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16  Forum Pubblico / LA CULTURA, IL MONDO DEL LAVORO, I GIOVANI, L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA. / I Media in genere, con qualche bella eccezione, non fanno più neppure rabbia,... inserito:: Luglio 15, 2024, 12:41:53 pm
I Media in genere, con qualche bella eccezione, non fanno più neppure rabbia, ma urti di schifo, quando parlano o scrivono. 

Assoggettarsi ad un padrone, infatti puzza lo si capisce appena cominciano a trasmettere in TV o scrivere nelle testate "tarlate".   

ciaooo
17  Forum Pubblico / L'ITALIA NON FATELA RIDURRE ad ARCIPELAGO di ISOLE REGIONALI E FEUDALI. / VIKTOR ORBAN MATTEO SALVINI GIORGIA MELONI ECR - ma NEPPURE LA UE inserito:: Luglio 15, 2024, 12:31:36 pm
Salvini scommette sui Patrioti di Orban, Meloni prova a blindare Ecr
Grandi manovre a destra al Parlamento Europeo. Il leader leghista sempre più vicino al gruppo fondato dal premier ungherese insieme agli austriaci di Fpo e i cechi di Ano.
E la premier teme che si aggiungano i polacchi del PiS, oggi suoi alleati

Federica Valenti02 luglio 2024
Alessandro Serranò/ AGF - Meloni e Salvini

UE - VIKTOR ORBAN MATTEO SALVINI GIORGIA MELONI ECR

AGI - Matteo Salvini è sempre più vicino ai 'Patrioti' fondati da Viktor Orban. Una "strada giusta" - l'ha definita il segretario leghista -, quella avviata dal primo ministro ungherese, insieme agli austriaci dell'Fpo e i cechi di Ano. L'obiettivo è quello che Salvini insegue da anni: ovvero dare vita a un grande gruppo alternativo alle sinistre in Europa. E il primo passo è la costruzione di una alleanza aperta a chi è stato escluso dall'accordo sui top job tra Ppe, Socialisti e Liberali, definito "colpo di Stato" del vice premier italiano. Il risultato auspicato quindi sarebbe la creazione di un eurogruppo più ampio di Identità e democrazia, dove attualmente la Lega siede insieme ai francesi del Rassemblement national.

Ai 'Patrioti per l'Europa già aderiscono Fpo, storico alleato della Lega, tra i fondatori di Id, e, da oggi, i portoghesi di Chega, di recente molto vicini al gruppo nato dall'intuizione di Salvini e Le Pen. In attesa di vedere cosa farà il Rn - che potrebbe non scegliere prima dell'esito del secondo turno delle legislative di domenica -, quindi, il leghista mette una fiche sul progetto di Orban, che pare invece non interessare ai Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni, quantomeno allo stato.

FdI è in trattativa con gli alleati del PiS, insieme al quale co-presiede i Conservatori europei. I polacchi però potrebbero aderire ai nuovi 'Patrioti', superando le distanze storiche con Orban, considerato un tempo troppo filo-russo. "Siamo in trattativa con Ecr e questo è l'elemento principale che deciderà del nostro futuro", ha detto, nei giorni scorsi, l'ex primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, specificando che il PiS è tentato di andare "in entrambe le direzioni". "Direi che la probabilità è del 50-50", ha spiegato, aggiungendo che "non è garantito" che il PiS rimanga in Ecr. Entro mercoledì dovrebbe esserci una decisione. In FdI non si crede che alla fine il PiS possa realmente lasciare Ecr ma niente è escluso allo stato. Si tratterebbe di una delle ipotesi meno vantaggiose per il primo partito di governo italiano, perché ridimensionerebbe considerevolmente la consistenza del gruppo che Meloni presiede, che, perdendo i 20 del PiS, passerebbe così da 83 a 63 eurodeputati.
Chi non ha dubbio alcuno di ricollocamento è Forza Italia, parte integrante dei Popolari europei. Per tutta la campagna elettorale, il segretario nazionale di FI Antonio Tajani si è speso a favore dell'apertura di un dialogo tra il Ppe e i Conservatori di Meloni, a discapito dei Verdi. Tajani lo ha ribadito anche in giornata, sostenendo che la maggioranza che sosterrà la nuova commissione di Ursula von der Leyen in Europarlamento dovrà essere solida e avrà quindi bisogno dei voti di FdI.
Von der Leyen oggi ha avuto un primo incontro con i Verdi. La trattativa è appena entrata nel vivo e appare prematura ogni previsione sul voto dei 24 eurodeputati di FdI. Meloni, che si è comunque lasciata la porta aperta astenendosi sulla indicazione di von der Leyen in consiglio europeo, lascia tutte le opzioni sul tavolo in attesa di capire quale ruolo può ottenere per l'Italia nel nuovo esecutivo. L'obiettivo dichiarato della premier è di "fare meglio" di quanto fatto dal Pd nel 2019 e quindi ottenere un portafoglio economico importante e una vice presidenza della commissione per il candidato italiano che sembra essere il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto. Il voto di FdI in Europarlamento dipenderà tutto da come andrà il negoziato.

Da - https://www.agi.it/politica/news/2024-07-02/orban-patrioti-salvini-meloni-ecr-ue-26981468/
18  Forum Pubblico / CULTURA E NUOVO CAPITALISMO. - ECONOMIA, FINANZA, LAVORO. / Le prime conseguenze, più immediate e facilmente verificabili, incidono sullo... inserito:: Luglio 15, 2024, 12:21:14 pm
Benvenuti alla newsletter che è il nostro appuntamento settimanale, ogni sabato mattina. Vi prometto una lettura molto personale di alcuni eventi globali che selezionerò come "la chiave" per dare un senso alla settimana. Con una particolare attenzione alle mie due sedi di lavoro, l'attuale e la precedente: New York e Pechino. "The place to be, and the place to look at..."
 Non esitate a scrivermi: commenti o domande, contestazioni e proposte.

