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 inserito:: Aprile 25, 2025, 04:43:25 pm 
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Matty Groves
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Roberto Damico

Report e il giornalismo tossico
1. Premessa: perché ho smesso di guardare Report
Amo il giornalismo d’inchiesta. Quello che scava, che fa luce.
Ma Report non fa luce. Sparge ombre.
L’ho lasciato anni fa, dopo aver capito il meccanismo:
 1. Decidono il colpevole prima ancora di cominciare.
 2. Raccolgono solo ciò che conferma la tesi.
 3. Tagliano il resto. Complicazioni, contesto, sfumature: tutto sacrificato al racconto.
È la narrazione tossica di una certa sinistra radicale:
tutta morale e nessuna verità, tutta accusa e nessuna responsabilità.
E, alla fine, il dito finisce sempre lì: contro gli ebrei. Travestiti da Israele, da lobby, da banchieri
2. L’ultima “inchiesta”: la lobby ebraica, ancora
Report è tornato. E con esso, l’eterno sospetto:
la “lobby israeliana” a Bruxelles.
 • Il termine “lobby” usato come veleno:
un’ombra oscura che muove i fili dell’Europa.
 • Nessuna analisi politica. Solo insinuazioni.
 • Nessun confronto con altre influenze ben più massicce:
Qatar, Emirati, Cina. Tutti assenti.
Perché Israele è l’unico a dover giustificare la sua presenza nel mondo?
Perché l’antisemitismo non ha bisogno di logica, solo di un bersaglio familiare.
3. Il doppio standard che avvelena il dibattito
 • Se Israele fa lobbying: è “complotto ebraico”.
 • Se il Qatar finanzia atenei e imam: è “diplomazia culturale”.
 • Se Report parla di ebrei e potere: è “giornalismo coraggioso”.
 • Se chiedi chi finanzia Report: sei “un censore fascista”.
Il nuovo antisemitismo è colto, educato, travestito da progressismo.
Ma il suo messaggio è lo stesso da secoli:
gli ebrei sono il problema.
4. Perché è pericoloso? Perché non è mai solo televisione
Perché in strada oggi si urla:
“From the river to the sea” — non è una critica, è un invito al genocidio.
Perché negli stessi cortei dove si difendono i diritti, si bruciano le bandiere d’Israele.
Perché gli estremi si toccano sempre:
la sinistra “etica” e la destra negazionista condividono lo stesso odio antico.
E Report, che si crede neutrale, è parte del problema.
Perché normalizza l’odio, lo traveste da informazione, lo offre come pasto serale agli spettatori.
5. La verità non ha bisogno di pregiudizi
Non chiedo silenzio.
Criticare Israele può essere legittima, giusta, necessaria.
Ma quando lo si fa con altri criteri, con altri toni, con altre pretese,
quando si accetta come normale ciò che per altri stati sarebbe inaccettabile,
non è più giornalismo.
È propaganda. È avvelenamento. È antisemitismo.
E sì, oggi indossa giacca e cravatta,
ma il veleno è lo stesso. Solo più elegante.
Più televisivo.

da FB del 23 aprile 2025

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 inserito:: Aprile 25, 2025, 12:34:38 pm 
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FrasiCelebri.it

Mercoledì 23 aprile 2025

Frasi di Martin Luther King   
“In questa generazione ci pentiremo non solo per le parole e per le azioni delle persone cattive, ma per lo spaventoso silenzio delle persone buone.”

MARTIN LUTHER KING

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 inserito:: Aprile 25, 2025, 12:27:11 pm 
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Post della sezione Notizie
Corriere della Sera

Enrico Santo Pagani

Mauro Roversi Monaco

Il "cocco" di Pertini, il quale dovette insistere parecchio perché fucilasse Osvaldo Valenti (innocente, ma Pertini non volle esaminare le carte: troppo "preso" ....) e Luisa Ferida (incinta).
Io non ho certezze assolute, ma qualcuno  mi ha riferito che Pertini, messo al corrente della gravidanza, abbia sibilato "Due piccioni ....".

Gianfranco Stella

Giuseppe Marozin, il partigiano Vero

Il comandante Vero fu un prodotto del resistenza rossa: con una decina di armati, astuzia e crudeltà, nell’aprile del ’45 seppe giungere al comando generale del CVL dal quale riuscì ad ottenere riconoscimento del proprio ruolo, quantunque un’altra autorità resistenziale, il comando veneto del CVL, avesse decretato la sua condanna a morte per una lunga serie di omicidi, stupri e rapine (nov. ’44).
Come si vedrà tra i suoi obiettivi c’era il trafugamento del tesoro monetario della Repubblica sociale, depositato alla zecca di Milano della quale era riuscito ad avere le chiavi.
A Milano s’era stabilito verso l’inverno del ’44, quando abbandonò la sua zona, la valle vicentina con sua Brigata Vicenza, che nel Milanese s’era trasformata in Divisione Pasubio.
Ex fascista, camicia nera in Spagna, si scoprì socialista, tanto che dichiarandosi comandante d’una formazione Matteotti, diceva di riconoscersi nell’archetipo pertiniano, ovvero di Sandro Pertini, grazie all’amicizia del quale non dovette mai rispondere dei suoi molteplici delitti.
Quando la sua caterva di eccessi, rubricati in omicidi, stupri, rapine, furti eccetera, fu vagliata dalla magistratura di Vicenza, nel ’60, ne ottenne ampio proscioglimento: tutte ‘azioni’, le sue, secondo le sentenze istruttorie, compiute contro il fascismo, dunque soggette ad amnistia.
Ma si vedano alcuni suoi crimini: nel marzo del ’44 a Crespadoro, una minuscola località nella valle del Chiampo, teatro di gran parte delle atrocità del Marozin, con la sua banda di otto partigiani aveva ucciso Ernesto Cortese, locale segretario del partito fascista repubblicano.
La notte del 12 aprile ’44 a Durlo di Crespadoro furono uccisi Luigi Guiotto di 50 anni e la moglie Giuseppina Zarantonello di 44, prelevati da otto partigiani nella loro abitazione a Cornedo Vicentino. La Zarantonello fu violentata da sette di questi partigiani sotto gli occhi del figlio Danilo, che si salvò fuggendo e nascondendosi. I cadaveri dei coniugi Guiotto furono riesumati nel ’47 in una fossa comune a Crespadoro.
Uccise a pugnalate Tiberio Ferro. A Crespadoro il 7 giugno fece fucilare sei giovani militi della Guardia nazionale del locale presidio, mai identificati.
Nel luglio del ‘44 a Zermeghedo uccise il partigiano Lepre, al secolo Paolino Guarda. Alla fine di quel mese a Selva di Progno fece fucilare due ufficiali polacchi facenti parte di formazioni partigiane e a
Durlo di Crespadoro il 30 luglio aveva ucciso a raffiche due uomini e una donna, Roberto Vinco, Arturo Presa e Adele Grisi. Sempre a Durlo di Crespadoro nell’agosto del ’44 fece fucilare i partigiani Volpe, al secolo Bernardo Simonelli e Treno, Lino Visentin. A Nogarole Vicentino fece uccidere Gilberto Meggiolaro, suo partigiano col nome Mila, sorpreso a dormire in un turno di guardia. Non fu svegliato e, con un colpo di pistola alla testa passò dal sonno alla morte (18.8.’44). Sempre in agosto uccise a Selva di Trissino Otello Cabianca. Questi era un suo giovanissimo partigiano, aveva 15 anni. Insistette per farsi arruolare e alla fine Marozin lo aveva acconten- tato. Dopo un paio di giorni di turni di guardia, di faticose mansioni eccetera, decise di tornarsene a casa. Marozin temendo  che una volta in famiglia potesse rivelare la posizione della sua formazione, lo fece uccidere. Nel settembre del ’44 a Crespado- ro fece fucilare il partigiano Avio, al secolo Aldo Bertelli.
E così fino al maggio del ’45.
Nato ad Arzignano nel 1915, ivi morì durante un soggiorno estivo nel 1966, fulminato da un infarto.

da FB del 13 aprile 2025   

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Storie
Post della sezione Notizie

Dario Forti

Ma c’è qualcuno che ha ancora voglia di leggere quanto è successo quel giorno?

