Verranno i chiarimenti, forse, ma il danno rimarrà.
Non solo. Purtroppo il danno è molteplice, come i tasselli di uno scadente mosaico nel quale si riconosce alla fine la fotografia dell'Italia di oggi. Pasticciona, incompetente e anche indifferente alle ragioni della civiltà e dei diritti delle persone. Al tempo stesso ignorante e volgare, persino fiera di esserlo. Tuttavia le due storie hanno un'origine e un andamento differenti. E anche la conclusione non potrà essere la stessa.
Da un lato c'è un vicepresidente leghista del Senato, Calderoli, che pochi giorni fa, nell'aula di Palazzo Madama, ha ottenuto un pubblico riconoscimento dal capo dei senatori del Pd per come sa gestire i lavori dell'assemblea. Un bel gesto di "fair play" istituzionale. Nemmeno ventiquattro ore dopo lo stesso Calderoli, avendo lasciato i panni del dr. Jekill e indossato quelli di mr. Hide, ha coperto di insulti razzisti la ministra dell'Integrazione. In condizioni normali una simile "gaffe" produrrebbe le immediate dimissioni del colpevole. Ma non è così, almeno non per adesso.

Calderoli, come è noto, è un esponente della Lega che è fuori dal circuito della maggioranza. Nessuno può obbligarlo a lasciare se non Maroni, il segretario del suo partito. Ma Maroni non può o non vuole. Anzi, le orrende battute di Calderoli – per le quali sono giunte delle tardive scuse – possono persino apparire un modo astuto e ben calcolato in vista di restituire visibilità e popolarità a un Carroccio sulla via del disarmo. E allora ecco che siamo già alla paralisi.
Le dure parole di Letta che ha chiamato in causa proprio Maroni non hanno prodotto fin qui alcun risultato. Il che è certo motivo di amarezza per il premier. Quel che è peggio, all'estero passa l'idea che una rilevante figura istituzionale può esprimersi con un gergo razzista e restare al suo posto, cosa che non avverrebbe in alcun altro paese europeo di prima grandezza.
Le conseguenze di questo stallo sono imprevedibili, ma è chiaro che Calderoli è ormai delegittimato come vicepresidente del Senato. Sarebbe davvero singolare che egli, oltre a restare in carica, fosse "perdonato" dagli stessi che hanno chiesto a gran voce le sue dimissioni. Ne deriva in ogni caso un ulteriore sfilacciamento dei rapporti istituzionali. E possiamo mettere nel conto anche il tono offensivo con cui un altro leghista, Salvini, si è rivolto a Napolitano. Anche in questo caso sono arrivate le scuse (sia pure a metà), poi accettate dal Quirinale. Ma si resta in uno strano limbo, premessa presto o tardi di ulteriori incidenti.

Vero è che la Lega è all'opposizione: quello che accadrà con Calderoli riguarda la civiltà politica, ma non mina in modo diretto la stabilità dell'esecutivo. Viceversa la vicenda kazaka è un'altra storia oscura che ha già proiettato il suo veleno su scala europea, ma i cui esiti toccano gli assetti del governo. Si capisce allora che tutti siano molto prudenti, anche il Pd. Le eventuali dimissioni del ministro dell'Interno Alfano produrrebbero effetti a catena tali da piegare le gambe al governo. Il premier lo sa e infatti si è accanito su Calderoli, sperando di offrire la sua testa a un'opinione pubblica sempre più sconcertata. Ora però l'"impasse" al Senato rende ancora più urgente conoscere come sono andate davvero le cose con la madre kazaka e la sua bambina. Occorrerà che il governo sia molto convincente: i margini per le ambiguità sono esauriti.