Classe 2024 o Generazione Gaza: e ora cosa succede all'America?
Prima di giudicare, cerchiamo di capire  i campus
Classe 2024 ovvero Generazione Gaza. Per i disagi e le perturbazioni che provocano nella vita quotidiana di molte famiglie e in molte città, le proteste studentesche di questi giorni forse sono il tema più dibattuto fra gli americani (molto più del processo newyorchese a Donald Trump). L’America intera s’interroga sul significato di quest’agitazione, le sue ragioni o i suoi torti, l’impatto e le conseguenze che potrà avere in varie direzioni. Politica interna, politica estera, battaglia delle idee, egemonia culturale: tutto s’intreccia. Oltre ovviamente alla tragedia in corso in Medio Oriente. Vorrei cercare di vederci chiaro al di là del giudizio specifico sui contenuti di questo movimento, i suoi slogan, i suoi metodi di lotta.
La protesta si sta allargando
Prima constatazione, obiettiva: la protesta dilaga. Era cominciata in alcuni bastioni dell’accademia più élitaria come Harvard Columbia Yale, luoghi dove – nonostante la meritocrazia e le borse di studio – si formano soprattutto i figli della classe dirigente, con rette dai settantamila dollari annui in su (ormai si arriva facilmente a quota centomila). Ora le manifestazioni, gli accampamenti di occupazione, gli scontri con la polizia (quando questa viene chiamata a intervenire dalle autorità) si estendono ben oltre. A New York è entrato in agitazione anche il City College, che costa poco ed è frequentato dai figli dei ceti medio-bassi inclusi molti immigrati. Se i focolai iniziali erano concentrati soprattutto nell’America delle due coste dove domina la sinistra, ora si segnalano proteste in Stati del Sud che votano repubblicano.
Classi in remoto come nella pandemia
Le prime conseguenze, più immediate e facilmente verificabili, incidono sullo studio. Queste ragazze e ragazzi, appartenenti alla più ampia Generazione Z (i nati fra il 1997 e il 2012), spesso sono gli stessi che finirono il liceo o iniziarono il percorso universitario con la pandemia; pertanto hanno già sofferto un deficit di apprendimento oltre che di socializzazione. Ora alcuni atenei tornano ai corsi in remoto, quindi si rischia una sorta di prolungamento dell’esperimento Covid che non fu certo felice. In certe università si discute se cancellare la cerimonia della “graduation”, la consegna solenne e festosa dei titoli di laurea, un appuntamento molto sentito nella tradizione e molto partecipato dalle famiglie. Tutto ciò contribuisce a creare un’atmosfera di emergenza, che resterà scolpita nella memoria della Generazione 2024 o Generazione Gaza.
Autorità accademiche nella tempesta
Attorno a queste turbolenze, a cerchi concentrici, si agitano anche la vita politica e la classe di governo, a livello locale e nazionale. Presidenti e rettori delle università sono sotto assedio da più parti. Molti di questi leader sono donne, appartenenti a minoranze etniche, ed erano abituati ad amministrare sofficemente le regole del gioco della cultura “woke”, in ambienti accademici dall’egemonia culturale progressista. Gli studenti filo-palestinesi ora accusano presidenti/rettori di limitare la libertà di espressione se cercano di sgomberare i campus e di garantire l’agibilità delle aule. Fino a ieri però le stesse autorità accademiche erano accusate di aver consentito un clima di censura e intimidazione imposto dalla sinistra radicale, l’esclusione di voci conservatrici, e dal 7 ottobre 2023 avevano tollerato un’escalation di aggressioni antisemite. Se chiamano la polizia le autorità accademiche sono descritte come repressive, se non la chiamano sono succubi di frange estremiste e violente. Un altro argomento polemico che affiora da sinistra è il "ricatto" esercitato dai ricchi donatori della Jewish community per penalizzare università che hanno condonato l'antisemitismo. Ma nessuno storceva il naso quando gli stessi miliardari ebrei finanziavano centri studi e cattedre controllati dalla sinistra radicale. Su Gaza si sta consumando, tra l'altro, anche un divorzio tra due anime storiche del partito democratico Usa: ebrei progressisti e sinistra filo-araba.
Il mondo politico è coinvolto in tutti i modi. A New York è stato un sindaco democratico e black, Eric Adams, a chiamare la polizia al City College. Poco prima il presidente della Camera, il repubblicano Mike Johnson, aveva visitato la Columbia University per denunciarvi l’antisemitismo.
L' "altro Sessantotto" fece avanzare le destre
Nei sei mesi da qui alle elezioni l’uso politico di queste proteste è destinato a crescere. A metà strada (agosto) c’è un appuntamento come la convention democratica di Chicago che evoca inquietanti analogie con quella convention che nella stessa città si tenne nel 1968, in un crescendo di scontri fra la polizia e i manifestanti contro la guerra del Vietnam.
Se questo sia destinato a passare alla storia come un nuovo Sessantotto americano, oppure qualcosa di meno importante, è presto per dirlo. I bilanci sono prematuri e del resto anche la storia di 56 anni fa continua ad essere reinterpretata da revisionismi di ogni colore ideologico. Di sicuro quello che sta accadendo quest’anno è rilevante. A prescindere dalle nostre opinioni sul merito della questione – cioè su Gaza – questo movimento ci dice qualcosa sullo stato della società americana, e sullo stato dell’America nel mondo. L’agitazione studentesca rafforza l’influenza che la politica estera può avere nell’elezione del 5 novembre. D’altronde non riesco a ricordare in vita mia un anno elettorale con due guerre della gravità di Ucraina e Medio Oriente. I cortei violenti e gli scontri rilanciano anche temi più domestici come la sicurezza e l’ordine pubblico. Qui ricordo che il Sessantotto originario fa vincere le elezioni americane al conservatore Richard Nixon e quelle francesi al conservatore Charles De Gaulle: allora si parlava di una rivincita della “maggioranza silenziosa” contro la minoranza che occupava le piazze. In Italia il riflusso a destra arriva solo un po’ più tardi, con il governo Andreotti-Malagodi nel 1972.
Politica estera Usa, i problemi sono reali
La politica estera americana è un bersaglio proclamato di questo movimento studentesco. Non l’Ucraina, che lascia indifferenti i giovani, ma la Palestina. Sorvolo qui sui tanti (troppi) segnali di ignoranza o disinformazione tra i ragazzi di questa generazione (onestamente non erano meglio istruiti i ragazzi del ’68 né quelli del ’77). Invece voglio sottolineare due questioni serie e ineludibili, che sollevano i meglio preparati tra di loro. La prima va al cuore di una contraddizione di Joe Biden. Questo presidente eredita decenni di una politica di sostegno “incondizionato” a Israele (dal 1967). Quell’aggettivo messo tra virgolette è stato contestato a lungo e da più parti: l’America ha continuato a fornire aiuti militari ed economici a Israele anche quando i governi di Tel Aviv ignoravano le pressanti richieste di Washington e facevano scelte contrarie agli interessi veri degli Stati Uniti. Oggi quella contraddizione è esplosa più che mai. Pur difendendo il diritto all’esistenza dello Stato d’Israele, Biden è in forte contrasto con Netanyahu, sulla questione dello Stato palestinese, sugli aiuti umanitari, sulla condotta della guerra contro Hamas e sugli insediamenti di coloni in Cisgiordania. Però Biden non osa cancellare nei fatti l’aggettivo “incondizionato”: da una parte critica duramente Netanyahu, dall’altra continua a fornire aiuti militari decisivi alle forze armate israeliane. Gli studenti vorrebbero farli cessare subito. I contestatori considerano Biden politicamente e moralmente corresponsabile di quello che definiscono il genocidio dei civili a Gaza. Comunque si veda la questione, è un dato oggettivo che Gaza sta diventando “la guerra di Biden” come il Vietnam fu “la guerra di Lyndon Johnson”. Con le dovute e significative differenze: dal Vietnam ogni giorno tornavano delle bare con salme di giovani americani caduti al fronte. Nel 2024 l’America non combatte direttamente, o almeno non a Gaza, anche se alcune sue basi militari e le sue flotte sono intervenute: contro i missili e droni iraniani, contro gli Hezbollah, contro gli Houthi nel Mar Rosso.
"Disinvestimento" come in Sudafrica contro l'apartheid
In parallelo alle accuse a Biden, c’è un’altra campagna portata avanti dal movimento studentesco, quella sui “disinvestimenti”: i manifestanti esigono dalle loro ricchissime istituzioni universitarie (e in prospettiva dall’America tutta intera: aziende, banche) che chiudano ogni investimento suscettibile di aiutare gli insediamenti illegali di coloni israeliani in Cisgiordania o altre forme di sfruttamento della popolazione palestinese. Si ispirano esplicitamente alla campagna di disinvestimento che colpì il Sudafrica ai tempi del dominio razzista della minoranza bianca. Quel movimento di boicottaggio economico contribuì alla fine dell’apartheid e alla vittoria di Nelson Mandela contro l’apartheid (anche se non fu così decisivo come si tende a credere).
A ispirare la Classe 2024 o Generazione Gaza c’è una visione etica della politica estera: l’America dovrebbe comportarsi nel mondo intero in conformità con i valori e gli ideali a cui dice di ispirarsi nella sua Costituzione. Questo movimento si iscrive in una tradizione antica e nobile, radicata soprattutto nel partito democratico. E’ quella che ispirò il presidente Woodrow Wilson a fondare la Società delle Nazioni dopo la prima guerra mondiale e il presidente Franklin Roosevelt a fondare le Nazioni Unite dopo la seconda, per far rispettare principi di legalità a livello globale.
I peccati originali di questo movimento
All’interno di questa ispirazione molto apprezzabile, il movimento studentesco però si è macchiato di un peccato originale, o più d’uno. Il primo è ben noto e divenne evidente fin dalle prime ore successive al massacro di Hamas il 7 ottobre. Una miriade di associazioni studentesche presero posizioni ignobili, immorali, inaccettabili: approvarono subito e con entusiasmo la strage di civili israeliani, lo stupro in massa di donne, il rapimento di bambini. Molto prima che arrivasse la controffensiva israeliana a fare un'ecatombe a Gaza. La violenza feroce, le torture crudeli, gli stupri, tutto fu assolto in quanto giusta vendetta per i torti subiti dai palestinesi. Quell’usare due pesi e due misure – la violenza israeliana è orribile, quella di Hamas è sacrosanta – continua tuttora e perseguita il movimento. Lo espone alle accuse di antisemitismo, che sono giustificate da innumerevoli atti di aggressione avvenuti nei campus, molti dei quali sono diventati dei luoghi non solo inospitali ma perfino insicuri per studenti di origini ebraiche o di nazionalità israeliana. 
Indottrinamento e fanatismo
Questa macchia si collega ad un altro peccato originale, che non si riferisce solo a Gaza ma all’ideologia prevalente nella Generazione 2024. Ne ho scritto altre volte, è un’ideologia che risale a cattivi maestri come Michel Foucault o Toni Negri. Interpreta l’intera storia delle civiltà e l’universo mondo attraverso il trittico Potere Oppressione Privilegio; divide l’umanità in oppressi e oppressori, sfruttati e sfruttatori; schiaccia la complessità dentro categorie manichee (buoni-cattivi, bianco-nero); riduce quindi il mondo contemporaneo a una massa di vittime (il Grande Sud globale, gli ex-colonizzati, le minoranze etniche dei nostri paesi) e un unico carnefice che è la razza bianca, dominatrice, aggressiva. Fanatismo, intolleranza, perfino l’apologia della violenza (quella di Hamas) derivano da questa visione del mondo.
Non è una novità. Tutte le rivoluzioni di ogni colore, dai giacobini di Robespierre ai bolscevichi di Lenin, dagli squadristi di Mussolini nella marcia su Roma alle Guardie rosse di Mao Zedong, fino alle rivoluzioni religiose come quella di Khomeini in Iran, tutte senza eccezioni hanno avuto bisogno di disumanizzare la storia, demonizzare l’avversario, dividere il mondo in buoni e cattivi, per aizzare le masse e giustificare la violenza.
Leggete questa intellettuale progressista, e poi Musk
Se pensate che esagero nell’avvicinare quel tipo di precedenti storici alla società americana del 2024, ecco cosa scrive una brava opinionista del New York Times, una “progressista critica”, Pamela Paul, in un commento efficacemente intitolato Hai subito un torto, non vuol dire che tu abbia ragione.: “Viviamo in un’età dell’oro della lamentela per i torti subiti. … Se sei di sinistra sei stato oppresso, escluso, emarginato, silenziato, cancellato, ferito, sottorappresentato, traumatizzato e danneggiato. Se sei di destra sei stato ignorato, disprezzato, sottovalutato, zittito, caricaturizzato e irriso. … Gli esseri umani si sono sempre combattuti per l’accesso ineguale a risorse scarse. Però mai come oggi la nostra cultura ha fatto della lamentela una forza motrice così vigorosa, e un gioco a somma zero in cui ciascuna parte si sente lesa. … Riflettiamo su un fenomeno progressista: la gerarchia del privilegio viene rovesciata così che le voci marginalizzate in precedenza ora hanno la priorità. Valido, in teoria. Ma chi decide, e su quali basi? Chi è più oppresso: un vecchio bianco veterano dell’esercito e portatore di handicap, o un giovane gay di origini latinos? Individui o tribù vengono classificati secondo categorie binarie: colonizzatore contro colonizzato, oppressore contro oppresso, privilegiato e non. Nelle università e nelle ong, nei luoghi di lavoro e nelle istituzioni statali, la gente può recitare la propria lamentela e vittimizzazione, trasformandola in un’arma, sa che può appellarsi allo Stato, all’ufficio del personale o al tribunale dei social, dove sarà ricompensata con attenzione”.
Sul versante opposto dello spettro politico rispetto a Pamela Paul, l’anarco-libertario-capitalista Elon Musk scrive su X: “L’assiomatico errore che mina alle fondamenta gran parte della civiltà occidentale è il concetto che la debolezza ti dà ragione. Se si accetta che gli oppressi sono sempre i buoni la conclusione naturale è che i forti sono cattivi”.
Se sei ricco hai rubato a un povero? Marx se la ride...
L’assioma descritto da Musk comanda la Generazione Gaza. Di fronte a qualsiasi evento storico ci si chiede prima di tutto qual è la parte meno forte o meno ricca; quindi, ci si schiera in sua difesa perché quella è la parte moralmente superiore.
Traducendo Musk, la Generazione Gaza è cresciuta nella certezza che “se sei ricco devi aver derubato un povero”: grottesca caricatura del marxismo, che non è così banale. Da quando le università hanno smesso di insegnare una storia positiva del Progresso? (Risposta: dagli anni Sessanta, basta verificare l’evoluzione dei programmi e dei titoli dei corsi nelle università Usa). Nella demonizzazione del Progresso, oggi obbligatoria, è proibito studiare se alcune nazioni, civiltà, classi dirigenti abbiano adottato ricette efficaci per creare e diffondere prosperità e diritti; mentre i popoli poveri possono anche essere vittime di leader oppressivi autoctoni, sistemi di valori retrogradi.
Applicato ai palestinesi questo meccanismo impedisce di addentrarsi nei meandri di una storia labirintica, evita di fare i conti con i molteplici errori commessi dagli stessi palestinesi (leader e popolo) fino alla tragica impasse attuale, sorvola su forze potentissime che aizzano i deboli (l’Iran con il suo petrolio, i suoi arsenali e il suo fanatismo religioso, le varie milizie terroristiche che hanno fatto della violenza una rendita politica). Ignora che gli ebrei residenti nel territorio d’Israele non sono tutti “bianchi”. Eccetera eccetera. Non è questo il luogo per accennare ai mille capitoli controversi della storia mediorientale e della questione israelo-palestinese. Il luogo adatto sarebbero proprio le aule universitarie. Dove però da molti anni non si dibatte, si indottrina e si fa lavaggio del cervello.
Quella situazione descritta da Pamela Paul chiama in causa non solo la Generazione Gaza bensì pure i suoi cattivi maestri.
6 gennaio 2021, la destra "legittimata"?
Richiamo l’attenzione su un passaggio iniziale della Paul, in cui si riferisce alla destra trumpiana. Lei ci torna con questa frase: “Cosa fu in fondo il 6 gennaio 2021 se non una gigantesca esplosione di rabbia da parte di coloro che si sentivano ingannati e volevano ottenere risarcimenti, con qualsiasi mezzo?”
Ecco, quel che accade nei campus universitari in questi giorni come viene visto dagli elettori repubblicani? Come una conferma che la sinistra in fatto di violenza ha due pesi e due misure, vede una violenza “fascista” e una violenza “giusta” perché viene dagli “oppressi”. Fu così anche in quella terribile estate del 2020 che precedette l’insurrezione del 6 gennaio al Campidoglio. Dopo l’assassinio dell’afroamericano George Floyd per settimane fu normale vedere commissariati di polizia e altre sedi istituzionali assaltati e incendiati da manifestanti di Black Lives Matter. Poi per altri mesi alcune zone del paese (ad esempio il centro di Portland nell’Oregon) divennero ufficialmente delle zone “liberate dalla polizia”, dove le forze dell’ordine non potevano più mettere piede.
Oggi corriamo il rischio che la Generazione Gaza si senta legittimata all’uso della violenza, a tal punto da farvi ricorso in modo sistematico? L’altro Sessantotto, quello di 56 anni fa, vide la diffusione della lotta armata negli Stati Uniti, in Italia, Francia, Germania. Onestamente, non siamo ancora arrivati a questo punto, non mi pare proprio.
Forza dell'economia Usa, un fattore di pace sociale
Una delle ragioni che prevengono il contagio delle proteste e della violenza, forse, è l’ottima situazione economica di cui l’America ha goduto finora: alta crescita, piena occupazione. L'altroieri è uscito un dato che segnala un rallentamento della crescita, e l'inflazione non è stata debellata. Però nell'insieme il quadro rimane positivo, migliore che in molte parti del mondo. E ne beneficiano un po' tutti.
La Generazione Z è ricca, economicamente sta meglio di come stavano le generazioni dei suoi fratelli maggiori o dei suoi genitori quando avevano la stessa età. E’ turbata, è sofferente, per mille motivi, ma non vive in un periodo di crisi economica o di ingiustizie sociali acute. Gli aumenti salariali e gli aiuti pubblici del periodo pandemico hanno perfino attenuato certe diseguaglianze. I lavoratori appartenenti a minoranze etniche – black, latinos – non sono mai stati così bene. Le tensioni politiche e culturali sono acute, ma non poggiano su problemi materiali.
Non è detto che questa situazione duri, però. La forza dell’economia americana in parte è virtuosa, è legata alla sua capacità d’innovazione e al dinamismo delle sue imprese. In parte invece è drogata da una spesa pubblica in deficit che aumentò a dismisura sotto Trump per il Covid, e ha continuato a crescere sotto Biden (ivi compreso per un “voto di scambio” a vantaggio degli studenti universitari: la generosa, costosa e iniqua cancellazione dei loro debiti a carico del contribuente). Non ho la capacità di distinguere quanta parte della crescita economica Usa sia “sana” e quanta “malsana”.
Il quadro mondiale: perdita di consensi
Alla forza di questa economia si contrappone un crescente isolamento dell’America rispetto al resto del mondo. Isolamento relativo, s’intende: la comunità transatlantica rimane un blocco straordinariamente ricco e influente. Se all’Europa si aggiungono i numerosi alleati asiatici – Giappone, Corea del Sud, Filippine – più Australia e Nuova Zelanda, “l’Occidente allargato” è molto grosso. Però in termini di popolazione il resto del mondo è ancora più grosso, e cresce di più.

