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 inserito:: Dicembre 08, 2025, 07:07:38 pm 
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Abbiamo BISOGNO di 30 OLIVISTI in pectore

Gianni Gavioli
 ha aggiornato la descrizione del gruppo ARLECCHINO EURISTICO, VIVERE LA REALTA' di Oggi e L'IDEA di Futuro.
Amministratore
Esperto del gruppo
Arlecchino é il mio nickname e non l'ho scelto a caso, nel fine anni 90.

Ero presente sul web come attivo nel forum ulivo.it - ero e sono ancora convinto, che quell'IDEA fosse risolutiva delle molte ingiustizie e infamità che ci afliggono da decenni.
I maramaldi di ogni tipo l'hanno prima ostacolato, poi di fatto soppresso, non soltanto come forum.
Eravamo a fianco del CentroSinistra, ma INDIPENDENTI e viaggiavamo soltanto sul nostro "carro", senza maniglie appese ad altri carrozzoni.
Da tempo voglio riprendere quell'IDEA CON SOLUZIONE DI CONTINUITA' di Progetto, (diverso il progetto ma non l'idea) rispetto al passato.
Sarà OLIVO POLICONICO (molteplicità di azione sociale e politica, da concordare, ma senza CORRENTI) e se ce la faremo avrà una sua Piattaforma di dialogo e comunicazione con la GENTE.
Abbiamo BISOGNO di 30 OLIVISTI in pectore per avviare le "eliche" e smuovere gli animi per farlo decollare.
Se non ci riuscirò continuerò a far girare "altro".
Tanto non ho molto tempo poi passo la mano a, ... nessuno.

ggianni41@gmail.com
http://forum.laudellulivo.org/index.php
ciaooo

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 inserito:: Dicembre 08, 2025, 06:43:26 pm 
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Dentro la questione meridionale

di Santo Prontera
PARTE I
Le cause storiche e i fattori ostativi di carattere politico-culturale

Un primo problema, di fondamentale importanza: il grado di consapevolezza storica dell’opinione pubblica circa la genesi della questione meridionale
La soluzione della QM deve diventare nuovamente – come e più di un tempo – una grande questione nazionale. Tale obiettivo non può essere però raggiunto se non tornano a diventare patrimonio nazionale -comune al Centro-Nord e al Sud- le ragioni storiche e politiche che hanno generato l’annoso dualismo territoriale.

      La dicotomia Nord/Sud, che nella sostanza è stata generata dalla politica, potrebbe trovare una soluzione con gli strumenti della politica. A ciò però si oppone una diffusa sottocultura ostile, che con la Lega ha trovato un potente strumento di affermazione politica, giungendo alla condizione di posizione politico-culturale preminente, e sotto certi aspetti addirittura egemone.
      Tale sottocultura non è un fatto nuovo in sé. Esisteva già. Ma con l’ascesa della Lega si è imposta sulla scena politica nazionale, determinando una fortissima involuzione della medesima. La sua notevole forza sta nel fatto che non è circoscritta solo alle dimensioni elettorali della Lega, ma va ben oltre questa forza politica. Una volta sdoganata dal fenomeno leghista, infatti, essa ha mostrato un forte potere di condizionamento dell’intero sistema politico, perché gli altri partiti non solo non sono riusciti a contrastarla –a volte non hanno voluto farlo-, ma ne sono generalmente diventati succubi, o addirittura suoi veicoli, a causa di un vero e proprio crollo etico-politico e culturale di quasi tutto il personale politico espresso dai partiti nell’epoca neoliberista. La conseguenza concreta di tutto ciò è costituita da una fortissima involuzione delle politiche dello Stato verso il Mezzogiorno. La QM, che richiedeva passi avanti, ha così finito per fare molti passi indietro.
      Pur se vasta e profonda, la zona culturale di cui stiamo parlando -variamente affiliata in sede politica- non ha basi reali, ma è frutto di disinformazione storica, luoghi comuni e povertà etico-politica. Tutto ciò rende la questione meridionale scarsamente intelligibile e oltremodo divisiva al giorno d’oggi a livello di opinione pubblica.
      Quanto precede costituisce –con la sua mole- uno dei fattori più poderosi tra quelli che si oppongono alla realizzazione di politiche effettivamente volte al riequilibrio territoriale. Se infatti da un lato è facile comprendere che (sotto molti aspetti) lo sviluppo del Mezzogiorno sia un interesse primario dell’intero Paese, dall’altro lato, se –per la sopraggiunta involuzione culturale di cui sopra- si prescinde dalle reali vicende dello Stato unitario -che non sono né quelle presentate dalla storia ufficiale né quelle del leghismo o quelle espresse dalle posizioni neoborboniche- non si comprende come la programmazione di quello sviluppo sia un atto dovuto e nel contempo un obiettivo assolutamente necessario per l’intero Paese. Non tutta, ma una cospicua parte dell’opinione pubblica settentrionale –non per sua colpa, bensì, come già detto, per una colpevole narrazione ufficiale che mistifica l’intera vicenda della vita nazionale unitaria- considera infatti le risorse da destinare al Sud come un’indebita concessione e un’operazione in perdita. Non comprende, in definitiva, che la ricchezza generata attualmente su una qualsiasi parte del territorio nazionale ha un carattere sistemico e diacronico –con cause ed effetti dislocati nei tempi lunghi del passato-.
      La lezione che, pur se in forma sintetica, si trae da quanto detto fin qui, sulla scorta di una disamina storica e della cronaca politica, è la seguente: un fatto di ordine culturale, come la diffusa carenza di cultura storica e di spessore etico-politico, è diventato, senza alcun fondamento reale (perché fatto di miti e luoghi comuni), un fatto politico estremamente influente, con una grandissima dose di negatività. Il “fatto culturale” (ossia, come già visto, la pseudocultura e il primitivismo etico-politico del leghismo e delle sue figliolanze) non è solo “matrice” di un orientamento politico senza basi storiche; a sua volta è stato anch’esso un prodotto politico, come ben sa il mondo della cultura storica e come cercheremo di dimostrare.
      La somma di fattori vecchi e fattori nuovi ha insomma creato non solo un dualismo economico tra le due parti del Paese –come meglio si vedrà dopo-, bensì anche una grande frattura psicologico-culturale che, come già detto, costituisce –oggi come mai prima- un grande problema politico. Senza il superamento di detta “frattura”, non ci sono molti spazi per il dispiegarsi di un proficuo intervento teso al superamento della Questione Meridionale.
      Il riequilibrio territoriale nazionale costituisce, dunque, una grande questione politica che, per andare in porto, richiede un grande sforzo culturale.
      In definitiva, (è il caso di ribadire il concetto data la sua importanza) non si possono elaborare politiche di riequilibrio territoriale se prima non si chiariscono a livello di opinione pubblica le ragioni che rendono doverose e necessarie quelle politiche (necessarie per il Sud e l’intero Paese). Ci sarà sempre un leghista o un suo parente culturale pronto a dire: “Ma voi volete fare tutte queste belle cose con i soldi miei!”. Questo modo di pensare, se ha dimensioni di massa ed è nel contempo colpevolmente supportato anche nelle istituzioni e nel mondo dei mass media (“colpevolmente supportato” perché tale sostegno è frutto di inaccettabile disinformazione a certi livelli), costituisce potere politico oppositivo che va vinto, come già detto, sul piano culturale ed etico-politico. Per questa ragione, non si può passare immediatamente alle proposte risolutive e bisogna fare una ricognizione degli aspetti politici e culturali connessi alla questione.

