LA-U dell'OLIVO
Aprile 09, 2025, 12:04:53 pm *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: 1 ... 3 4 [5] 6 7 ... 10
 41 
 inserito:: Marzo 25, 2025, 12:48:04 am 
Aperta da Admin - Ultimo messaggio da Admin
Gianni Gavioli
Amministratore
 
Informazioni e pareri tra di Noi, sull'Uscio di casa dell'Europa Occidentale.
Per coloro duri a capire le mie sintesi: dopo l'Ucraina ci siamo
noi Europei!

Con Putin e Trump intenti a giocare con le mappe, sui Nostri tavoli, a RUBAMAZZETTO.

Con Netanyahu e Trump novelli Immobiliaristi su Gaza, affatto improvvisati organizzatori di traslochi delle famiglie Palestinesi, quelle superstiti.

Con Erdogan impegnato nelle pulizie di casa (EV in turco) nell’attesa di telefonate da parte di Trump su Nuovi Eventi.

Tutti vicini di casa che ci vogliono disarmati, in quanto già scoordinati e molto infiltrati da mercenari a salario e tecnici Musk-iati operativi tra due epoche.

Ma e la CINA?
Non ha ancora deciso quale Barbecue accendere per primo.

ciaooo


 42 
 inserito:: Marzo 24, 2025, 06:20:42 pm 
Aperta da Admin - Ultimo messaggio da Admin
Non é uno "spunto serio"!
Se non si tiene conto che l'hanno scritto Socialisti prigionieri di Fascisti nel 1941!
Leggerlo a quel modo é da Sobillatori antiItaliani oltre che AntiEuropei e antiStato!
Nel Manifesto ci sono concetti e periodi che vanno letti e corretti, li ho rifiutati io a 15 anni nel 1956, quando andavo al circolo comunista con il distintivo dell'Ungheria Libera, dai carri armati russi.
Oggi siamo prigionieri dello SFASCISMO SOVRANISTA, erede e deformazione del berlusconismo deteriore che ci ha azzoppato, ed eravamo già claudicanti a causa di un Socialismo deviato.
 Ma non pensiamo a noi vecchi e adulti, in ogni caso colpevoli di indifferenza atavica o di malafede, impegniamoci invece per non farci rifiutare completamente dai giovani.
Potremmo essere loro utili come specchio delle cose da non fare o da non subire!
ciaooo 

 43 
 inserito:: Marzo 24, 2025, 05:14:17 pm 
Aperta da Admin - Ultimo messaggio da Admin
Zelensky
Democrazia e Dintorni
DONBASS, IN PRIMA LINEA NELL'INFERNO DI POKROVSK
Bunker, hangar, vecchie miniere e trincee. Ma il fronte è dominato dai droni. Syrsky, il generale dell’offensiva in Kursk: «Abbiamo in serbo una sorpresa»

Bernard-Henri Lévy
su La Stampa del 9 marzo 2025 (Traduzione di Anna Bissanti)