Roberto Damico

7 Ottobre: L’Inferno delle Donne Israeliane – Quando il mondo voltò le spalle alle ebree
Non è finzione. È un urlo strozzato in gola. Una ferita che non smette di sanguinare. Perché quello che è successo il 7 ottobre non è solo un massacro. È stato uno stupro all’umanità stessa. Donne strappate alla vita, bambine violate davanti ai genitori, corpi ridotti a trofei di guerra. E il mondo? Il mondo ha guardato altrove.
"Mamma, mi fanno male" – Le voci che il mondo non vuole ascoltare
Le testimonianze sono macigni sullo stomaco. Sopravvissute con gli occhi vuoti, che ripetono frasi spezzate dal dolore: 
"Hanno preso mia figlia di 16 anni. L’hanno legata a un letto. Sentivo le sue urla. Poi… solo risate. Quando l’ho ritrovata, era nuda, piena di sangue. Avevano scritto cose sul suo corpo." – Testimonianza di una madre dal kibbutz Be’eri
"Mi hanno violentato in tre. Uno mi teneva giù, l’altro rideva, il terzo filmava. Dicevano: ‘Ora Israele saprà cosa abbiamo fatto a una delle loro puttane’." – Shira (nome cambiato), sopravvissuta al festival di Re’im
I medici che hanno visitato le vittime parlano di corpi distrutti oltre ogni immaginazione: 
- Fratture pelviche da violenza ripetuta 
- Morsi, bruciature di sigaretta sui seni, sulle cosce 
- Donne uccise subito dopo lo stupro, alcune con proiettili nella schiena, altre sgozzate 
Bambine. Sì, Bambine. 
Se questa parte non ti spezza il cuore, rileggila. Perché è successo davvero.
- Una bambina di 12 anni, trovata nuda, legata a un letto, con segni di abusi prima di essere uccisa. 
- Una neonata di 10 mesi, strappata dalla culla e decapitata mentre i genitori venivano torturati. 
- Adolescenti stuprate in gruppo, poi fatte saltare in aria con granate. 
Era una bambina. Aveva ancora il pigiama con gli unicorni. Perché? Perché le hanno fatto questo?" – Soldato israeliano in lacrime durante i soccorsi 
"Ci violentavano cantando inni alla Jihad" – Gli ostaggi raccontano
Le donne rapite a Gaza hanno vissuto mesi di inferno. Alcune, liberate, raccontano: 
"Mi legavano le mani dietro la schiena. Mi violentavano più volte al giorno. Se piangevo, mi picchiavano. Se svenivo, mi svegliavano con l’acqua fredda e ricominciavano." – Testimonianza anonima di una ostaggio rilasciata
Una ragazza con me è impazzita. Continuava a chiamare la mamma. L’hanno portata via e non l’ho più vista." – Altra testimonianza dai tunnel di Hamas 
Il silenzio del mondo è un tradimento.
Mentre le donne ebree venivano stuprate e massacrate: 
- Le femministe occidentali tacevano. 
- I diritti umani si sono "dimenticati" di loro. 
- Le piazze urlavano "From the river to the sea", come se quelle vittime non contassero. 
Perché? Perché lo stupro di una donna ebrea non indigna abbastanza?
Non è "Resistenza". È puro odio.
Hamas ha filmato le violenze. Ha celebrato gli stupri. Ha mandato i video alle famiglie delle vittime. 
Questo non è conflitto. È sadismo. 
Se leggi questo e non senti niente, allora sei complice.
  Perché il male trionfa quando i buoni tacciono. 
Perché quelle donne urlavano, e nessuno le ha ascoltate. 
Perché quelle bambine non torneranno mai più. 
Ora tocca a te. Leggi. Condividi. Urlalo forte.
Perché il loro dolore non può essere dimenticato. 
Fonti: Testimonianze raccolte da The New York Times, BBC, Times of Israel, sopravvissuti intervistati dall’esercito israeliano.
Ogni parola è verificata. Ogni dolore è reale.
Condividi. Non lasciare che il mondo lo cancelli.   
   
FB 13 aprile 2025

 44 
 inserito:: Aprile 25, 2025, 12:21:28 pm 
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Elogio della post sinistra
Era facile riconoscere la sinistra nel mondo bipolare, poi ha tentato di adeguarsi ai tempi ma s’è ridotta in frammenti e ora nessuno sa dove sia. Estranea al populismo di governo, latita anche nel mondo Pd. L’autore del “Censimento dei radical chic” ha provato a cercarla e ha trovato un’idea rivoluzionaria

Di Giacomo Papi
25 Marzo 2019 alle 14:53

Elogio della post sinistra

Non so distinguere tra destra e sinistra. L’ho scoperto qualche giorno da un agopuntore cinese: “Lei non sa, vero?”. “Che cosa non so, mi scusi?”. “Dov’è mano sinistra”. “In effetti, no, non l’ho mai saputo, ci devo pensare, ma lei come lo sa che non lo so?”. L’agopuntore mi ha fissato sospirando: “Lo dicono aghi”. Mia madre ha lo stesso problema. Dicono che sia una disfunzione neurologica che qualche volta, ma non sempre, si accompagna a dislessia e discalculia. Per ora non ha un nome, soltanto un acronimo: DDS, Disorientamento Destra Sinistra. Ne soffro come altri milioni, e forse miliardi, di esseri umani che da qualche anno – almeno in politica – non riescono più a orientarsi. Destra e sinistra sono punti cardinali come nord sud est e ovest, solo che non descrivono la collocazione geografica, ma la posizione di ognuno rispetto alla storia e a quello che avviene. Lo spaesamento è molto più grave a sinistra. Com’è fatta la destra è chiaro: coerentemente con il mandato di conservarsi e, se mai, regredire, la destra non cambia: Io, Dio, Patria e Famiglia, fede nel leader e difesa dal nemico. La sinistra, invece, è mobile e sfuggente. Una pandemia di DS – che non è il fu partito di Occhetto, ma il Disorientamento Sinistra – è avvenuta nel mondo. Per tentare di ricostituirne i confini viene citata a sproposito, circoscrivendola in insiemi sempre più piccoli: la sinistra dei Parioli, dei Maduro, dei Saviano, dei No Tav, No Tap, No Euro, la sinistra del No, la sinistra del Sì, la sinistra dura e pura, la sinistra del popolo, la sinistra dei salotti, delle élités, dei riders, degli operai, dei radical chic. La sinistra che deve tornare nelle periferie, e che non sa più la strada. Per qualcuno destra e sinistra sono parole vecchie, del Novecento, ma a dirlo sono quasi sempre quelli di destra per prendere voti a sinistra.