Come il Vietnam negli anni Sessanta segnò una ferita grave per la legittimità, credibilità, autorevolezza degli Stati Uniti nel mondo, così in una certa misura sta avvenendo oggi per Gaza. “La guerra di Biden” fa perdere all’America consensi preziosi nel Grande Sud globale. Non è del tutto casuale che altri due paesi africani – Niger e Ciad – abbiano appena cacciato i militari americani.
La sorpresa "finale" degli anni Sessanta
I paragoni storici vanno maneggiati con prudenza e umiltà. Voglio ricordare tuttavia che negli anni Sessanta l’America sembrava “perduta”: sia agli occhi della sua Generazione Sessantotto, sia agli occhi di gran parte del mondo affascinato dal comunismo sovietico o cubano, dal maoismo cinese, dalle varie rivoluzioni post-coloniali, dalle rivolte studentesche. Poi invece dell’America fu l’Unione sovietica a implodere, e fu la Cina ad abbandonare il maoismo.
L’America lacerata e sgomenta degli anni Sessanta senza saperlo stava soffrendo anche le doglie di un parto molto speciale: la rivoluzione informatica, l’avvento del computer, la primavera della Silicon Valley. Nonché tante forme di ambientalismo, femminismo, anti-razzismo che la Generazione Gaza forse crede di avere inventato.
Il confronto-sfida tra l’America di questi giorni e i suoi grandi rivali come la Cina, continuerà a dipanarsi per anni, con chissà quanti colpi di scena. Un frammento di lezione dagli anni Sessanta forse è questo: le crisi che esplodono alla luce del sole, quelle crisi visibili e rumorose che vengono recitate in piazza nelle nostre democrazie, non sono necessariamente quelle più pericolose per la sopravvivenza di un sistema. Quando un sistema è stato disegnato all'origine per essere elastico e assorbire gli urti.
Perché non ci sono "cure economiche" per la denatalità (e cosa ci unisce alla Cina)
Gli allarmi sulla denatalità si susseguono e si assomigliano: in Italia come in tante altre parti del mondo, Cina inclusa. In genere nei paesi democratici chi sta all’opposizione accusa chi sta al governo di non fare abbastanza per aiutare le donne, per sostenere le famiglie, per promuovere le nascite. (In Cina non può esistere un’opposizione, ma il governo è preoccupato lo stesso).
I cosiddetti esperti, che pochi anni prima gridavano al disastro per la “bomba demografica” e la “sovrappopolazione”, ora lanciano urli di terrore per lo “spopolamento”, e così via.
In mezzo a tanto frastuono inutile, è una bella sorpresa trovare un’analisi lucida, precisa, fattuale. L’ha scritta John Burn Murdoch sul Financial Times. E’ una sintesi di vari studi sulla denatalità, che convergono su questa conclusione: gli aiuti alle giovani donne, alle future mamme, o alle coppie, sono una bella cosa in sé ma non influenzano affatto la decisione di fare figli. L’aspetto economico è irrilevante, in quella decisione.
Questo, del resto, dovrebbe essere abbastanza ovvio, è una conclusione di buon senso, di fronte a un’osservazione empirica: i tassi di fertilità e natalità rimangono più elevati in paesi più poveri, quindi non è certo la mancanza di mezzi a giustificare il crollo delle nascite nei paesi ricchi.
Sono fondamentali invece dei fattori culturali. Il più importante di tutti sembra essere la fiducia nel futuro. Una generazione convinta di essere alla vigilia dell’Apocalisse, o di vivere in una civiltà malvagia, in un mondo infernale segnato dalle peggiori ingiustizie, perché mai dovrebbe fare figli? Per condannarli all’inferno?
Un altro fattore culturale si può riassumere nel concetto esagerato e iperprotettivo dei diritti del nascituro: se questa creatura deve assorbire il massimo dell’attenzione, delle cure, degli investimenti in educazione, l’asticella forse è un po’ troppo alta, la responsabilità genitoriale fa tremare le vene ai polsi. Fin qui ho riassunto con parole mie.
Ecco invece la sintesi degli studi su natalità e demografia raccolti da Burn-Murdoch. Dal 1980 al 2019 l’insieme dei paesi ricchi e sviluppati ha triplicato (al netto dell’inflazione, quindi in potere d’acquisto reale) gli aiuti pro-capite per la natalità: assegni familiari, asili nido gratuiti, permessi di maternità-paternità, e altri sussidi pubblici. Nello stesso periodo il numero di nascite è sceso inesorabilmente, in media da 1,85 a 1,53 per ogni donna.
La Finlandia è un paese egualitario, con un Welfare generosissimo. Ha uno dei sistemi più avanzati al mondo per assistere e sostenere le famiglie (tradizionali e non) che vogliono avere figli. Nonostante questo il tasso di fertilità finlandese è caduto di un terzo dal 2010. L’Ungheria, che per motivi ideologici fa di tutto per promuovere le nascite, ha toccato il suo minimo storico. In Corea del Sud il governo ha lanciato un programma munifico di pagamenti a chi fa figli, detto “baby bonus”: il bilancio è semplice, quel programma ha pagato donne che avevano già deciso di farli per conto proprio, mentre non ha spostato il trend di calo della natalità che prosegue imperterrito. Come si vede non ci sono differenze tra politiche di sinistra (Finlandia) e di destra (Ungheria), né tra Oriente e Occidente.
L’autore di questa sintesi commenta: “Il legame tra le nascite e la spesa pubblica per politiche in favore della famiglia, è trascurabile. Si scopre che la decisione se avere figli oppure no, e quanti farne, è influenzata da molte altre cose anziché dal denaro”. Questo non significa che sia sbagliato dare aiuti alle mamme o future mamme. Può essere giusto per tante ragioni. Può rendere la vita un po’ più facile a quelle donne che hanno comunque deciso di avere figli, un obiettivo in sé lodevole. Può servire a ridurre la povertà infantile nelle famiglie a basso reddito. Tutte cose buone, basta non illudersi che servano a invertire la tendenza alla denatalità. “I fattori culturali intervengono a monte nelle decisioni, molto prima che i costi di allevare un figlio siano presi in considerazione”.
Uno studio di Matthias Doepke e Fabrizio Zillibotti del 2019, intitolato “Money and Parenting: How Economics Explain the Way We Raise Our Kids”, viene usato per le sue conclusioni illuminanti. Cita la convinzione diffusa tra le giovani generazioni, che per dare a un figlio un futuro soddisfacente bisogna occuparsi moltissimo di lui o lei, garantirgli la massima attenzione dei genitori, e investire in un’istruzione di livello superlativo, in concorrenza sfrenata con i figli degli altri. La sfida, descritta in termini così impegnativi da risultare quasi spaventosi, finisce per apparire irraggiungibile a molti. Meglio accontentarsi di una vita “normale”, da single o da sposati senza figli, anziché sobbarcarsi una responsabilità simile. In parallelo, un’altra evoluzione culturale ha spostato le priorità della vita per i giovani adulti. Nel 1993 il 61% degli americani intervistati in un’indagine del Pew Research diceva che avere figli è importante per una vita appagante; oggi solo il 26% condivide quell’affermazione. Le giovani donne in particolare hanno spostato le priorità mettendo al vertice la “crescita personale” e la “carriera professionale”. Le paure legate all’eccesso di responsabilità come genitori figurano in modo rilevante tra le ragioni per non avere figli. I costi economici appaiono solo al 14esimo posto.
Infine interviene il livello di angoscia delle giovani generazioni. “Più una potenziale mamma è preoccupata sul futuro, meno vuole avere figli. In America, in Europa, in Estremo Oriente, la generazione sotto i trent’anni è più impaurita dal futuro e più stressata rispetto alle altre generazioni”.
Concludo con la Cina, stavolta attingendo al racconto di Peter Hessler sul magazine The New Yorker dell’8 aprile 2024. Prima ancora di essere stato un corrispondente in Cina per quel settimanale, Hessler aveva insegnato l’inglese in una università del Sichuan. E’ rimasto in contatto con i suoi ex-studenti e spesso li consulta per capire lo stato d’animo della gioventù cinese. Quasi nessuno di loro ha avuto o vuole avere figli. Le risposte negative raggiungono il massimo tra le ragazze: 76%. Questo suo sondaggio empirico, su un campione limitato, coincide con i risultati di altre indagini più vaste. Del resto è noto che la Cina è entrata in una fase di decrescita della popolazione per effetto di un crollo delle nascite. A nulla sono serviti i provvedimenti presi dal governo.
Le autorità di Pechino sono passate a gran velocità dalla politica del “figlio unico” alla libertà di fare due, tre figli. Infine dalla libertà il regime è passato agli incentivi: ora paga le mamme perché facciano bambini. I risultati sono insignificanti. Ecco la spiegazione offerta da una ex-studentessa di Hassler: “Io penso che i bambini cinesi sono stressati e turbati. Siamo già noi una generazione turbata. Allevare dei figli richiede lunghi periodi di affiatamento e di osservazione e di guida, tutte cose difficili da garantire in un contesto di pressione sociale intensa. Il futuro della società cinese è un’incognita. I bambini non ci chiedono di essere messi al mondo. Io ho paura che i miei figli potenziali non siano dei guerrieri, e finiscano per perdersi”.
La Cina in cui abitai io era una nazione molto più ottimista e fiduciosa nel suo futuro. Quella di oggi, nella mentalità dei giovani, sembra molto più simile all’Occidente. Le politiche in favore della natalità sono un falso problema.           
 Perché l'Africa caccia gli americani (c'entra Putin)
In poco più di una settimana, l'America ha perso due alleati africani, o quantomeno due presenze militari in questo continente. Prima il Niger poi il Ciad hanno dato il benservito ai militari Usa. Sono destinati a essere sostituiti dai russi: quasi certamente in Niger, mentre la situazione in Ciad è più aperta.
Il contraccolpo è stato sentito a Washington che vede arretrare la sua strategia africana. Accade in parallelo con le bocciature subite nei mesi e anni precedenti dalla Francia, i cui militari sono stati anch'essi espulsi da molti paesi. Spesso per essere sostituiti dai russi o dal Gruppo Wagner, i mercenari controllati da Mosca.
L'espulsione dei militari americani dal Niger è stata definita da diversi esperti Usa come un duro colpo alla strategia di Washington contro le forze jihadiste in Africa occidentale. Il Niger era un pilastro di quella strategia, ospitava la più grossa base militare Usa di tutta l'Africa occidentale, con mille soldati; e una base di droni costruita ad Agadez con un investimento di 110 milioni di dollari. Fino all'anno scorso i Berretti Verdi americani di stanza in Niger addestravano le truppe locali a combattere contro una delle più ampie guerriglie jihadiste del mondo, e i droni made in Usa contribuivano a spiare le milizie islamiste. A questo punto l'America deve ripiegare su un piano B, più limitato e difensivo: cercando di arginare il contagio jihadista in paesi vicini che ancora accolgono la presenza Usa, anziché andare all'offensiva contro il cuore delle forze islamiste.
Cos'ha provocato la cacciata? L'anno scorso in Niger c'è stato un colpo di Stato militare, condannato dalla Casa Bianca. L'Amministrazione Biden ha fatto pressione sulla giunta golpista perché ristabilisca un governo civile e legittimo. A quel punto i generali, guidati dal presidente Mohamed Bazoum, hanno cominciato a spostarsi verso un'alleanza con Mosca. Di recente la capitale del Niger Niamey è stata il teatro di manifestazioni anti-americane, probabilmente orchestrate dal regime. Ed è arrivata la richiesta formale di riportare a casa i mille soldati americani.
La situazione nel Ciad sembra più fluida. Lì la presenza militare Usa era molto più limitata: 75 soldati dei reparti speciali a Ndjamena, capitale del Ciad. Al momento sono stati rimpatriati anche loro. Come nel Niger, pure questi Berretti Verdi (del 20th Special Forces Group, un reparto della Guardia Nazionale dell'Alabama) erano lì come consiglieri e addestratori anti-terrorismo. Il Ciad ha un ruolo essenziale nelle operazioni contro Boko Haram. Pentagono e Dipartimento di Stato hanno l'impressione che la loro cacciata possa essere temporanea, una mossa negoziale con cui il presidente del Ciad potrebbe alzare il prezzo della sua cooperazione, mettendo in concorrenza Stati Uniti e Russia.