Pokrovsk. Il presidente Zelensky mi riceve in un seminterrato protetto di questa Città Proibita che è l’Amministrazione. Come si sente, alla vigilia del volo per Washington? «Bene. Nulla è deciso, però. Non so che cosa vuole Trump, né se farò davvero questo viaggio». Perché non è fiducioso? Non crede alla buona volontà di un alleato che ha detto che lei è un dittatore? Scoppia a ridere. «No. Il problema, più che altro, è che non so perché si comporta così. Non capisce che Putin è inaffidabile e che…- esita -. Al tempo stesso, per fortuna ci sono il Senato e il Congresso. È su di loro, e sul loro appoggio bipartisan, che faccio affidamento. Due anni fa, per esempio – ricorda? – ci hanno rivolto delle domande, hanno ascoltato le nostre risposte e hanno finito per sbloccare il pacchetto degli aiuti militari che aspettavamo da mesi…». Supponiamo il peggio, gli dico: sareste in grado di proseguire senza l’America? «Sarebbe difficile. Gli americani hanno la tecnologia. L’intelligence. Ipotizziamo, per esempio, che la Germania approvi la consegna dei Patriot: ebbene, occorrerebbe la loro autorizzazione». E l’Europa? Crede a un’alternativa europea? «Sì, certo, credo in Immanuel, per esempio» dice con riferimento a Macron, ma pronunciando il suo nome con la “i”. Dal tono della sua voce trapela profonda amicizia. «Se questo meeting a Washington si farà, lo dobbiamo a lui, Immanuel. E lo ringrazio per questo, è un vero amico».
La sua ammirazione è genuina. «E poi, lo sa che è un esperto militare? Conosce, a distanza, ogni singolo punto della nostra linea del fronte». A proposito di linea del fronte, sa che io sono in partenza per Pokrovsk? Se domani firma l’accordo con Trump, la mia visita avrà ancora senso? La risposta è istantanea: «Sicuramente. La sua presenza farà piacere ai soldati. Scalderà loro i cuori. E poi… - sembra riflettere a voce alta -. E poi, credo che questo viaggio lo farò, partirò. Non sono sicuro di niente, ma lo farò».
Ho l’impressione che sia successo all’improvviso. Non tornavo in prima linea da otto mesi. Mi accorgo che la guerra dei droni ormai è preponderante rispetto alla guerra di trincea. Ci troviamo all’interno di un centro di comando nei dintorni di Pokrovsk, questo bastione a Est dove i russi stanno dispiegando tutti i loro uomini per fare breccia. Lì, nel bunker sotterraneo di una vecchia fabbrica, c’è una dozzina di soldati che smanettano seduti davanti a una parete di schermi di computer. Alcuni sono a volto scoperto. Altri, in felpa e passamontagna, scambiano informazioni al microfono con uomini di cui si sente soltanto la voce e che, sul terreno, manovrano i droni di ricognizione e di attacco. All’improvviso, su uno degli schermi, compaiono tre sagome: stanno camminando in un paesaggio innevato, con pochi alberi radi e allineati, senza boscaglia. Nel bunker cala il silenzio. L’uomo con il passamontagna sceglie una delle sagome a caso con il mouse. La segue. La perde. Zooma sull’immagine. La ritrova. Trasmette le sue coordinate. La sagoma scompare in una nuvola di neve grigia e pixel sgranati. Poi la nuvola si disperde. La sagoma riappare. Si alza traballante. L’uomo è ferito? È soltanto stordito dallo shock? Le altre due sagome lo raggiungono. No, non si fermano, proseguono, anche loro malfermi, verso un boschetto più fitto. L’uomo con il passamontagna a questo punto impartisce un altro ordine al microfono. La prima sagoma cade definitivamente a terra, con un breve spasmo, mentre le altre due si accucciano sotto le betulle. Trascorre un’ora. Moriranno lì congelati, dice l’uomo con il passamontagna. Quando, in realtà, i due tentano la fuga, l’uomo con il passamontagna si prende tutto il tempo necessario, li segue e bisbiglia un ultimo ordine. Diradatosi il fumo, restano a terra solo due sagome, simili ad alberi abbattuti.
Quando da inseguitori si diventa inseguiti, non ci sono mille modi per fuggire. Nel caso dei droni classici, occorre dotarsi di antenne a cono poggiate, come abbiamo fatto noi, sul tetto di una vettura: interferiscono nelle comunicazioni tra il drone e il suo pilota. Per i droni collegati al loro pilota da una fibra ottica lunga svariati chilometri – che oggi costituiscono i due terzi dell’arsenale russo – non c’è altra soluzione, invece: si deve viaggiare a rotta di collo su sentieri ghiacciati resi pressoché invisibili dalla neve. Poi, una volta a destinazione, bisogna correre e mettersi al riparo in una Posadka, quegli strani boschi senza sottobosco, nient’altro che ontani slanciati, quasi nudi, piantati in filari in epoca sovietica per ancorare il suolo ricco e nero del Donbass e proteggerlo così dai venti violenti.
Qui non ci sono tre soldati russi smarriti, ma cinquanta minatori della miniera ormai chiusa di Pokrovsk che hanno a disposizione otto giorni e otto notti per sistemare una di queste fortificazioni, ricavate dalla terra rimossa e ammonticchiata, fatte di reti metalliche interrate, di buche scavate nella neve o di imbuti, di cui gli ucraini custodiscono il segreto. Balletto di minatori diventati boscaioli. Noria di alberi tagliati, il più lontano possibile, con la motosega, e poi trasportati a spalla. Poi, quando un drone colpisce, si aggiungono tronchi più spessi e ci si ripara intorno a un fuoco alimentato con i trucioli tagliati, con l’ascia, dai tronchi stessi. Ingegno degli ucraini: non posso fare a meno di rivolgere un pensiero ai tre russi di ieri, mandati al macello come carne da cannone.
Oleksander Syrsky, generale in capo delle forze armate ucraine, non è cambiato dal nostro ultimo incontro di otto mesi fa sul fronte di Kharkiv. Stessi zigomi alti e asciutti. Stessi occhi ridenti leggermente obliqui, appena distinguibili, tanto sono infossati nelle orbite emaciate. Stesso portamento di centurione taciturno che, in linea di principio, si tiene alla larga dalle interviste e si sente a suo agio soltanto qui, in una tenda di comando improvvisata e gelida nei dintorni di Pokrovsk dove ci ha fatto venire. Il vincitore della battaglia di Kyiv, il liberatore di Izuim, ha la reputazione di ufficiale severo che non risparmia la vita delle sue truppe. Quello che mi ha sempre colpito, per quanto mi riguarda, è piuttosto il burbero cameratismo con il quale tratta i suoi uomini. A colpirmi è il modo, quando lo aspettano come oggi – a dieci gradi sottozero, nella neve, immobili in una garitta che li trasforma in statue –, di intimare l’ordine di mettersi immediatamente al riparo con lui; è la sua voglia di andare da un avamposto all’altro senza allontanarsi mai dal campo di battaglia. Come ogni volta, mi elenca le sue necessità: se gli americani si tirano indietro, oggi ha bisogno di missili franco-italiani Samp-T. Poi, come ogni volta, mi dà anche un messaggio per il presidente Macron: «È tutto a posto, i nostri piloti hanno terminato la formazione e i vostri Mirage sono operativi e in aria da questa mattina – sì, proprio questa mattina». Poi scoppia in una fragorosa risata che gli affila ancora di più lo sguardo. Non può dirmi di più ma per i disfattisti occidentali che credono che l’Ucraina sia in ginocchio ha in serbo una sorpresa. L’ultima volta che l’ho sentito parlare così, e ridere così, è stato pochi giorni prima della sua offensiva lampo nella regione di Kursk, in Russia…
