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Forum Pubblico / LA CULTURA, I GIOVANI, L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA E LA SOCIETA'. / “Caliti junku ca passa la china Caliti junku da sira a matina”
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inserito:: Ottobre 12, 2020, 01:05:58 pm
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Della gentilezza e del coraggio, manuale denso ed essenziale di G. Carofiglio Titti Ferrante 6 Ottobre 2020 “Caliti junku ca passa la china Caliti junku da sira a matina” Si intitola “Della gentilezza e del coraggio” breviario di politica e altre cose, l’ultimo libro di Gianrico Carofiglio, in cui lo scrittore barese affronta il tema della pratica intelligente e produttiva del conflitto dialettico attraverso la neutralizzazione dell’avversario. Quella della cedevolezza e della gentilezza è una tecnica che si ispira al principio di non resistenza ghandiana e alla pratica del jujutsu e delle arti marziali in generale che tendono a ridurre la violenza del conflitto provocando lo squilibrio dell’avversario. Un libro che si configura come un manuale di politica, ma anche di educazione al pensiero, alla messa in opere delle buone pratiche educative. Per enfatizzare concetti essenziali, Carofiglio definisce utilizzando la tecnica del contrario, egli cioè sottolinea cosa non è gentilezza: non è garbo, buone maniere, educazione, non è il mite di Bobbio, ossia l’eterno sconfitto, l’arrendevole, incapace di modificare il mondo. Essa è un potente arnese che consente di disinnescare le semplificazioni che portano alla sopraffazione e alla violenza, attraverso il confronto, l’apertura a ciò che è diverso, alla percezione dell’altro. É superamento del conflitto che è molla evolutiva e strumento di crescita se trasformato in energia positiva. Attenzione e ascolto, doti essenziali alla percezione dell’altro, richiedono una mente sgombra, priva di pregiudizi e sovrastrutture, capacità di negoziare. L’ascolto diviene attivo se è capace di mettere a tacere l’ego che si nutre di schemi prefabbricati e visioni miopi. A tale proposito, Antonio Vigilante nel suo studio su Danilo Dolci individua la simmetria come fondamento di una relazione autentica; è necessario che i partecipanti ad un dialogo educativo si riconoscano come uguali e si sforzino di lavorare insieme nel rispetto della pari dignità di ognuno. Quando uno o più membri occupano una posizione predominante, le relazioni sono asimmetriche e si instaura una relazione di dominio. La relazione in Dolci è il fondamento essenziale per comprendere e cambiare la realtà. La coscienza, che non è il possesso della verità assoluta, “realizza quell’apertura implicita nel cum della sua etimologia (cum scientia) e diventa conoscenza comune, partecipata, in quanto tale, la coscienza ha naturalmente una dimensione politica … consapevole dei nessi che esistono tra individuo e collettività nel riconoscimento non di un altro generico ma di un essere umano con la sua identità”. Carofiglio cita Trump come esempio eccellente di un pessimo comunicatore e di grande manipolatore in quanto lontano dall’essere portatore di verità, propina messaggi privi di significato usando parole che servono ad influenzare i propri interlocutori attraverso l’utilizzo di schemi ed etichette che adattano la realtà ad una visione grandiosa di sé. Tipico esempio di dialettica manipolatoria sono le soluzioni grottesche individuate per far fronte al diffondersi dell’epidemia da Covid 19, oggetto di satira mondiale così come la ricerca del capro espiatorio quando, resosi conto di aver sottovalutato l’emergenza, ha attribuito colpe all’Organizzazione mondiale della sanità e alla Cina accusata di aver condotto esperimenti di manipolazione genetica. Il narcisista, di cui il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti sarebbe il prototipo, è privo di metacognizione cioè la capacità di osservare criticamente le proprie prestazioni che comporta la sopravvalutazione di se stessi e l’utilizzo di giudizi semplificati nell’interpretazione della complessità del mondo che richiederebbe, invece, quella che la neuroscienziata Maryanne Wolf definisce la pazienza cognitiva. Fenomeno dilagante del mondo contemporaneo, infatti, è la vasta mole di informazioni a cui abbiamo accesso che genera l’illusoria convinzione di poter acquisire tutto il sapere velocemente senza studio; bandito l’impegno e la fatica, si perde la facoltà di problematizzare, non si perviene all’acquisizione di competenze e saperi. Carofiglio racconta a tale proposito, che Picasso era seduto ad un bistrot parigino che disegnava su un tovagliolo di carta quando viene avvicinato da una signora interessata ad acquistare il disegno, all’osservazione che gli era bastato poco tempo per realizzarlo mossa dopo la richiesta di una cifra esorbitante, il maestro risponde che invece aveva impiegato una vita intera. La rapidità è il risultato di