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-07-16/storie-stesso-discredito-063718.shtml?uuid=AbVcPaEI
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« Risposta #133 inserito:: Agosto 04, 2013, 09:14:13 am »

Gesti dimostrativi e colpi di coda del Pdl in un clima che si fa più pesante

di Stefano Folli
03 agosto 2013


Lo scenario che si apre è abbastanza chiaro e tutt'altro che rassicurante. Il logoramento è talmente rapido da rendere difficile anche la cronaca degli eventi. Il paradosso è che la stagione post-berlusconiana è cominciata, ma lui, Berlusconi, è ancora lì. Fra poco abbandonerà il Parlamento o ne verrà espulso, poi dovrà cominciare a espiare la sua pena: agli arresti domiciliari ovvero (meno probabile) ai servizi sociali. Ma intanto, com'era prevedibile, parla, attacca, scuote l'albero delle istituzioni.

L a trovata mediatica, ma non per questo meno insidiosa, è quella di convolgere Napolitano con una richiesta di grazia che i suoi seguaci vorrebbero sottoporgli senza averne titolo. Una pretesa vagamente assurda e dal sapore alquanto ricattatorio. Certo, stiamo parlando di un uomo ferito, chiuso nel suo cortocircuito psicologico. Un uomo che verbalmente non risparmia le parole, evoca elezioni politiche «al più presto», ma reclama anche la riforma della giustizia. Offre ai gruppi parlamentari tutto il repertorio che essi vogliono ascoltare, a cominciare dall'attacco alla magistratura definita «un cancro» (e non è una novità).
Cosa resta di quel tanto di «prudenza e saggezza istituzionale» a cui lo invitava Giuliano Ferrara dalle colonne del "Foglio"? Resta la necessità di distinguere l'aspetto emotivo della reazione, tipica del "giorno dopo", e il profilo concreto delle scelte compiute dal Pdl in difesa del capo. In definitiva, cosa c'è di concreto? La richiesta di grazia non può nemmeno essere accettata dal Quirinale, per mille ragioni. Il centrodestra deve accontentarsi di affermare un punto politico, ma sul piano giuridico è in un vicolo cieco.

Quanto alle dimissioni dei parlamentari e dei ministri, si tratta più che altro di un gesto dimostrativo. Hanno offerto la «disponibilità» a lasciare il campo. Niente di definitivo. Così come Berlusconi non ha ritirato la fiducia al governo. Si potrebbe persino pensare che tutte queste mosse a effetto servono a coprire la realtà: e cioè che il partito berlusconiano, pur colpito e accecato dall'ira, non intende venir meno al patto governativo. E che il vecchio leader si muove come al solito su due piani: da un lato eccita la risposta emotiva, dall'altro tiene fermi i ministri al loro posto. Si capisce perchè: far parte della maggioranza rappresenta ancora una straordinaria carta da giocare all'occorrenza. Una carta di scambio. Perchè rinunciarvi?
Non sappiamo fino a quando l'intero centrodestra, che comprende al suo interno importanti componenti moderate, seguirà le suggestioni del suo leader storico, al di là delle ovazioni e degli applausi dovuti. In quel 30 per cento di italiani che Berlusconi è ancora convinto di rappresentare, quanti sono gli elettori disposti a condividere un ricatto alle istituzioni, un tentativo di mettere alle strette il capo dello Stato e di correre l'avventura delle elezioni? Non molti. I più chiedono una politica di responsabilità e riforme serie. Berlusconi lo sa, come sa che i mercati sono stati stranamente tranquilli: segno che non considerano più il personaggio in grado di modificare il corso della storia, causa mancanza di credibilità.

Tutto vero. Ma questi colpi di coda sono estremamente pericolosi. Innescano controspinte distruttive, logorano un assetto già fragile. E fortuna che il Pd si mantiene talmente compassato da apparire sonnolento. Meglio così, in un certo senso. Purtroppo però abbiamo superato la soglia di guardia. I Cinque Stelle hanno ritrovato i loro spazi, anche Vendola è molto attivo. La tendenza ricattatoria a cui sta cedendo Berlusconi non otterrà risultati, diciamo così, istituzionali (la grazia, la restituzione della dignità perduta). Ma è la prova che il sasso sta rotolando giù dalla montagna. Converrebbe a tutti, in primis a Berlusconi, fermarne la corsa.