La Francia a sua volta era stata allontanata da Mali e Burkina Faso, in favore dei russi.
Federico Rampini, New York 27 aprile 2024

 
 
19  Forum Pubblico / DOMANESIMO. PACE ATTIVA E SUDDIVISIONE IN POLI D'INTERESSE, SARA' IL DOMANI DEL MONDO. / Classe 2024 ovvero Generazione Gaza. Federico Rampini, New York 27 aprile 2024. inserito:: Luglio 15, 2024, 12:08:33 pm
Benvenuti alla newsletter che è il nostro appuntamento settimanale, ogni sabato mattina. Vi prometto una lettura molto personale di alcuni eventi globali che selezionerò come "la chiave" per dare un senso alla settimana. Con una particolare attenzione alle mie due sedi di lavoro, l'attuale e la precedente: New York e Pechino. "The place to be, and the place to look at..."
 Non esitate a scrivermi: commenti o domande, contestazioni e proposte.

Classe 2024 o Generazione Gaza: e ora cosa succede all'America?
Prima di giudicare, cerchiamo di capire  i campus

Classe 2024 ovvero Generazione Gaza. Per i disagi e le perturbazioni che provocano nella vita quotidiana di molte famiglie e in molte città, le proteste studentesche di questi giorni forse sono il tema più dibattuto fra gli americani (molto più del processo newyorchese a Donald Trump). L’America intera s’interroga sul significato di quest’agitazione, le sue ragioni o i suoi torti, l’impatto e le conseguenze che potrà avere in varie direzioni. Politica interna, politica estera, battaglia delle idee, egemonia culturale: tutto s’intreccia. Oltre ovviamente alla tragedia in corso in Medio Oriente. Vorrei cercare di vederci chiaro al di là del giudizio specifico sui contenuti di questo movimento, i suoi slogan, i suoi metodi di lotta.
La protesta si sta allargando
Prima constatazione, obiettiva: la protesta dilaga. Era cominciata in alcuni bastioni dell’accademia più élitaria come Harvard Columbia Yale, luoghi dove – nonostante la meritocrazia e le borse di studio – si formano soprattutto i figli della classe dirigente, con rette dai settantamila dollari annui in su (ormai si arriva facilmente a quota centomila). Ora le manifestazioni, gli accampamenti di occupazione, gli scontri con la polizia (quando questa viene chiamata a intervenire dalle autorità) si estendono ben oltre. A New York è entrato in agitazione anche il City College, che costa poco ed è frequentato dai figli dei ceti medio-bassi inclusi molti immigrati. Se i focolai iniziali erano concentrati soprattutto nell’America delle due coste dove domina la sinistra, ora si segnalano proteste in Stati del Sud che votano repubblicano.
Classi in remoto come nella pandemia
Le prime conseguenze, più immediate e facilmente verificabili, incidono sullo studio. Queste ragazze e ragazzi, appartenenti alla più ampia Generazione Z (i nati fra il 1997 e il 2012), spesso sono gli stessi che finirono il liceo o iniziarono il percorso universitario con la pandemia; pertanto hanno già sofferto un deficit di apprendimento oltre che di socializzazione. Ora alcuni atenei tornano ai corsi in remoto, quindi si rischia una sorta di prolungamento dell’esperimento Covid che non fu certo felice. In certe università si discute se cancellare la cerimonia della “graduation”, la consegna solenne e festosa dei titoli di laurea, un appuntamento molto sentito nella tradizione e molto partecipato dalle famiglie. Tutto ciò contribuisce a creare un’atmosfera di emergenza, che resterà scolpita nella memoria della Generazione 2024 o Generazione Gaza.
Autorità accademiche nella tempesta
Attorno a queste turbolenze, a cerchi concentrici, si agitano anche la vita politica e la classe di governo, a livello locale e nazionale. Presidenti e rettori delle università sono sotto assedio da più parti. Molti di questi leader sono donne, appartenenti a minoranze etniche, ed erano abituati ad amministrare sofficemente le regole del gioco della cultura “woke”, in ambienti accademici dall’egemonia culturale progressista. Gli studenti filo-palestinesi ora accusano presidenti/rettori di limitare la libertà di espressione se cercano di sgomberare i campus e di garantire l’agibilità delle aule. Fino a ieri però le stesse autorità accademiche erano accusate di aver consentito un clima di censura e intimidazione imposto dalla sinistra radicale, l’esclusione di voci conservatrici, e dal 7 ottobre 2023 avevano tollerato un’escalation di aggressioni antisemite. Se chiamano la polizia le autorità accademiche sono descritte come repressive, se non la chiamano sono succubi di frange estremiste e violente. Un altro argomento polemico che affiora da sinistra è il "ricatto" esercitato dai ricchi donatori della Jewish community per penalizzare università che hanno condonato l'antisemitismo. Ma nessuno storceva il naso quando gli stessi miliardari ebrei finanziavano centri studi e cattedre controllati dalla sinistra radicale. Su Gaza si sta consumando, tra l'altro, anche un divorzio tra due anime storiche del partito democratico Usa: ebrei progressisti e sinistra filo-araba.
Il mondo politico è coinvolto in tutti i modi. A New York è stato un sindaco democratico e black, Eric Adams, a chiamare la polizia al City College. Poco prima il presidente della Camera, il repubblicano Mike Johnson, aveva visitato la Columbia University per denunciarvi l’antisemitismo.
L' "altro Sessantotto" fece avanzare le destre
Nei sei mesi da qui alle elezioni l’uso politico di queste proteste è destinato a crescere. A metà strada (agosto) c’è un appuntamento come la convention democratica di Chicago che evoca inquietanti analogie con quella convention che nella stessa città si tenne nel 1968, in un crescendo di scontri fra la polizia e i manifestanti contro la guerra del Vietnam.
Se questo sia destinato a passare alla storia come un nuovo Sessantotto americano, oppure qualcosa di meno importante, è presto per dirlo. I bilanci sono prematuri e del resto anche la storia di 56 anni fa continua ad essere reinterpretata da revisionismi di ogni colore ideologico. Di sicuro quello che sta accadendo quest’anno è rilevante. A prescindere dalle nostre opinioni sul merito della questione – cioè su Gaza – questo movimento ci dice qualcosa sullo stato della società americana, e sullo stato dell’America nel mondo. L’agitazione studentesca rafforza l’influenza che la politica estera può avere nell’elezione del 5 novembre. D’altronde non riesco a ricordare in vita mia un anno elettorale con due guerre della gravità di Ucraina e Medio Oriente. I cortei violenti e gli scontri rilanciano anche temi più domestici come la sicurezza e l’ordine pubblico. Qui ricordo che il Sessantotto originario fa vincere le elezioni americane al conservatore Richard Nixon e quelle francesi al conservatore Charles De Gaulle: allora si parlava di una rivincita della “maggioranza silenziosa” contro la minoranza che occupava le piazze. In Italia il riflusso a destra arriva solo un po’ più tardi, con il governo Andreotti-Malagodi nel 1972.
Politica estera Usa, i problemi sono reali
La politica estera americana è un bersaglio proclamato di questo movimento studentesco. Non l’Ucraina, che lascia indifferenti i giovani, ma la Palestina. Sorvolo qui sui tanti (troppi) segnali di ignoranza o disinformazione tra i ragazzi di questa generazione (onestamente non erano meglio istruiti i ragazzi del ’68 né quelli del ’77). Invece voglio sottolineare due questioni serie e ineludibili, che sollevano i meglio preparati tra di loro. La prima va al cuore di una contraddizione di Joe Biden. Questo presidente eredita decenni di una politica di sostegno “incondizionato” a Israele (dal 1967). Quell’aggettivo messo tra virgolette è stato contestato a lungo e da più parti: l’America ha continuato a fornire aiuti militari ed economici a Israele anche quando i governi di Tel Aviv ignoravano le pressanti richieste di Washington e facevano scelte contrarie agli interessi veri degli Stati Uniti. Oggi quella contraddizione è esplosa più che mai. Pur difendendo il diritto all’esistenza dello Stato d’Israele, Biden è in forte contrasto con Netanyahu, sulla questione dello Stato palestinese, sugli aiuti umanitari, sulla condotta della guerra contro Hamas e sugli insediamenti di coloni in Cisgiordania. Però Biden non osa cancellare nei fatti l’aggettivo “incondizionato”: da una parte critica duramente Netanyahu, dall’altra continua a fornire aiuti militari decisivi alle forze armate israeliane. Gli studenti vorrebbero farli cessare subito. I contestatori considerano Biden politicamente e moralmente corresponsabile di quello che definiscono il genocidio dei civili a Gaza. Comunque si veda la questione, è un dato oggettivo che Gaza sta diventando “la guerra di Biden” come il Vietnam fu “la guerra di Lyndon Johnson”. Con le dovute e significative differenze: dal Vietnam ogni giorno tornavano delle bare con salme di giovani americani caduti al fronte. Nel 2024 l’America non combatte direttamente, o almeno non a Gaza, anche se alcune sue basi militari e le sue flotte sono intervenute: contro i missili e droni iraniani, contro gli Hezbollah, contro gli Houthi nel Mar Rosso.
"Disinvestimento" come in Sudafrica contro l'apartheid
In parallelo alle accuse a Biden, c’è un’altra campagna portata avanti dal movimento studentesco, quella sui “disinvestimenti”: i manifestanti esigono dalle loro ricchissime istituzioni universitarie (e in prospettiva dall’America tutta intera: aziende, banche) che chiudano ogni investimento suscettibile di aiutare gli insediamenti illegali di coloni israeliani in Cisgiordania o altre forme di sfruttamento della popolazione palestinese. Si ispirano esplicitamente alla campagna di disinvestimento che colpì il Sudafrica ai tempi del dominio razzista della minoranza bianca. Quel movimento di boicottaggio economico contribuì alla fine dell’apartheid e alla vittoria di Nelson Mandela contro l’apartheid (anche se non fu così decisivo come si tende a credere).
A ispirare la Classe 2024 o Generazione Gaza c’è una visione etica della politica estera: l’America dovrebbe comportarsi nel mondo intero in conformità con i valori e gli ideali a cui dice di ispirarsi nella sua Costituzione. Questo movimento si iscrive in una tradizione antica e nobile, radicata soprattutto nel partito democratico. E’ quella che ispirò il presidente Woodrow Wilson a fondare la Società delle Nazioni dopo la prima guerra mondiale e il presidente Franklin Roosevelt a fondare le Nazioni Unite dopo la seconda, per far rispettare principi di legalità a livello globale.
I peccati originali di questo movimento
All’interno di questa ispirazione molto apprezzabile, il movimento studentesco però si è macchiato di un peccato originale, o più d’uno. Il primo è ben noto e divenne evidente fin dalle prime ore successive al massacro di Hamas il 7 ottobre. Una miriade di associazioni studentesche presero posizioni ignobili, immorali, inaccettabili: approvarono subito e con entusiasmo la strage di civili israeliani, lo stupro in massa di donne, il rapimento di bambini. Molto prima che arrivasse la controffensiva israeliana a fare un'ecatombe a Gaza. La violenza feroce, le torture crudeli, gli stupri, tutto fu assolto in quanto giusta vendetta per i torti subiti dai palestinesi. Quell’usare due pesi e due misure – la violenza israeliana è orribile, quella di Hamas è sacrosanta – continua tuttora e perseguita il movimento. Lo espone alle accuse di antisemitismo, che sono giustificate da innumerevoli atti di aggressione avvenuti nei campus, molti dei quali sono diventati dei luoghi non solo inospitali ma perfino insicuri per studenti di origini ebraiche o di nazionalità israeliana. 
Indottrinamento e fanatismo
Questa macchia si collega ad un altro peccato originale, che non si riferisce solo a Gaza ma all’ideologia prevalente nella Generazione 2024. Ne ho scritto altre volte, è un’ideologia che risale a cattivi maestri come Michel Foucault o Toni Negri. Interpreta l’intera storia delle civiltà e l’universo mondo attraverso il trittico Potere Oppressione Privilegio; divide l’umanità in oppressi e oppressori, sfruttati e sfruttatori; schiaccia la complessità dentro categorie manichee (buoni-cattivi, bianco-nero); riduce quindi il mondo contemporaneo a una massa di vittime (il Grande Sud globale, gli ex-colonizzati, le minoranze etniche dei nostri paesi) e un unico carnefice che è la razza bianca, dominatrice, aggressiva. Fanatismo, intolleranza, perfino l’apologia della violenza (quella di Hamas) derivano da questa visione del mondo.
Non è una novità. Tutte le rivoluzioni di ogni colore, dai giacobini di Robespierre ai bolscevichi di Lenin, dagli squadristi di Mussolini nella marcia su Roma alle Guardie rosse di Mao Zedong, fino alle rivoluzioni religiose come quella di Khomeini in Iran, tutte senza eccezioni hanno avuto bisogno di disumanizzare la storia, demonizzare l’avversario, dividere il mondo in buoni e cattivi, per aizzare le masse e giustificare la violenza.
Leggete questa intellettuale progressista, e poi Musk
Se pensate che esagero nell’avvicinare quel tipo di precedenti storici alla società americana del 2024, ecco cosa scrive una brava opinionista del New York Times, una “progressista critica”, Pamela Paul, in un commento efficacemente intitolato Hai subito un torto, non vuol dire che tu abbia ragione.: “Viviamo in un’età dell’oro della lamentela per i torti subiti. … Se sei di sinistra sei stato oppresso, escluso, emarginato, silenziato, cancellato, ferito, sottorappresentato, traumatizzato e danneggiato. Se sei di destra sei stato ignorato, disprezzato, sottovalutato, zittito, caricaturizzato e irriso. … Gli esseri umani si sono sempre combattuti per l’accesso ineguale a risorse scarse. Però mai come oggi la nostra cultura ha fatto della lamentela una forza motrice così vigorosa, e un gioco a somma zero in cui ciascuna parte si sente lesa. … Riflettiamo su un fenomeno progressista: la gerarchia del privilegio viene rovesciata così che le voci marginalizzate in precedenza ora hanno la priorità. Valido, in teoria. Ma chi decide, e su quali basi? Chi è più oppresso: un vecchio bianco veterano dell’esercito e portatore di handicap, o un giovane gay di origini latinos? Individui o tribù vengono classificati secondo categorie binarie: colonizzatore contro colonizzato, oppressore contro oppresso, privilegiato e non. Nelle università e nelle ong, nei luoghi di lavoro e nelle istituzioni statali, la gente può recitare la propria lamentela e vittimizzazione, trasformandola in un’arma, sa che può appellarsi allo Stato, all’ufficio del personale o al tribunale dei social, dove sarà ricompensata con attenzione”.
Sul versante opposto dello spettro politico rispetto a Pamela Paul, l’anarco-libertario-capitalista Elon Musk scrive su X: “L’assiomatico errore che mina alle fondamenta gran parte della civiltà occidentale è il concetto che la debolezza ti dà ragione. Se si accetta che gli oppressi sono sempre i buoni la conclusione naturale è che i forti sono cattivi”.
Se sei ricco hai rubato a un povero? Marx se la ride...
L’assioma descritto da Musk comanda la Generazione Gaza. Di fronte a qualsiasi evento storico ci si chiede prima di tutto qual è la parte meno forte o meno ricca; quindi, ci si schiera in sua difesa perché quella è la parte moralmente superiore.
Traducendo Musk, la Generazione Gaza è cresciuta nella certezza che “se sei ricco devi aver derubato un povero”: grottesca caricatura del marxismo, che non è così banale. Da quando le università hanno smesso di insegnare una storia positiva del Progresso? (Risposta: dagli anni Sessanta, basta verificare l’evoluzione dei programmi e dei titoli dei corsi nelle università Usa). Nella demonizzazione del Progresso, oggi obbligatoria, è proibito studiare se alcune nazioni, civiltà, classi dirigenti abbiano adottato ricette efficaci per creare e diffondere prosperità e diritti; mentre i popoli poveri possono anche essere vittime di leader oppressivi autoctoni, sistemi di valori retrogradi.
Applicato ai palestinesi questo meccanismo impedisce di addentrarsi nei meandri di una storia labirintica, evita di fare i conti con i molteplici errori commessi dagli stessi palestinesi (leader e popolo) fino alla tragica impasse attuale, sorvola su forze potentissime che aizzano i deboli (l’Iran con il suo petrolio, i suoi arsenali e il suo fanatismo religioso, le varie milizie terroristiche che hanno fatto della violenza una rendita politica). Ignora che gli ebrei residenti nel territorio d’Israele non sono tutti “bianchi”. Eccetera eccetera. Non è questo il luogo per accennare ai mille capitoli controversi della storia mediorientale e della questione israelo-palestinese. Il luogo adatto sarebbero proprio le aule universitarie. Dove però da molti anni non si dibatte, si indottrina e si fa lavaggio del cervello.
Quella situazione descritta da Pamela Paul chiama in causa non solo la Generazione Gaza bensì pure i suoi cattivi maestri.
6 gennaio 2021, la destra "legittimata"?
Richiamo l’attenzione su un passaggio iniziale della Paul, in cui si riferisce alla destra trumpiana. Lei ci torna con questa frase: “Cosa fu in fondo il 6 gennaio 2021 se non una gigantesca esplosione di rabbia da parte di coloro che si sentivano ingannati e volevano ottenere risarcimenti, con qualsiasi mezzo?”
Ecco, quel che accade nei campus universitari in questi giorni come viene visto dagli elettori repubblicani? Come una conferma che la sinistra in fatto di violenza ha due pesi e due misure, vede una violenza “fascista” e una violenza “giusta” perché viene dagli “oppressi”. Fu così anche in quella terribile estate del 2020 che precedette l’insurrezione del 6 gennaio al Campidoglio. Dopo l’assassinio dell’afroamericano George Floyd per settimane fu normale vedere commissariati di polizia e altre sedi istituzionali assaltati e incendiati da manifestanti di Black Lives Matter. Poi per altri mesi alcune zone del paese (ad esempio il centro di Portland nell’Oregon) divennero ufficialmente delle zone “liberate dalla polizia”, dove le forze dell’ordine non potevano più mettere piede.