competenza e padronanza che si acquisisce solo attraverso l’esercizio, la pratica, l’allenamento. Quella della competenza è un altro tema affrontato nel libro, Carofiglio ci spiega che non esiste il competente in ogni campo, la competenza si esercita in campi specifici, la caratteristica della competenza è la consapevolezza del suo limite, Socrate era consapevole della finitezza del suo sapere. Quello del linguaggio gergale, settoriale, spesso volutamente oscuro e autoreferenziale, caratteristica degli esperti nel dibattito pubblico, è un altro argomento affrontato nel libro che sta particolarmente a cuore dello scrittore barese. La partecipazione alla vita democratica richiede l’abbandono di pose aristocratiche ed un uso di un linguaggio chiaro, semplice, lineare. Un linguaggio da parte di leader politici dalle strutture sintattiche spesso molto semplificate con l’uso di frasi brevi, sintassi frammentaria e sconnessa, riduzione del vocabolario, frasi ridondanti hanno caratterizzato politiche demagogiche in tutti i periodi storici compreso quello attuale ed è spesso veicolo di idee razziste e violente, di istinti di sopraffazione, di liberazione di energie tossiche. Il messaggio dei populisti è proprio quello di non temere l’espressione dei sentimenti più oscuri. Il populismo affonda le sue radici non solo nell’ignoranza e nella rozzezza, nell’odio e nella paura verso lo sconosciuto che serve ad alimentare la coesione sociale di un gruppo definendone l’identità, ma anche in un senso di fiducia tradita, di una promessa di cambiamento non mantenuta. L’alternativa al discorso manipolatorio, caratterizzato dall’uso costante e intenzionale degli argomenti fallaci, è la discussione ragionevole, la capacità di interrogazione del potere, di rimuovere pregiudizi e i muri che limitano il pensiero collettivo impedendo il progresso e l’evoluzione. Fondamentale all’attività di porsi domane, di uscire da se stessi e affrontare crisi inattese, è l’autoironia. La mancanza di senso dell’umorismo si accompagna a certezze radicali infondate e spesso grottesche; la capacità di cogliere il ridicolo, al contrario, favorisce una visione meno deformata del mondo e di noi stessi, consentendo l’uscita dalla gabbia dell’ego, dall’adesione cieca alla regola e un’aderenza ad uno scorrere più fluido dell’intrinseca libertà della vita. Il coraggio, inteso come reazione attiva ai pericoli individuali e collettivi insieme alla gentilezza che non è semplice cortesia, ma strumento per affrontare e gestire il conflitto, sono arnesi indispensabili che definiscono non solo la fisionomia del cittadino consapevole, ma la sua appartenenza al genere umano. Da - https://www.glistatigenerali.com/letteratura/della-gentilezza-e-del-coraggio-manuale-denso-ed-essenziale-di-g-carofiglio/
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Forum Pubblico / Il MONITORE. ORSI, LUPI E TUTTA LA NATURA CI RIVOGLIONO ESSERI UMANI. / G. CUPERLO Proviamo a riflettere su qualche tema senza l'angoscia della sintesi.
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inserito:: Ottobre 12, 2020, 12:45:34 pm
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Post della sezione Notizie
Gianni Cuperlo
Ve lo dico subito, oggi post estenuante, è una lunga conversazione con Umberto De Giovannangeli uscita stamane su Il Riformista.
Proviamo a riflettere su qualche tema senza l'angoscia della sintesi (grave difetto, lo so!). Se vi va di leggere mi fa piacere.
Buona giornata e un abbraccio "A unirli è la curiosità intellettuale, molto poco “ortodossa”, e una passione politica che non si fa ingabbiare nei tatticismi e nel battutismo imperanti. Gianni Cuperlo, presidente della Fondazione Pd, vola alto nella sua interlocuzione con Goffredo Bettini. E Il Riformista è il luogo prescelto" In una intervista a questo giornale, Goffredo Bettini, interloquendo con Mario Tronti, si è detto grandemente preoccupato per l’esaurimento della politica “non solo nelle sue espressioni più manifeste ma per quello che segnala nei movimenti profondi della società”. Condividi questa preoccupazione e da cosa nasce questo esaurimento? Lasciami dire prima una cosa, il tuo dialogo con Bettini appariva straniato dal contesto a cui siamo abituati e in parte assuefatti e questo restituisce al suo modo di ragionare un taglio che non appartiene all’ordinario. Parto da qui perché quell’esaurirsi della politica di cui parlano lui e Tronti ha molto a che fare con una riduzione del pensiero all’istante. Anni fa si criticavano gli amministratori perché vittime dell’ansia di tagliare nastri, inaugurare opere, e così facendo perdevano la capacità di progettare spazi e comunità nel medio e lungo periodo. Ecco, la politica – i politici, categoria in sé da rifondare – hanno percorso un sentiero analogo e si sono predisposti a gestire un’agenda che quasi mai scollina il trimestre. Il punto è che la società nelle sue mille pieghe non è affatto un motore spento, anzi.