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-08-03/gesti-dimostrativi-colpi-coda-082359.shtml?uuid=AbjuVxJI
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« Risposta #134 inserito:: Agosto 08, 2013, 04:50:32 pm »

La sfida della stabilità, la responsabilità di Berlusconi, le carte di Letta

di Stefano Folli

08 agosto 2013


Alla vigilia delle ferie del Parlamento (quattro settimane e non un giorno di meno), si respira un pessimismo di maniera molto diffuso. Le larghe intese – così si ragiona – sono ormai agli sgoccioli e non potranno resistere alle micidiali tensioni provocate dalla condanna di Silvio Berlusconi. Pdl e Pd sono entrati in un vortice e presto le voci più intransigenti avranno il sopravvento sui settori più moderati della maggioranza.

È possibile che questo accada, forse è persino probabile, ma l'esito a tutt'oggi non è così scontato. I difensori della stabilità sono più numerosi di quanto si creda e hanno ancora dalla loro dei buoni argomenti. Certo, si cammina senza rete su un filo sottile. Vediamo perché.
Punto primo. Non c'è dubbio che il governo Letta è destinato alla rovina se l'unico tema sarà anche nei prossimi tempi il sì o il no al «salvacondotto» per Berlusconi. Se l'ex premier pretende davvero – e non solo per ragioni di orgoglio e di propaganda – che le istituzioni, dal Quirinale al Parlamento, trovino il modo di sterilizzare le conseguenze politiche della sua condanna, sarà difficile immaginare un esito che non sia il collasso dell'esecutivo.
Anche perché su questo punto il Pd non sembra in condizione di sostenere un compromesso che suoni come una mezza vittoria del condannato. Non a caso il segretario Epifani ha detto al «Corriere della Sera», con toni certo poco concilianti, che Berlusconi deve accettare la realtà e lasciare il campo. Parole non diverse da quelle pronunciate nel pomeriggio da Renzi («le sentenze vanno rispettate»). Ora, è vero che il Pd deve convivere con complicati problemi interni e con una pressione di opinione pubblica non indifferente, ma a maggior ragione non si può pensare che compia un suicidio politico. Per cui si capisce che un po' tutti, da Epifani a Renzi, da Bersani a D'Alema, divisi sul futuro del partito e sulle famose regole congressuali, sono invece uniti nel chiudere la porta a Berlusconi.

In altre parole, se Pdl e Pd restano sullo loro attuali posizioni, il pessimismo è inevitabile. Se viceversa Berlusconi facesse un ulteriore passo avanti sulla via del realismo e riconoscesse che la sua stagione si è conclusa, le ragioni della stabilità finirebbero per prevalere. Il che aiuterebbe l'affermazione a destra di un nuovo gruppo dirigente. Del resto nel Pdl sono in molti a muoversi in tale logica, da Alfano a Quagliariello a Lupi e altri. Per il vecchio leader non sarebbe un'altra sconfitta, piuttosto un modo per evitare più gravi disastri.
Punto secondo. Enrico Letta ha la possibilità di sfruttare a suo vantaggio quel minimo di ripresa economica che qualcuno intravede, ma deve trasformare il mese di settembre in un vero trampolino per il rilancio del governo. Su questo c'è poco da discutere. Matteo Renzi è convinto che il suo amico-avversario di Palazzo Chigi non ce la farà e quindi bisogna prepararsi alle elezioni e a prendere i voti del centrodestra. Ma Letta è in grado di smentirlo, a patto che il caso Berlusconi non lo faccia inciampare. Lo si vedrà entro poche settimane. Se Berlusconi, anziché dimettersi volontariamente dal Parlamento, attenderà il voto di esplusione in aula, prepariamoci al peggio. Se invece saranno accolti i consigli del Quirinale e la coalizione troverà in sé la forza di fare le riforme, la storia potrà essere diversa.

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-08-08/sfida-stabilita-responsabilita-berlusconi-064357.shtml?uuid=AbekDLLI
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