Oggi corriamo il rischio che la Generazione Gaza si senta legittimata all’uso della violenza, a tal punto da farvi ricorso in modo sistematico? L’altro Sessantotto, quello di 56 anni fa, vide la diffusione della lotta armata negli Stati Uniti, in Italia, Francia, Germania. Onestamente, non siamo ancora arrivati a questo punto, non mi pare proprio.

Forza dell'economia Usa, un fattore di pace sociale

Una delle ragioni che prevengono il contagio delle proteste e della violenza, forse, è l’ottima situazione economica di cui l’America ha goduto finora: alta crescita, piena occupazione. L'altroieri è uscito un dato che segnala un rallentamento della crescita, e l'inflazione non è stata debellata. Però nell'insieme il quadro rimane positivo, migliore che in molte parti del mondo. E ne beneficiano un po' tutti.

La Generazione Z è ricca, economicamente sta meglio di come stavano le generazioni dei suoi fratelli maggiori o dei suoi genitori quando avevano la stessa età. E’ turbata, è sofferente, per mille motivi, ma non vive in un periodo di crisi economica o di ingiustizie sociali acute. Gli aumenti salariali e gli aiuti pubblici del periodo pandemico hanno perfino attenuato certe diseguaglianze. I lavoratori appartenenti a minoranze etniche – black, latinos – non sono mai stati così bene. Le tensioni politiche e culturali sono acute, ma non poggiano su problemi materiali.

Non è detto che questa situazione duri, però. La forza dell’economia americana in parte è virtuosa, è legata alla sua capacità d’innovazione e al dinamismo delle sue imprese. In parte invece è drogata da una spesa pubblica in deficit che aumentò a dismisura sotto Trump per il Covid, e ha continuato a crescere sotto Biden (ivi compreso per un “voto di scambio” a vantaggio degli studenti universitari: la generosa, costosa e iniqua cancellazione dei loro debiti a carico del contribuente). Non ho la capacità di distinguere quanta parte della crescita economica Usa sia “sana” e quanta “malsana”.

Il quadro mondiale: perdita di consensi

Alla forza di questa economia si contrappone un crescente isolamento dell’America rispetto al resto del mondo. Isolamento relativo, s’intende: la comunità transatlantica rimane un blocco straordinariamente ricco e influente. Se all’Europa si aggiungono i numerosi alleati asiatici – Giappone, Corea del Sud, Filippine – più Australia e Nuova Zelanda, “l’Occidente allargato” è molto grosso. Però in termini di popolazione il resto del mondo è ancora più grosso, e cresce di più.

Come il Vietnam negli anni Sessanta segnò una ferita grave per la legittimità, credibilità, autorevolezza degli Stati Uniti nel mondo, così in una certa misura sta avvenendo oggi per Gaza. “La guerra di Biden” fa perdere all’America consensi preziosi nel Grande Sud globale. Non è del tutto casuale che altri due paesi africani – Niger e Ciad – abbiano appena cacciato i militari americani.

La sorpresa "finale" degli anni Sessanta

I paragoni storici vanno maneggiati con prudenza e umiltà. Voglio ricordare tuttavia che negli anni Sessanta l’America sembrava “perduta”: sia agli occhi della sua Generazione Sessantotto, sia agli occhi di gran parte del mondo affascinato dal comunismo sovietico o cubano, dal maoismo cinese, dalle varie rivoluzioni post-coloniali, dalle rivolte studentesche. Poi invece dell’America fu l’Unione sovietica a implodere, e fu la Cina ad abbandonare il maoismo.

L’America lacerata e sgomenta degli anni Sessanta senza saperlo stava soffrendo anche le doglie di un parto molto speciale: la rivoluzione informatica, l’avvento del computer, la primavera della Silicon Valley. Nonché tante forme di ambientalismo, femminismo, anti-razzismo che la Generazione Gaza forse crede di avere inventato.

Il confronto-sfida tra l’America di questi giorni e i suoi grandi rivali come la Cina, continuerà a dipanarsi per anni, con chissà quanti colpi di scena. Un frammento di lezione dagli anni Sessanta forse è questo: le crisi che esplodono alla luce del sole, quelle crisi visibili e rumorose che vengono recitate in piazza nelle nostre democrazie, non sono necessariamente quelle più pericolose per la sopravvivenza di un sistema. Quando un sistema è stato disegnato all'origine per essere elastico e assorbire gli urti.

Perché non ci sono "cure economiche" per la denatalità (e cosa ci unisce alla Cina)

Gli allarmi sulla denatalità si susseguono e si assomigliano: in Italia come in tante altre parti del mondo, Cina inclusa. In genere nei paesi democratici chi sta all’opposizione accusa chi sta al governo di non fare abbastanza per aiutare le donne, per sostenere le famiglie, per promuovere le nascite. (In Cina non può esistere un’opposizione, ma il governo è preoccupato lo stesso).

I cosiddetti esperti, che pochi anni prima gridavano al disastro per la “bomba demografica” e la “sovrappopolazione”, ora lanciano urli di terrore per lo “spopolamento”, e così via.

In mezzo a tanto frastuono inutile, è una bella sorpresa trovare un’analisi lucida, precisa, fattuale. L’ha scritta John Burn Murdoch sul Financial Times. E’ una sintesi di vari studi sulla denatalità, che convergono su questa conclusione: gli aiuti alle giovani donne, alle future mamme, o alle coppie, sono una bella cosa in sé ma non influenzano affatto la decisione di fare figli. L’aspetto economico è irrilevante, in quella decisione.

Questo del resto dovrebbe essere abbastanza ovvio, è una conclusione di buon senso, di fronte a un’osservazione empirica: i tassi di fertilità e natalità rimangono più elevati in paesi più poveri, quindi non è certo la mancanza di mezzi a giustificare il crollo delle nascite nei paesi ricchi.

Sono fondamentali invece dei fattori culturali. Il più importante di tutti sembra essere la fiducia nel futuro. Una generazione convinta di essere alla vigilia dell’Apocalisse, o di vivere in una civiltà malvagia, in un mondo infernale segnato dalle peggiori ingiustizie, perché mai dovrebbe fare figli? Per condannarli all’inferno?

Un altro fattore culturale si può riassumere nel concetto esagerato e iperprotettivo dei diritti del nascituro: se questa creatura deve assorbire il massimo dell’attenzione, delle cure, degli investimenti in educazione, l’asticella forse è un po’ troppo alta, la responsabilità genitoriale fa tremare le vene ai polsi. Fin qui ho riassunto con parole mie.

Ecco invece la sintesi degli studi su natalità e demografia raccolti da Burn-Murdoch. Dal 1980 al 2019 l’insieme dei paesi ricchi e sviluppati ha triplicato (al netto dell’inflazione, quindi in potere d’acquisto reale) gli aiuti pro-capite per la natalità: assegni familiari, asili nido gratuiti, permessi di maternità-paternità, e altri sussidi pubblici. Nello stesso periodo il numero di nascite è sceso inesorabilmente, in media da 1,85 a 1,53 per ogni donna.

La Finlandia è un paese egualitario, con un Welfare generosissimo. Ha uno dei sistemi più avanzati al mondo per assistere e sostenere le famiglie (tradizionali e non) che vogliono avere figli. Nonostante questo il tasso di fertilità finlandese è caduto di un terzo dal 2010. L’Ungheria, che per motivi ideologici fa di tutto per promuovere le nascite, ha toccato il suo minimo storico. In Corea del Sud il governo ha lanciato un programma munifico di pagamenti a chi fa figli, detto “baby bonus”: il bilancio è semplice, quel programma ha pagato donne che avevano già deciso di farli per conto proprio, mentre non ha spostato il trend di calo della natalità che prosegue imperterrito. Come si vede non ci sono differenze tra politiche di sinistra (Finlandia) e di destra (Ungheria), né tra Oriente e Occidente.