Vuoi dire che la vera vitalità anche sul piano culturale la trovi più facilmente fuori dai partiti che dentro? E che questo vale anche per il Pd? Voglio dire che appena ti muovi fuori dal perimetro del professionismo questa vitalità la incroci e noi un anno fa in quelle tre giornate di Bologna dedicate al mondo degli anni 20 lo abbiamo visto. Non sono solo le aggregazioni storiche, sindacati, categorie economiche, l’associazionismo organizzato nel welfare, è un reticolo fitto di iniziative dal basso, spesso spontanee, esperimenti editoriali, penso a una realtà giovane come Pandora, vedo un ritorno di interesse verso la formazione dopo decenni di ironie sulle Frattocchie. Quello che manca è uno sbocco di tutto questo in movimenti dotati della forza manifestata in altre stagioni. Non sono vuote le piazze che per fortuna sanno anche riempirsi, dai ragazzi di Friday for Future alle sardine. A mancare è la capacità di tradurre quella ricchezza in un punto di vista capace di condizionare la politica o parte di essa. I movimenti, i grandi movimenti, questa forza l’hanno sempre coltivata, magari poi fallivano nella meta però l’ambizione c’era. Il pacifismo, l’ambientalismo, il pensiero femminista, in quelle parabole era iscritta la volontà di rifondare l’identità della politica, il particolare conteneva una visione che investiva il resto. Scusa, mi stai dicendo che il problema non starebbe in ciò che sono diventati i partiti ma in quello che non sarebbero più i movimenti? No, ti sto dicendo che se per un quarto di secolo avanza una liquidazione o liquefazione dei partiti senza più una lettura dei mutamenti, se si teorizza che l’identità della nuova aggregazione si riassume nelle regole statutarie sulla scelta del leader, poi è difficile stupirsi di un progressivo deserto delle idee, almeno nel cuore della rappresentanza e questo finisce col togliere ossigeno anche ai movimenti. Sai dove si misura di più questo scarto? Dove? Nella gestione del tempo da parte della classe politica. Oggi quel tempo è divenuto una variabile irrinunciabile della competizione, dentro e fuori il partito. La giornata del dirigente o del deputato è scandita dal bisogno di tenere sempre acceso il canale web che lo lega al suo insediamento, si tratti di una quota di elettorato o di una posizione gerarchica nella propria corrente. Abbiamo professionalizzato quella branca del lavoro intellettuale, ma non nel verso indicato da Weber. Abbiamo preso contromano e derubricato la vocazione, il beruf, a “mestiere” dove sono richieste alcune capacità ma di ordine informatico e comunicativo. Estetica, profilo pubblico, linguaggio o la narrazione hanno soppiantato percorsi che affondavano in verifiche del grado di maturità e competenza. Se oggi azzardi un ragionare simile non vieni compreso perché almeno un paio di generazioni hanno conosciuto solamente quella pratica. Proporne una diversa equivale a introdurre una nuova lingua che però nell’immediato non serve a presidiare la posizione acquisita e così si procede per inerzia, ma impoverendo sempre di più l’insieme. Detta così pare una condanna senza appello della politica e di chi la fa. Invece no, perché se da un lato vedo il problema per come te lo descrivo dall’altro a colpirmi è il fatto che sono i giovanissimi, i ventenni, a mostrarsi meno dipendenti da questi riflessi e allora mi chiedo se la precarietà che vivono ogni giorno sulla pelle non li stia spingendo anche a una modalità diversa di partecipazione e iniziativa. Se ci pensi nel No al referendum la percentuale più elevata è stata la loro, come si fossero in parte vaccinati dal riflesso populista della caccia alla “casta”. “Magari il problema fosse cancellare il M5S – sostiene Bettini -. Il problema siamo noi che attraverso la politica non siamo riusciti a prendere le misure al tumulto degli avvenimenti dopo l’89 e il ’92.”. È un ritardo incolmabile? Con parole diverse credo sia il concetto appena accennato. In quel triennio si è azzerato un intero sistema politico-istituzionale e ne è sorto un altro. Se metti a confronto la scheda elettorale delle elezioni del 1987 con quella del 1994, nella quota proporzionale, vedrai che non un solo simbolo della prima torna nell’altra. Ora, quando si verifica un rivolgimento del genere di solito si è consumata una guerra o una rivoluzione, nel caso nostro fu una rivoluzione pacifica anche se qualche vittima la produsse, ma non è stata accompagnata da una revisione della missione in capo alle nuove identità che subentravano al vecchio. Rino Formica o Claudio Martelli ti direbbero che più che una rivoluzione quella fu una controrivoluzione servita solo a smantellare un ordine che aveva retto per quasi mezzo secolo senza costruirne un altro che non fosse la distruzione dei partiti di governo. Guarda, non so se sia pertinente, ma con qualche forzatura preferirei recuperare la formula di Gramsci sulla crisi che “consiste nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere. In questo interregno – aggiungeva – si verificano fenomeni morbosi”. Una deriva giustizialista o lo stesso irrompere del populismo forse si debbono leggere anche così, come fenomeni morbosi che hanno trovato un terreno fertile nel disarmo della critica, in una semplificazione al limite della banalità del discorso pubblico, nel rovesciamento del concetto di leadership, da avanguardia dotata del coraggio di una strategia, se necessario in urto col proprio insediamento, al mito di un “capo” baciato dalla grazia di interpretare meglio umore e pancia del popolo. Però è proprio questa presa d’atto combinata alla prova che la pandemia ci mette di fronte a imporre un altro impianto. E su questo, ti stupirò, ma sono un incorreggibile ottimista anche se sento che per riuscirci bisogna avere l’onestà di riconoscere gli errori compiuti.