Era incominciata come una cosa seria, sacra, pitagorica: bene e male, luce e tenebre, angeli e diavoli, ma poi si svaccò

L’agopuntore ha scosso la testa: “La sinistra lei fa più fatica, signore”. Mi ha sfilato un ago da dietro l’orecchio: “Va meglio, vero?”. Ho alzato la destra, senza esitazioni. Chi è diventato adulto nel Novecento ha abitato un tempo più facile. Era un bimondo popolato di bicose, e noi bipedi implumi si viaggiava in bicicletta, in biplano o sui binari dei treni e dei tram. L’universo era fondato sull’immensa potenza del 2: la coppia era la struttura portante e il motore segreto del mondo. Tutto era doppio: coppie opposti in lotta tra loro – allora si chiamava dialettica – mettevano in moto il divenire e gli davano un senso. Era incominciata come una cosa seria, sacra, pitagorica: bene e male, luce e tenebre, anima e corpo, angeli e diavoli, ma poi si svaccò, specialmente in Italia. Una moltitudine di microscontri – guelfi e ghibellini, pisani e fiorentini, tolemaici e copernicani – sostituì e impersonò l’opposizione originaria finché, a fine Ottocento, lo scontro si stabilizzò nell’accoppiata destra sinistra. In Italia il confine fu tracciato di continuo, decine di volte, fino al ridicolo: monarchia o repubblica, Corriere o Repubblica, Dc o Pci, Don Camillo o Peppone, Coppi o Bartali, Rivera o Mazzola, Milan o Inter, Mina o Vanoni, proletari o padroni, romanisti o laziali, sfruttati o sfruttatori, indiani o cowboy, Usa o Urss, Rai o Mediaset. Si poteva fare confusione, ma la distinzione di base era salda: chi era di destra amava l’ordine e la gerarchia; chi era di sinistra il cambiamento e l’uguaglianza; i primi erano ricchi, in genere; i secondi più poveri; la prima difendeva i padroni (quindi, i forti); la seconda gli schiavi (quindi, i deboli). Si viaggiava su un binario che pareva immutabile, e invece il mondo si trasformava e mischiava incessantemente le carte: per paura di un peggioramento chi voleva il cambiamento si spostò sulla conservazione, chi proclamava l’uguaglianza rivalutò il merito e chi predicava l’ordine si mise a condurre vite disordinatissime. Non ci si ci capiva più niente. Poi, nel 1989, a sinistra i muri crollarono.

Si viaggiava su un binario che pareva immutabile, e invece il mondo si trasformava e mischiava incessantemente le carte   
 
Ho salutato l’agopuntore e sono uscito per strada, ma riuscivo a camminare soltanto diritto. La via di casa era un mistero, figurarsi quella per le periferie. I primi a intuire lo spaesamento furono i test estivi dell’Espresso, negli anni Ottanta. Per sapere se eri di destra o di sinistra dovevi scegliere tra slip o boxer, doccia o vasca, taleggio o stracchino. Ci si aggrappava alle cose, per non cadere nel vuoto. Anche Giorgio Gaber trasformò Destra-Sinistra in un inventario: minestrone, collant, blu jeans, pisciate in compagnia, mortadella e nutella erano di sinistra, mentre alla destra si attribuivano minestrina, reggicalze, giacca, culatello e cioccolata svizzera. Le cose sostituivano le idee, che non c’erano più. Ed erano tutte cose marchiate, un’incessante e insensata sfilata di loghi: dopo Alfa contro Lancia e Coca contro Pepsi, proliferarono Explorer contro Netscape, Microsoft contro Apple, Nike contro Adidas, Google contro Yahoo!, Tim contro Omnitel, iPhone contro Samsung (o Huawei). Mandrie di loghi vagavano allo stato brado, in una pseudo guerra di tutti contro tutti, scoppiata chissà quando e chissà perché, con l’unico scopo di fare più soldi. Il bimondo era diventato un plurimondo. I due blocchi si erano moltiplicati: miliardi di poveri incominciarono a reclamare un posto alla tavola di milioni di altri, le classi non si vedevano più, erano diventate mille oppure nessuna.

Intanto, zitti zitti, i ricchi diventavano più ricchi, e tutti gli altri più poveri. La destra, naturalmente, restò immobile. La sinistra tentò di adeguarsi, di cambiare, si aprì al mercato pur di salvare il progresso oppure si chiuse al progresso pur di salvare il lavoro, ma così facendo si perse, si scisse, esplose in frammenti, e adesso nessuno sa più dove sia.

Per tornare a casa, dovevo imparare da capo a svoltare. Mi sono messo a cercare la sinistra nei programmi dei candidati alle primarie del Pd. Ne ho analizzato la lingua e ho frugato nel lessico delle tre mozioni, senza trovare nulla o quasi. Per limitarsi alla mozione del vincitore, Nicola Zingaretti: su 7.471 parole utilizzate uguaglianza non era mai nominata e nemmeno disuguaglianza, non c’era neppure progresso, ma ho trovato un progressista (Prodi), mancavano comunisti, socialisti, socialdemocratici e derivati, l’aggettivo sociali compariva due volte, come libertà, solidarietà, ingiustizie (giustizia, invece, l’ho trovata tre volte) e diritti (ma mai civili). Di rivoluzione c’era solo quella delle donne, che avevano otto citazioni. I giovani sei. Sette parole derivavano da povertà, ma c’era un solo i ricchi. La parola più evocata era cambiamento (e affini, con 16 citazioni), un segnaposto generico per quello che una volta si chiamava progresso. Ma questa timida fede nell’avvenire era smentita dall’insistenza con cui, nella mozione di Zingaretti, comparivano concetti negativi, a ulteriore dimostrazione che – come diceva quel tale – il futuro non è più quello di una volta. Di fronte a un mondo ostile l’atteggiamento più saggio è la difesa. Destra compariva quattro volte. Sinistra solo due. Rabbia e paura avevano due citazioni, come sicurezza. Protezione una. Il lavoro era citato sette volte, precari e lavoratori due, ma non c’erano operai, contadini, sfruttati, braccianti. E il lavoro, con tutto il rispetto per l’articolo 1, non è mai stato eccitante. Ho rintracciato otto cittadini, ma neanche una cittadinanza, probabilmente per non evocare il reddito di (sia detto in un inciso: cittadinanza è una parola più bella di inclusione perché esprime il riconoscimento di un diritto e non una concessione che viene dall’alto). Quanto al popolo, l’ho letto soltanto due volte, e sempre contrapposto all’élite. Il patrimonio storico e la fonte dell’egemonia culturale della sinistra era evaporato, come neve al sol dell’avvenir. Le vecchie parole della sinistra erano scomparse, senza essere rimpiazzate da parole nuove.

Mi sono messo a cercare la sinistra nei programmi dei candidati alle primarie del Pd. Ho frugato nel loro lessico senza trovare nulla o quasi   
   
Vuoi vedere, mi son detto, che per ritrovare la benedetta sinistra prima bisogna definire popolo e rivolgersi a chi questa parola la usa a man bassa? Vuoi vedere che, davvero, oggi, per essere di sinistra, non potendo più essere popolari, bisogna essere populisti? Con sprezzo del pericolo, mi sono dedicato a scrutare i post e i commenti del sito da cui si accede alla piattaforma delle piattaforme, detta Rousseau. Richiami alla Rivoluzione francese nessuno, alla ghigliottina parecchi. Il complesso armamentario teorico del marxismo – le classi in lotta, l’alienazione, la teoria del plusvalore, il senso e la razionalità della storia, l’idea di un’umanità totale, felice e liberata – giaceva a brandelli, inghiottito e brutalmente semplificato dall’opposizione tra colpevoli e innocenti, nemici e amici, capri espiatori e linciatori. Nei commenti impazzava la famigerata figura del radical chic, etichetta ormai applicabile a chiunque: cooperanti e professori, miliardari e studenti di filologia romanza, accademici e maestri elementari, riccanza e poveranza. Un po’ come nell’Urss si diceva rinnegato. Alla fine, mi son chiesto, ma questo popolo chi definisce esattamente? Quali esseri umani ne fanno parte e quali ne sono esclusi? Chi ne traccia i confini? E’ un concetto che ha ancora senso nel plurimondo?