Oksana ha 21 anni. È minuta. Esile. Eppure, con il suo fisico da bambina e la sua lunga capigliatura rossa annodata in una coda di cavallo, è la comandante di un’unità di dronisti, tutti uomini, che con la fanteria ucraina sta bloccando l’offensiva russa su Pokrovsk. Nella vita civile è una poetessa. Sì, poetessa. Ha due raccolte di poesie pronte per la stampa, ritardata dalla guerra. Esiste un altro Paese al mondo, oltre quello di Taras Sevcenko, dove una comandante di guerra adolescente, quasi una bambina, è in grado di dirmi, così, di punto in bianco, dentro a una tenda montata in fondo a un bunker glaciale dove ha fatto servire tè e biscotti: «Faccio la guerra da tre anni, ho comandato un’unità d’artiglieria, sono stata gravemente ferita e adesso comando questa unità di dronisti ma, in fondo, sono una poetessa»? C’è qualcosa di più particolare ancora. All’improvviso abbassa il tono di voce. Si dirige altrove. Ritorna. I suoi grandi occhi verdi irriducibili adesso sono colmi di lacrime, la sua bella bocca si increspa e abbozza un mezzo sorriso lateralmente. Aveva un fidanzato. Si chiamava Maksim. Era poeta anche lui. È stato grazie alla poesia che si sono incontrati. Erano una coppia di poeti che sognava il loro avvenire. Lui, però, è morto in combattimento, da poco, una manciata di settimane. E lei, nella vita così lunga che ha davanti, ormai e purtroppo vuota, ha soltanto uno scopo. O meglio, due. La difesa dell’Ucraina. E la difesa dell’opera di Maksim.
Che cosa non si è detto della Brigata Anne di Kyiv, equipaggiata dalla Francia, addestrata dalla Francia e battezzata dai presidenti Zelensky e Macron, in occasione dell’ottantesimo anniversario dello sbarco sulle spiagge della Normandia, con il nome di una principessa ucraina che fu anche regina di Francia! Diserzioni… Corruzione… Organizzazione fallimentare, per non dire inesistente… Si è detto di tutto. Per questo motivo ho deciso di andare a vedere. Prima sono andato a Nord di Pokrovsk, in una miniera abbandonata che funge da suo quartiere generale dove comanda, dall’inizio dell’anno, un valido ufficiale con 27 anni di carriera alle spalle, reduce delle terribili battaglie di Sumy, che mi dice con sobrietà: «Alla brigata non mancava chissà che; forse un direttore d’orchestra… Immaginiamo che fossi io… Non era complicato». In seguito, sono andato più a Sud e più vicino al fronte, tra le file di un’unità di ricognizione costituita da quattro uomini, un cane e un’autoblindo Renault nuova fiammante, con l’ordine di individuare, nell’immensa distesa bianca di questo terreno disperatamente piatto, Posadka dove gli operatori di droni possano nascondersi di notte e il giorno dopo. «Tutta questa polemica è davvero infondata» si arrabbia Dmytro, il capo unità. «Ci troviamo nella zona più calda del fronte, come avremmo potuto risparmiare un minimo di tempo per adattarci? Siamo uomini, non nord-coreani…». Nel frattempo, ha individuato la Posadka perfetta. Parcheggia il veicolo blindato. Mi mostra come abbattere con la mitragliatrice i droni che volano in formazione nel vasto cielo azzurro.
Il grande motivo di orgoglio della Brigata Anne di Kyiv, tuttavia, sono i suoi cannoni Caesar, semoventi, montati su ruote e ultra-mobili: tra tutte le armi che hanno potuto collaudare, sono le più precise e le più efficienti. Siamo in missione di ricognizione con il comandante della brigata, Taras Maksymov. Viaggiamo per un’oretta, su sentieri di terra battuta ghiacciata, in una vettura ordinaria, non blindata e priva di sistemi di interferenza perché i russi sono così precisi che, paradossalmente, averli a bordo sarebbe il modo migliore per farsi individuare. Arriviamo a destinazione, non più una Posadka, ma una dolina scavata così in profondità che, sotto reti di mimetizzazione bianche come la neve, si scorge soltanto la bocca del cannone. Gli uomini ci stanno aspettando. Sono sei. Fumano e per ammazzare il tempo recitano poesie. Attenti! Granata nel cilindro. Caricamento del sacco di polvere bianca. Calcolo della pressione dell’aria e della velocità del vento. È tutto pronto? Il drone di ricognizione è sul posto? Fuoco! Attesa di un minuto o due, il tempo di consultare il drone e assicurarsi che la postazione russa, di fronte, sia stata spazzata via. E poi, mentre il cannone, adesso individuato dal nemico, si mette in moto per raggiungere una nuova postazione a pochi chilometri da lì, ripartiamo anche noi, velocemente, correndo tra i rami secchi e spogli che si impigliano nei vestiti e graffiano la faccia. Senza dubbio, non sempre la Brigata Anne di Kyiv è stata all’altezza della leggenda che l’ha preceduta. Tuttavia, non ha perso nemmeno uno dei 18 Caesar che le sono stati consegnati dalla Francia.
In questo racconto avrei dovuto inserire prima la scena seguente, ma riporto le cose che ho visto così come mi vengono in mente. Siamo sempre nei dintorni di Pokrovsk, in un hangar gigantesco trasformato in officina di riparazione per carri armati e veicoli vari. Luce spettrale. Carcasse di ferraglia e ruggine. Motori scoppiati a metà o, semplicemente, spolpati. Attorno a essi sono indaffarati meccanici che indossano guanti sporchi di grasso. Sono esperti nell’effettuare l’esame autoptico di ciò che resta di un motore, di una placca di armatura o di un ribattino d’acciaio ancora intatti. Poi, all’improvviso, si ferma tutto. Alle due estremità dell’hangar sono stati installati due schermi dove gli uomini possono seguire in diretta il colloquio in mondovisione di Trump e del loro presidente. All’inizio, quando parla Zelensky, i chirurghi meccanici sono soddisfatti, perché lo vedono a suo agio, messaggero delle loro sofferenze e del loro eroismo. Poi, quando i due americani prendono la parola e coprono la voce del loro presidente e lo insultano, non dicono niente, ma sui loro volti compare un misto di sconcerto (quanta volgarità…), di sgomento (loro, immersi nel fango e nel sangue, capiscono benissimo quanto siano preziosi gli aiuti dall’estero), ma anche di fierezza (quel giovane presidente che tiene testa agli uomini più potenti del mondo è l’immagine stessa del coraggio pacato e vigoroso che, in ucraino, si chiama Nakhabstvo e, in yiddish, Chutzpah – che da queste parti è la virtù più apprezzata). Ignoro se i suoi alleati sapranno elevarsi all’altezza del presidente Zelensky. So, però, che con questo suo mix di ironia, sangue freddo e disprezzo per la bassezza umana da cui non si è mai discostato neppure un istante, quest’uomo è entrato, ancora una volta, nella leggenda di questo secolo.