“Avendo Veltroni gettato la spugna dopo aver ottenuto il 34% alle politiche, si rese manifesta la conclusione di quella stagione piena di speranze e che solo lui in quel momento poteva interpretare al livello massimo. Da allora parlare di una "vocazione maggioritaria" intesa come ambizione di occupare "fisicamente" tutto o la gran parte dello spazio del campo progressista e democratico porta, come si è visto, solo all'isolamento, all'autosufficienza boriosa, alla mancanza di iniziativa unitaria verso i possibili alleati. Si deve parlare piuttosto di "ispirazione maggioritaria". Che significa un'altra cosa: mantenere nella propria proposta e prospettiva politica una capacità di parlare a tutti gli italiani e di caratterizzarsi come una grande forza democratica e nazionale”. Bettini archivia quella stagione. Su questo concordi? Ma vedi, questo è esattamente uno dei limiti sui quali poco si è riflettuto. La ricordi la stagione di Veltroni alla guida del Pd? Dal discorso del Lingotto in avanti aveva suscitato un entusiasmo vero e la sua campagna elettorale credo sia stata la più coinvolgente degli ultimi decenni. Dopo la sconfitta onorevole alle politiche vennero le difficoltà che lo spinsero a lasciare, ma a non convincermi è l’idea che quel disegno – il partito a vocazione maggioritaria inteso come venne inteso – sia tramontato per motivi soggettivi. Piuttosto tendo a pensare che alcune premesse di quel disegno non abbiano retto la prova e non perché Veltroni non c’era più, perché se un progetto politico è giusto la sua sorte non dipende dal singolo. Semplicemente quella vocazione maggioritaria era costruita su un’idea di società dove evaporava il conflitto, ma questo prosciugava il terreno sotto i nostri piedi. L’idea che oramai l’imprenditore e l’operaio avessero gli stessi interessi e bisogni era una lettura che confliggeva con la natura di vaste corporazioni serrate a difesa dei propri tornaconti. La stessa spinta alla modernizzazione del paese tendeva a dare di quel processo una visione ecumenica, priva di quelle scelte che inevitabilmente ti portano a indicare le priorità che persegui, quali parti della società vuoi emancipare e promuovere in una redistribuzione di potere.
Non credi però che quel disegno in qualche modo ereditasse una impostazione che veniva da prima e che aveva già portato la sinistra a pensarsi come la legittima interprete di una cultura liberale da sempre assente nella borghesia italiana? Sì, questo è vero nel senso che a un certo punto, dagli anni ’90 in avanti, l’acronimo TINA (there is no alternative) da mantra della destra ci è penetrato in casa e abbiamo consentito a una precisa ideologia di presentarsi come ricaduta della storia. Su questo Tony Judt ha scritto pagine illuminanti, ma potremmo citare Nadia Urbinati, Marco Revelli o Cacciari e Barca. Ora, appena sollevi questo tema la reazione, anche di parte del mio mondo, è dire che sei prigioniero di una vecchia cultura ostile all’impresa, ma questa è un’accusa insensata. Il punto è se accettiamo anche noi che destra e sinistra siano categorie da archiviare e che la sfida sia tra innovatori e conservatori. Renzi su questo ha costruito parte del suo iniziale successo illustrando il concetto in una prefazione che Carmine Donzelli ha voluto per una ripubblicazione di “Destra e sinistra” di Bobbio. A noi rimane il rimpianto di non aver potuto leggere la postfazione di Bobbio alla nuova edizione però possiamo immaginarcela.
“Da quanto tempo la sinistra è attraversata dal mondo ed è, invece incapace di attraversarlo”, si chiede Bettini. Ed ancora: “Da quanto tempo l’Occidente e la sinistra non riescono a proporre una visione, una idea di società’”. Ti giro le domande. A te le risposte. E io ti rispondo che non siamo in una morta gora e che c’è vita su Marte. Già prima della pandemia c’erano elaborazioni che si muovevano in controtendenza rispetto a un mainstream trentennale. Atkinson, Piketty, Milanovic, e dopo la pandemia il lavoro di Vittorio Emanuele Parsi sulla vulnerabilità o il saggio di Duflo e Banergijee su una buona economia per tempi difficili, le proposte del Forum Disuguaglianze e Diversità, permettimi di aggiungere il documento su “Radicalità per Ricostruire” che alcuni di noi hanno presentato a fine luglio e che stiamo discutendo in diverse città. Non sono le idee, compresa qualche eresia, a difettare. Il punto è quale grado di permeabilità possiede una forza come il Pd rispetto agli stimoli che riceve da fuori.