L’autore di questa sintesi commenta: “Il legame tra le nascite e la spesa pubblica per politiche in favore della famiglia, è trascurabile. Si scopre che la decisione se avere figli oppure no, e quanti farne, è influenzata da molte altre cose anziché dal denaro”. Questo non significa che sia sbagliato dare aiuti alle mamme o future mamme. Può essere giusto per tante ragioni. Può rendere la vita un po’ più facile a quelle donne che hanno comunque deciso di avere figli, un obiettivo in sé lodevole. Può servire a ridurre la povertà infantile nelle famiglie a basso reddito. Tutte cose buone, basta non illudersi che servano a invertire la tendenza alla denatalità. “I fattori culturali intervengono a monte nelle decisioni, molto prima che i costi di allevare un figlio siano presi in considerazione”.

Uno studio di Matthias Doepke e Fabrizio Zillibotti del 2019, intitolato “Money and Parenting: How Economics Explain the Way We Raise Our Kids”, viene usato per le sue conclusioni illuminanti. Cita la convinzione diffusa tra le giovani generazioni, che per dare a un figlio un futuro soddisfacente bisogna occuparsi moltissimo di lui o lei, garantirgli la massima attenzione dei genitori, e investire in un’istruzione di livello superlativo, in concorrenza sfrenata con i figli degli altri. La sfida, descritta in termini così impegnativi da risultare quasi spaventosi, finisce per apparire irraggiungibile a molti. Meglio accontentarsi di una vita “normale”, da single o da sposati senza figli, anziché sobbarcarsi una responsabilità simile. In parallelo, un’altra evoluzione culturale ha spostato le priorità della vita per i giovani adulti. Nel 1993 il 61% degli americani intervistati in un’indagine del Pew Research diceva che avere figli è importante per una vita appagante; oggi solo il 26% condivide quell’affermazione. Le giovani donne in particolare hanno spostato le priorità mettendo al vertice la “crescita personale” e la “carriera professionale”. Le paure legate all’eccesso di responsabilità come genitori figurano in modo rilevante tra le ragioni per non avere figli. I costi economici appaiono solo al 14esimo posto.

Infine interviene il livello di angoscia delle giovani generazioni. “Più una potenziale mamma è preoccupata sul futuro, meno vuole avere figli. In America, in Europa, in Estremo Oriente, la generazione sotto i trent’anni è più impaurita dal futuro e più stressata rispetto alle altre generazioni”.

Concludo con la Cina, stavolta attingendo al racconto di Peter Hessler sul magazine The New Yorker dell’8 aprile 2024. Prima ancora di essere stato un corrispondente in Cina per quel settimanale, Hessler aveva insegnato l’inglese in una università del Sichuan. E’ rimasto in contatto con i suoi ex-studenti e spesso li consulta per capire lo stato d’animo della gioventù cinese. Quasi nessuno di loro ha avuto o vuole avere figli. Le risposte negative raggiungono il massimo tra le ragazze: 76%. Questo suo sondaggio empirico, su un campione limitato, coincide con i risultati di altre indagini più vaste. Del resto è noto che la Cina è entrata in una fase di decrescita della popolazione per effetto di un crollo delle nascite. A nulla sono serviti i provvedimenti presi dal governo. Le autorità di Pechino sono passate a gran velocità dalla politica del “figlio unico” alla libertà di fare due, tre figli. Infine dalla libertà il regime è passato agli incentivi: ora paga le mamme perché facciano bambini. I risultati sono insignificanti. Ecco la spiegazione offerta da una ex-studentessa di Hassler: “Io penso che i bambini cinesi sono stressati e turbati. Siamo già noi una generazione turbata. Allevare dei figli richiede lunghi periodi di affiatamento e di osservazione e di guida, tutte cose difficili da garantire in un contesto di pressione sociale intensa. Il futuro della società cinese è un’incognita. I bambini non ci chiedono di essere messi al mondo. Io ho paura che i miei figli potenziali non siano dei guerrieri, e finiscano per perdersi”.

La Cina in cui abitai io era una nazione molto più ottimista e fiduciosa nel suo futuro. Quella di oggi, nella mentalità dei giovani, sembra molto più simile all’Occidente. Le politiche in favore della natalità sono un falso problema.           
 
Perché l'Africa caccia gli americani (c'entra Putin)

In poco più di una settimana, l'America ha perso due alleati africani, o quantomeno due presenze militari in questo continente. Prima il Niger poi il Ciad hanno dato il benservito ai militari Usa. Sono destinati a essere sostituiti dai russi: quasi certamente in Niger, mentre la situazione in Ciad è più aperta.

Il contraccolpo è stato sentito a Washington che vede arretrare la sua strategia africana. Accade in parallelo con le bocciature subite nei mesi e anni precedenti dalla Francia, i cui militari sono stati anch'essi espulsi da molti paesi. Spesso per essere sostituiti dai russi o dal Gruppo Wagner, i mercenari controllati da Mosca.

L'espulsione dei militari americani dal Niger è stata definita da diversi esperti Usa come un duro colpo alla strategia di Washington contro le forze jihadiste in Africa occidentale. Il Niger era un pilastro di quella strategia, ospitava la più grossa base militare Usa di tutta l'Africa occidentale, con mille soldati; e una base di droni costruita ad Agadez con un investimento di 110 milioni di dollari. Fino all'anno scorso i Berretti Verdi americani di stanza in Niger addestravano le truppe locali a combattere contro una delle più ampie guerriglie jihadiste del mondo, e i droni made in Usa contribuivano a spiare le milizie islamiste. A questo punto l'America deve ripiegare su un piano B, più limitato e difensivo: cercando di arginare il contagio jihadista in paesi vicini che ancora accolgono la presenza Usa, anziché andare all'offensiva contro il cuore delle forze islamiste.

Cos'ha provocato la cacciata? L'anno scorso in Niger c'è stato un colpo di Stato militare, condannato dalla Casa Bianca. L'Amministrazione Biden ha fatto pressione sulla giunta golpista perché ristabilisca un governo civile e legittimo. A quel punto i generali, guidati dal presidente Mohamed Bazoum, hanno cominciato a spostarsi verso un'alleanza con Mosca. Di recente la capitale del Niger Niamey è stata il teatro di manifestazioni anti-americane, probabilmente orchestrate dal regime. Ed è arrivata la richiesta formale di riportare a casa i mille soldati americani.

La situazione nel Ciad sembra più fluida. Lì la presenza militare Usa era molto più limitata: 75 soldati dei reparti speciali a Ndjamena, capitale del Ciad. Al momento sono stati rimpatriati anche loro. Come nel Niger, pure questi Berretti Verdi (del 20th Special Forces Group, un reparto della Guardia Nazionale dell'Alabama) erano lì come consiglieri e addestratori anti-terrorismo. Il Ciad ha un ruolo essenziale nelle operazioni contro Boko Haram. Pentagono e Dipartimento di Stato hanno l'impressione che la loro cacciata possa essere temporanea, una mossa negoziale con cui il presidente del Ciad potrebbe alzare il prezzo della sua cooperazione, mettendo in concorrenza Stati Uniti e Russia.

La Francia a sua volta era stata allontanata da Mali e Burkina Faso, in favore dei russi.

Federico Rampini, New York 27 aprile 2024

 
 
20  Forum Pubblico / O.P.O.N. PIATTAFORMA. DAL TERRITORIO LA VOCE DELLE PERSONE ATTIVE. / Italia ed Europa: uscire da un purgatorio irrisolto verso un futuro più giusto. inserito:: Luglio 15, 2024, 11:42:26 am
Italia ed Europa: uscire da un purgatorio irrisolto verso un futuro più giusto.

Conversazione con Fabrizio Barca

ggiannig <ggianni41@gmail.com>   13 luglio 2024 alle ore 19:52

A: Gianni Gavioli <ggianni41@gmail.com>

Abbiamo incontrato Fabrizio Barca, statistico ed economista, coordinatore del Forum Disuguaglianze Diversità. Aldilà dei ruoli istituzionali da lui ricoperti – dalla Banca d’Italia all’OCSE,...

https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/italia-ed-europa-uscire-da-un-purgatorio-irrisolto-verso-un-futuro-piu-giusto-conversazione-con-fabrizio-barca/
21  Forum Pubblico / L'ITALIA NON FATELA RIDURRE ad ARCIPELAGO di ISOLE REGIONALI E FEUDALI. / Tre miliardi e mezzo di euro stanziati per combattere la siccità in Sicilia. inserito:: Luglio 14, 2024, 06:50:30 pm
24 giugno 2024
di Massimo Lorello

Tre miliardi e mezzo di euro stanziati per combattere la siccità in Sicilia. E siamo ancora fermi alle autobotti: un sentito ringraziamento a chi ha governato

Cara lettrice, caro lettore,
tre miliardi e mezzo di euro. Ripeto l’importo: tre miliardi e mezzo di euro. Sono i soldi nostri che la Regione siciliana ha avuto a disposizione negli ultimi 17 anni per affrontare e risolvere il plurisecolare problema della siccità. Tre miliardi e mezzo di euro nella disponibilità, in differenti tranche, dei governatori Totò Cuffaro, Raffaele Lombardo, Rosario Crocetta, Nello Musumeci e ora Renato Schifani. Tre miliardi e mezzo di euro per avere oggi reti idriche che perdono, cioè buttano via, il 51,6 per cento di acqua. Tre miliardi e mezzo di euro per dighe vecchie e incapaci di capitalizzare le sempre più rare e preziose precipitazioni temporalesche. Tre miliardi e mezzo di euro per affidarci alle autobotti, come quarant’anni fa. Chiaramente se interpellati, i responsabili di questo disastro, diranno che la colpa è di chi c’era prima o di chi è venuto dopo, di chi guidava l’ufficio al piano di sopra o l’ufficio al piano di sotto. Delegare la colpa è il modo migliore per igienizzare la propria coscienza. Dopo avere dirottato le responsabilità sugli altri, i nostri eroi continueranno a coltivare le loro ambizioni pubbliche e private, continueranno a pontificare sui problemi della Sicilia e su come risolverli. Tanto ci sarà sempre qualcun altro a cui addossare le colpe dello sfascio. Tre miliardi e mezzo di euro: l’importo va ricordato fino alla fine dell’articolo.

Da ACCADE IN SICILIA  la Repubblica
22  Forum Pubblico / O.P.O.N. PIATTAFORMA. DAL TERRITORIO LA VOCE DELLE PERSONE ATTIVE. / Gaetano Giovanni Gavioli - Con Due provocazione e Una idea ho portato in Fb, ... inserito:: Luglio 14, 2024, 06:45:51 pm
Gaetano Giovanni Gavioli
Amministratore
Persona più attiva
 
Con Due provocazione e Una idea ho portato in Fb, con il mio antico metodo dell'aggiornare spesso i Titoli dei nostri Gruppi Tematici, una Piattaforma Virtuale OPON, che parli e ascolti la Gente del Territorio e il vecchio tema dei DIVERSI E DIFFERENTI con l'invito esplicito a scriverci nello spirito di PACE ATTIVA (cioè non da bamboccioni buonisti).

Nella Massa abbiamo perso (un tempo era vivo) il piacere dei rapporti epistolari, cioè lo scambio di lettere o cartoline che annullavano le distanze. Facciamolo RINASCERE! Qui in FB.
Ovviamente non mi illudo che la cosa possa prendere piede, non solo per l'apatia sadica di noi utenti, ma anche per le vessazioni, i condizionamenti, le restrizioni imposte dal Sistema Facebook.
Io insisto e semino la ricerca di comunicazione, da anni e non vedo perché smettere da vecchio.

Tra poco pubblicherò il primo libretto "I SEMI DI ARLECCHINO EURISTICO" dove riproporrò i meno duri e sempre sintetici, miei Aforismi sociali legati alle news che mi hanno interessato (Euristica).

ciaooo

23  Forum Pubblico / Gianni GAVIOLI, con ARLECCHINO EURISTICO, "INVITA alla PARTECIPAZIONE ATTIVA", con vostri Scritti. / La tirannia del personal brand inserito:: Luglio 14, 2024, 06:17:32 pm
La tirannia del personal brand
Posta in arrivo

Joe Casini <joe@joecasini.com>

a me

Le immagini non sono visualizzate. Visualizza immagini sottostanti - Visualizza sempre le immagini inviate da joe@joecasini.com
 
Io mi chiamo Joe Casini, e questo è Mondo Complesso.