da – FB del 24 marzo 2025.

 44 
 inserito:: Marzo 24, 2025, 05:09:18 pm 
Aperta da Admin - Ultimo messaggio da Admin
Gianni Gavioli
Amministratore
Esperto del gruppo in Realtà virtuale

Draghi è Draghi e gli altri,  . . . sono dopo, ma molto dopo!
ciaooo


Sergio Tomat
 
Sto ascoltando tutte le due ore e passa del discorso di Draghi (in realtà breve ed esaustivo) e del successivo dibattito (con i politici che non riescono a fare una domanda senza fare un piccolo comizio). Mi sono assunto anche la sofferenza di ascoltare Gasparri, Fratoianni, un 5Stelle, Claudio Borghi...
Vedo che molti nei social sono diventati draghiani e utilizzano il discorso di Draghi come se fosse in opposizione al rearm EU e una conferma della giustezza della linea di Schlein.
Intanto Fratoianni ha giustamente ricordato che quei volumi di denaro cui ha accennato la von der Leyen provengono proprio dal rapporto Draghi, il quale a sua volta ricordava che già prima la Commissione Europea prevedeva di aumentare di 500 miliardi le spese militari europee.
Poi, Draghi ha una visione coerente e strutturata (giusta o sbagliata che sia), non possiamo prendere solo il pezzo che ci fa comodo. Draghi lo dobbiamo ascoltare tutto.
E che dice Draghi?
Che abbiamo, l'Italia in particolare, una pressione fiscale troppo alta. Che gli investimenti (e chi ha idee innovative di impresa), scappano dall'Europa verso gli USA, perché a parità di rischio hanno rendimenti più alti. Che le la bolletta energetica è troppo alta e ha criticato le politiche per ridurre l'impronta del carbonio. Che servono più rinnovabili e più nucleare. Che siamo troppo regolamentati e servono meno regole, che si dovrebbe fare una legislazione contabile, fiscale, fallimentare ecc. a parte per le imprese innovative, che dovrebbe valere per tutti i Paesi dell'Unione Europea.
Infine non dimentichiamo che Draghi era fortemente contrario al superbonus...
Riguardo alla supposta differenza rispetto al Rearm EU, invito a leggere la risoluzione del parlamento europeo sul libro bianco sul futuro della difesa europea (quella che ha diviso gli schieramenti italiani).
Sono 18 pagine A4 fitte di constatazioni e di proposte, in cui il rapporto Draghi è citato espressamente, e molti punti sono "draghiani" (link nei commenti).

su facebook del 24 marzo 2025
----------------------------------------------

Benigni e “gli eroi di Ventotene”: il tempismo magico del piccolo diavolo

Benigni e “gli eroi di Ventotene”: il tempismo magico del piccolo diavolo
L’attore premio Oscar è tornato su Rai Uno con lo show “Il sogno”. Una dichiarazione d’amore per l’Unione europea. Nel giorno in cui la premier Meloni ha preso le distanze dal Manifesto di Spinelli

Giorgia Meloni aveva appena finito di rinnegare Ventotene davanti alla platea della Camera quando Roberto Benigni apriva le danze del suo show europeista sul palco di Rai Uno. Nessun autore per quanto di genio sarebbe riuscito a tavolino a creare un tempismo tanto perfetto. Per farlo ci voleva proprio lo zampino del piccolo diavolo, che arriva in diretta (e in Eurovisione) con “Il sogno”, una dichiarazione d'amore per l'Unione, «L'esperimento democratico più emozionante che ci sia».

Saluta, ringrazia, lancia battute varie («Lo sciopero dei treni è una tradizione italiana come la cucina», «I potenti del mondo sono personcine per bene, sapere che loro hanno in mano la bomba nucleare ci fa stare tranquilli») e intanto scalda i motori. Perché non è lì per far ridere, non è cabaret, è una lectio magistralis di cui si sentiva il bisogno, in un Paese dove la politica dice cose spesso ridicole e i giullari sono costretti a farsi seri per il bene comune.

Una lezione quella di Benigni, intrisa di citazioni, aneddoti, libri letti, storia digerita al punto da poter essere trasmessa a un pubblico che di questi tempi ha la memoria corta. «L'Europa è il continente più piccolo del mondo che ha acceso la miccia di tutte le rivoluzioni, ha trasformato il pianeta, da tremila anni è la fucina dove sono stati forgiati alcuni fra i più grandi pensieri dell’umanità, inventando la logica, la ragione, il dubbio, la libertà, la democrazia, il teatro lo sport, la chimica moderna, la coscienza di classe, spaccando l'atomo, dipingendo la Sistina. Un patrimonio comune, un tesoro immenso in tutti i campi".

E poi cita De Gasperi («Il più grande presidente del consiglio che abbiamo avuto»), spiega la differenza tra patriottismo e nazionalismo: («Amo l’Italia come la mia mamma, sono patriota. Ma si può essere patrioti senza essere nazionalisti. Il nazionalismo non è un’ideologia politica, è una ossessione, una fede integralista, addirittura al di sopra di Dio»).