Però proprio quel Pd e il suo segretario Zingaretti dalle ultime elezioni sono usciti più che rinfrancati. Assolutamente e con merito perché abbiamo fatto la campagna elettorale per noi e pure per gli altri. Il voto è stato un successo per tanti motivi, l’ennesima sconfitta di Salvini, il governo uscito rafforzato, la conferma che gli elettorati di Pd e 5 Stelle sono capaci di unirsi nel fare fronte contro la destra. Zingaretti ha scommesso su una politica di unità del campo largo e a fronte delle esitazioni spesso opportunistiche dei nostri alleati ha scelto di farsi comunque carico di quella responsabilità e le urne ci hanno premiato. Adesso però è necessario porre al governo il tema del dopo, e la questione non è prendere o meno il Mes (che per inciso è saggio chiedere), ma come si affronta la seconda metà della legislatura dove si decideranno i destini del paese per i prossimi vent’anni. Perché se quelle enormi risorse in arrivo dall’Europa non le sapremo sfruttare nei tempi e modi giusti firmeremo una cambiale sul declino della società e dell’economia italiana.
Più o meno è quanto ripetono tutti, da Cottarelli a Boeri passando per i sindacati e Confindustria. Sì ma con un aggiunta che mi permetto di fare. A questo punto, dopo la quarta recessione del decennio, compiere gli investimenti giusti, o se preferisci, fare debito buono, non dipende solo dall’efficienza della macchina pubblica, ma dalla capacità di inglobare parte di quelle nuove idee dentro l’agenda di governo, insomma di ripensare con radicalità la nostra cultura lasciandoci alle spalle suggestioni tardo blairiane che non parlano più né agli ultimi né ai penultimi e neppure ai tutelati di prima. Se diciamo che il Pd deve farsi perno di questa sfida la conseguenza è avere il coraggio di presentarci al paese con una identità coerente al cambio d’epoca. Vuol dire ritrovare i motivi di una società non piegata sulla supremazia del profitto a ogni costo, assumere i diritti nella loro universalità evitando di riproporre la contrapposizione tra quelli sociali e gli altri, considerare la parità di genere bussola di modernità, indicare un modello di sviluppo dove gli indicatori del Pil trovino giustizia nel valore che assegniamo loro e non nelle fluttuazioni di Borsa. E tutto questo collocando al centro il primato della dignità umana in ogni sua espressione a partire dal contrasto di quella “terza guerra mondiale a pezzi” di cui parla solo Francesco.
Nell’intervista, Bettini cita Enrico Rossi che “in un incontro molto intenso tra di noi osservava come il popolo è la parte di società che ha più diritto a incarognirsi nell'egoismo se ad esso si toglie "il sogno di una cosa". Il sogno di una cosa è il titolo del primo romanzo di Pasolini ed è una citazione del giovane Marx, è l’idea che il mondo quel sogno custodisca da tempo e che la prova da affrontare sia prenderne coscienza se la si vuole possedere veramente. Per milioni di persone la traduzione a lungo sarebbe stata il comunismo e Pasolini anni dopo la pubblicazione del romanzo avrebbe descritto i guasti della società italiana di allora, le stragi impunite e una modernità omologante, con severità, ma avrebbe anche descritto il Pci come un “paese nel paese”, un grumo di passioni coltivate da un popolo consapevole del senso di marcia. Tutto questo non ha evitato errori e a volte tragedie, ma se un ammonimento ci resta è l’idea che un partito non può mai ridursi a un programma di governo e un ceto politico che si autotutela. Se accade quel partito in quanto tale semplicemente cessa di esistere e si dà vita a un’altra cosa depurata di una sua etica ed epica. Attorno a noi è cambiato il mondo e dovrebbe essere questa consapevolezza a spingerci verso una riscoperta di passioni forti alla base di uno spirito di appartenenza. Del resto a vent’anni scegli la parte dove stare non perché ti fanno votare alle primarie, ma perché la senti come la parte giusta della storia, quella più vicina ai tuoi valori e bisogni, alla tua utopia. Magari non sarà più il sogno di una cosa, mi contenterei fosse il desiderio incompiuto di correggere il mondo per come è.
Da Fb del 9 ottobre 2020 Gianni Cuperlo.
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Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / FEDERICO RAMPINI. Usa, chi fa campagna sulla pelle dei disoccupati?