Nel bimondo il popolo sembrava armonico e compatto, più felice che rabbioso. Mi ci portavano spesso, da bambino, alla Casa del popolo di Montaretto, in Liguria, e mi piaceva tanto. Era squadrata e sgraziata, e lo è ancora, quasi un abuso edilizio, ma da ogni mattone, trave e piastrella trasudava la forza e la voglia di chi l’aveva costruita. Dai muri mi guardavano, eroici e paterni, Che Guevara e Ho Chi Min, Gramsci e Pertini, perfino Luigi Longo, e forse sono ancora lì. Popolo è una parola che ho amato moltissimo, con quel suo suono buffo di polpo rotondo che può accarezzare tutti. E ancora oggi piango quando, in Fuga per la vittoria, il popolo, cantando La Marsigliese, libera la squadra che gioca contro i nazisti. Ancora oggi mi commuovo quando i poveri scoppiano a ridere in quel gran film dimenticato che è I dimenticati di Preston Sturges. Ogni anno riguardo Miracolo a Milano. Mi chiedo, però, sempre più spesso, se la parola popolo non sia un inganno che nasconde in sé un germe autoritario. E’ una parola ambigua perché da una parte designa i poveri, gli esclusi, dall’altra la moltitudine che sostiene il potere. Si distingue dalla élite, ma la legittima. E’ la fonte della rivoluzione, ma anche della conservazione e della restaurazione, e lo è contemporaneamente, di volta in volta, a seconda dei tempi perché è sempre un’élite a creare il popolo, a evocarlo e tracciarne i confini. Quando il popolo ricompare, una nuova élite vuole sostituire la vecchia.

“Popolo” è una parola ambigua perché da una parte designa i poveri, gli esclusi, dall’altra la moltitudine che sostiene il potere
   
Nella sigla SPQR, Senatus popolusque romanus, il Senato è distinto dal popolo che, però, comprende soltanto una parte dei romani, non le donne e gli schiavi, per esempio. La radice è la stessa di pluralità, più, e pieno. Deriva dal latino populus che a sua volta proviene dal greco plethosπλῆθος che significa “folla”, “moltitudine”, ma esprime l’idea che le moltitudini possano essere definite, delimitate, quasi recintate. Dicono che l’etimologia derivi dalla radice indoeuropea -par o -pal che esprime l’idea di riunire, mettere insieme. Ma per farlo bisogna espellere chi non è compreso. Il popolo sono tanti, mai tutti. E’ la maggioranza che cancella la minoranza, i servi della gleba, i fuori casta e i senza diritti come i privilegiati. E’ una parola che dice noi siamo tutti e gli altri nessuno, oppure nemici che non devono esistere. E infatti l’invito di Marx “proletari di tutto il mondo unitevi” è dimenticato. La storia umana è una lotta per decidere chi decide l’insieme: i confini del popolo, della nazione o della razza, e l’origine del potere. Il contrario di popolo, forse, non è individuo, ma umanità.
 
Frugare nel populismo, quindi, era una strada sbagliata. Per un eccesso di zelo, ho cliccato controvoglia sul logo della piattaforma ben sapendo che quel figuro, Jean–Jacques Rousseau, è un filosofo che ha suscitato in me, fin da ragazzo, un’antipatia pari soltanto alla noia che provavo nel leggerlo. Tutto l’Emilio mi sono dovuto pappare, a vent’anni, i miei anni più belli. Fu il più reazionario tra gli illuministi, uno che odiava il progresso ancora prima che il progresso iniziasse. La civiltà, per Rousseau, è degenerazione, allontanamento dall’età dell’oro in cui eravamo tutti buoni selvaggi. Perché un altro tema attraverso cui cercare la sinistra è la concezione del tempo e della storia, che può confermare o negare l’idea che gli uomini, individualmente e collettivamente, possano migliorare il mondo in cui vivono. Rousseau ha seminato nella sinistra, soprattutto italiana, un germe di nostalgia per il passato, di rifiuto del presente e di diffidenza nel futuro. Il seme si piantò anche in Marx che descrive la fine della storia – la società senza classi – con tratti molto simili alla sua origine mitica, un’epoca d’oro mai avvenuta in cui la proprietà privata non era ancora stata inventata. L’idea di un tempo ciclico che si riavvolgerà su stesso fino a tornare all’inizio, è implicito anche nel concetto di rivoluzione che significa compimento di un cerchio, non sua interruzione. E così, parallelamente alla fede nel progresso, cioè all’idea che gli uomini possano fare, e non subire, la storia, dentro la sinistra agisce da sempre anche l’impulso contrario, quello a conservare, secondo la concezione pessimista secondo cui il mondo peggiori invece di migliorare.

 La fraternità se ne sta lì come un eccetera, a chiudere in rima la terzina, ma senza un’evidente necessità, quasi fosse un rimasuglio spirituale di echi massonici e cristiani, buonisti si direbbe oggi
   
In Italia questa corrente è più forte che altrove: scorre nella scomparsa delle lucciole di Pasolini (le lucciole ci sono ancora, la Montedison no), nell’Albero degli zoccoli di Olmi, giù giù fino a Beppe Grillo, riposando sull’illusione che una volta si stava meglio, anche se non è vero, e che per salvarsi occorra aggrapparsi o restaurare il passato. All’origine della crisi del modello ciclico o progressivo della storia c’è anche, forse, la fisica moderna che ha trasformato il tempo in un campo della massa, incline a curvarsi, quindi a deformarsi. Non si tratta di rifiutare la nostalgia, ovviamente, ma di non farne un programma politico. Neppure l’ecologia è immaginabile senza un futuro. Nell’Arcadia le fogne non c’erano, figurarsi i depuratori. Ma se la sinistra non è protesa in avanti, verso cosa è protesa? Se si tratta di ritornare al passato è molto più attrezzata la destra.

Insomma, continuavo a girare in tondo, come un elettrone smarrito. Dopo tanto cercare, della sinistra non avevo trovato che tracce confuse. Vagavo smarrito per la città, ubbidendo alla strategia che mi aveva consigliato l’agopuntore: “Se non sai sinistra dov’è, ma destra di più, tu pensa a destra e poi vai parte opposta”. E’ quello che faccio da mesi, forse da anni: se la destra evoca il popolo, io dico élite, se dice patria, io dico mondo, se dice pacchia, io dico tragedia. Però, non mi basta: la sinistra non può essere il riflesso uguale e contrario della destra, una reazione difensiva: ha il dovere di immaginare e raccontare mondi più belli e di provare a costruirli, altrimenti il futuro non c’è. Non può dire “abbiamo sottovalutato la paura”, deve inventarsi un modo civile di garantire la sicurezza, non deve “tornare nelle periferie” perché “le periferie”, giustamente, non hanno voglia e bisogno di ricevere delegazioni: deve immaginarle, le periferie, capire come intende trasformarle e provarci. E deve trovare una parola migliore di “inclusione”, visto che “cittadinanza” e “dignità” sono già state prese. Esiste un’espressione più deprimente di “salario minimo garantito”? Quale pazzo masochista potrebbe galvanizzarsi per un “salario” – parola antica che evoca sudore, fatica, schiavitù, antichi romani e braccianti – che per di più è “minimo”? La crisi della sinistra è anche una crisi linguistica che nasce dall’incapacità di immaginare e nominare il futuro. Chi ha poco oggi e non può sperare niente domani segue chiunque gli prometta qualcosa.
 