Le cruciali tappe storiche che hanno condotto alla genesi della questione meridionale
Come osservato sopra, è arduo o impossibile porre rimedio al dualismo territoriale nazionale senza un’opinione pubblica concorde e consapevole delle ragioni storiche che si pongono come cause genetiche della QM.
      Sono ben diverse le vicende storiche preunitarie che hanno conferito determinati caratteri al Centro-Nord, da un lato, e al Sud, dall’altro lato. Ma, ai fini strettamente politici della questione, si può prescindere da tali vicende.
      Pertanto, qui di seguito ci si limita a indicare alcuni dei punti salienti –relativi al periodo unitario- che “spiegano” la genesi della QM.
      Alla base di tutto c’è l’“annessione incondizionata” del Sud: questa tragica conclusione del processo unitario è lo snodo fondamentale – o il “peccato originale” o la grande causa – che ha creato le premesse per il sorgere del dualismo nazionale. Se si salta questo passaggio, perché a torto considerato troppo lontano e non più attuale, ogni discorso sulla Q.M. diventa fuorviante e il problema stesso incomprensibile.
      L’annessione è l’infausto esito imposto dal partito moderato al moto unitario, sviandolo dalla sua più genuina aspirazione. A questa soluzione si opposero le varie correnti del movimento democratico (Mazzini, Cattaneo, Ferrari, ecc.) e le forze autenticamente liberali dell’autonomismo meridionale.
      Per sua intrinseca natura e in ultima istanza, però, la politica è questione di forza e la parte forte –sul piano militare ed economico- era costituita dal partito moderato. Da qui discende la conclusione “moderata” –conservatrice sul piano sociale e orientata a rapporti di subordinazione tra territori- del movimento nazionale.
      Tutto ciò serve anche a chiarire un aspetto essenziale, che molto spesso sfugge ai discorsi sviluppati sul tema: la Questione Meridionale non è nata come Nord contro Sud, bensì come lotta di una parte politica conservatrice, presente da Nord a Sud -il partito moderato, con il potere a Torino, ma che beneficiava di ampio sostegno da parte dei latifondisti meridionali-, contro le due parti politiche già menzionate, autenticamente patriottiche (il movimento autonomista meridionale e il partito democratico, unito sul punto da Nord a Sud, con la significativa eccezione di larghi settori dei democratici piemontesi, a dimostrazione che per costoro e per tutto il mondo politico torinese la “piccola patria” prevaleva su quella grande e di tutti, che veniva pertanto considerata come sostanzialmente estranea, un dato “altro” da sé, subordinabile).
      I due schieramenti avevano dunque due diversi progetti –due diverse “idee”- di Stato nazionale, che possono essere più chiaramente schematizzate come segue:
    a) Le forze “moderate” miravano a inglobare i nuovi territori in uno Stato piemontese che sopravviveva e si espandeva. In questo schema, il potere restava tutto centrato su Torino. I rapporti di “subordinazione” costituivano sia un preciso obiettivo del potere moderato sia l’inevitabile conseguenza del modello di Unità che venne imposto. La tenace ricerca di un simile esito aveva anche la funzione di sanare le disastrate finanze piemontesi, sull’orlo del fallimento.
      A dimostrazione e testimonianza di quanto la “subordinazione” del Mezzogiorno fosse lontana dalle motivazioni di fondo della vicenda risorgimentale c’è la natura specifica del “modello” di Unità imposto dal partito moderato: la ratio di tale “modello” –una parte politica e territoriale che senza scrupoli tende a imporsi con ogni mezzo su altre parti- proviene dalle stesse radici da cui è scaturito il devastante e aggressivo nazionalismo che tante sciagure ha seminato in Europa e fuori di essa.
    b) Il movimento democratico voleva realizzare l’Unità mediante un’Assemblea Costituente, per far nascere uno Stato nuovo dalla fusione degli ex Stati, con un governo condiviso, di tutti, su basi paritarie. La Costituente, lo Stato di tutti, la pari dignità presupponevano un accordo politico e monetario tra gli ex Stati, come avvenuto nell’unificazione della nazione tedesca. Questo secondo modello, che era autenticamente patriottico e solidaristico –basato sul concetto di “fratelli” all’interno e delle mazziniane “patrie sorelle” all’esterno-, escludeva in radice ogni tendenza colonizzatrice e ogni ratio di subordinazione.
      Si trattava, com’è evidente, di due progetti diametralmente opposti. Uno (risultato alla fine perdente) era coerente con l’autentica ratio del Risorgimento, mentre l’altro, alla fine vittorioso per sopraffazione, era antitetico a quella ratio.
      Con l’imposizione del progetto del partito moderato, l’Italia si avviò non già verso uno sviluppo equilibrato e un modello solidale, bensì verso il dualismo economico e sociale. Infatti, dopo l’atto di forza del partito moderato (costituito dall’“annessione incondizionata” e da quanto ne seguì) prese forma –subitanea per certi aspetti, graduale per altri- la vita unitaria scandita come Nord contro Sud (che era in stridente contrasto con le più genuine vicende risorgimentali).
      Effetti e strumenti della “subordinazione”:
    a) Uno degli effetti e nel contempo uno degli strumenti della “subordinazione” fu la “costruzione” di una rappresentanza parlamentare meridionale formata in gran parte di deputati satellizzati, risultati vincenti per l’intervento dei Prefetti –che tra i loro compiti avevano anche quello di intervenire con ogni mezzo nelle campagne elettorali per far vincere i candidati governativi-. Questo andazzo acuì la condizione del Sud come area politicamente acefala che era stata generata dall’ “annessione”. Quella rappresentanza parlamentare fu infatti spesso scadente, funzionale alle direttive del “centro” e disfunzionale rispetto alle esigenze dei territori meridionali.
    b) Le due parti del Paese, all’atto dell’Unità, erano prevalentemente agricole, ma entrambe avevano un proprio nucleo industriale. Nel Sud c’era una cospicua presenza di vari settori industriali (carta, lana, cotone, siderurgia, cantieristica, metalmeccanica, ecc.), con imprese di grandi dimensioni che esportavano nel Centro-Nord e in Europa. In particolare, notevoli erano i settori della cantieristica (due grandi stabilimenti) e quello metalmeccanico (costituito da alcune imprese di ragguardevoli dimensioni); questi due settori contavano 20.000 operai; la maggiore impresa metalmeccanica del Sud ne contava 1000; si producevano navi, motori marini, locomotive. La medesima cosa può dirsi della siderurgia, che vantava un livello tecnico di prim’ordine: era la sola in grado di produrre binari in Italia.
       Per decisioni “politiche” (vedi la subitanea estensione della normativa doganale e la gestione di parte delle commesse statali), il nucleo industriale del Mezzogiorno fu spazzato via e quello settentrionale fu preservato. Tutto questo oggi non dovrebbe costituire oggetto di sterile polemica, bensì stimolo per una proficua riflessione ai fini di una generale crescita politica; dovrebbe essere un patrimonio conoscitivo diffuso (il che non è) per costruire una nazione veramente unitaria.
    c) Sempre per ragioni politiche, ci fu un trasferimento di ricchezza dal Sud al Nord. Contrariamente a quanto avvenne per il Banco di Napoli, la finanza settentrionale (vedi per es. la Banca Nazionale) ebbe immediatamente l’autorizzazione ad aprire proprie filali al Sud. Non era una discriminazione di poco conto, dato che si era nell’epoca della convertibilità banconote/oro. Ben presto si videro gli effetti della suddetta discriminazione. Gli sportelli della finanza settentrionale dislocati al Sud rastrellavano infatti banconote emesse dal Banco di Napoli e poi ne chiedevano al Banco il controvalore in oro, che veniva trasferito al Nord per sostenere istituti di credito impegnati nell’industria (il possesso di oro era di fondamentale importanza, perché le banche potevano emettere tre unità monetarie sotto forma di banconote per ogni unità di oro posseduto). Questo spostamento di capacità creditizia fu un altro fattore della “subordinazione” (ratio intrinseca –come già detto- al modello “moderato” ed estranea a quello democratico e autonomistico).
    d) La protezione doganale (in via temporanea, come chiedevano gli industriali meridionali) venne negata all’atto dell’Unità alle imprese del Sud (che erano cresciute all’ombra della protezione doganale, diversamente da quelle settentrionali, che avevano avuto il tempo di acclimatarsi in qualche modo al libero scambio), ma fu accordata pochi anni dopo (1888) all’industria del Nord (ormai diventata unico polo industriale nazionale), scatenando la guerra delle tariffe doganali con la Francia, con conseguenze che ricaddero pesantemente sull’economia del Sud, ormai quasi solo agricola, che perdette il decisivo mercato di sbocco transalpino in seguito alla suddetta guerra commerciale. Andarono in tal modo perduti investimenti, profitti e salari.
      Come dimostra la letteratura economica più obiettiva e la stessa vicenda della (doverosa) protezione doganale accordata all’industria del Nord pochi anni dopo l’Unità, il protezionismo di cui aveva goduto l’industria del Sud non costituiva un fattore di arretratezza, bensì una necessità di carattere assoluto. Il libero scambio è infatti sempre stato lo strumento –alla stregua di arma economica letale- dei forti contro i deboli. Conviene a chi ha maturato un vantaggio commerciale ed è negativa per chi ha la necessità di attrezzarsi per competere ad armi pari sul piano dei prezzi.
      Quelli che precedono sono alcuni tra i tanti esempi che si potrebbero addurre circa i meccanismi di subordinazione che hanno condotto al dualismo territoriale della nazione.
Il rapporto di subordinazione e i suoi vistosi effetti
Il rapporto di subordinazione socio-territoriale, che sempre si concretizza nello sviluppo di un’area e nel correlativo sottosviluppo di un’altra area –che diviene irrimediabilmente “dipendente” e devitalizzata sul piano economico-, ha allontanato nel tempo il Centro-Nord e il Sud quanto a capacità produttiva e reddito pro-capite.
      Ciò è dimostrato da dati antichi e recenti.
      Nel 1861 il Pil pro-capite del Mezzogiorno e quello del Nord erano sostanzialmente in parità: 335 lire nel primo caso (a prezzi del 1911) e 337 lire nel secondo.
      Dopo mezzo secolo si notano già gli effetti della “subordinazione”: nel 1910, il Pil pro-capite del Sud era pari a 507 lire, mentre quello del Nord era di 612 lire. Il reddito nel Mezzogiorno era sceso all’83% di quello percepito nel Settentrione. Le politiche unitarie avevano condotto alla divaricazione delle due aree.
      Nel 1950 le cose erano ulteriormente peggiorate: al Sud il reddito pro-capite era pari a 546 lire, ossia il 53% di quello del Nord, che era pari a 1.022 lire.
      Significativamente, un’inversione di tendenza ci fu con la Cassa per il Mezzogiorno. Quando la Cassa fu soppressa, nel 1984, il Pil pro-capite del Sud era pari a lire 2.348; quello del Nord raggiungeva 3.705 lire. Le distanze si erano ridotte. Infatti, il Pil pro-capite del Sud era salito al 63%.
      Dopo la chiusura della Cassa, il divario è tornato a crescere. I dati mostrano un declino a precipizio da parte del Sud. Attualmente, infatti, il Pil pro-capite è pari a 35.600 euro al Nord, contro 19.200 euro al Sud. Quest’ultimo dato, in definitiva, è tornato ai livelli pre-Cassa, ossia al 53%.
Come mai, senza spinte “esterne”, il sud non agisce come una società vitale?
      Di fronte alle cifre appena viste, sorge spontanea un’osservazione: perché senza sostegni, il Sud non cresce?
      Per darsi una risposta, bisogna tenere presente che quella meridionale, in seguito alle dinamiche di subordinazione a cui è stata sottoposta, è una società destrutturata. A ciò hanno contribuito prevalentemente tre fattori:
a 1) la perdita dell’apparato industriale di un tempo –suscettibile di crescita in un altro contesto politico- ha bruciato le normali dinamiche di un moderno ed equilibrato sviluppo economico;
a 2) con zero industria, con rapporti di proprietà rurale congelati in senso conservatore dal “modello moderato” e con un’agricoltura parte debole e residuale nell’ambito delle politiche nazionali, l’esito non poteva che essere una massiccia emigrazione;
    b) tale fenomeno migratorio, misurabile a decine di milioni lungo un arco di tempo pluridecennale, ha destrutturato le normali connessioni interne della società meridionale.