Oggi parlo di…
✈️ Viaggi e turismo
24  Forum Pubblico / O.P.O.N. PIATTAFORMA. DAL TERRITORIO LA VOCE DELLE PERSONE ATTIVE. / Gaetano Giovanni Gavioli - Con Due provocazione e Una idea ho portato in Fb, ... inserito:: Luglio 13, 2024, 12:45:51 pm
Amministratore
Esperto del gruppo in Virtual Reality

Accetto in POSTA PRIVATA, RISERVATA E NON PUBBLICABILE, ADESIONI ALLA SOLA IDEA DI O.P.O.N.

Arrivati all'adesione di 30 PROTAGONISTI si inizierà la stesura dello Statuto, da proporre alle Gente.
I Partiti, i Movimenti politici e gli pseudo-tali saranno esclusi dai lavori di fondazione anche come Liste Private (compreso quelli delle aree cui noi ci rivolgeremo).
OPON sarà Indipendente, perché sarà la Gente, non i Tifosi!

ggianni41@gmail.com

--
Gaetano Giovanni Gavioli
Autore
Amministratore
+2

In questa fase ovviamente, si rischia il fallimento dell'IDEA, nella sua attuazione pratica e concreta, non dell'idea in sé.
Per cui ogni adesione personale sarà da me tenuta riservata, anche ad ogni altro singolo aderente.
Si conosceranno tra loro e dopo loro autorizzazione soltanto al raggiungimento del numero di 30 Protagonisti.


Ai Protagonisti e loro collaboratori accettati nel gruppo, spetterà il compito della Studio preliminare e l'elaborazione dello Statuto.
Sempre escludendo elementi ancora attivi nell'attuale Politica.

Grazie dell'attenzione.

Gianni Gavioli
ggianni41@gmail.com

25  Forum Pubblico / ESTERO dopo il 19 agosto 2022. MONDO DIVISO IN OCCIDENTE, ORIENTE E ALTRE REALTA'. / Il centro sinistra esulta per la Francia, ma si riaccende il confronto fra sinis inserito:: Luglio 12, 2024, 12:44:26 pm
Il centro sinistra esulta per la Francia, ma si riaccende il confronto fra sinistra e liberal
Dopo l'affermazione del Nuovo Fronte Popolare in Francia, in Italia si passa al setaccio il voto d’oltralpe per rintracciare segnali che incoraggino la costruzione dell'alternativa al governo Meloni

Paolo Molinari
08 luglio 2024

FRANCIA
AGI - Un modello non replicabile in Italia. Dopo l'affermazione del Nuovo Fronte Popolare in Francia, le opposizioni in Italia passano al setaccio il voto d'Oltralpe per rintracciare segnali che incoraggino la costruzione dell'alternativa al governo Meloni. E, come spesso accade in questi casi, ogni lettura risente dei desiderata dell'una o dell'altra forza politica.
Così, per il leader del M5s Giuseppe Conte a essere premiata è stata la linea di chi "non ha mai avuto dubbi sulla pace, sulla difesa dei diritti sociali e sulla tutela dei più fragili", mentre per la segretaria del Pd, Elly Schlein, a dimostrare "che la destra si può battere" è stata l'unità di tutta la sinistra, mantra della leader dem. Matteo Renzi, leader di Italia Viva, attribuisce un ruolo "decisivo" al centro riformista come anche "una settimana fa in Gran Bretagna" e così anche Carlo Calenda, segretario di Azione, per il quale "è positiva la tenuta di Macron" anche se "ora sarà complicato formare un governo".
PUBBLICITÀ
Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana e deputato Avs, difende la sinistra da chi, in Italia come in Francia, definisce marginale l'apporto di Melenchon alla vittoria: "Leggo commentatori in Francia e in Italia pronti a considerare ininfluente la sinistra che continuano a definire con malcelato fastidio 'radicale'. Sappiano che così facendo rischiano solo di rinviare la vittoria dell'estrema destra".
Non è replicabile
Al di là delle declinazioni del risultato francese, il fronte progressista italiano è ben consapevole che, oltre alla "bella notizia" arrivata domenica, poco o nulla può essere replicabile nel panorama italiano. "I sistemi francese e italiano sono troppo diversi, dal punto di vista istituzionale ed elettorale, per potere ricavare dal primo un modello per il secondo", dice l'esponente della segreteria del Partito Democratico, Alessandro Alfieri, interpellato dall'AGI. Non solo: "In Francia c'è una destra post fascista che non è stata mai sdoganata dal punto di vista politico istituzionale. Da noi, invece, è stata sdoganata anni fa da Berlusconi. Lì, quindi, funziona ancora il 'cordone sanitario' per fermare Le Pen".
La strada italiana alla vittoria sulla destra rimane quindi quella che passa "per la costruzione di una coalizione credibile sulle riforme, sulla difesa della sanità pubblica, sul lavoro, sul livello degli stipendi. E' questo "lo spazio politico dentro il quale costruire la battaglia alla destra", sottolinea il dem. Punti sui quali le forze di opposizione in Italia sono già avanti con il lavoro, come dimostra la fotografia della Cassazione, dove quasi tutti i partiti alternativi alla destra (mancava Azione) hanno presentato insieme il quesito referendario per l'abrogazione della legge sull'autonomia differenziata.
"Direi che siamo più avanti di un patto di desistenza. Non c'è bisogno di inseguire", rivendica il vice capogruppo di Avs, Marco Grimaldi. Restano, tuttavia, distanze non semplici da colmare come i temi di politica estera, a cominciare dall'Ucraina. Temi che vedono agli antipodi, ad esempio, i Cinque Stelle e forze come Italia Viva ed Azione. "Sono le politiche del governo che verrà che determineranno la definitiva sconfitta del Rassemblement National", osserva il capogruppo M5s alla Camera Francesco Silvestri che manda anche un segnale ai potenziali alleati: "Queste risposte non contemplano, a mio avviso, un programma di governo moderato che inglobi dai repubblicani ai socialisti passando per il centro. Se così sarà la vittoria di Le Pen è solo rinviata".
Non è un caso, d'altra parte, che Giuseppe Conte abbia citato "la pace" fra i valori della sinistra vittoriosa in Francia. E non a caso un esponente dem come Lorenzo Guerini ha sottolineato, nell'ultima direzione, che "perchè sia credibile una coalizione deve avere un minimo comune denominatore su questioni essenziali" come "la politica internazionale, una questione discriminante che entrerà sempre di più nelle dinamiche politiche nazionali". Ma non solo.
Starmer risvegli l'orgoglio riformista nel Pd
Nel Partito Democratico la vittoria di Keir Starmer in Gran Bretagna e la tenuta di Macron in Francia hanno risvegliato un certo 'orgoglio riformistà che emerge, per esempio, dal post con il quale Paolo Gentiloni salutava la vittoria del Labour: "La leadership riformista di Keir Starmer ha riportato la sinistra britannica al governo dopo una lunga fase di radicalismo minoritario". Parole alle quali ha risposto indirettamente Andrea Orlando nella direzione nazionale del Pd: "Dovremmo evitare una discussione molto provinciale che rischia di trasformare Starmer in Calenda oggi e la prossima settimana Melenchon in Conte. Lo eviterei nell'analisi".
D'altra parte, spiegano dalla sinistra dem, se è vero che Starmer ha cacciato Jeremy Corbyn dal partito, è anche vero che il suo è un programma dai forti accenti socialisti. Ma anche un big dell'ala riformista del Pd, come Lorenzo Guerini, invita a "evitare di 'italianizzare' quei risultati, attardandoci in caricature tra riformisti e sinistra o in letture che riguardano scelte emergenziali come in Francia, che guardiamo certamente con attenzione ma che non possiamo assumere come esempio per l'Italia. Per la stessa ragione, da sinistra, viene respinta la lettura di chi nel Pd vede in Macron l'artefice della vittoria del Nuovo Fronte Popolare. "Mi sfugge qualcosa. Se Melenchon è un mostro (secondo gli osservatori lib equivalente a Le Pen) e Macron ha fatto una mossa geniale. Macron voleva dare centralità a Melenchon? Per la logica qualcosa non torna", osserva Orlando.

Da - https://www.agi.it/politica/news/2024-07-08/francia-festa-opposizioni-italia-27063732/
26  Forum Pubblico / ESTERO dopo il 19 agosto 2022. MONDO DIVISO IN OCCIDENTE, ORIENTE E ALTRE REALTA'. / Come cambiano i numeri al Parlamento europeo con il nuovo gruppo dei Patrioti inserito:: Luglio 12, 2024, 12:40:58 pm
Come cambiano i numeri al Parlamento europeo con il nuovo gruppo dei Patrioti
Il gruppo europeo della destra sovranista fondata da Viktor Orban – Patrioti per l’Europa – sta attirando sempre più eurodeputati al suo interno, finendo per superare i Conservatori e diventare così il terzo gruppo per numeri al Parlamento Ue.
A cura di Annalisa Girardi

Con il nuovo gruppo dei Patrioti per l'Europa, cambiano numeri ed equilibri al Parlamento di Strasburgo. La famiglia europea della destra sovranista fondata da Viktor Orban – il cui partito, Fidesz, era stato cacciato alcuni anni fa dai ranghi dei Popolari – sta attirando sempre più eurodeputati al suo interno, finendo per superare i Conservatori e diventare così il terzo gruppo al Parlamento europeo. Secondo l'ultima proiezione dei seggi nel nuovo Parlamento europeo, a un mese dal voto e a una settimana dalla prima plenaria, il gruppo dei Patrioti è il terzo per numeri, dopo quello dei Popolari e quello dei Socialisti.

Secondo l'ultimo aggiornamento – fatto dopo una serie di fuoriuscite, di cui la più recente nel momento in cui si scrive è quella di Vox – i Patrioti possono contare su 84 seggi, l'11,67% di quelli totali. ECR, lo schieramento guidato da Giorgia Meloni, scivola così al quarto posto, con 78 eurodeputati. Manca ancora una settimana alla prima riunione del Parlamento europeo dopo il voto e le cose potrebbero ancora cambiare.

Tra le fila dei Patrioti, oltre a Fidesz, siedono anche la Lega, il Rassamblement National, il Partito per le Libertà austriaco e il Partito per la Libertà olandese. La maggior parte delle forze politiche che ora fanno parte di questa famiglia arrivano da Identità e Democrazia – che ufficialmente non esiste più – o dal gruppo dei Non iscritto. Ad eccezione di Vox, che ha deciso di abbandonare i Conservatori.

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Jordan Bardella eletto presidente del gruppo europeo dei Patrioti, il generale Vannacci sarà il vice
"Per noi Conservatori europei non cambia molto – ha commentato il capodelegazione di Fratelli d'Italia al Parlamento Europeo, l'eurodeputato Carlo Fidanza – C'erano due gruppi alla destra del Ppe nella scorsa legislatura e ci saranno ancora due gruppi in questa legislatura. Quindi noi manteniamo saldo il nostro posizionamento e siamo aperti al dialogo con tutti, sia con il Ppe verso il centro, sia con i Patrioti alla nostra destra. Dal punto di vista di Fdi e di Ecr non cambia nulla".

Anche Antonio Tajani, ex presidente del Parlamento europeo e oggi vicepremier e segretario di Forza Italia, ha parlato della nascita del nuovo schieramento: "Il gruppo dei Patrioti sarà ininfluente dentro il Parlamento europeo, come ho sempre detto e come sarà. Io sono patriota europeo, un italiano che crede fortemente nell'Europa, lavoro per quello e sono parte del Ppe con il mio partito, lo sanno i miei alleati e vado avanti per la strada che abbiamo sempre seguito ma che non ha affatto inciso negativamente sul governo nazionale".

continua su:
https://www.fanpage.it/politica/come-cambiano-i-numeri-al-parlamento-europeo-con-il-nuovo-gruppo-dei-patrioti/?utm_source=pushnot&utm_medium=regular
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27  Forum Pubblico / CULTURA E NUOVO CAPITALISMO. - ECONOMIA, FINANZA, LAVORO. / Dopo l’ok del Senato, la Camera ha dato il via libera definitivo al ddl . . . inserito:: Luglio 10, 2024, 12:48:42 pm
POLITICA
19 giu 2024 - 09:50
©Ansa

Introduzione
Dopo l’ok del Senato, la Camera ha dato il via libera definitivo al ddl Calderoli con 172 sì, 99 voti contrari e un astenuto. Il testo, in 11 articoli, definisce le procedure legislative e amministrative per definire le intese tra lo Stato e quelle Regioni che chiedono l'autonomia differenziata nelle 23 materie indicate nel provvedimento

Quello che devi sapere
L’autonomia differenziata è legge
L’autonomia differenziata delle Regioni è legge. Dopo l’ok del Senato e una lunga maratona notturna alla Camera, è arrivato il secondo e definitivo sì al disegno di legge. L'Aula di Montecitorio ha licenziato il provvedimento con 172 sì, 99 voti contrari e un astenuto. Ma cosa prevede il testo?