E’ la fraternità che rende universali uguaglianza e libertà, trasformandole in diritti umani che valgono per qualsiasi condizione, intelligenza e paese
               
Ma anche io ero in crisi. Il mio girovagare si avvolgeva su se stesso. Di svolta in svolta, rifuggendo tutto ciò che puzzava di destra, mi sono ritrovato al punto di partenza. Ero entrato in un circolo vizioso. Infatti ho alzato gli occhi e c’era l’insegna di un circolo del Pd. Poi ho pensato che in un solo caso a un uomo di sinistra è permesso tornare indietro. Quando si perde la strada e ogni decisione si dà nella forma del bivio indecidibile, l’unica cosa da fare è ripartire da capo, cercare l’origine, osservarla e rimettersi in cammino. Dovevo riandare all’istante in cui l’alternativa tra destra e sinistra si manifestò per la prima volta. Era il 5 maggio 1789, ventinove anni prima che Karl Marx nascesse e trentadue prima che Napoleone morisse. A Versailles si radunavano gli Stati Generali per varare la Costituzione e decidere sul veto del re. La struttura dell’assemblea era ancora verticale, com’era sempre stata: il re sedeva in alto, sul trono, la regina al suo fianco, sotto stava la corte, poi il clero e in fondo alla sala, sui seggi più bassi, il Terzo Stato, composto da borghesi, contadini e operai. La discussione durò fino all’11 settembre, ma già il 28 agosto, quando si incominciò la discussione sul veto del re, la forma spaziale, quindi gerarchica, dell’assemblea si era dissolta. La piramide era franata perché i 1.145 deputati avevano preso l’abitudine di raggrupparsi in zone diverse: a destra i 375 favorevoli a mantenere il potere regio di veto, a sinistra i 673 che l’11 settembre avrebbero votato per la sua abolizione. La distinzione tra destra e sinistra implica, insomma, l’uguaglianza politica degli uomini, il loro uguale diritto ad esprimersi sulla società in cui vivono, sulla propria vita. Negare questa differenza, come si fa oggi, significa negare il principio politico su cui si basa la democrazia moderna.

L’agopuntore sarebbe stato orgoglioso di me, avevo trovato la prima parola, ed era lì da sempre, pronta per essere colta: Égalité. Anche la seconda bastava raccoglierla: Liberté. L’uguaglianza è nulla se non si accompagna alla libertà, cioè al diritto di ognuno di essere uno e non di qualcuno. Non può esserci uguaglianza senza libertà. La triade della rivoluzione francese si stagliava maestosa: Égalité, Liberté, Fraternité (motto a cui nel 2015, in un post sul Blogdellestelle, l’attuale sottosegretario di Stato agli Affari esteri Manlio Di Stefano ha simpaticamente aggiunto Affanculé). Chi era stato il genio che aveva accostato le tre parole? Ho svolto più approfondite ricerche. Sull’origine dei primi due termini gli storici sono concordi: compaiono nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo emanata il 26 agosto 1789, due giorni prima che la struttura piramidale del potere crollasse. L’origine di Fraternité, invece, è molto più oscura. C’è chi la fa risalire a un discorso di Lafayette, chi a un testo mai pubblicato di Robespierre, chi a un saggio del 1774 di Marat. E infatti, ancora oggi, la fraternità è misteriosa: se ne sta lì come un eccetera, a chiudere in rima la terzina, ma senza un’evidente necessità, quasi fosse un rimasuglio spirituale di echi massonici e cristiani, buonisti si direbbe oggi. E’ una parola lontana dall’attitudine laica, quasi scientifica, delle prime due. Che ci sta a fare? Serve davvero a distinguere destra e sinistra? Uguaglianza e libertà sono obbiettivi, la fraternità è un’intenzione. Può essere un valore politico? 

E’ la fraternità che vieta di recintare il bene dentro i confini della tribù, della classe e della famiglia, confini che escludono e respingono gli altri

Nel corso della sua storia la sinistra ha oscillato tra Uguaglianza e Libertà: quando ha privilegiato la prima ha calpestato la seconda e quando si è sbilanciata sulla libertà ha dimenticato dell’uguaglianza. Nel primo caso ha prodotto infelicità di massa, lavoro schiavo e milioni di morti. Nel secondo ha assecondato gli spiriti animali del capitalismo, cercando di attutirne gli effetti. Per ritornare sinistra deve trovare un nuovo equilibrio. Questo equilibrio è la Fraternità, senza la quale le altre due non potrebbero mai stare insieme. Perché la fraternità è la fatica che permette di non sbilanciarsi, di non preferire la libertà del più forte al diritto del più debole (o scarso, o stupido, o stronzo). E’ lo sforzo di considerare, cristianamente, ogni uomo un uomo, quindi un fratello perché senza considerarsi fratelli è impossibile riconoscere il diritto all’uguaglianza e alla libertà altrui. L’illuminismo fu rivoluzionario in questo: nel contrapporre all’idea di Hobbes che l’uomo fosse lupo dell’uomo, quindi all’accettazione del sopruso come legge della società e della storia, il bisogno di credere e fidarsi degli altri, e di farlo senza appellarsi a Dio, ma come una libera scelta, una scommessa e una speranza, non importa se destinata a fallire. La fratellanza è un’intenzione, non può essere acquisita per sempre. Va creduta ogni giorno. L’utopia della sinistra, per me, è tutta qui. Che poi la rivoluzione francese sia finita nel sangue e che il marxismo abbia circoscritto la fratellanza alla classe sociale, ai compagni, trasformando la storia in uno scontro perenne, non è che la riprova del fatto che senza fraternità, gli esseri umani sono destinati a essere soli e a scannarsi. Oppure a riunirsi in tribù – e un effetto del web è produrre bolle tribali. I fratelli si uccidono dai tempi di Caino e Abele, Romolo e Remo, ma accettarlo come legge della storia – come fa la destra – vuol dire rinunciare alla speranza e all’idea del progresso. Significa accettare che l’umanità sia condannata per sempre.
   

Mi guardavo intorno nella strada, guardavo i passanti. Non erano belli, sembravano stanchi, incazzosi, distratti. Uno non si sceglie i fratelli che ha. Li può criticare, insultare, ci può litigare, ma può scegliere se fidarsi e correre il rischio, anche se sono rom, nigeriani, tassisti leghisti, elettricisti maschilisti, interisti, fascisti. Sempre più spesso mi ritorna in mente la frase di un romanzo molto bello e pochissimo noto – Il paese dell’acqua di Graham Swift: “‘E non dimenticare’, diceva mio padre, come se si aspettasse che da un momento all’altro partissi per andare a cercar fortuna nel vasto mondo, ‘che qualsiasi cosa tu apprenda sugli uomini, per quanto cattivi siano, ognuno di loro una volta era un bambino piccolo che succhiava il latte della mamma…’”. Svenevole, molto, però ci penso lo stesso. Retorico, anche, lo so, ma senza retorica che ci stiamo a fare nel mondo? E’ la fraternità che rende universali uguaglianza e libertà, trasformandoli in diritti umani che valgono per qualsiasi condizione, intelligenza e paese. E’ la fraternità che vieta di recintare il bene dentro i confini della tribù, della classe e della famiglia, confini comodi che necessariamente escludono e respingono gli altri: il popolo, la Nazione, la razza. E’ la fraternità che fa finire le guerre anche se poi ricominciano, come fece Mandela quando trovò il coraggio di fare la pace. E’ la fraternità che riconosce che gli altri sono altri, non soltanto amici o nemici. Ero a un bivio e, finalmente, potevo scegliere se andare a destra, e accettare l’idea che gli altri siano pericolosi, oppure a sinistra e fidarmi. La sinistra, forse, è la fiducia negli uomini, che è sempre una scelta, un rischio che puoi correre o no. Dopo avermi sfilato l’ultimo ago dal collo, l’agopuntore cinese, scrutandomi, aveva pronunciato la diagnosi: “E’ sempre questione di distribuire energia”, ha detto, “di riequilibrare parte debole e forte del corpo”. Fratelli, per la sinistra riequilibrare le parti vuol dire migliorare l’intero.