    c) la carenza di infrastrutture: come possono insediarsi imprese in forma diffusa in un territorio che richiede, tanto per fare un solo esempio, lunghi tempi di percorrenza di merci e persone?
      Tutto ciò sta a indicare che la rivitalizzazione di una società “subordinata” (rivitalizzazione che può avere luogo mediante la creazione di un ambiente “produttivo” di economia e virtuose relazioni interne, sviluppo di un’imprenditoria solida, ecc.) richiede tempi non brevi.
      Le attuali dinamiche peggiorano la situazione. Ogni anno, infatti, il Sud “perde” varie migliaia di laureati, che portano altrove la propria formazione e la propria capacità produttiva in quanto –per le ragioni storiche esaminate- nei territori d’origine non trovano un contesto adatto alle proprie aspettative esistenziali. In tal modo, altre aree, nazionali ed europee, si giovano della formazione che viene effettuata con risorse del Sud.
L’Italia unita: squilibrata, ma “sistemica”
Come visto sopra, l’Italia “sbagliata” costruita dal partito moderato, che rappresentava le classi dominanti e generalmente retrive, era ben diversa da quella che corrispondeva alle aspirazioni dei patrioti (Mazzini diceva: “Per noi l’Unità non è solo questione di miglia quadrate, ma di idee e princìpi”). Tuttavia, anche l’Italia di matrice moderata ha avuto, necessariamente, un carattere “sistemico”, essendo un “tutto” in cui ogni parte ha contribuito al funzionamento dell’“insieme”.
      Anche a tale proposito, come già sopra, non andiamo a svolgere una disamina storica compiuta (non è questa la sede idonea), ma ci limitiamo a portare alcuni esempi probanti rispetto al concetto enunciato:
1) Cominciamo col dire che il Mezzogiorno ha innanzi tutto svolto il ruolo che la classe dirigente moderata ha assegnato a quest’area del Paese: un grande mercato di consumo, che ha consentito la crescita dell’apparato industriale situato tutto al Nord, dopo la cancellazione del nucleo industriale del Sud.
      Il Mezzogiorno ha svolto questa funzione sia con la ricchezza prodotta al proprio interno sia con il flusso delle rimesse degli emigranti.
2) Queste rimesse hanno svolto anche altre funzioni a beneficio del Nord. In primo luogo, sono state infatti utilizzate per lo sviluppo dell’industria elettrica, siderurgica e meccanica del Triangolo industriale (Genova, Torino, Milano) e, in secondo luogo, confluendo per tanta parte nella Cassa Depositi e prestiti tramite gli uffici postali, si sono trasformate in facili finanziamenti della stessa Cdp, di cui si sono giovati soprattutto i Comuni del Nord per i propri investimenti.
3) La Prima Guerra Mondiale ha dato un impulso notevole allo sviluppo dell’apparato industriale e anche in questo caso non è mancato il contributo del Mezzogiorno. Mentre infatti una parte delle giovani leve settentrionali lavorava –necessariamente- in fabbrica, quelle meridionali stavano tutte al fronte.
4) Anche la narrazione della Resistenza –che include le lotte operaie in difesa delle fabbriche- richiede precisazioni che di solito non si fanno. Il Sud non è stato affatto estraneo alle dinamiche di questa fase decisiva della nostra storia. Non c’è stata infatti una sola Resistenza, ma ce ne sono state due. La lotta contro il nazifascismo al Sud, infatti, non è circoscritta alle sole Quattro giornate di Napoli. C’è stata anche una Resistenza più vasta, spontanea, fatta di numerosi episodi piccoli e grandi. Poi c’è stata quella combattuta nel Centro-Nord, organizzata dai partiti antifascisti. Il terreno di lotta era quello dell’Italia centrale e settentrionale, ma i combattenti (come nel Risorgimento) provenivano da ogni parte del Paese. È stata elevatissima la percentuale di combattenti meridionali tra i partigiani.
5) A guerra conclusa, occorreva organizzare la produzione industriale e garantirne l’approvvigionamento energetico. Il carbone era all’epoca un elemento indispensabile per il funzionamento delle fabbriche. Il governo italiano e quello belga firmarono un’intesa in base alla quale il Belgio vendeva un tot di tonnellate di carbone all’Italia in cambio di un tot di lavoratori italiani da mandare in miniera. Soprattutto dopo la prima fase, numerosissimi furono i meridionali che lavorarono come minatori nelle miniere del Belgio.
6) A tutto questo si deve aggiungere il contributo direttamente lavorativo di operai e tecnici meridionali nelle fabbriche.
      Dopo questo intreccio di rapporti tra Nord e Sud, che ha contribuito al decollo industriale e allo sviluppo economico delle aree oggi più ricche, arriva la richiesta di “Autonomie differenziate”, con il cosiddetto residuo fiscale che dovrebbe essere trattenuto nelle regioni ormai ricche. Sulla base di quanto precede, è chiaramente una richiesta infondata. In virtù del carattere “sistemico” della vita nazionale, infatti, la ricchezza prodotta in un determinato luogo del Paese non appartiene a “quel luogo”, ma ha molte radici, è un frutto “sistemico” –del sistema Italia- ormai più che secolare. Procedendo sulla via delle Autonomie differenziate, si giungerà alla balcanizzazione del Paese, che equivale a un demenziale suicidio collettivo guidato dai gruppi dirigenti del Nord, con al seguito quelli del Sud, complici e servili o inutili.
      Se possono servire, soprattutto per diaconi e sacerdoti del leghismo, è il caso di riportare le profetiche parole di Francesco Saverio Nitti: <<Quando i capitali si sono raggruppati al Nord, è stato possibile tentare la trasformazione industriale. Il movimento protezionista ha fatto il resto, e due terzi d’Italia hanno per dieci anni almeno funzionato come mercato di consumo.
      Ora l’industria si è formata, e la Lombardia, la Liguria e il Piemonte potranno anche, fra breve, non ricordare le ragioni prime della loro presente prosperità.
      Senz’ombra d’ironia –non è il caso, né io vorrei- il Nord non ha colpa in tutto ciò: la sperequazione presente che ha messo a così diverso livello regioni dello stesso paese, è stata frutto di condizioni politiche e storiche.
      Ma il Nord d’Italia ha già dimenticato: ha peccato anche di orgoglio. I miliardi che il Sud ha dato, non ricorda più: i sacrifizi non vede>>.
Le ragioni che uniscono
Per le ragioni già accennate sopra, e per i contenuti specifici di quanto sopra, non si può (soprattutto nelle condizioni politico-culturali di oggi) trattare la Questione Meridionale senza inserirla –come abbiamo cercato di fare- nel più vasto contesto della storia unitaria nazionale. È pertanto necessario aggiungere almeno uno stringato contorno generale di tale storia, anche perché alcune posizioni politiche (leghismo e neo-borbonismo) tendono a negare il valore storico dell’Unità, ossia del contesto in cui la Questione Meridionale è nata e del contesto in cui essa dovrebbe trovare soluzione.
      A proposito di tale storia, vi sono quattro versioni: quella “ufficiale”, di stampo liberale; quella neoborbonica; quella leghista; quella aderente ai fatti (in cui facciamo confluire –pur con qualche forzatura- le posizioni marxiste e quelle del movimento democratico risorgimentale).
      La prima –quella dei “vincitori” finali del moto risorgimentale- è costretta a manipolare i fatti per mantenere in piedi la narrazione corrente. A proposito di tale narrazione, Gaetano Salvemini (altissima coscienza civile, grande storico, grande socialista, grande meridionalista) fece notare come vi fosse una grande <<ignoranza della storia italiana>>, perché essa, nella realtà, non stava <<sui libri di testo delle scuole regie, ma sulle fonti originali non mutilate né falsificate>>. Dopo le scuole regie sono venute quelle della Repubblica. È cambiato qualcosa, ma non più di tanto.
      Quella neoborbonica (Sud pre-unitario come Eden abitato da adoratori della dinastia) e quella leghista (Sud come coacervo di vizi che prima se ne va e meglio è) sono ricostruzioni ideologiche, false, lontanissime dalla realtà storica e dalle esigenze del Paese. Ambedue sono decisamente antiunitarie e, in quanto tali e in ultima analisi, contrarie agli interessi futuri delle loro stesse aree di riferimento.
      Se la storiografia esige innanzi tutto il rispetto dei fatti, occorre reimpostare la narrazione della vicenda unitaria –come vuole la storiografia critica, in vario modo riconducibile alla quarta versione di cui sopra-. In questa nuova “storia” –trasformata in cultura diffusa e opinione pubblica correttamente informata- trova posto la genesi effettiva della QM e conseguentemente, sulla base di questa precondizione culturale, la politica può impostare la soluzione della stessa QM.
il valore dell’unità contro le posizioni anti-paese
Quanto precede, una complessiva analisi della storia nazionale – pre e post unitaria – e le possibili prospettive del Paese non avvalorano affatto le posizioni neoborboniche, ostili al movimento risorgimentale, e smentiscono le posizioni leghiste, che mettono in discussione l’Unità del Paese pur se proprio l’Unità è alla base di tanta parte dello sviluppo storico del Settentrione.
      Di fronte alle posizioni antiunitarie del leghismo e alle tesi neoborboniche, bisogna rammentare e affermare le ragioni storiche, culturali, ideali, politiche e geopolitiche (che in questa sede non possono essere trattate) che sono alla base dell’unità nazionale. Tali ragioni si pongono in rapporto di diretta e strettissima continuità con il movimento democratico risorgimentale e, in particolare, con la prospettiva da esso indicata e caldeggiata nel cruciale momento che si chiuse con l’“annessione”. Non può certamente dirsi la stessa cosa per il filone storico moderato e le sue propaggini leghiste ed extra-Lega.
      Solo una nazione consapevole di queste ragioni può progettare e realizzare la soluzione della QM, ponendo in tal modo rimedio a un percorso storico errato.
      Questo processo non implica necessariamente dinamiche divisive e conflittuali, perché non tutto il Centro-Nord ragiona con la testa dei leghisti. Giova a tal proposito rammentare che i principali artefici della Cassa per il Mezzogiorno furono un trentino (Alcide De Gasperi), sul piano politico, e un lombardo (Pasquale Saraceno), sul piano realizzativo e gestionale. Inoltre, sono settentrionali alcuni tra i più aspri critici del modo in cui sono andate cose nei rapporti storici tra le due parti del Paese.
      Tuttavia, la ragionevole strada verso una condivisa azione di riequilibrio non è scontata né agevole, come dimostrano le costanti politiche anti-Sud della classe dirigente del Nord, sostenute dalla connivenza o dall’incapacità di quella del Sud (ultimi banchi di prova: la gestione del FEASR –Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale- e ,a quanto è dato sapere, la ripartizione alla rovescia dei fondi relativi al PNRR –Piano Nazione di Ripresa e Resilienza-).
      Il forte risentimento diffuso dalle politiche ispirate all’opposto dell’equità territoriale sta generando nel Mezzogiorno –nonostante il ruolo di oscuramento svolto dai mass media- delle iniziative tese alla costituzione di soggetti politici autonomi, su base territoriale. Tali iniziative, pur non nascendo con intenti separatisti, come era ed è invece per Lega (il suo recente unitarismo è solo un orpello), si pongono fatalmente in una prospettiva di aspra contrapposizione territoriale, con esiti divisivi tra Nord e Sud e all’interno dello stesso Sud. Una simile prospettiva, che certamente incontra il gradimento della Lega, è negativa per il Paese nel suo complesso.
      Quelle risorse umane e civili andrebbero canalizzate in una grande struttura organizzativa di carattere culturale, con funzione di stimolo verso le forze politiche e di controllo sull’azione delle rappresentanze istituzionali, impedendo loro di svolgere una funzione slegata dagli interessi territoriali e nazionali.
      Il primo compito della suddetta struttura dovrebbe consistere nella contestazione in toto della funzione negativa e perversa svolta dalle rappresentanze politiche del Sud, che hanno operato come una complessiva classe politica subordinata alle miopi e irresponsabili rappresentanze del Nord.
      È un dato ovvio che la politica e le risorse siano i necessari fattori risolutivi del dualismo socio-territoriale del Paese, ma, alla luce di quanto sopra, alcuni fattori -come informazione diffusa, senso civico e cultura dell’equità territoriale- si pongono come imprescindibili elementi propedeutici e predisponenti.
 