E volteggia sul palco di legno, tra timidi applausi, per arrivare al Manifesto di Ventotene. Su cui dice tutto, nel dettaglio, come un racconto necessario in cui l'assunto è «Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni sono eroi della nostra storia». Il pubblico si scalda, gli applausi si infittiscono,  scende nei dettagli, gli aneddoti, il pollo dentro cui Ursula Hirschmann e Ada Rossi portarono il Manifesto fuori dall'isola,  e poi le digressioni, in un monologo senza pause mentre avanza la fiaba dell'Unione, la Ceca, la Cee, la moneta unica, la generazione Erasmus. Una fiaba animata, tutta a braccio, pagine da sfogliare avvincenti come la Commedia o la Costituzione,  in un flusso gioioso di coscienza consapevole, commovente. E ottimista, come un sogno.

da l'Espresso

 45 
 inserito:: Marzo 24, 2025, 12:48:48 pm 
Aperta da Admin - Ultimo messaggio da Admin
Mark Zuckerberg ha perso il suo fascino, la startup coreana FuriosaAI rifiuta l’offerta da 800 mln di Meta

Posta in arrivo
ggiannig <ggianni41@gmail.com>
10:17
a me

Leggilo in esclusiva su https://www.milanofinanza.it/news/mark-zuckerberg-ha-perso-il-suo-fascino-la-startup-coreana-furiosaai-rifiuta-l-offerta-da-800-milioni-202503241003597214

 46 
 inserito:: Marzo 24, 2025, 11:57:52 am 
Aperta da Admin - Ultimo messaggio da Admin
Democrazia e Dintorni
 
DONBASS, IN PRIMA LINEA NELL'INFERNO DI POKROVSK
Bunker, hangar, vecchie miniere e trincee. Ma il fronte è dominato dai droni. Syrsky, il generale dell’offensiva in Kursk: «Abbiamo in serbo una sorpresa»

Bernard-Henri Lévy su La Stampa del 9 marzo 2025 (Traduzione di Anna Bissanti)