Da - https://www.ilfoglio.it/politica/2019/03/25/news/elogio-della-post-sinistra-245210/


 45 
 inserito:: Aprile 25, 2025, 12:18:44 pm 
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Post della sezione Notizie

Elio Truzzolillo

COERENZA
Mi si permetta uno sconfinamento nel narcisismo trumpiano.
Io a fine anni ‘90 e agli inizi di questo millennio consideravo degli imbecilli i ragazzotti no-global che protestavano contro la “globalizzazione” (in particolare all’epoca il bersaglio era il WTO), adducendo come motivo che era un modo per fare aumentare i profitti delle multinazionali occidentali sfruttando ancor di più i paesi in via di sviluppo.
Da allora si è assistito a una incredibile diminuzione della povertà e della fame nel mondo. Inoltre i paesi più poveri hanno mediamente  aumentato il loro benessere molto di più di quanto abbiano fatto quelli più ricchi (guarda caso facendo la fortuna delle destre estreme che sono diventate a loro volta i neo no-global).
Ora quegli stessi ragazzotti, divenuti adulti, si scagliano contro i dazi di Trump per lo stesso motivo (aumenteranno povertà e fame nel mondo).
Sono abbastanza fiero di non aver cambiato idea e di potermi permettere di criticare Trump, in modo feroce, sulla base di una visione coerente e non sulla base di una semplice antipatia politica ballerina che può sostenere tutto e il contrario di tutto a seconda del nemico da attaccare.

---

Luther Blissett
Elio Truzzolillo
I dati dicono anche questo
Nel 1996 il tasso di povertà relativa era del 7,2%
Nel 2000 il tasso di povertà relativa era del 6,5%
Nel 2019 il tasso di povertà estrema era dell'8,4%
Nel 2024 il tasso di povertà mondiale si attesta attorno al 10% .
Accostare i no global dei primi anni del nuovo millennio con i movimenti d'opinione complotto-sovranisti di oggi è piuttosto azzardato.
Confido nella tua onestà intellettuale ed eventuale approfondimento sul tema.

    Rispondi

Alex Orsi
Quando leggo "neoliberismo" automaticamente tutto quello che segue diventa un puro esercizio ideologico scollato dalla realtà.
Non solo la AI prende cantonate o comunque sintetizza le milioni di informazioni online che comprendono quelle ultrabiased che sono quelle più fequenti visto che i gonzi che si bevono oxfam poi riportano a pappagallo mille volte più di quanto non facciano quelli che cercano di inquadrare, contrstualizza e spiegare i fenomeni con dovizia e cognizione.
Quindi è tutto confirmation bias.
Il tutto si potrebbe sintetizzare con un "fotte sega se i più ricchi sono sempre più ricchi, se i poveracci sono meno poveracci, anche se la forbica aumenta".
Affrontando il problema in questo modo al limite si potrebbe provare a creare una ratio e un approccio razionale alle politiche sistemiche per fare in modo che la crescita sia costante per tutti e possa aiutare anche i poveracci a crescere ancora di più.
Mentre con l'ideologia e la vanvera stile "colpa del neoliberismo" si va solo incontro al nulla nella migliore delle ipotesi.
PS: i no global, di ieri, oggi e domani sono solo idioti, ignoranti e in tanti anche in malafede.
A cominciare da NK.

da FB del 13 aprile 2025.

 46 
 inserito:: Aprile 25, 2025, 12:15:39 pm 
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Antonella Cicalò B. Riganti
Veramente pensi che questo basti a cancellare gli insulti di Bibi e del figlio -dico figlio- di Toaff. E poi, di sabato bombardano, potranno pure andare ai funerali.

Rispondi

Autore
Emanuele Fiano
Antonella Cicalò B. Riganti ho l’impressione che lei non sappia di cosa scrive. Il Rabbino capo di Roma è un cittadino italiano di religione ebraica. Netanyahu è un cittadino israeliano criticabilissimo per quello che vuole, ed il primo a criticarlo sono io. Ma vorrei chiederle, lei ha mai pronunziato parole così confondenti e dure chiedendo agli islamici italiani di rispondere per le colpe degli islamici in Siria, in Egitto, in Turchia, in Arabia Saudita, in Iran? Ha mai colpevolizzato un Imam italiano o il capo degli Imam italiani per il massacro dei 500,000 civili siriani? E ha ma chiesto ad un sacerdote cristiano ortodosso di rispondere dei massacri dell’ortodosso Putin? E infine essere figlio di, cosa significa? Ariel Toaff risponde per quello che scrive lui, sempre che lei non pensi che meriti o colpe si trasmettono per forza di padre in figlio.

da FB del 24 aprile 2025

 47 
 inserito:: Aprile 23, 2025, 12:30:21 am 
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Orio Giorgio Stirpe

La Tregua di Trump?