Parte II

I FATTORI OSTATIVI DI CARATTERE POLITICO-ISTITUZIONALE

Gli interventi necessari al superamento della “questione meridionale”: infrastrutture, servizi, investimenti produttivi
A – i prerequisiti dello sviluppo: infrastrutture e servizi
Il superamento del dualismo socio-economico nazionale richiede l’adozione di un’ottica opposta a quella che ha generato il problema: da un’ottica centrata su egoismi territoriali bisogna passare a un’ottica effettivamente nazionale, fondata sui criteri di pari dignità, equità territoriale, interesse comune. C’è dunque bisogno di un’azione politica orientata all’“equità territoriale” sul piano legislativo e su quello della spesa pubblica.
      Qualche esempio, tratto dalla realtà, serve a illustrare il concetto:
-se in alcune zone i trasporti pubblici sono carenti e richiedono lunghi tempi di percorrenza, è difficile che lì si creino le condizioni idonee a richiamare investimenti per generare sviluppo;
-se la normativa riguardante l’Università è oggi penalizzante per gli atenei meridionali, non può che risultare estremamente dannosa in prospettiva, in quanto tendente a generare -o ampliare- disuguaglianze tra i medesimi atenei e tra i loro territori di riferimento;
-se la capacità di spesa degli enti locali meridionali e l’entità dei loro apparati gestionali sono sottodimensionate rispetto al Centro-Nord –salvo alcuni casi patologici-, non si possono erogare servizi perequativi per raggiungere uno standard unitario sull’intero territorio nazionale e ciò incide sulle possibilità di crescita dei territori svantaggiati;
-se la spesa pubblica pro-capite è di 15 mila euro al Centronord e di 12 mila euro al Sud, le distanze tra le due aree del Paese non possono che crescere, con effetti cumulativi nel tempo, di segno positivo in un’area e di segno negativo nell’altra area;
-se le già menzionate risorse del Pnrr -in teoria destinate in gran parte al Sud per il suo sviluppo, anche nell’interesse dell’intero Paese- finiscono in pratica in gran parte al Centro-Nord, non si colma il dualismo, ma lo si approfondisce.
      Per lo sviluppo del Mezzogiorno sono dunque necessari investimenti per infrastrutture e servizi. Chi può e deve realizzarli o creare le condizioni per chiamarli in essere se non lo Stato? Vedremo nel prossimo paragrafo quali sono i fattori favorevoli o contrari a tale intervento.

B – Gli investimenti direttamente produttivi
Gli interventi idonei allo Sviluppo del Mezzogiorno sono dettati dai risultati –largamente positivi- della Cassa per il Mezzogiorno e dai criteri della programmazione statale.
      Spesso la Cassa è stata strumentalizzata a danno del Sud: è successo con l’indebito dirottamento di finanziamenti ad altre aree tramite la spesa straordinaria destinata al Mezzogiorno utilizzata come sostitutiva -anziché aggiuntiva- rispetto alla spesa ordinaria.
      Fa inoltre parte della storia negativa di questo Paese tutta l’ambigua polemica scatenata contro l’intervento straordinario, la cui dotazione è peraltro rifluita al Nord sotto forma di “acquisti” trainati dagli investimenti.
      I successi della Cassa –che non a caso sono avvenuti in un contesto keynesiano- dimostrano non soltanto che la QM è risolvibile, ma indicano anche la via per la soluzione.
      Qui si pone, inevitabilmente, una grande questione: l’idoneità del contesto neoliberista a determinare lo sviluppo di un’area svantaggiata.
      È infatti difficile che lo sviluppo del Mezzogiorno si realizzi nell’ambito dell’attuale sistema neoliberista, che per sua natura crea e approfondisce disuguaglianze e disequilibri tra cittadini e tra aree.
      Non è alla logica privata, unicamente orientata al profitto, e a uno Stato ridotto ai minimi termini che si può affidare lo sviluppo di un’area. Questo è un compito eminentemente pubblico e si realizza sia in forma diretta, con la creazione di infrastrutture e insediamenti di unità produttive, sia in forma indiretta, creando le condizioni per favorire il concorso dell’intervento privato nell’ambito del progetto di sviluppo.
      Ampliando il concetto, possiamo dire che una politica di sviluppo territoriale richiede l’intervento attivo dello Stato secondo l’articolazione che segue:
    a) politiche di programmazione mirata;
    b) i già considerati investimenti in infrastrutture (compito eminentemente pubblico) a cui devono seguire investimenti direttamente produttivi, sotto forma di insediamenti industriali e poli di ricerca di carattere pubblico, che finiscono col creare l’ambiente di richiamo anche per l’iniziativa privata;
    c) una gestione del credito che non sia centrata sull’attuale ratio delle banche private, che è del tutto incongrua rispetto alle esigenze dell’economia reale; esse, infatti, dagli anni Ottanta in poi si sono sviluppate secondo criteri schiettamente neoliberisti, finendo col risultare autoreferenziali ed estremamente negative, dato che conferiscono una logica deviante all’intero sistema economico; mirano infatti a percepire livelli di profitto più elevati di quelli che si realizzano nell’economia reale e in tal modo tolgono ricchezza -anziché contribuire a crearla- al sistema produttivo; in definitiva, oggi inibiscono –anziché sostenere- l’attività delle imprese e lo sviluppo dei territori.
Lo Stato è in grado di fare tutto ciò?
La domanda è ovviamente retorica. Lo Stato neoliberista, come quello attuale, è uno spettro di Stato democratico. Contrariamente alle apparenze, infatti, è uno Stato sostanzialmente monoclasse (Stato delle élite) che, per sua intrinseca natura, è inidoneo al compito. È stato deliberatamente reso tale dalla reazione neoliberista contro lo Stato democratico del primo trentennio postbellico.
      Per realizzare le suddette politiche, lo Stato deve avere poteri e strumenti che non ha più: autonomia monetaria (o, in subordine, creazione di uno Stato federale europeo, per il quale al presente mancano le necessarie condizioni politico-culturali, a partire dalle élite); una moneta propria, anche non a debito (due concetti iper-blasfemi alle orecchie dei neoliberisti continentali); una banca centrale al servizio dello Stato, anziché avulsa da esso e al servizio dei potentati economici privati; un sistema di banche pubbliche; un forte settore industriale pubblico; un avanzato settore di ricerca a carattere pubblico; la creazione di una cultura dell’impresa pubblica che un tempo c’era e poi è stata distrutta con la pratica delle privatizzazioni e il dilagare dell’ideologia neoliberista.
      Per l’attuazione di quelle politiche, bisognerebbe dunque ripristinare e ampliare i poteri e le funzioni dello Stato che sono stati soppressi dal neoliberismo e tornare all’impianto keynesiano della Costituzione, reso effettivamente operativo e non già puramente teorico e formale.
      Una tale operazione politica implica la cancellazione del nuovo art. 81 (che fu votato quasi all’unanimità dal Parlamento, senza premurarsi di informare i cittadini sulle conseguenze di tale decisione: un atto doveroso, dato che il popolo è –almeno nominalmente- “sovrano”); tale articolo impedisce proprio l’adozione delle necessarie politiche di tipo keynesiano, richieste dalla Costituzione.
      È inoltre richiesto l’abbattimento dell’attuale debito pubblico (cosa impossibile nell’attuale contesto politico-istituzionale); tale debito è peraltro esploso proprio con l’affermarsi del sistema neoliberista, mentre la narrazione corrente –inventando tutto- ne attribuisce la responsabilità alla politica precedente.
      La conclusione dell’intero discorso, con riferimento al Mezzogiorno, è più che ovvia: da un lato, le generali carenze relative a servizi e infrastrutture incidono negativamente sulla convenienza degli investimenti privati -basati su pure convenienze immediate- a dirigersi verso le zone svantaggiate; dall’altro lato, la possibilità di adeguati investimenti pubblici è stata rasa al suolo dal trionfo del neoliberismo. In queste condizioni, il sottosviluppo –che è inibizione dello sviluppo-, si rafforza, anziché declinare.
      Lo sviluppo del Sud, dunque, passa attraverso la lotta per il superamento del neoliberismo; richiede, in altri termini, un’autentica rivoluzione politica.
E allora, nell’immediato non si può fare nulla?
      Se così stanno le cose, bisogna limitarsi a predicare per domani, senza alcuna possibilità di incidere nell’oggi? No. Politica è impegno per la modifica dello stato di cose presente, con uno sguardo rivolto al futuro.
      Quanto esposto sopra costituisce la via per dare al problema una soluzione compiuta e radicale, ma ci sono interventi –parziali e settoriali, tuttavia non per questo da sottovalutare- che, essendo ideologicamente “neutri”, sono possibili anche nell’attuale contesto. Si tratta di interventi di sostegno organizzativo, infrastrutturale e finanziario relativi al turismo, all’agricoltura, all’industria esistente.
      Per l’effettiva soluzione della Q. M., però, gli strumenti idonei sono quelli esposti sopra. Costituiscono un insieme incompatibile con l’attuale quadro politico, ma le forze neoliberiste vanno incalzate su quegli obiettivi proprio perché essi danno la possibilità di “parlare” proficuamente ai cittadini. È questo l’obiettivo reale. Posto il fine (soluzione del dualismo territoriale), insomma, si avanzano quelle proposte come mezzi, sfidando le forze neoliberiste per evidenziare la natura reale della loro azione politica. È, questa, una forma di lotta politico-culturale che serve a far comprendere ai cittadini l’inadeguatezza radicale del neoliberismo a dare risposte efficaci all’infuori del suo fine di base: gli interessi delle élite.
      In definitiva, è inevitabile che dalle istituzioni si ottenga poco o nulla per questa via sul terreno concreto (il neoliberismo, abbiamo detto, non è il contesto adatto a risolvere la questione), ma si può ottenere tanto sul piano della “conquista” culturale tra i cittadini, il che costituisce l’avvio –la premessa- di nuovi equilibri politici.
      Non bisogna sottovalutare questo obiettivo. Se la ratio della politica è costituita soprattutto dai rapporti di forza, la conquista di rapporti di forza favorevoli si gioca a partire dall’attività informativo-culturale –che si fa anche, o soprattutto, attraverso le lotte-. Questa lezione è tutta inscritta in un grande passo di Marx: “L’arma della critica non può certamente vincere la critica delle armi. La forza materiale deve essere abbattuta dalla forza materiale. Ma anche la teoria diviene una forza materiale quando si impadronisce delle masse” (Introduzione a Per la critica della filosofia del diritto di Hegel).