Pokrovsk. Il presidente Zelensky mi riceve in un seminterrato protetto di questa Città Proibita che è l’Amministrazione. Come si sente, alla vigilia del volo per Washington? «Bene. Nulla è deciso, però. Non so che cosa vuole Trump, né se farò davvero questo viaggio». Perché non è fiducioso? Non crede alla buona volontà di un alleato che ha detto che lei è un dittatore? Scoppia a ridere. «No. Il problema, più che altro, è che non so perché si comporta così. Non capisce che Putin è inaffidabile e che…- esita -. Al tempo stesso, per fortuna ci sono il Senato e il Congresso. È su di loro, e sul loro appoggio bipartisan, che faccio affidamento. Due anni fa, per esempio – ricorda? – ci hanno rivolto delle domande, hanno ascoltato le nostre risposte e hanno finito per sbloccare il pacchetto degli aiuti militari che aspettavamo da mesi…». Supponiamo il peggio, gli dico: sareste in grado di proseguire senza l’America? «Sarebbe difficile. Gli americani hanno la tecnologia. L’intelligence. Ipotizziamo, per esempio, che la Germania approvi la consegna dei Patriot: ebbene, occorrerebbe la loro autorizzazione». E l’Europa? Crede a un’alternativa europea? «Sì, certo, credo in Immanuel, per esempio» dice con riferimento a Macron, ma pronunciando il suo nome con la “i”. Dal tono della sua voce trapela profonda amicizia. «Se questo meeting a Washington si farà, lo dobbiamo a lui, Immanuel. E lo ringrazio per questo, è un vero amico».
La sua ammirazione è genuina. «E poi, lo sa che è un esperto militare? Conosce, a distanza, ogni singolo punto della nostra linea del fronte». A proposito di linea del fronte, sa che io sono in partenza per Pokrovsk? Se domani firma l’accordo con Trump, la mia visita avrà ancora senso? La risposta è istantanea: «Sicuramente. La sua presenza farà piacere ai soldati. Scalderà loro i cuori. E poi… - sembra riflettere a voce alta -. E poi, credo che questo viaggio lo farò, partirò. Non sono sicuro di niente, ma lo farò».
Ho l’impressione che sia successo all’improvviso. Non tornavo in prima linea da otto mesi. Mi accorgo che la guerra dei droni ormai è preponderante rispetto alla guerra di trincea. Ci troviamo all’interno di un centro di comando nei dintorni di Pokrovsk, questo bastione a Est dove i russi stanno dispiegando tutti i loro uomini per fare breccia. Lì, nel bunker sotterraneo di una vecchia fabbrica, c’è una dozzina di soldati che smanettano seduti davanti a una parete di schermi di computer. Alcuni sono a volto scoperto. Altri, in felpa e passamontagna, scambiano informazioni al microfono con uomini di cui si sente soltanto la voce e che, sul terreno, manovrano i droni di ricognizione e di attacco. All’improvviso, su uno degli schermi, compaiono tre sagome: stanno camminando in un paesaggio innevato, con pochi alberi radi e allineati, senza boscaglia. Nel bunker cala il silenzio. L’uomo con il passamontagna sceglie una delle sagome a caso con il mouse. La segue. La perde. Zooma sull’immagine. La ritrova. Trasmette le sue coordinate. La sagoma scompare in una nuvola di neve grigia e pixel sgranati. Poi la nuvola si disperde. La sagoma riappare. Si alza traballante. L’uomo è ferito? È soltanto stordito dallo shock? Le altre due sagome lo raggiungono. No, non si fermano, proseguono, anche loro malfermi, verso un boschetto più fitto. L’uomo con il passamontagna a questo punto impartisce un altro ordine al microfono. La prima sagoma cade definitivamente a terra, con un breve spasmo, mentre le altre due si accucciano sotto le betulle. Trascorre un’ora. Moriranno lì congelati, dice l’uomo con il passamontagna. Quando, in realtà, i due tentano la fuga, l’uomo con il passamontagna si prende tutto il tempo necessario, li segue e bisbiglia un ultimo ordine. Diradatosi il fumo, restano a terra solo due sagome, simili ad alberi abbattuti.
Quando da inseguitori si diventa inseguiti, non ci sono mille modi per fuggire. Nel caso dei droni classici, occorre dotarsi di antenne a cono poggiate, come abbiamo fatto noi, sul tetto di una vettura: interferiscono nelle comunicazioni tra il drone e il suo pilota. Per i droni collegati al loro pilota da una fibra ottica lunga svariati chilometri – che oggi costituiscono i due terzi dell’arsenale russo – non c’è altra soluzione, invece: si deve viaggiare a rotta di collo su sentieri ghiacciati resi pressoché invisibili dalla neve. Poi, una volta a destinazione, bisogna correre e mettersi al riparo in una Posadka, quegli strani boschi senza sottobosco, nient’altro che ontani slanciati, quasi nudi, piantati in filari in epoca sovietica per ancorare il suolo ricco e nero del Donbass e proteggerlo così dai venti violenti.
Qui non ci sono tre soldati russi smarriti, ma cinquanta minatori della miniera ormai chiusa di Pokrovsk che hanno a disposizione otto giorni e otto notti per sistemare una di queste fortificazioni, ricavate dalla terra rimossa e ammonticchiata, fatte di reti metalliche interrate, di buche scavate nella neve o di imbuti, di cui gli ucraini custodiscono il segreto. Balletto di minatori diventati boscaioli. Noria di alberi tagliati, il più lontano possibile, con la motosega, e poi trasportati a spalla. Poi, quando un drone colpisce, si aggiungono tronchi più spessi e ci si ripara intorno a un fuoco alimentato con i trucioli tagliati, con l’ascia, dai tronchi stessi. Ingegno degli ucraini: non posso fare a meno di rivolgere un pensiero ai tre russi di ieri, mandati al macello come carne da cannone.
Oleksander Syrsky, generale in capo delle forze armate ucraine, non è cambiato dal nostro ultimo incontro di otto mesi fa sul fronte di Kharkiv. Stessi zigomi alti e asciutti. Stessi occhi ridenti leggermente obliqui, appena distinguibili, tanto sono infossati nelle orbite emaciate. Stesso portamento di centurione taciturno che, in linea di principio, si tiene alla larga dalle interviste e si sente a suo agio soltanto qui, in una tenda di comando improvvisata e gelida nei dintorni di Pokrovsk dove ci ha fatto venire. Il vincitore della battaglia di Kyiv, il liberatore di Izuim, ha la reputazione di ufficiale severo che non risparmia la vita delle sue truppe. Quello che mi ha sempre colpito, per quanto mi riguarda, è piuttosto il burbero cameratismo con il quale tratta i suoi uomini. A colpirmi è il modo, quando lo aspettano come oggi – a dieci gradi sottozero, nella neve, immobili in una garitta che li trasforma in statue –, di intimare l’ordine di mettersi immediatamente al riparo con lui; è la sua voglia di andare da un avamposto all’altro senza allontanarsi mai dal campo di battaglia. Come ogni volta, mi elenca le sue necessità: se gli americani si tirano indietro, oggi ha bisogno di missili franco-italiani Samp-T. Poi, come ogni volta, mi dà anche un messaggio per il presidente Macron: «È tutto a posto, i nostri piloti hanno terminato la formazione e i vostri Mirage sono operativi e in aria da questa mattina – sì, proprio questa mattina». Poi scoppia in una fragorosa risata che gli affila ancora di più lo sguardo. Non può dirmi di più ma per i disfattisti occidentali che credono che l’Ucraina sia in ginocchio ha in serbo una sorpresa. L’ultima volta che l’ho sentito parlare così, e ridere così, è stato pochi giorni prima della sua offensiva lampo nella regione di Kursk, in Russia…