Naturalmente è ancora presto per discuterne approfonditamente, ma sembra stia emergendo una bozza di “piano” americano di base per portare Kyiv e Mosca a una trattativa.
Cerchiamo di mettere a fuoco la cosa: si tratta di un piano DI BASE: non è la soluzione finale del conflitto, ma semplicemente la base su cui impostare una successiva trattativa; trattativa che a sua volta dovrebbe condurre ad un cessate il fuoco, non alla “pace”. Quindi la risoluzione politica del conflitto sarebbe comunque rimandata a data da destinarsi, e cioè ad un momento in cui le condizioni politiche generali evolvessero ad un livello tale per cui fosse possibile addivenire ad una soluzione definitiva accettabile dalla comunità internazionale: in sostanza, una soluzione “tedesca”, dove la DDR è sopravvissuta fintanto che l’Unione Sovietica ha potuto mantenerne il controllo militare.
Trattandosi di una proposta di “piattaforma contrattuale” e non di un “piano” finalizzato, è ovviamente molto generico e pieno di punti da chiarire in sede di trattativa. Nelle sue forme generali però di massima suddivide il territorio ucraino in tre zone principali: tutti i territori a ovest del Dnipro cadrebbero sotto la protezione armata di una “coalizione di volenterosi” su base europea (per ora anglo-francese), e sostanzialmente sarebbe coperta dall’equivalente dell’”Art.5” dell’Unione Europea; la Russia manterrebbe il controllo militare e dunque l’amministrazione dei territori attualmente occupati; l’Ucraina manterrebbe l’esclusivo controllo militare dei territori residui fra la sponda orientale del Dnipro e l’attuale linea del fronte. Ovviamente l’amministrazione di tutto il territorio ucraino non occupato sarebbe esclusiva pertinenza ucraina; la linea del fronte diventerebbe una “linea di demarcazione” e potrebbe prevedere – ovunque o in determinati tratti – una “fascia smilitarizzata” larga fino a 30 chilometri.
Per una volta, assistiamo alla presentazione di una “piattaforma” relativamente realistica: innanzitutto sarebbe militarmente fattibile e sostenibile, poi scontenterebbe entrambi i contendenti quanto basterebbe a rendere la trattativa almeno ipotizzabile, lasciando ad entrambi la possibilità di reclamare una “vittoria” più o meno verosimile.
Detto questo, vediamo le implicazioni militari di questa piattaforma.
Innanzitutto la natura della “Forza dei Volenterosi”: non si tratterebbe di “peacekeepers”, non sarebbero sotto l’ONU, e soprattutto non sarebbero schierati nella “fascia smilitarizzata”, come abbiamo cercato di spiegare per mesi. Si tratterebbe di una forza da combattimento e di dissuasione, come le forze NATO schierate a suo tempo nella Repubblica Federale tedesca per dissuadere un’invasione da parte del patto di Varsavia: a parte elementi da ricognizione, queste forze erano dislocate in profondità, a distanza di sicurezza da un attacco di sorpresa, e in grado di reagire con prontezza ad un’aggressione. Di fatto, con la loro presenza sul terreno queste forze offrirebbero all’Ucraina una garanzia equivalente all’Art.5 della NATO su tutto il territorio a ovest del Dnipro, garantendo definitivamente la sopravvivenza, indipendenza e sovranità dell’Ucraina nell’ambito della EU.
Per quanto riguarda la “fascia smilitarizzata”, il suo controllo dipenderebbe da “peacekeepers” che nulla avrebbero a che fare con la “Forza dei Volenterosi”: si tratterebbe in questo caso sostanzialmente di osservatori militari, magari assistiti da elementi leggeri per il sostegno logistico e la protezione immediata, presumibilmente sotto responsabilità ONU e probabilmente forniti da Nazioni quali India, Nigeria o Brasile. Il suo scopo sarebbe esclusivamente monitorare la situazione, investigare eventuali violazioni e tenere fisicamente separati i contendenti: un po’ come a Cipro. In alternativa, potrebbe anche essere una fascia più ristretta e semplicemente abbandonata, intensivamente minata e sottoposta al controllo da remoto delle forze contrapposte, come in Corea. È anche facilmente presumibile che questa “fascia” non esisterebbe in corrispondenza del settore dove la linea di contatto corrisponde al fiume Dnipro, e probabilmente nemmeno dove coincide con la frontiera di Stato internazionalmente riconosciuta, dove sarebbe al massimo ridotta a pochi metri.
Un gran numero di aspetti collaterali, primo fra tutti il controllo dello spazio aereo, sarebbero lasciati alle successive trattative.
Fin qui, quanto si riesce a capire al momento sulla proposta americana, come ventilata dal generale Kellogs. Esiste anche la versione rilanciata da Mosca, secondo cui la zona lasciata in mano russa dovrebbe corrispondere agli attuali confini occidentali degli Oblast unilateralmente annessi da Mosca nel 2022, ma si tratterebbe di un “non-start”, in quanto è assolutamente escluso che Kyiv possa anche solo sedersi a un tavolo dove la discussione partisse da una piattaforma che richiedesse un preventivo arretramento ucraino.
Ma si tratta di una piattaforma credibile?
Come detto sopra, per la prima volta si tratta di una proposta realistica: non prevede arretramenti da parte di nessuno dei due contendenti, se non in misura minima, e non ha la pretesa di risolvere definitivamente il conflitto ma unicamente di addivenire ad un “cessate il fuoco” più o meno stabile. Ove avesse successo, l’Ucraina otterrebbe il definitivo riconoscimento della sua sovranità accompagnato da una solida garanzia e dalla certezza della successiva integrazione in ambito europeo e occidentale, e dovrebbe in cambio rinunciare PROVVISORIAMENTE al ristabilimento dell’integrità territoriale; la provvisorietà sarebbe indefinita (Mesi? Anni?), e il vantaggio sarebbe la fine del conflitto guerreggiato, nella considerazione che la riconquista dei territori occupati potrebbe richiedere molto tempo e molte ulteriori perdite.
Di contro, la Russia otterrebbe il controllo a tempo indeterminato dei territori occupati e accederebbe ad un “confine” militarmente più difendibile del precedente, con la conseguente possibilità di millantare una “vittoria” sul campo grazie all’acquisizione di territori precedentemente non occupati.
A questo punto, la discriminante circa la convenienza o meno di questa piattaforma per l’Ucraina andrebbe individuata sul mantenimento o meno delle sanzioni alla Russia: se queste fossero tolte, nel giro di quattro anni un rinnovo dell’aggressione russa ai danni della zona NON coperta dalla garanzia europea sarebbe estremamente probabile in quanto porterebbe la Russia a controllare un “confine” (anche se non internazionalmente riconosciuto) ancora più favorevole. Se invece fossero mantenute, una ripresa militare russa sarebbe virtualmente impossibile e il degrado economico russo procederebbe fino ad un probabile collasso in tempi difficilmente prevedibili ma comunque non troppo distanti: collasso che consentirebbe un successivo reintegro pacifico dei territori occupati. Ogni eventuale “via di mezzo” circa le sanzioni andrebbe valutata ragionando fra questi due estremi.
Fin qui, la diplomazia. Poi però c’è la situazione sul campo.
La situazione sul campo – quella puramente militare – si presenta sempre più grave per i russi e sempre più promettente per gli ucraini, soprattutto in campo aereo. Il post è già lungo abbastanza senza riproporre ancora una volta gli aspetti tecnici che supportano questa mia affermazione, per i quali rimando all’audizione del generale Cavoli al Congresso, ma la sostanza del discorso è che in base all’attuale tendenza di sviluppo delle capacità ucraine e di sostegno occidentale, sarà possibile addivenire al collasso militare russo in tempi assai più brevi rispetto al collasso economico raggiungibile per via diplomatica mantenendo le sanzioni. Quello che però occorre ricordare, è che tanto l’Europa quanto l’America intendono evitare ad ogni costo che la Russia raggiunga un collasso sociale, le cui catastrofiche conseguenze sommergerebbero di profughi l’intero continente e costringerebbero a spese militari spaventose per stabilizzare la Federazione Russa.
Alla luce di quanto sopra, mi azzardo a prevedere che gli ucraini potrebbero accettare di trattare sulla base della piattaforma sopra esposta, probabilmente nell’intento di prolungare le trattative abbastanza a lungo da addivenire nel frattempo al collasso militare russo, con l’intento eventuale di accettare l’accordo e aspettare quello economico ove quello militare non si verificasse abbastanza presto.
ORIO GIORGIO STIRPE

da Fb del 12 aprile 2025

 48 
 inserito:: Aprile 23, 2025, 12:25:34 am 
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SEGNALIAMO QUI LE OFFESE, LE INGIUSTIZIE, LE TRUFFE PATITE DALLA SOCIETA'.
Gianni Gavioli  ·
Amministratore
Esperto del gruppo in Realtà virtuale

E' possibile che sotto questa immondizia ci possa essere concime per i fiori del domani?
E' possibile che guardando una trasmissione d'indagine televisiva, ci si ritrovi complici ignari di porcherie simili o peggiori, praticate da anni nel bel mezzo dell'Europa.
Come per esempio:
*Stati che favoriscono ammucchiate di evasori fiscali,
*oppure altri che godendo delle risorse dell'Unione si professino apertamente alleati di Stati nostri NEMICI,
*o peggio deputati e senatori si battano per Sfasciare la Nazione in cui sono nati e cresciuti, per soddisfare la loro smania di potere di gruppo, ottenuto nonostante le loro misere caratteristiche umane e sociali.
E noi, Opinione Pubblica, ci si lasci imbrattare da simili lordure senza reagire in favore dell'Unione tra Democrazie allo Sfascio?
ggg

...
Che Tempo Che Fa

Voi vorreste essere amici di un maschio anziano molto ricco che dice: mettetevi tutti in fila per baciarmi il culo? Oppure vi dice: il modo migliore per prendersi una donna è metterle una mano in mezzo alle gambe?
E vorreste essere amici di una signora che ha sparato al suo cane perché non era bravo nella caccia, e si è fatta un selfie davanti a una grande gabbia piena di uomini seminudi, stipati come immondizia da smaltire, e dice con un sorriso di trionfo “questa è la fine che fanno i nostri nemici?”
No, sono sicuro che non vorreste essere amici di persone così. Qualunque sia la vostra idea politica, sinistra, destra, non pervenuto, sono sicuro che gli arroganti e i violenti non sono le persone che, nella vostra vita quotidiana, preferite frequentare.
La grande domanda alla quale siamo chiamati a rispondere è diventata questa: ma perché così tanta gente vota per i mascalzoni? Perché così tanta gente manda nei palazzi di governo persone che non inviterebbe a casa propria?
Una teoria abbastanza diffusa dice: ognuno ha i governanti che si merita. La gente vota per i prevaricatori perché vorrebbe prevaricare, vota per i razzisti perché è razzista, vota per gli odiatori perché odia. È stata la mia tesi fino a poco tempo fa. Sì, ognuno ha i governanti che si merita.
Ultimamente però ho qualche dubbio. Molti dei governanti mi sembrano talmente ignobili, che penso siano peggiori di chi li elegge. Quella che spara al suo cane, quello che dice baciatemi il culo, quello che urla con la motosega in mano, non sono uguali a chi li vota. Sono il lato peggiore di chi li vota. Ognuno di noi, con poche eccezioni, ha in corpo la violenza e la sopraffazione, e ha in corpo la gentilezza e la socialità. Il bene e il male non sono fuori da noi. Il bene e il male siamo noi.
La vera domanda, allora, è un’altra. Perché solo la prepotenza riesce a dare a se stessa una forma politica? Perché la prepotenza riesce a organizzarsi, e a vincere? E perché la gentilezza, al contrario, sembra muta, annichilita? Possibile che il pensiero, la riflessione, il rispetto degli altri, la cultura, il senso dell’uguaglianza, il sentimento della giustizia, non siano più valori spendibili in politica? Nella vita quotidiana sì, e in politica no?
Chi troverà una risposta a questa domanda salverà il mondo. In attesa di quel momento, l’unico consiglio che mi sento di dare è che la parte gentile non deve spaventarsi. Non deve avere paura della parte bulla. Perché la parte bulla, molto spesso, è più stupida e impotente di quello che fa finta di essere. Non deve atterrirci. Soprattutto, non deve zittirci. Per esempio, a Trump bisogna rispondere, con un sorriso: guardi, il culo se lo baci da solo, che noi abbiamo cose più importanti da fare. E soprattutto, molto più piacevoli. E un istante dopo farla, una cosa più piacevole, e possibilmente farla in tanti.
- Michele Serra