 ...

Uno schema di lotta da generalizzare

Tale modo di procedere non vale solo per quanto concerne la QM. È uno schema d’azione da applicare anche ad altri obiettivi del partito. Ciò richiede il passaggio dalle Tesi (assolutamente fondamentali, ma necessariamente lunghe) a un Programma da esse derivato, facendone uno snello strumento d’identità politica su cui basare l’azione quotidiana nei vari contesti di lotta.

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 inserito:: Dicembre 08, 2025, 06:36:00 pm 
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Mark Kelly

Mark Kelly
Senatore degli Stati Uniti
per l'Arizona
In carica
Inizio mandato   2 dicembre 2020
Contitolare   Ruben Gallego
Predecessore   Martha McSally
Dati generali
Partito politico   Democratico
Titolo di studio   baccellierato in scienze e Master of Science
Università   United States Merchant Marine Academy (BS), Naval Postgraduate School (MS)
Firma   Firma di Mark Kelly
Mark Kelly

Astronauta della NASA
Nazionalità   Stati Uniti (bandiera) Stati Uniti
Status   Ritirato
Data di nascita   21 febbraio 1964
Selezione   1996
Primo lancio   5 dicembre 2001
Ultimo atterraggio   1º giugno 2011
Altre attività   Aviatore
Tempo nello spazio   54 giorni, 2 ore e 4 minuti
Missioni   
 STS-108
 STS-121
 STS-124
STS-134
Data ritiro   1º ottobre 2011
Modifica dati su Wikidata · Manuale
Mark Edward Kelly (Orange, 21 febbraio 1964) è un ex astronauta, ufficiale e politico statunitense, senatore per lo stato dell'Arizona dal 2020 per il Partito Democratico. Prima di intraprendere la carriera politica, Kelly ha volato in missioni di combattimento durante la Guerra del Golfo come aviatore navale prima di essere selezionato come pilota dello Space Shuttle della NASA nel 1996. Ha effettuato la sua prima missione spaziale nel 2001 come pilota della missione STS-108, poi ha pilotato la missione STS-121 nel 2006 e ha comandato la missione STS-124 nel 2008 e la missione STS-134 (l'ultima missione dello Space Shuttle Endeavour) nel 2011.

Nel gennaio 2011, la moglie di Kelly, l'allora rappresentante dell'Arizona Gabrielle Giffords, è stata colpita e quasi uccisa in un tentativo di omicidio in Arizona. Kelly si ritirò dalla Marina e dalla NASA quell'ottobre. Nel 2013, Kelly e Giffords hanno fondato un comitato di azione politica senza scopo di lucro, Americans for Responsible Solutions (in seguito fuso in Giffords), che ha condotto una campagna per misure di controllo delle armi.

Biografia
Mark Edward Kelly e il fratello gemello Scott Joseph Kelly sono i figli di Richard e Patricia (nata McAvoy) Kelly, due agenti di polizia in pensione. È di origine irlandese. Nato nel febbraio 1964 a Orange, nel New Jersey, è cresciuto a West Orange e si è diplomato alla Mountain High School nel 1982. Ha conseguito nel 1986 con il massimo dei voti un Bachelor of Science in ingegneria marina e scienze nautiche presso l'Accademia della Marina Mercantile. Nel 1994 ha conseguito un Master in ingegneria aerospaziale of Sciencein ingegneria aeronautica presso la US Naval Postgraduate School.

Carriera navale
Nel dicembre 1987 ha iniziato l'addestramento sull'aereo A-6 Intruder e successivamente assegnato all'Attack Squadron 115 presso Atsugi a Kanagawa, in Giappone ed ha effettuato due impieghi nel Golfo Persico sulla portaerei USS Midway. Nel secondo ha volato in 39 missioni di combattimento nell'ambito della guerra del Golfo. Dopo aver ricevuto il master ha frequentato la U.S. Naval Test Pilot School nel giugno 1993.

Carriera alla NASA
Nell'agosto 1996 Mark Kelly e il suo fratello Scott sono stati selezionati come piloti dalla NASA. Mark Kelly ha registrato più di 54 giorni nello spazio.

STS-108

Kelly assieme al comandante Dominic Gorie della missione STS-108
Il primo viaggio di Kelly nello spazio è stato come pilota di STS-108. Dopo diversi ritardi, Endeavour è decollato il 5 dicembre 2001, per l'ultima missione Shuttle del 2001. STS-108 Endeavour ha visitato la ISS, consegnando oltre tre tonnellate di equipaggiamento, rifornimenti e un nuovo equipaggio all'avamposto orbitante. I portelli sono stati aperti tra Endeavour e l'ISS Destiny Laboratory il 7 dicembre, consentendo ai 10 membri dell'equipaggio di salutarsi. L'equipaggio della Expedition 3 ha ufficialmente concluso la sua residenza di 117 giorni a bordo della ISS l'8 dicembre quando i loro sedili Soyuz personalizzati sono stati trasferiti a Endeavour per il viaggio di ritorno a casa. Il trasferimento dei sedili della Expedition 4 al veicolo di ritorno Soyuz attaccato alla stazione ha segnato lo scambio ufficiale degli equipaggi.

Kelly e la specialista di missione Linda Godwin hanno utilizzato il braccio robotico della navetta per sollevare il modulo logistico multiuso Raffaello dalla stiva di carico della navetta e fissarlo a un ormeggio sul nodo Unity della stazione. Gli equipaggi hanno iniziato a scaricare i rifornimenti lo stesso giorno. I responsabili della missione hanno esteso la durata del volo di Endeavour a 12 giorni per consentire all'equipaggio di assistere con ulteriori attività di manutenzione sulla stazione, incluso il lavoro su un tapis roulant e la sostituzione di un compressore guasto in uno dei condizionatori d'aria nel modulo di servizio Zvezda. Una cerimonia di cambio di comando ha avuto luogo il 13 dicembre quando la spedizione 3 si è conclusa e la spedizione 4 è iniziata. L'STS-108 è tornato sulla Terra con il precedente equipaggio di tre uomini della ISS.

Kelly ha orbitato intorno alla Terra 186 volte in 11 giorni e oltre 19 ore.

STS-121

Kelly (al centro) circondato da Piers Sellers (destra), Michael Fossum (sinistra), il cosmonauta Pavel Vinogradov, rappresentante l'Agenzia spaziale russa (centro sinistra) e Stephanie Wilson (centro destra), 2006
Successivamente è stato assegnato come pilota alla missione STS-121, la seconda missione di ritorno al volo degli Shuttle dopo il disastro dello Space Shuttle Columbia. In questa missione a bordo dello Space Shuttle Discovery lanciata il 4 luglio 2006 a causa dei ritardi meteorologici, ha contribuito ai test per verificare le nuove procedure di sicurezza per la ripresa dei voli Shuttle, oltre a trasportare rifornimenti e l'astronauta Thomas Reiter sulla Stazione Spaziale.

Dopo l'incidente della Columbia, la NASA decise che sarebbero stati necessari due voli di prova e che le attività originariamente assegnate all'STS-114 avrebbero dovuto essere divise in due missioni a causa dell'aggiunta dei test di sicurezza post-Columbia.

Gabby Giffords, all'epoca la ragazza di Kelly, scelse una delle canzoni d'inizio della missione, "Beautiful Day" degli U2.

Kelly ha orbitato attorno alla Terra 202 volte in 12 giorni e oltre 18 ore.

STS-124
Il 31 maggio 2008 ha partecipato come comandante del Discovery nella missione STS-124. In questa missione gli astronauti del Discovery e della Stazione Spaziale hanno installato alcuni componenti del laboratorio giapponese Kibo (significa "speranza"), il modulo abitabile più grande della stazione.

STS-134
Il giorno 16 maggio 2011 il Capitano di Vascello Mark Kelly è partito a bordo della navetta Endeavour per la missione STS-134 in qualità di comandante. La missione ha previsto l'attracco alla Stazione spaziale internazionale e l'installazione del gigantesco AMS-02 (Alpha Magnetic Spectrometer), strumento che studia i raggi cosmici, sviluppato da numerose industrie e istituti di ricerca, sotto la responsabilità del CERN di Ginevra[1].

Mentre era nello spazio, sua moglie fu ferita in una sparatoria. Ma la NASA ha annunciato il 4 febbraio 2011 che sarebbe rimasto a comandare la missione grazie anche ai notevoli progressi che sua moglie stava facendo nella guarigione. Peggy Whitson, all'epoca capo dell'Ufficio astronauti della NASA, disse: "Siamo fiduciosi nella sua capacità di condurre con successo questa missione, e so di parlare a nome di tutta la NASA dicendo 'bentornato'".

Alle 16:00 del 22 maggio 2011, l'Agenzia Spaziale Europea e l'Agenzia Spaziale Italiana hanno organizzato una chiamata a Endeavour da parte di Papa Benedetto XVI. Durante la sua chiamata il papa ha esteso la sua benedizione alla moglie di Kelly. Si è trattato della prima volta di un papa che ha parlato con gli astronauti durante una missione.

Ritiro dalla NASA
Il 21 giugno 2011, Kelly ha annunciato che avrebbe lasciato il corpo degli astronauti della NASA e la Marina degli Stati Uniti a partire dal 1º ottobre.

Carriera politica

Kelly al lancio della campagna elettorale per il Senato nel centro di Phoenix nel febbraio 2019
Senato degli Stati Uniti
Elezioni 2020
Il 12 febbraio 2019, Kelly ha annunciato che si sarebbe candidato come democratico alle elezioni speciali del Senato degli Stati Uniti del 2020 in Arizona. Il seggio era stato lasciato libero alla morte di John McCain il 25 agosto 2018 e tenuto da Jon Kyl, nominato dal governatore Doug Ducey, fino alle dimissioni di Kyl il 31 dicembre 2018. Kelly ha rifiutato di accettare i contributi elettorali dai comitati di azione politica aziendale (PAC), ma ha accettato migliaia di dollari in contributi elettorali da dirigenti e lobbisti aziendali. È stato eletto con il 51,2% dei voti, battendo la senatrice repubblicana uscente Martha McSally.

Con la sua elezione, per la prima volta dal 1953 l'Arizona ha due senatori democratici. Poiché si trattava di un'elezione speciale, Kelly è entrato in carica durante il 116º Congresso, poco dopo che l'Arizona ha certificato i suoi risultati elettorali il 30 novembre, a differenza di altri senatori e rappresentanti eletti nel 2020, che si sono insediati all'apertura del 117º Congresso il 3 gennaio 2021. Kelly ha prestato giuramento a mezzogiorno del 2 dicembre. Il suo mandato iniziale è terminato nel 2023. Vincitore delle elezioni del 2022, ha mantenuto il proprio seggio.