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inserito:: Ottobre 12, 2020, 12:37:42 pm
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Outlook | Usa, chi fa campagna sulla pelle dei disoccupati? mer 7 ott, 21:40 (13 ore fa) Le immagini non sono visualizzate. Visualizza immagini sottostanti - Visualizza sempre le immagini inviate da rep@repubblica.itOutlook di Federico Rampini Chi fa campagna sulla pelle dei disoccupati? Trump martedì sera annunciava la fine di ogni trattativa con il Congresso sulla nuova manovra di spesa pubblica che doveva aiutare famiglie e imprese in difficoltà. Se ne riparlerà solo quando lui sarà rieletto... Lo stesso presidente della Federal Reserve dice che la cosa è grave, perché la situazione richiede interventi immediati. I democratici gridano al ricatto: il presidente specula sulla sorte dei disoccupati. La situazione è un po' più ingarbugliata perché anche la presidente della Camera Nancy Pelosi ha giocato allo sfascio, comunque è una pessima notizia per l'economia americana. Ora Trump sembra avere qualche ripensamento, propone una serie di interventi settoriali: un aiuto alle compagnie aeree, un nuovo assegno ai disoccupati. La Pelosi mette in dubbio la sua sanità mentale e dice che "gli interessa solo spedire un assegno col suo nome sopra". I tempi sono così stretti - qualsiasi manovra di bilancio deve passare al vaglio di Camera e Senato - che trovare l'accordo nelle quattro settimane prima del voto è sempre più improbabile. Alla fine le compagnie aeree potrebbero farcela in extremis, i disoccupati no? STATI UNITI Il Wall Street Journal descrive come il settore del commercio negli Stati Uniti si sta riorganizzando per sopravvivere con un numero ridotto di punti vendita. Il traffico umano nei negozi, supermercati, grandi magazzini, continua a essere basso (meno 14% a settembre rispetto allo stesso mese nell’anno prima); il commercio online si è ritagliato una quota del 16% di tutte le vendite; e le carte di credito hanno soppiantato definitivamente il contante o gli assegni con un boom di pagamenti del +88%. Cinquemila negozi piccoli o grandissimi sono spariti da aprile. Boeing prevede un ammanco di 200 miliardi di dollari di fatturato nell’arco dei prossimi dieci anni, per i tagli di acquisti da parte delle compagnie aeree. La prossima settimana Apple presenta il suo iPhone progettato per il 5G. L’evento è annunciato martedì 13 ottobre alle dieci del mattino di Cupertino, California, l’una del pomeriggio sulla East Coast e le 19 in Italia. Sono dure le conclusioni dell’indagine parlamentare su Big Tech. La Commissione antitrust della Camera di Washington ha rilasciato il suo rapporto finale sul potere di mercato di Amazon, Alphabet-Google, Apple e Facebook. Il rapporto di maggioranza firmato dai democratici denuncia i danni di un oligopolio e sostiene che bisogna smembrare i colossi separando le loro piattaforme da altre linee di business. La minoranza repubblicana nelle sue conclusioni separate insiste su un approccio duro dell’antitrust senza condividere la ricetta democratica; di suo aggiunge un attacco alla faziosità politica dei giganti digitali che accusa di essere ostili ai conservatori. Nessuno si aspetta conseguenze immediate sul piano legislativo, tutto dipenderà dai prossimi equilibri politici nel Congresso che uscirà dalle elezioni: il 3 novembre infatti non votiamo solo per il presidente, rinnoviamo l’intera Camera e un terzo del Senato. Escono nuovi dettagli sul giro di vite dell’Amministrazione Trump contro i visti H1-B, permessi di lavoro a durata determinata (generalmente 4 anni rinnovabili), molto usati dalle aziende che assumono personale qualificato: per esempio gli informatici della Silicon Valley. Ci sono attualmente 583 mila titolari di questi visti, il 70% viene dall’India, il 15% dalla Cina. Il governo federale motiva le restrizioni con l’obiettivo di cessare l’importazione di manodopera qualificata a danno degli americani. “Milioni di americani sono senza lavoro, bisogna proteggerli dal rischio che le aziende preferiscano importare manodopera straniera pagandola meno”, spiega il sottosegretario al Lavoro Patrick Pizzella. Testo alternativo La speaker della Camera americana Nancy Pelosi, intervistata al Campidoglio di Washington. 7 ottobre 2020 L'offerta delle newsletter di Repubblica è cresciuta. Scopri tutte le nuove newsletter dedicate agli abbonati: dalla politica all'economia digitale, dalla scuola al tennis. Sono incluse nel tuo abbonamento. ASIA Che Trump abbia torto o ragione a chiamarlo “China virus”, la Cina sta pagando un prezzo a livello mondiale per il suo comportamento all’origine della pandemia. Continua a degradarsi l’immagine della Repubblica Popolare cinese nel resto del mondo. Lo rivela un’indagine demoscopica del Pew Research Center condotta in 14 Paesi industrializzati. Il 73% degli intervistati ha una visione negativa della Cina. Solo un’altra nazione ha un’immagine altrettanto negativa: gli Stati Uniti. Si rafforza la campagna del governo cinese per educare la popolazione a sprecare meno cibo. Dietro c’è un problema acuto, la scarsità di diversi generi alimentari provocata dalla febbre suina e dalle inondazioni che hanno danneggiato i raccolti, a cui segue una forte inflazione nei prezzi alimentari. CONCLUSIONE Il mondo de-globalizzato del futuro sarà così fatto: le grandi aziende, o comunque tutte quelle che hanno una proiezione globale, dovranno ripensare le proprie catene produttive e logistiche sdoppiandole. Una per la Cina, una per il resto del mondo. Più semplice a dirsi che a farsi, ma probabilmente non c’è alternativa. Siamo alla vigilia di un cambiamento di paradigma di grande portata, equivalente a quello che accadde negli anni Novanta quando tutte le aziende dell’Estremo Oriente (giapponesi, taiwanesi, coreane) cominciarono a spostare produzioni in Cina. Distillo questo scenario dall’ultima puntata dell’inchiesta del Financial Times sulla nuova guerra fredda… che era anche il titolo del mio libro uscito esattamente un anno fa. Da - Outlook di Federico Rampini
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Forum Pubblico / LA COSTITUZIONE, la DEMOCRAZIA, la REPUBBLICA, VANNO DIFESE! Anche da Noi Stessi. / Le verità taciute sono l'arma degli ignoranti per opprimere le persone.