 49 
 inserito:: Aprile 23, 2025, 12:23:09 am 
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Post di Marco

Marco M. Freddi

PARMA: SICUREZZA, DISAGIO SOCIALE E LA NECESSITÀ DI UNA RISPOSTA POLITICA INTEGRATA
Negli ultimi dieci giorni, Parma e la sua provincia hanno vissuto un’ondata di episodi di microcriminalità che il giornalista Christian Donelli, in un’inchiesta pubblicata su ParmaToday, ha tracciato con una mappa, raccogliendo almeno una ventina di episodi avvenuti in meno di due settimane.
Due episodi al giorno, molti dei quali commessi da minorenni o giovanissimi, alcuni addirittura in trasferta, come nel caso dei baby rapinatori partiti da Parma per agire a Piacenza.
Un fenomeno che coinvolge molteplici dimensioni: sicurezza, disagio sociale, immigrazione, marginalità urbana e impoverimento educativo.
A fronte di questi fatti, serve una riflessione profonda e concreta, non solo all’interno delle istituzioni, ma anche nella società civile. Come scrive Gabriele Balestrazzi, in un suo post, non bastano le lamentele né le passerelle politiche: bisogna avere il coraggio di porsi alcune domande fondamentali, rivolte al Consiglio comunale e alle autorità di pubblica sicurezza:
1. Quante persone stanno agendo oggi a Parma in un contesto di illegalità, e quanti sono i giovani coinvolti?
2. Quante pattuglie abbiamo ogni giorno per contrastare efficacemente questa microcriminalità, e se non bastano, siamo disposti a chiedere più risorse al Viminale?
3. Qual è il piano operativo per presidiare le zone più a rischio e prevenirne il degrado?
4. E soprattutto, quali strumenti sociali e culturali mettiamo in campo per intervenire sulle cause profonde di questi fenomeni, soprattutto quando coinvolgono minorenni?
A queste domande non si può rispondere con slogan o proclami. Occorre una strategia multilivello. Credo che a livello Amministrativo l’arrivo dell’esercito sia servito solo per innalzare la percezione di insicurezza nei cittadini e di chi arriva in treno a Parma, credo la miglior risposta in termini preventivi sia il rafforzamento del presidio del territorio da parte della Polizia municipale riformata e desindacalizzata, libera dai vincoli che oggi impediscono un'efficace presenza - a piedi - continua nei quartieri, giorno e notte.
Dall'altro, non può esserci sicurezza senza coesione sociale. Parma ha bisogno di investire nei servizi di strada, nei centri giovanili, nei mediatori culturali, in una rete educativa che torni a intercettare i ragazzi prima che finiscano nel circuito della devianza e non ultimo, in luoghi di accoglienza dei poveri che vivono per strada e che tanto contribuiscono alla negativa percezione della sicurezza dei cittadini. Non possiamo limitarci a invocare il carcere o l'espulsione. Non si può pensare, come dice Gabriele Balestrazzi di "triplicare via Burla" come unica risposta.
È anche tempo di affrontare a livello nazionale il nodo della legge Bossi-Fini. Una norma che condanna all’irregolarità migliaia di persone che non potendo per legge ricercare lavoro, non possono emergere dalla marginalità e sono costretti a lavorare in nero o finire tra le braccia dell’illegalità, tutta italiana.
CHI È IRREGOLARE NON È AUTOMATICAMENTE DELINQUENTE, MA, GRAZIE ALLA BOSSI-FINI, VIENE SPINTO VERSO L’ILLEGALITÀ PERCHÉ ESCLUSO DAL MONDO DEL LAVORO E DELLA CITTADINANZA. La regolarizzazione di tutti coloro che sono sul nostro territorio che lavora o vuole lavorare, è un atto di giustizia ma anche di sicurezza collettiva.
Ma ancora più in profondità, è necessario guardare in faccia le cause strutturali dell’impoverimento umano ed economico che colpisce le città italiane, europee e di tutto l’Occidente.
Viviamo una fase storica segnata da decenni di disinvestimento nei servizi pubblici, delocalizzazioni selvagge, crisi ambientali, aumento del costo della vita, erosione del lavoro stabile e frammentazione del tessuto sociale. Famiglie sempre più sole, giovani privati di prospettive, comunità impoverite e quartieri dove lo Stato è percepito come assente.
Questi fenomeni – la precarietà lavorativa, il caro affitti, la mancanza di servizi di prossimità, la perdita di senso collettivo – sono le vere radici del disagio. In questo contesto si radicano la rabbia, l’indifferenza, la violenza. La marginalità non nasce dal nulla: è figlia di una lunga serie di scelte politiche, spesso miopi, che hanno prodotto esclusione, solitudine e paura.
Serve una nuova politica dell’accoglienza, fondata sulla realtà e non sull’ideologia. Così come serve una nuova politica urbana che sappia abitare il territorio, riconoscere la complessità e DARE RISPOSTE UMANE OLTRE CHE SECURITARIE.
Povertà economiche e povertà di relazioni vanno affrontate insieme, altrimenti non ci sarà alcuna sicurezza possibile.
La mappa tracciata da Donelli è un campanello d’allarme, ma anche un’opportunità per agire. Spetta alla politica, tutta, uscire dalle frasi fatte e assumersi la responsabilità di costruire soluzioni reali. E spetta ai cittadini pretendere questa responsabilità. La sicurezza non può essere solo repressione. È anche prevenzione, ascolto, inclusione. Solo così Parma potrà tornare ad essere percepita come una città sicura, vivibile e giusta per tutti.

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 inserito:: Aprile 23, 2025, 12:20:23 am 
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Gianni Gavioli  ·
Amministratore
Esperto del gruppo in Realtà virtuale

E' possibile che sotto questa immondizia ci possa essere concime per i fiori del domani?
E' possibile che guardando una trasmissione d'indagine televisiva, ci si ritrovi complici ignari di porcherie simili o peggiori, praticate da anni nel bel mezzo dell'Europa.
Come per esempio:
*Stati che favoriscono ammucchiate di evasori fiscali,
*oppure altri che godendo delle risorse dell'Unione si professino apertamente alleati di Stati nostri NEMICI,
*o peggio deputati e senatori si battano per Sfasciare la Nazione in cui sono nati e cresciuti, per soddisfare la loro smania di potere di gruppo, ottenuto nonostante le loro misere caratteristiche umane e sociali.
E noi, Opinione Pubblica, ci si lasci imbrattare da simili lordure senza reagire in favore dell'Unione tra Democrazie allo Sfascio?
ggg

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