Kelly è il quarto astronauta in pensione ad essere eletto al Congresso, dopo John Glenn, Harrison Schmitt e Jack Swigert.

Il 2 dicembre 2020, Kelly ha espresso il suo primo voto al Senato, un "no" sulla nomina di Kathryn C. Davis alla Corte dei reclami federali degli Stati Uniti. Il 9 dicembre, Kelly ha votato "no" su una risoluzione che impedisce al presidente Donald Trump di vendere 23 miliardi di dollari in droni agli Emirati Arabi Uniti. Kelly ha diviso il suo voto votando sì su un'altra risoluzione che blocca le vendite di F-35 negli Emirati Arabi Uniti. Entrambe le risoluzioni sono fallite. Sulla scia dell'assalto al Campidoglio degli Stati Uniti nel 2021, Kelly ha espresso sostegno al vicepresidente Mike Pence e al gabinetto di Trump invocando il venticinquesimo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti per rimuovere Trump dall'incarico. Ha votato per la condanna nel secondo processo di impeachment di Trump, insieme ad altri 56 senatori.

2022
Nel 2022 si è ricandidato alla carica di senatore per lo stato dell'Arizona per il Partito Democratico. È stato eletto con il 51,4% dei voti, battendo il candidato repubblicano Blake Masters.

Vita privata

Kelly e la moglie Gabby Giffords nel 2016
Nel gennaio 1989 si è sposato con Amelia Victoria Babis, dalla quale ha avuto due figli, Claudia e Claire. Hanno divorziato nel 2004.[2] Nel 2007 si è risposato con la deputata per l'Arizona Gabrielle Giffords, in una cerimonia presieduta dal rabbino Stephanie Aaron e alla presenza del suo equipaggio della navetta STS-124 ed ex segretario del lavoro Robert Reich. Reich ha brindato: "A una sposa che si muove a una velocità superiore a quella di chiunque altro a Washington, e a uno sposo che si muove a una velocità superiore a 17.000 miglia orarie".[3] La coppia si era incontrata nel 2003 in un viaggio in Cina nell'ambito di una missione commerciale sponsorizzata dal Comitato nazionale per le relazioni USA-Cina.[4]

Al momento del loro matrimonio, Kelly viveva a Houston, in Texas,[5] e disse che il periodo più lungo che i due avevano trascorso insieme era di un paio di settimane. Aggiunse anche che non avevano in programma di vivere sempre in quel modo, ma che era ciò a cui erano abituati. Ha chiarito: "Ti insegna a non sudare le piccole cose".[3]

Sparatoria a Tucson del 2011

Lo stesso argomento in dettaglio: Sparatoria di Tucson del 2011.
Gabrielle Giffords ha subito un tentativo di omicidio l'8 gennaio 2011 in una sparatoria a Tucson[6] in cui morirono sei persone tra cui una bambina di nove anni. Kelly, che si trovava a Houston, prese l'aereo per Tucson con i componenti della sua famiglia. Durante il viaggio, i Kelly ricevettero una notizia errata secondo cui Giffords era morta. Ha raccontato Kelly: "I bambini, Claudia e Claire, hanno iniziato a piangere. Mia madre, ha quasi urlato. Io ero appena entrato in bagno e mi sono sentito crollare tutto addosso". Chiamando la famiglia di lei a Tucson, Kelly ha scoperto che il rapporto era falso e che lei era viva e in sala operatoria. "È stato un terribile errore", ha detto Kelly.[7]

Dal momento in cui è arrivato a Tucson, Kelly ha vegliato al capezzale di sua moglie mentre lottava per sopravvivere e iniziava a riprendersi. Quando le sue condizioni iniziarono a migliorare, la famiglia Kelly-Giffords cercò opzioni per strutture di riabilitazione e ne scelse una a Houston. Il 21 gennaio, Giffords è stata trasferita al Memorial Hermann–Texas Medical Center,[8] dove ha trascorso cinque giorni prima di trasferirsi al TIRR Memorial Hermann, dove ha continuato il suo recupero e riabilitazione.[9]

Kelly and Homeland Security Secretary Janet Napolitano at Tucson memorial service.
Kelly e il Segretario della Sicurezza nazionale Janet Napolitano al servizio commemorativo di Tucson. Napolitano è stata governatore dell'Arizona dal 2003 al 2009
Il 12 gennaio 2011, presso l'Università dell'Arizona, si è tenuta una funzione commemorativa per le vittime del tentativo di omicidio. Il presidente Obama è volato a Tucson per parlare durante la cerimonia. Kelly sedeva tra la First Lady Michelle Obama e il segretario alla sicurezza interna Janet Napolitano, l'ex governatore dell'Arizona. Alla fine del servizio, Obama lo abbracciò, dopodiché Kelly tornò in ospedale per stare con la moglie.[10]

Kelly ha parlato il 3 febbraio 2011 alla National Prayer Breakfast a Washington, in cui ha parlato anche Obama. Kelly ha detto che l'attacco a sua moglie lo ha avvicinato a Dio e gli ha dato una ritrovata consapevolezza riguardo alla preghiera. Ha dichiarato che prima dell'attacco, "pensavo che il mondo girasse e che l'orologio ticchettasse e le cose accadono senza un motivo particolare", ma che, a Tucson, si è ritrovato a pregare: "Preghi dove sei. Preghi quando Dio è lì nel tuo cuore".[11]

Per il controllo delle armi
Nel gennaio 2013, Kelly e Giffords hanno avviato un comitato di azione politica, Americans for Responsible Solutions. La missione dell'organizzazione è promuovere soluzioni alla violenza armata con i funzionari eletti e il pubblico in generale. La coppia afferma di sostenere il Secondo Emendamento mentre promuove il possesso responsabile delle armi e "tenendo le armi fuori dalle mani di persone pericolose come criminali, terroristi e malati di mente".[12] Il gruppo afferma che "le attuali leggi sulle armi consentono ai venditori privati di vendere armi senza un controllo dei precedenti, creando una scappatoia che fornisce ai criminali e ai malati di mente un facile accesso alle armi".[12] Il 31 marzo 2013, Kelly ha dichiarato: "Qualsiasi fattura che non includa un controllo universale dei precedenti trascorsi è un errore. È la cosa più di buon senso che possiamo fare per impedire a criminali e malati di mente di avere accesso alle armi."[13] Nel 2016, Americans for Responsible Solutions si è unito al Law Center to Prevent Gun Violence e ha lanciato un'organizzazione congiunta nota come " Gifford".[14]

Ricerca sugli effetti della permanenza nello spazio

Mark e Scott Kelly dopo la missione Year in Space (2016)
Nel 2015, il fratello gemello Scott Joseph Kelly è stato designato per la missione della stessa durata nella Stazione spaziale internazionale, assieme al cosmonauta russo Mikhail Kornienko. La partenza è avvenuta il 27 marzo 2015. I tratti cognitivi e genetici di Kelly sono stati misurati prima e dopo il volo. [15]Sono stati così studiati gli effetti della permanenza nello spazio sul corpo umano, soprattutto delle radiazioni a livello genetico, confrontando i parametri biologici di Scott a fine missione con quelli del fratello Mark rimasto sulla terra. Nel giro di diversi mesi dal ritorno sulla Terra, Scott Kelly si riadattò a vivere nella gravità terrestre.

I test genetici hanno rivelato cambiamenti nell'espressione genetica di Scott e un aumento della lunghezza dei suoi telomeri rispetto a prima del volo.[16][17]

Onorificenze
Defence Superior Service Medal - nastrino per uniforme ordinaria
Defence Superior Service Medal
Air Medal - nastrino per uniforme ordinaria
Air Medal
Navy Commendation Medal - nastrino per uniforme ordinaria
Navy Commendation Medal
Navy Achievement Medal - nastrino per uniforme ordinaria
Navy Achievement Medal
Southwest Asia Service Medal - nastrino per uniforme ordinaria
Southwest Asia Service Medal
Navy Expeditionary Medal - nastrino per uniforme ordinaria
Navy Expeditionary Medal
Sea Service Deployment Ribbon - nastrino per uniforme ordinaria
Sea Service Deployment Ribbon
Navy Overseas Service Ribbon - nastrino per uniforme ordinaria
Navy Overseas Service Ribbon

Note da Wikipedia

 14 
 inserito:: Dicembre 07, 2025, 06:03:11 pm 
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Noi e l'Ucraina siamo Europei Occidentali. 

Tutte e due le nostre Nazioni hanno "qualcosa" che la Storia ci dovrà perdonare.
Speriamo nel futuro, di meritarcelo quel perdono.

Ma già da oggi:
Onore alle VITTIME delle GUERRE. 
ggiannig   

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TRYZUB

Gianni Gavioli
Autore
Amministratore
Esperto del gruppo
Persona più attiva
In fondo a questo "pezzo" troverete anche il perché siamo, da molto tempo, vicini all'Ucraina.
Abbiamo reparti del nostro Esercito con il TRYZUB sui loro stendardi.
ggg

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Gianni Gavioli
Autore
Amministratore
Esperto del gruppo
Persona più attiva
Noi e l'Ucraina siamo Europei Occidentali.
Tutte e due le nostre Nazioni hanno "qualcosa" che la Storia ci dovrà perdonare.
Speriamo nel futuro, di meritarcelo quel perdono.
Ma già da oggi:
Onore alle VITTIME delle GUERRE.


 15 
 inserito:: Dicembre 07, 2025, 05:55:20 pm 
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Gianni Gavioli
Paola Mangioni le parrocchie, le cellule comuniste, le squadre di calcio e conseguente tifoseria, l'antiamericanismo invidioso di una falsa America ricca, una visione della vita egoista e casalinga, hanno generato uno "spezzatino" umano senza etica e senza morale condivise in un insieme. Ma soprattutto l'essere stati impediti da chi ci vuole divisi, nell'assimilare il vero significato del concetto di Nazione (nascita) inteso come cultura dell'essere chi siamo, nella bellezza del dove stiamo e nella ricchezza della storia comune che abbiamo. La Nazione e lo Stato dovrebbero essere i genitori di ogni singolo Cittadino, ma questo ci è stato privato, per dominarci meglio, siamo orfani della ricchezza di valori della conoscenza della Madre Nazione (stuprata spesso dal nazionalismo) ma siamo figli di un Patrigno che, snaturato dai Poteri dalle Categorie di Parte, ci Comanda la sottomissione alle sue regole, lo Stato. Per tutto questo non siamo ancora Italiani. ciaooo - ggiannig
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Paola Mangioni
Gianni Gavioli Siamo in tempo per pretendere tutto ..ciò che consideri privazione e che ha un fondamento nella tua analisi ;ma noi votiamo siamo ,abbiamo anche più strumenti di quanto sia stato in passato ;sicuro riusciremo a conquistare ciò che manca ed è mancato ! Anche le nostre due parole valgono ..se riusciamo a ragionare possedere consapevolezza sulla realtà e considerarci sempre parti di una società ..Quindi ok

 16 
 inserito:: Dicembre 07, 2025, 05:50:31 pm 
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https://partitodemocratico.it/wp-content/uploads/2022/08/AGGIORNAMENTO-

PROGRAMMA_INSIEMEPERUNITALIADEMOCRATICAEPROGRESSISTA_250822-1.pdf

 17 
 inserito:: Dicembre 07, 2025, 05:46:02 pm 
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Sara Girel

La Polizia protegge dei fascisti che volantinano fuori da una scuola ed arresta un liceale minorenne.
Siamo nel metaverso?… Altro...
Osvaldo d'Intino
Giovani studiate la storia li troverete le risposte con il tragico epilogo. Stanno tornando prepotenti e protetti. Abbiamo un unica strada, tornare in massa a votare.