Oksana ha 21 anni. È minuta. Esile. Eppure, con il suo fisico da bambina e la sua lunga capigliatura rossa annodata in una coda di cavallo, è la comandante di un’unità di dronisti, tutti uomini, che con la fanteria ucraina sta bloccando l’offensiva russa su Pokrovsk. Nella vita civile è una poetessa. Sì, poetessa. Ha due raccolte di poesie pronte per la stampa, ritardata dalla guerra. Esiste un altro Paese al mondo, oltre quello di Taras Sevcenko, dove una comandante di guerra adolescente, quasi una bambina, è in grado di dirmi, così, di punto in bianco, dentro a una tenda montata in fondo a un bunker glaciale dove ha fatto servire tè e biscotti: «Faccio la guerra da tre anni, ho comandato un’unità d’artiglieria, sono stata gravemente ferita e adesso comando questa unità di dronisti ma, in fondo, sono una poetessa»? C’è qualcosa di più particolare ancora. All’improvviso abbassa il tono di voce. Si dirige altrove. Ritorna. I suoi grandi occhi verdi irriducibili adesso sono colmi di lacrime, la sua bella bocca si increspa e abbozza un mezzo sorriso lateralmente. Aveva un fidanzato. Si chiamava Maksim. Era poeta anche lui. È stato grazie alla poesia che si sono incontrati. Erano una coppia di poeti che sognava il loro avvenire. Lui, però, è morto in combattimento, da poco, una manciata di settimane. E lei, nella vita così lunga che ha davanti, ormai e purtroppo vuota, ha soltanto uno scopo. O meglio, due. La difesa dell’Ucraina. E la difesa dell’opera di Maksim.
Che cosa non si è detto della Brigata Anne di Kyiv, equipaggiata dalla Francia, addestrata dalla Francia e battezzata dai presidenti Zelensky e Macron, in occasione dell’ottantesimo anniversario dello sbarco sulle spiagge della Normandia, con il nome di una principessa ucraina che fu anche regina di Francia! Diserzioni… Corruzione… Organizzazione fallimentare, per non dire inesistente… Si è detto di tutto. Per questo motivo ho deciso di andare a vedere. Prima sono andato a Nord di Pokrovsk, in una miniera abbandonata che funge da suo quartiere generale dove comanda, dall’inizio dell’anno, un valido ufficiale con 27 anni di carriera alle spalle, reduce delle terribili battaglie di Sumy, che mi dice con sobrietà: «Alla brigata non mancava chissà che; forse un direttore d’orchestra… Immaginiamo che fossi io… Non era complicato». In seguito, sono andato più a Sud e più vicino al fronte, tra le file di un’unità di ricognizione costituita da quattro uomini, un cane e un’autoblindo Renault nuova fiammante, con l’ordine di individuare, nell’immensa distesa bianca di questo terreno disperatamente piatto, Posadka dove gli operatori di droni possano nascondersi di notte e il giorno dopo. «Tutta questa polemica è davvero infondata» si arrabbia Dmytro, il capo unità. «Ci troviamo nella zona più calda del fronte, come avremmo potuto risparmiare un minimo di tempo per adattarci? Siamo uomini, non nord-coreani…». Nel frattempo, ha individuato la Posadka perfetta. Parcheggia il veicolo blindato. Mi mostra come abbattere con la mitragliatrice i droni che volano in formazione nel vasto cielo azzurro.
Il grande motivo di orgoglio della Brigata Anne di Kyiv, tuttavia, sono i suoi cannoni Caesar, semoventi, montati su ruote e ultra-mobili: tra tutte le armi che hanno potuto collaudare, sono le più precise e le più efficienti. Siamo in missione di ricognizione con il comandante della brigata, Taras Maksymov. Viaggiamo per un’oretta, su sentieri di terra battuta ghiacciata, in una vettura ordinaria, non blindata e priva di sistemi di interferenza perché i russi sono così precisi che, paradossalmente, averli a bordo sarebbe il modo migliore per farsi individuare. Arriviamo a destinazione, non più una Posadka, ma una dolina scavata così in profondità che, sotto reti di mimetizzazione bianche come la neve, si scorge soltanto la bocca del cannone. Gli uomini ci stanno aspettando. Sono sei. Fumano e per ammazzare il tempo recitano poesie. Attenti! Granata nel cilindro. Caricamento del sacco di polvere bianca. Calcolo della pressione dell’aria e della velocità del vento. È tutto pronto? Il drone di ricognizione è sul posto? Fuoco! Attesa di un minuto o due, il tempo di consultare il drone e assicurarsi che la postazione russa, di fronte, sia stata spazzata via. E poi, mentre il cannone, adesso individuato dal nemico, si mette in moto per raggiungere una nuova postazione a pochi chilometri da lì, ripartiamo anche noi, velocemente, correndo tra i rami secchi e spogli che si impigliano nei vestiti e graffiano la faccia. Senza dubbio, non sempre la Brigata Anne di Kyiv è stata all’altezza della leggenda che l’ha preceduta. Tuttavia, non ha perso nemmeno uno dei 18 Caesar che le sono stati consegnati dalla Francia.
In questo racconto avrei dovuto inserire prima la scena seguente, ma riporto le cose che ho visto così come mi vengono in mente. Siamo sempre nei dintorni di Pokrovsk, in un hangar gigantesco trasformato in officina di riparazione per carri armati e veicoli vari. Luce spettrale. Carcasse di ferraglia e ruggine. Motori scoppiati a metà o, semplicemente, spolpati. Attorno a essi sono indaffarati meccanici che indossano guanti sporchi di grasso. Sono esperti nell’effettuare l’esame autoptico di ciò che resta di un motore, di una placca di armatura o di un ribattino d’acciaio ancora intatti. Poi, all’improvviso, si ferma tutto. Alle due estremità dell’hangar sono stati installati due schermi dove gli uomini possono seguire in diretta il colloquio in mondovisione di Trump e del loro presidente. All’inizio, quando parla Zelensky, i chirurghi meccanici sono soddisfatti, perché lo vedono a suo agio, messaggero delle loro sofferenze e del loro eroismo. Poi, quando i due americani prendono la parola e coprono la voce del loro presidente e lo insultano, non dicono niente, ma sui loro volti compare un misto di sconcerto (quanta volgarità…), di sgomento (loro, immersi nel fango e nel sangue, capiscono benissimo quanto siano preziosi gli aiuti dall’estero), ma anche di fierezza (quel giovane presidente che tiene testa agli uomini più potenti del mondo è l’immagine stessa del coraggio pacato e vigoroso che, in ucraino, si chiama Nakhabstvo e, in yiddish, Chutzpah – che da queste parti è la virtù più apprezzata). Ignoro se i suoi alleati sapranno elevarsi all’altezza del presidente Zelensky. So, però, che con questo suo mix di ironia, sangue freddo e disprezzo per la bassezza umana da cui non si è mai discostato neppure un istante, quest’uomo è entrato, ancora una volta, nella leggenda di questo secolo.