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inserito:: Ottobre 12, 2020, 12:33:27 pm
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Le verità taciute sono l'arma degli ignoranti per opprimere le persone. La macchinazione maggiore per esercitare questa oppressione è il pregiudizio. Pregiudizio: a. Idea, opinione concepita sulla base di convinzioni personali e prevenzioni generali, senza una conoscenza diretta dei fatti, delle persone, delle cose, tale da condizionare fortemente la valutazione, e da indurre quindi in errore (è sinon., in questo sign., di preconcetto): avere pregiudizî nei riguardi di qualcuno, su qualcosa; essere pieno di pregiudizî; giudicare senza (o con l’animo sgombro da) pregiudizî; molti continuano ad avere dei p. sulle capacità professionali delle donne; i suoi p. erano il risultato di un’educazione all’antica; pregiudizî di casta; p. morali, razziali, religiosi, sociali, politici; uno di quei settentrionali con la testa piena di pregiudizi, che appena scendono dalla nave-traghetto cominciano a veder mafia ovunque (Sciascia). b. Convinzione, credenza superstiziosa o comunque errata, senza fondamento: combattere contro vecchi p. popolari; è un vecchio p. che rompere uno specchio porti sfortuna. (Treccani) Il pregiudizio si fonda, spesso, su una calunnia pura e semplice, il venticello che si diffonde facilmente per ragioni psicologiche o sociologiche. Ascoltando Brahms, sopratutto l'ultimo Brahms, si ritrova la maestosa magnificenza della cultura tedesca, portata ad esempio della grandezza della nostra cultura. Sono nate da questa constatazione anche aberranti false idee del mondo, di cui avvertiamo ancora oggi le cicatrici prodotte. Ebbene, basta aprire oggi la pagina di ricerca Google per trovare la smentita a molti pregiudizi che ci perseguitano ancora oggi. "Anton Wilhelm Amo (Axim, 1703 – Shama, 1759) è stato un filosofo ghanese naturalizzato tedesco. Docente nelle università tedesche di Halle e Jena, delle quali era stato studente, Amo era giunto nel continente europeo nel 1707, ancora bambino, portatovi dalle navi della Compagnia olandese delle Indie occidentali, ed era stato donato come regalo al duca Augusto Guglielmo di Brunswick-Lüneburg,[1] nella cui famiglia fu trattato molto bene, in particolare da Antonio Ulrico, che si occupò attivamente di lui. Fu il primo africano a frequentare un'università europea. .............. A Wittenberg si addottorò in filosofia nel 1734 con una tesi (pubblicata col titolo Sull'assenza di sensazioni nella mente umana in presenza del nostro corpo vivente organico) nella quale si oppose all'idea del dualismo cartesiano in favore di un materialismo più pregnante. Egli accettava che si potesse parlare di mente e di spirito, ma sosteneva che è il corpo, più che la mente, a percepire i sentimenti. «Qualsiasi cosa sia in grado di percepire, vive; qualsiasi cosa viva, dipende dal nutrimento; qualsiasi cosa viva e dipenda dal nutrimento, cresce; qualsiasi cosa sia di tale natura si risolve con principi base; qualsiasi cosa si risolva per principi base è complessa; ogni complesso ha delle parti costituenti; tutto ciò che è vero è costituito da un corpo divisibile. È per questo che la mente umana percepisce e segue un corpo divisibile. (Sull' Ἀπάθεια (Apatheia) della mente umana, 2.1)» La carriera filosofica e gli ultimi anni Amo tornò all'Università di Halle come lettore di filosofia col nome latino di Antonius Guilelmus Amo Afer. Nel 1736 fu nominato professore di quell'ateneo. Durante questo periodo, nel 1738, pubblicò l'altra sua opera di rilievo Trattato sull'arte della filosofia sobria ed accurata, nella quale ha sviluppato un'epistemologia empirica molto vicina seppur distinta da quella dei filosofi John Locke e David Hume. In quest'opera ebbe modo di esaminare le colpe della disonestà intellettuale, del dogmatismo e del pregiudizio. Nel 1740 Amo ottenne una cattedra di filosofia all'Università di Jena, ma le cose iniziarono a peggiorare. Il duca di Brunswick-Lüneburg era morto nel 1735, evento che lo privò, così, del proprio principale protettore e patrono. Il