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Pietrino Bindi
Gli agenti stavano proteggendo i fascisti.

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Valerio Manisi
Persona più attiva
È quasi del tutto vergognoso vivere in questo Paese.… Altro...

Riccardo Querci
Esperto del gruppo in Settore autotrasporti

Persona super attiva
Poco fa, a Piazzapulita, Corrado Formigli ha dato una lezione enorme a Giorgia Meloni, in fuga dalla conferenza stampa sulla legge di bilancio.
Una lezione di giornalismo, ma soprattutto di democrazia.
Leggetela. Rileggetela.
Perché dentro quelle parole c’è tutto ciò che una democrazia dovrebbe essere. E che questo governo, ogni giorno, dimentica:
“All'ennesima conferenza disertata e alle proteste dei giornalisti, la Presidente Meloni ha risposto così: ‘Io non sono scappata da una conferenza stampa, io sono dovuta andare via per partecipare al funerale di tre carabinieri che erano morti mentre facevano il loro lavoro.
Più che giusto, naturalmente, presenziare ai funerali. Ma perché allora, Presidente, non spostare la conferenza stampa, magari al giorno dopo i funerali?

Cara Presidente, gli italiani vogliono sentire lei rispondere alle domande sulle questioni più scottanti, non veder mandati allo sbaraglio gli sventurati ministri di turno.
Vogliono sentire lei, anche perché lei, poi, quando vuole, il tempo per fare le interviste, lo trova. E infatti, lo ha trovato anche nel giorno del funerale dei carabinieri.
Presidente Meloni, lei giustamente ha mandato una sua delegazione alla manifestazione in sostegno di Sigfrido Ranucci.
Benissimo.
Lei ha fatto questa dichiarazione: "Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, esprime piena solidarietà al giornalista Sigfrido Ranucci e la più ferma condanna per il grave atto intimidatorio da lui subito. La libertà e l'indipendenza dell'informazione sono valori inalienabili delle nostre democrazie, che continueremo a difendere".
Benissimo.
Io, però, a questo punto le domando: come si può conciliare la libertà di stampa che lei invoca con le querele a raffica che vengono fatte sistematicamente dal suo partito, dal suo governo, a tutti i giornalisti, a tutte le trasmissioni che esprimono delle critiche verso il governo stesso?
Come si concilia la libertà di stampa con il rifiuto di rinunciare anche alle querele più temerarie che ci siano, e lo sono quasi tutte, intimidatorie, temerarie, e che vanno a finire in archiviazione o in assoluzione?
Come concilia la libertà di stampa con l'occupazione sistematica, pervicace e pervasiva della RAI, con l'idea che perfino il direttore del principale telegiornale pubblico potrebbe potenzialmente diventare, come lei gli aveva proposto, suo portavoce a Palazzo Chigi?
Come si concilia questo elogio dell'informazione e della democrazia attraverso l'informazione con il varo di norme che rendono impubblicabili ordinanze di custodia cautelare, intercettazioni che sono vitali per formare e informare l'opinione pubblica?
Come si concilia la libertà di stampa con i giornalisti spiati con il software Paragon?
Con le centinaia di ore di girato della famosa inchiesta Lobby Nera?
Con le veline del sottosegretario Fazzolari inviate ogni mattina ai giornalisti "amici" affinché vengano pubblicate?
Con gli attacchi ai conduttori sgraditi fatti addirittura attraverso l'account ufficiale del primo partito italiano, Fratelli d'Italia, partito al governo?
Come si concilia la libertà di stampa con il suo sistematico sottrarsi alle domande?
Ecco. Allora, stasera, abbracciando Sigfrido Ranucci e la sua squadra di Report, mi domando: a che cosa servono tutte queste dichiarazioni di solidarietà se da domani, poi, nulla cambierà nei confronti di chi, per quanto sgradevole, per quanto sgradito, svolge un'attività necessaria per il buon funzionamento della democrazia, ossia il giornalista?”.
Da applausi. Dalla prima all’ultima parola.

da FB

 18 
 inserito:: Dicembre 07, 2025, 05:21:44 pm 
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Facili evasioni: come beni italiani sotto sanzioni europee sono arrivati in Bielorussia
Si tratta di nastri trasportatori destinati a una fabbrica di vetro voluta dal presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko.
L’Ue ne ha vietato l’export nel Paese alleato di Putin, ma eludere l’embargo è facile: basta cambiare il codice della merce


#SanctionsGame

03.12.25

Edoardo Anziano
Lorenzo Bodrero

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Bielorussia
Sanzioni

È l’alba del 22 luglio 2022 quando un camion arriva al valico di frontiera della città di Šalčininkai, in Lituania, pronto a entrare in Bielorussia. Il veicolo trasporta beni spediti da Ems Group, un’azienda italiana attiva nella produzione di sistemi per la movimentazione delle merci.

L’autista mostra i documenti di trasporto, ma i funzionari doganali lituani non concedono il via libera a causa delle sanzioni imposte pochi mesi prima alla Bielorussia, per il supporto all’invasione russa dell’Ucraina. Così, il carico di macchinari italiani viene rimandato indietro.
L’inchiesta in breve

    Tra luglio 2022 e 2023 la fabbrica di vetro di Grodno, cittadina bielorussa vicina al confine con Lituania e Polonia, ha importato macchinari prodotti dall’azienda italiana Ems Group. Eppure erano sotto sanzione ed erano già stati fermati una prima volta
    Grazie a video e a documenti forniti da una fonte con conoscenza diretta della vicenda, questa inchiesta – che IrpiMedia ha realizzato con i colleghi bielorussi di Buro Media e lituani di Siena – svela quanto sia facile eludere i controlli
    L’azienda di vetro di Grodno ha ricevuto grande sostegno da Aleksandr Lukashenko, presidente della Bielorussia e stretto alleato di Putin. La Bielorussia è sotto sanzioni europee a causa del suo sostegno all’invasione su larga scala dell’Ucraina
    Secondo quanto ricostruito, i documenti di trasporto dei macchinari sono stati falsificati. A occuparsi di questo servizio sono stati alcuni dipendenti della società di spedizioni lituana Didneriai
    Sei camion hanno varcato la frontiera tra Lituania e Bielorussia con documenti di carico che riportavano come destinatario una società kazaka e avevano un codice identificativo della merce trasportata alterato di una cifra in modo che il carico non risultasse sotto sanzione. Altri 27 camion hanno passato la frontiera solo grazie al codice della merce alterata
    In tutto i macchinari italiani per la produzione di contenitori di vetro arrivati Bielorussia valgono da soli due milioni di euro. Tutti i beni utilizzabili per scopi militari intercettati dall’Ufficio antifrode europeo perché sospettati di essere diretti in Russia valgono poco sopra i tre milioni

Tuttavia, quegli stessi macchinari riusciranno a entrare in territorio bielorusso pochi giorni dopo, per raggiungere la fabbrica di vetro di Grodno, cittadina bielorussa poco distante sia dal confine lituano sia da quello polacco. Stesso esito, nei primi mesi del 2023, avrà un’altra spedizione di macchinari prodotti da Ems Group.

I beni – dal valore totale di oltre due milioni di euro – sono entrati utilizzando due espedienti semplici, ma sufficienti per aggirare le sanzioni: dichiarando un falso cliente fuori dall’Unione europea e falsificando il codice che identifica la merce.

«Abbiamo scelto un codice (doganale, ndr) tale che non risultasse sanzionato. Abbiamo fatto tutto come si deve. Ma, in realtà, se vai a scavare più a fondo, sì, lo è (sanzionato, ndr)», ha ammesso lo spedizioniere lituano che ha permesso al carico di arrivare a destinazione durante una conversazione registrata di nascosto da una fonte che ha condiviso i materiali con i giornalisti.
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In risposta a una richiesta di commento di IrpiMedia, l’Ufficio antifrode dell’Unione europea (Olaf) ha spiegato che «dall’entrata in vigore delle sanzioni contro la Russia e la Bielorussia, i truffatori sono stati attivi nell’ideare modi per aggirarle, attratti dalla prospettiva di guadagni economici».

Per individuare potenziali evasioni delle sanzioni, Olaf esamina «i flussi commerciali, i movimenti insoliti delle merci, le anomalie dei prezzi e altri comportamenti irregolari a livello dei singoli operatori». Tutte informazioni che vengono poi trasmesse agli Stati membri, responsabili di effettuare i controlli.
L’inchiesta

Questa inchiesta – realizzata da IrpiMedia insieme alla testata bielorussa Buro Media e ai colleghi lituani di Siena grazie all’analisi di documenti di trasporto e video sotto copertura – racconta come siano state evase le sanzioni che impediscono l’export di macchinari per la movimentazione di carichi pesanti in Bielorussia.

In questo caso l’azienda acquirente, fortemente sostenuta dal governo bielorusso, produce vetro. Esiste però il rischio che la stessa tecnica per aggirare le sanzioni abbia permesso il passaggio di materiale di altro tipo.

L’Ufficio antifrode europeo ha aggiunto di aver contribuito all’intercettazione di 237mila componenti – come chip, circuiti elettrici e dispositivi per le telecomunicazioni, tutti beni ad uso potenzialmente militare – sospettati di essere diretti in Russia attraverso Paesi terzi.

Il valore dei beni bloccati è stato di oltre tre milioni di euro, una cifra bassa considerando che i macchinari italiani arrivati alla fabbrica di Grodno valgono da soli quasi due milioni. Olaf non ha fornito dati sui beni diretti in Bielorussia.
La svolta ecologista di Lukashenko

Nel 2019 il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko ha firmato una direttiva per favorire un graduale abbandono degli imballaggi in plastica e fare spazio a contenitori più ecosostenibili, come quelli in vetro.