da – FB del 24 marzo 2025.

 47 
 inserito:: Marzo 23, 2025, 11:49:16 am 
Aperta da Admin - Ultimo messaggio da Admin
Gianni Gavioli
Condiviso con Tutti
Sto pensando che certamente noi europei dobbiamo preoccuparci, sia degli infiltrati putiniani che si sono infilati dappertutto, sia della nostra enorme stupidità nel come stiamo gestendo un "colpo di stato" verso la democratura salviniana e grillina, . . . meno male che la signora Meloni c'è.
Pensa siamo arrivati a questo.

Ma peggio sono gli americani negli USA??!!
Si rendono conto o no che gli stanno SFASCIANDO gli Stati Uniti??? 
ciaooo

-------------
Gianni Gavioli
Perti e i granai ...
Detto da lui ha un significato diverso da quello del dire stupido da bamboccioni di oggi! Lui le armi le avrebbe imbracciate ancora per difendere le democrazie!! Lo spirito della RESISTENZA che dobbiamo ritrovare é questo: la PACE ATTIVA che per difendere gli oppressi prevede anche la GUERRA.
ggiannig

----

 48 
 inserito:: Marzo 23, 2025, 11:46:04 am 
Aperta da Admin - Ultimo messaggio da Admin
Gianni Gavioli
- Da molto tempo ho invitato tutti al reciproco rispetto della Persona ed al confronto civile tra contenuti espressi senza intenti aggressivi.
Le parole che si esprimono in pubblico sono regolate da codici di comportamento, abbiamo già abbondanza di personaggi della Cattiva Politica che hanno frequentato da anni le più odiose tecniche e pratiche di derisione e offesa degli avversari, non abbiamo intenzione di aumentarne il numero, ... anzi.
Io mi sono sempre definito un Indipendente nella comunicazione/informazione di Area di CentroSinistra e soffro, come moltissimi, l'insoddisfazione sull'operato e i comportamenti sociopolitici di chi la rappresenta nelle istituzioni.
Com'é dimostrato dal 50% di noi italiani che non votano per protesta verso una legge che ignora le nostre scelte partitiche, per infami intrighi di rincorsa del potere.
Da tre anni le cose sono cambiate e stanno cambiando in peggio!
Occorre scegliere, perché da ora in poi ognuno di noi subirà e farà subire scelte fondamentali e non mi riferisco solo ad un miglioramento nel nostro modo di votare.
Occorre scegliere le Persone impegnate in politica e nel sociale, ce ne sono moltissime ma non le fanno emergere, a cui merita fare riferimento nel formare le nostre convinzioni. Ma soprattutto occorre everne di convinzioni!
Possibilmente democratiche, non sfasciste e degne di chiamarci ITALIANI ed Europei.
ggiannig

 49 
 inserito:: Marzo 23, 2025, 11:42:22 am 
Aperta da Admin - Ultimo messaggio da Admin
Il (triste) successo della rassegnazione

Aldo Grasso
| 16 febbraio 2025
Un Festival di Sanremo all'insegna della pigrizia. Perché ha successo? Siamo rassegnati

Da quando abbiamo smesso di desiderare il meglio? La metafora più sfruttata per descrivere il Festival di Sanremo, dal 1951 a oggi, è stata quella dello specchio del Paese. Un luogo comune buono per tutti gli abusi. Ma se grattiamo appena la sua frusta superficie, si aprono squarci di pura consapevolezza. Questa edizione, per esempio, è stata caratterizzata dalla rassegnazione. Sul palco dell’Ariston tutto era normale, dalla conduzione ai temi trattati, dalle proposte musicali ai numeri comici. Anche le spezie (un po’ di tv del dolore, un po’ di marmocchi, Benigni in promozione...) sapevano di pigrizia.

Come si spiega allora il grande successo del Festival? Merito di una formula che ha escluso appelli sociali, svolte sovraniste, tentazioni egemoni? Il fatto è che noi stiamo scivolando sempre di più nella rassegnazione, la vera vincitrice del Festival. Ci lamentiamo ma non chiediamo di più: basta che treni e canzoni siano in orario. Il miglioramento non è più contemplato, nemmeno dai giovani, e ci va bene tutto: nello spettacolo, nella cultura, nella politica.
Questo funerale della speranza è diventato la nostra comfort zone, grazie anche al lento lavorio dei social dove ci si abitua a tutto e il dissenso scatena solo furie distruttive.
Una rassegnazione in streaming con altre rassegnazioni fa numero, audience, Paese.

16 febbraio 2025, 06:31 - modifica il 16 febbraio 2025 | 07:38

© RIPRODUZIONE RISERVATA

-----------------------------------------------------

Fan più attivo
Gianni Gavioli
I molti a cui è piaciuto oggi. sono diversi dai moltissimi a cui piacque nel passato.
Lo SFASCIO generato da movimenti antiStato e antiEuropei ci ha reso una società profondamente infelice, anche se più ricca di allora.
Sanremo è un episodio luminoso del Nulla.
ggg
1 h
Rispondi
Mauro Radice
Gianni Gavioli molto prima dei "movimenti dello sfascio" c'è un'intera società allo sfascio. È da lì che arrivano i voti alla politica che rappresenta esattamente il popolo che li vota. Poi che tutta questa mediocrità si riversi anche su Sanremo forse non è un caso.
----------------------------------
da Gianni a
Mauro Radice infatti non è un caso e non si devono imputare negative considerazioni verso chi ha creato e lavorato bene per realizzare Sanremo.
Far vedere dove siamo arrivati è un merito, una parte notevole di Noi Oggi, è più consapevole che Noi nel passato.
Tanto è vero che il 50% degli italiani non vota, moltissimi per protesta contro la Cattiva Politica che ha maciullato  in centinaia di fibre perverse, l'eredità della Resistenza, della Costituzione e di un dopoguerra, promettenti Serenità.
In gran parte perversioni animate e controllate da alleati dell'Europa, che oggi ci considerano nemici da sottomettere completamente.
Ma come si sbagliano, bastarono pochi combattenti e un gran parte di popolo, per vincere con la Resistenza!!!
ggg

---------------

 50 
 inserito:: Marzo 23, 2025, 11:38:13 am 
Aperta da Admin - Ultimo messaggio da Admin
PER ORA NULLA DI FATTO!

Non commento, ma mi illudo che non sia ITALICA Indifferenza ma soltanto il boicottaggio del REGIME FACEBOOK trumpiano ante litteram.

ciaooo

Pagine: 1 ... 3 4 [5] 6 7 ... 10
Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!