suo successore ebbe una politica più intellettuale e moralistica e meno liberale del predecessore, abbracciando, anche se solo ufficiosamente, le tesi relative alla secolarizzazione dell'educazione e opponendosi ai diritti degli africani in Europa, contrapponendosi a coloro che, come Christian Wolff, avevano fatto attiva campagna per il mantenimento della libertà accademica. Amo divenne oggetto di una scellerata campagna denigratoria da parte dei suoi avversari, inclusa un'opera satirica che fu rappresentata al teatro di Halle. Decise a quel punto di fare ritorno nella sua terra d'origine. Salpò a bordo di una nave della Compagnia olandese delle Indie occidentali diretto verso il Ghana, dove giunse nel 1747; suo padre ed una sorella vivevano ancora li. La sua vicenda, da questo momento, si fa più oscura. Secondo alcune fonti, sarebbe stato portato alla fortezza olandese di Fort San Sebastian a Shama, probabilmente per evitare che, tra la popolazione locale, potesse dare sfogo al suo dissenso per i torti subiti in patria. L'esatta data e il luogo della sua morte sono sconosciuti, ma con tutta probabilità tale evento ebbe luogo a Chama, nel 1759. In tempi successivi, durante il periodo dell'idealismo tedesco e del romanticismo, l'opera filosofica di Amo fu quasi del tutto ignorata dagli altri intellettuali di Jena come Schiller, Fichte, Schelling, Hegel, Brentano e i fratelli Friedrich Schlegel e Wilhelm August von Schlegel.[3] Nell´agosto del 2020 gli è stata dedicata una via nel distretto di Mitte, a Berlino. Sostituirà la dicitura "Mohrenstraße" ("Strada dei Mori"), che era stata all'origine di proteste cittadine da parte di chi riconosceva un'accezione razzista in quella intitolazione." https://it.wikipedia.org/wiki/Anton_Wilhelm_AmoNon sappiamo se Anton Willhelm Amo fu ucciso per evitare una sollevazione del suo popolo contro la colonizzazione dei predatori (ed ignoranti) bianchi, avendo coscienza della propria dignità. Quando qualcuno deride chi indica le persone provenienti dall'Africa come nostre risorse, dovrebbe affrontare anche la semplice frase riportata sopra della sua tesi. Scopriremmo che nulla sanno della nostra cultura dai tempi degli atomisti, fino alle più recenti e strabilianti scoperte scientifiche che permettono loro di utilizzare questi strumenti di comunicazione, che stiamo utilizzando in questo momento. Ancora oggi leggiamo di persone che rifiutano di farsi visitare e curare da un medico di colore, che godono di manifestazioni di ignoranza che portano a ridicoli abbigliamenti ed atteggiamenti per "sacri prati" di una nostra regione del nord, venerando personaggi mai esistiti storicamente. Sono loro i ridicoli, mentre l'intelligenza delle persone che provengono dall'Africa sono una risorsa per tutti noi. da Arturo. Cancellato da LAU per sospetto di post “disturbato” (la fonte sospetta di virus).
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Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / ... una visita domiciliare immediata, oggi domenica mattina alle 10.
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inserito:: Ottobre 11, 2020, 09:36:47 pm
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Un amico mi segnala d’essere a conoscenza di un avvenimento unico (forse solo raro) che vede protagonista un Medico che, venuto a conoscenza di un problema serio ma non grave patito da un anziano, non suo paziente, ha voluto effettuare una visita domiciliare immediata, oggi domenica mattina alle 10.
Dopo la visita di quasi un’ora e mezza, completa di anamnesi dei precedenti del paziente e relativi consigli di comportamento, ha richiesto 90 euro di parcella (seguirà regolare fattura).
Ma allora: il bello nella nostra società esiste!
ciaooo
PS: mi segnalate casi simili della sopravvissuta Bellezza Italiana nei comportamenti sociali. Rendiamoli noti (se non sono bufale ma, come questa notizia, realmente accaduti e documentabili). Ovviamente questo della segnalazione, vale anche per i miei lettori esteri (se si iscrivono a LAU e non sono robot).
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