Nella città di Grodno, sede dell’omonima fabbrica di vetro, il primo impianto aperto nel 1922 non era sufficiente a rispondere alla domanda. Così Lukashenko – storico alleato della Russia di Vladimir Putin e al potere ininterrottamente dal 1994 – ha ordinato la costruzione di un ulteriore sito produttivo. Il luogo prescelto era uno dei dodici siti della zona economica speciale della regione di Grodno gestita dall’ente Grodnoinvest. L’investimento totale, coperto anche con fondi pubblici, era di circa 50 milioni di euro.
Le sanzioni funzionano o no?

Il nuovo sito aveva però bisogno di macchinari all’altezza. Meglio se europei, considerati più affidabili rispetto a quelli russi, come ha spiegato in un’intervista con i colleghi di Buro Media uno dei manager dell’impianto. La scelta della fabbrica del vetro di Grodno era ricaduta su Ems Group, azienda con sede a Montecchio Emilia specializzata in macchinari per il packaging.

Il contratto firmato a febbraio 2021 tra la fabbrica di vetro di Grodno ed Ems, di cui IrpiMedia è venuta in possesso, prevedeva la fornitura di tre linee di macchinari per il trasporto, l’ispezione e l’assemblaggio di contenitori di vetro, per un valore complessivo di poco superiore ai due milioni di euro, installazione e formazione comprese.
Aleksandr Lukashenko visita il nuovo stabilimento di produzione del vetro di Grodno ad aprile 2024Aleksandr Lukashenko visita il nuovo stabilimento di produzione del vetro di Grodno ad aprile 2024 © belta.by

Da contratto, la merce sarebbe dovuta arrivare nel 2022. A marzo dello stesso anno, però, l’Unione europea ha imposto i primi pacchetti sanzionatori contro Russia e Bielorussia, di fatto impedendo l’invio di alcune merci verso i due Paesi.

Le restrizioni hanno colpito anche macchinari come quelli necessari alla nuova fabbrica di contenitori in vetro di Grodno. Fino a quando uno spedizioniere lituano non ha trovato un modo per aggirarle.
Due aziende in crisi, per motivi diversi
Falsificare i contratti

«Non ci limitiamo a spostare le merci. Ti liberiamo dallo stress», è lo slogan che campeggia sul sito di Didneriai, azienda di logistica lituana con esperienza trentennale nei trasporti internazionali.

Non è chiaro se a pagare il suo servizio sia stata l’azienda bielorussa o quella italiana. Secondo quanto ricostruito dai giornalisti di Buro Media, però, sarebbero stati dei dipendenti dell’azienda lituana ad agevolare l’ingresso della merce in Bielorussia, falsificando i documenti di trasporto.

L’alterazione ha riguardato due dati: la destinazione del materiale e il codice identificativo della merce. In una prima fase, entrambi i dati sono stati modificati, in una seconda solo il codice. I funzionari della dogana lituana, che avrebbero dovuto controllare il carico, non si sono accorti delle falsificazioni.

Nella prima fase, tra luglio e settembre 2022, sei autocarri hanno raggiunto Grodno trasportando macchinari prodotti da Ems per un valore di 450mila euro. Alla dogana lituana gli spedizionieri hanno mostrato un contratto falso in cui era riportata Ems Group come mittente e come destinatario una società kazaka, Quarry Service Kazakhstan, invece della fabbrica di vetro bielorussa. Il numero di contratto, la data, la quantità, il peso e il costo delle merci combaciavano con la prima spedizione respinta.

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Il finto contratto con l’azienda italiana era stato firmato da un tale Rustam Altynov, che non risulta avere alcun ruolo nella società kazaka. Le sanzioni europee non prevedono restrizioni nei confronti del Kazakistan, così gli autocarri hanno ricevuto il via libera per entrare in territorio bielorusso. Secondo l’agenzia Bloomberg, l’Ue starebbe considerando di arginare l’importazione nel Paese caucasico di macchinari europei che vengono poi triangolati «in grandi volumi» verso la Russia.

La seconda strategia di falsificazione è stata adottata per almeno 27 camion, con a bordo 1,8 milioni di euro di macchinari italiani, entrati in Bielorussia sempre via Lituania tra gennaio e marzo 2023. Per questi carichi, invece che modificare il Paese d’arrivo, gli impiegati della società di spedizioni lituana hanno alterato solo una cifra del codice che classifica le merci: da 8428 a 8438.

Il primo codice identifica i macchinari per il sollevamento, lo spostamento, il carico e lo scarico di merci, sotto sanzioni Ue dal 2 marzo 2022, con una deroga fino al 4 giugno 2022 per evadere i contratti chiusi. Il secondo codice, invece, riguarda macchinari per la preparazione di cibi e bevande, mai inclusi nelle sanzioni. Nessun agente lituano si è accorto della discrepanza tra la merce trasportata dai camion e la tipologia dichiarata.

A giugno 2023, tre mesi dopo l’arrivo dell’ultimo carico di Ems Group, Lukashenko ha presenziato all’inaugurazione del nuovo sito produttivo della fabbrica di vetro, finalmente in funzione su tre linee produttive grazie ai macchinari arrivati dall’Italia.

I manager della vetreria di Grodno hanno confermato ai giornalisti di Buro Media che nell’impianto vengono utilizzate tre linee di produzione di Ems Group, assicurando però di non sapere come siano arrivate in Bielorussia. Ems Group non ha risposto alla richiesta di commento di IrpiMedia.

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Crediti
Autori
Edoardo Anziano
Lorenzo Bodrero
Editing
Lorenzo Bagnoli

 19 
 inserito:: Novembre 24, 2025, 12:54:22 am 
Aperta da Admin - Ultimo messaggio da Admin
Gianni Gavioli

Viaggio nella Storia

In un’Europa devastata dall’occupazione nazista, dove il terrore aveva preso il posto della speranza e le strade odoravano di paura, una ragazza di appena diciassette anni decise di non piegarsi.
Il suo nome era Lepa Radić.


Era nata nel 1925, in una piccola cittadina della Bosnia, in una famiglia contadina semplice e orgogliosa. Crebbe tra i campi, i monti e le voci antiche della sua terra. Amava leggere, studiare, sognava un futuro sereno. Ma la guerra le strappò via l’infanzia troppo presto.

Quando le truppe naziste invasero la Jugoslavia nel 1941, Lepa vide il suo paese frantumarsi sotto il peso dell’odio. Vide uomini deportati, case incendiate, bambini rimasti soli. E capì che il silenzio non era più possibile.
Aveva solo sedici anni quando si unì ai partigiani jugoslavi, il movimento di resistenza che combatteva contro l’occupazione tedesca.

Non portava un fucile sulle spalle ogni giorno, ma la sua missione era altrettanto rischiosa: trasportava armi e medicinali, curava i feriti, portava messaggi segreti da un villaggio all’altro. Ogni passo era una sfida alla morte.
Lepa non cercava la gloria. Cercava la libertà.
E lo faceva con una calma e un coraggio che molti uomini adulti non seppero mai trovare.

Nel febbraio del 1943, durante la battaglia di Grmeč, i tedeschi accerchiarono il suo gruppo. Dopo giorni di scontri feroci, Lepa fu catturata. La interrogarono, la picchiarono, cercarono di spezzarla.
Ma non ci riuscirono.

Quando le offrirono la vita in cambio dei nomi dei suoi compagni, Lepa li fissò con occhi limpidi e rispose:
“Non sono una traditrice del mio popolo.”

All’alba del 8 febbraio, la condussero nella piazza di Bosanska Krupa. Aveva il viso gonfio, i capelli disordinati, ma lo sguardo era sereno.
I soldati tedeschi prepararono la corda. La folla, terrorizzata, guardava in silenzio. Qualcuno piangeva.
Lepa salì al patibolo con passo fermo, le mani legate dietro la schiena. Si voltò verso la gente e gridò parole che ancora oggi restano scolpite nella memoria dei Balcani:

“Compagni, non temete per me! Il mio sacrificio servirà alla libertà! Combattete e vincerete!”

Poi sorrise.
Un sorriso lieve, quasi dolce.
Un sorriso che fece impallidire i suoi carnefici.

Pochi istanti dopo, la corda si tese. Ma quel sorriso rimase sospeso nell’aria, come una luce che non si spegne.

Lepa Radić non morì sconfitta: morì invincibile.
Aveva solo diciassette anni, ma il suo nome divenne leggenda. In Jugoslavia fu onorata come Eroina Nazionale — la più giovane del Paese a ricevere quel titolo.

La sua storia non è solo un ricordo di guerra: è un messaggio di coraggio, di lealtà e di dignità.
Ci ricorda che la libertà non è mai gratuita, e che a volte sono i più giovani a insegnarci cosa significa non arrendersi.

A diciassette anni, Lepa Radić scelse l’onore invece della vita.
E in quella scelta trovò l’eternità.

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Nella fotografia:

La Morte vide il tuo Viso Austero e si impauri', . . . lascio' fare al servo nazista!
ggiannig

 20 
 inserito:: Novembre 24, 2025, 12:44:09 am 
Aperta da Admin - Ultimo messaggio da Admin
Vi presento Volt Italia.
Una Idea per alcuni ancora da scoprire.
Ma non per tutti, ancora troppi gli AntiEuropeisti Filoputiniani in Italia.
ggg ciaooo

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Volt Italia: un movimento per il cambiamento europeo
Volt Italia è un movimento politico progressista e paneuropeo, il cui obiettivo è trasformare la politica in Italia e in Europa. La sua missione principale è costruire un’Europa più federale, democratica e sostenibile, promuovendo giustizia sociale, innovazione e protezione dell’ambiente.

Il movimento si impegna a ridurre il divario tra cittadini e istituzioni, proponendo soluzioni pragmatiche per sfide globali come il cambiamento climatico, l’inclusione sociale e le riforme democratiche. Con una prospettiva transnazionale, Volt Italia unisce cittadini da tutta Europa per costruire un futuro condiviso e sostenibile.

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La visione di Volt Italia
La visione di Volt Italia ruota attorno a un’Italia più integrata nell’Unione Europea, puntando su una collaborazione a livello continentale.

I suoi obiettivi includono la promozione di un’economia sostenibile e innovativa, un’equa distribuzione delle risorse e il rafforzamento dei diritti civili e sociali. Inoltre, il movimento si impegna a stimolare una maggiore partecipazione dei cittadini alla vita politica. Volt Italia sostiene la necessità di riformare le istituzioni europee per renderle più efficienti e democratiche, affinché l’Europa possa affrontare le sfide globali in modo coeso e unitario.

ggiannig

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