Per approfondire: Dl autonomia, ok della Camera con 172 sì. La riforma è legge
11 articoli
Il ddl sull'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario - anche noto come ddl Calderoli - è una legge puramente procedurale per attuare la riforma del Titolo V della Costituzione messa in campo nel 2001. In 11 articoli definisce le procedure legislative e amministrative per l'applicazione del terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione. Si tratta di definire le intese tra lo Stato e quelle Regioni che chiedono l'autonomia differenziata nelle 23 materie indicate nel provvedimento. Questi i punti principali

Le richieste
Nel testo è specificato che le richieste di autonomia devono partire su iniziativa delle stesse Regioni, sentiti gli enti locali. In particolare, si legge: “Si stabilisce che l'atto di iniziativa sia preso dalla Regione interessata, sentiti gli enti locali, secondo le modalità previste nell'ambito della propria autonomia statutaria. L'iniziativa di ciascuna Regione può riguardare la richiesta di autonomia in una o più materie o ambiti di materie e le relative funzioni. Segue il negoziato tra il governo e la Regione per la definizione di uno schema di intesa preliminare”

Le materie
Le materie su cui si può chiedere l’autonomia sono 23. Tra queste ci sono Tutela della salute, Istruzione, Sport, Ambiente, Energia, Trasporti, Cultura e Commercio estero. Quattordici sono poi le materie definite dai Lep, Livelli essenziali di prestazione

Determinazione dei Lep
La concessione di una o più “forme di autonomia” - è specificato nel testo - è subordinata alla determinazione dei Lep, cioè i criteri che determinano il livello di servizio minimo che deve essere garantito in modo uniforme sull'intero territorio nazionale. La determinazione dei costi e dei fabbisogni standard, e quindi dei Lep, avverrà a partire da una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell'ultimo triennio
Principi di trasferimento

L'articolo 4, modificato in Aula al Senato da un emendamento di FdI, stabilisce i principi per il trasferimento delle funzioni alle singole Regioni, precisando che sarà concesso solo successivamente alla determinazione dei Lep e nei limiti delle risorse rese disponibili in legge di bilancio. Dunque senza Lep e il loro finanziamento, che dovrà essere esteso anche alle Regioni che non chiederanno la devoluzione, non ci sarà autonomia

Cabina di regia
Il testo prevede anche una cabina di regia: composta da tutti i ministri competenti, assistita da una segreteria tecnica, collocata presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio. Dovrà provvedere a una ricognizione del quadro normativo in relazione a ciascuna funzione amministrativa statale e delle regioni ordinarie e all'individuazione delle materie o ambiti di materie riferibili ai Lep sui diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale

I tempi
Il governo entro 24 mesi dall'entrata in vigore del ddl dovrà varare uno o più decreti legislativi per determinare livelli e importi dei Lep. Mentre Stato e Regioni, una volta avviata, avranno tempo 5 mesi per arrivare a un accordo. Le intese potranno durare fino a 10 anni e poi essere rinnovate. Oppure potranno terminare prima, con un preavviso di almeno 12 mesi

La clausola di salvaguardia
L'undicesimo articolo, inserito in commissione, oltre a estendere la legge anche alle Regioni a statuto speciale e le province autonome, reca la clausola di salvaguardia per l'esercizio del potere sostitutivo del governo. L'esecutivo può sostituirsi agli organi delle Regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni quando si riscontri che gli enti interessati si dimostrino inadempienti, rispetto a trattati internazionali, normativa comunitaria oppure vi sia pericolo grave per la sicurezza pubblica e occorra tutelare l'unità giuridica o quella economica. In particolare, si cita la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni sui diritti civili e sociali

I 4 ordini del giorno di Forza Italia
Prima del via libera definitivo al provvedimento, la Camera ha approvato i 4 ordini del giorno con cui Forza Italia ha inteso porre la propria impronta al disegno di legge sull'autonomia. Dopo il parere favorevole espresso dal governo per voce del ministro Roberto Calderoli, sono stati accolti i paletti azzurri che prevedono lo stop ai negoziati con le Regioni fino alle definizioni dei Lep con legge delega anche "sugli atti di iniziativa sui quali il confronto sia stato già avviato prima dell'entrata in vigore della presente legge"; la relazione tecnica sull'impatto finanziario da accompagnare ai decreti legislativi sulle intese; l'analisi dell'impatto dell'eventuale trasferimento di materie non-Lep da presentare al vaglio delle Camere; e un'applicazione "rigorosa" della facoltà del Consiglio dei ministri di limitare l'ambito delle materie oggetto di intesa

Leggi anche: Premierato, ecco come la riforma cambia la Costituzione

da - https://tg24.sky.it/politica/2024/06/19/autonomia-differenziata-regioni-cosa-prevede?card=10
28  Forum Pubblico / "INTESA DELL'OLIVO POLICONICO". PROGETTO DECENNALE DI SVILUPPO PER PRIORITA'. ANTE. / Aggiornamento. INTESA DELL’OLIVO e l'OPINIONE PUBBLICA ORGANIZZATA NAZIONALE... inserito:: Luglio 10, 2024, 12:44:27 pm
Aggiornamento.
 
INTESA DELL’OLIVO e l'OPINIONE PUBBLICA ORGANIZZATA NAZIONALE con la loro Piattaforma OLIVO POLICONICO E TERRITORIO, saranno un tentativo di concludere qualcosa di efficace nella PROGETTAZIONE di un Piano di evoluzione dalla attuale, confusa e poco limpida gestione della "Cosa Pubblica" nazionale e regionale.

Il Progetto NON prevede nella fase costitutiva l'intervento diretto di Partiti politici.
Neppure dell'area con cui intendiamo interagire, che corre dal Centro Progressista alla Sinistra Democratica.


L'INTESA dell'Olivo Policonico e l'Opinione Pubblica Organizzata Nazionale se arriveranno ad un adeguato numero di persone e di adesioni alla stesura del Progetto, lo proporranno alla Parte affine della attuale Politica.
Ma sino a quel momento opereranno esclusivamente nell'Immaginare ed elaborare il Progetto SENZA NESSUNA INFILTRAZIONE di Partiti o peggio della Partitocrazia. Ammetteremo attività di confronto e consultazione con singoli elementi impegnati nell'area a noi affine, che agisce dal Centro Progressista e Riformista sino alla Sinistra Democratica Non Sfascista.

La Piattaforma (Olivo Policonico e Idee dal Territorio a Confronto) sarà operante con un Gruppo di 30 persone, Attive nelle 20 Regioni e nel Direttivo, nell’intento di svolgere una Fattiva e Scambievole opera di Informazione e Comunicazione alla e con, la Base di Cittadini nella loro realtà Regionale e Locale. 
(Gianni) Gaetano Gavioli.

Italia – 19 febbraio 2024.
Aggiornato ad oggi 7 marzo 2024 
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Da tempo siamo sdegnati dagli aspetti negativi del convivere in questa nostra Società, invasa dal Malaffare e dal Caos Sociale e Politico.
Dobbiamo conoscere sin dove vogliono arrivare le PREVARICAZIONI, contrarie ai precetti dell'onestà e dell'equità, da parte di coloro che, non da oggi, sono al potere ottenuto con il cattivo consenso e con le menzogne.
Dobbiamo dire BASTA all'Accanimento delle ISTITUZIONI contro di NOI, CITTADINI, che da anni ne abbiamo subite di varia natura e gravità.
Il futuro sarà dedicato a cosa si possa e si debba fare in concreto e una volta per tutte, per cancellare l'onta che ci fa considerare nel Mondo, una Democrazia Imperfetta (Democracy Index 2021 - The Economist).
La Democrazia non ce l'ha regalata nessuno, i nostri Padri della Patria e la Resistenza di Popolo, con l'aiuto di Alleati, l'hanno strappata all'odio dei nazifascisti di allora.
In questo Gruppo, che si aggiorna con frequenza (non siamo una lapide) solo nell’intestazione, visto la nessuna partecipazione in Meta/Facebook, ci si deve rendere conto di cosa e di QUANTO NON SIAMO considerati da coloro che detengono il Potere,  sia come singole persone, sia come popolo italiano!
Facile dire "dobbiamo cambiare", ma in cosa se non abbiamo consapevolezza di chi siamo, oggi, noi!

Italia 16 agosto 2021.
ggiannig ciaooo
29  Forum Pubblico / CULTURA E NUOVO CAPITALISMO. - ECONOMIA, FINANZA, LAVORO. / Gimbe: “È stato dato il colpo di grazia al Ssn” - Quotidiano Sanità inserito:: Luglio 10, 2024, 12:41:35 pm
Gimbe: “È stato dato il colpo di grazia al Ssn” - Quotidiano Sanità
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ggiannig <ggianni41@gmail.com>
mer 19 giu, 23:09 (11 ore fa)
a me

https://www.quotidianosanita.it/m/governo-e-parlamento/articolo.php?approfondimento_id=19329
30  Forum Pubblico / CULTURA E NUOVO CAPITALISMO. - ECONOMIA, FINANZA, LAVORO. / Nella storia della letteratura mondiale, da Laerte in giù il povero era vecchio. inserito:: Luglio 10, 2024, 12:38:42 pm
Jack Daniel allora derubiamo i vecchi, tacciamo sulle evasioni, chiudiamo un occhio sulle corruzioni, continuiamo a pagare MALE IL LAVORO, avanti tutta con il precario e applaudiamo alla signora Meloni e soci che sfruttando codesti pensieri ci stanno rubando la libertà e violentando la Costituzione.  Nulla di nuovo. ggg
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Post della sezione Notizie
Jack Daniel

Nella storia della letteratura mondiale, da Laerte in giù,  il povero era il vecchio, il vecchio padre nel suo piccolo podere, la madre vedova che non ha di che sfamarsi. Il IV comandamento di Mosè, « Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio » è (anche) una codifica dell'obbligo morale di non abbandonare i vecchi genitori, forse in ristrettezze.
In Italia, nel 2022, il reddito medio pensionistico (https://tinyurl.com/549spzfh ) è stato pari a quello da lavoro (https://tinyurl.com/5czpdyfd pag. 8 ).
Ma questo è solo un aspetto del problema, quello reddituale. A ciò bisogna affiancare quello patrimoniale, vale a dire il fatto che i più anziani detengono un patrimonio (case, risparmi variamente investiti) maggiore di quello dei giovani o comunque delle persone in età lavorativa (vedere per esempio qui: https://tinyurl.com/46zydkds).
La conclusione, che peraltro conferma ciò che vediamo attorno a noi ogni giorno, è che in Italia, oggi, gli anziani stanno economicamente meglio dei giovani e degli adulti. Tutto ciò, però, è un generatore automatico di diseguaglianze.
Per dirla breve: immaginiamo due colleghi di lavoro, entrambi che guadagnano 20mila euro all'anno. Uno dei due ha i genitori con un paio di case, l'altro no. La pensione ai genitori col paio di case la pagano entrambi i lavoratori, sia il figlio che il collega. Quando i genitori mancheranno, il figlio si troverà a ereditare il paio di case e il collega no.
Questo perché le pensioni, tutte, dalle più piccole alle maggiori, sono pagate dai lavoratori, giovani e adulti. In molti casi, soprattutto per la quota calcolata al retributivo, la pensione percepita non corrisponde all'ammontare dei contributi versati dal pensionato nella sua vita lavorativa, quindi riceve un plus rispetto a quanto ha versato.
In definitiva: vi è un trasferimento di reddito da giovani e adulti ad anziani.
La situazione sopra descritta, nel Paese che ha uno dei record di case di proprietà, è molto diffusa. Sono tanti i giovani consapevoli del fatto che potranno avere una certa tranquillità economica solo in virtù della futura eredità, e questo spiega, tra l'altro, il perché in questo Paese vi sia un rifiuto di massa al solo sentir pronunciare patrimoniale o tassa sulle successioni anche da parte di chi non ha al momento alcun patrimonio, ma spera di averne uno, pur piccolo, un giorno. Né l'ipotesi di tassare solo i grandi patrimoni potrebbe cambiare di molto: la stragrande maggioranza dei patrimoni più giganteschi è data da quote azionarie dell'impresa di famiglia, quote che sono esenti (ricordate l'eredità Berlusconi? https://tinyurl.com/ycxdex3u : alla fine i figli pagheranno tasse solo sulle ville, a valore catastale, per giunta).
Tutta questa situazione, vecchi più benestanti dei giovani e patrimoni così rilevanti per il benessere futuro degli eredi ha, in fondo, un'unica causa e spiegazione, ed è il fatto che i redditi attuali (salari e retribuzioni in genere) siano bassi e fermi da un quarto di secolo. Più i redditi sono bassi, più il patrimonio ereditato acquista rilevanza e meno si vuol sentir parlare di patrimoniali o tasse di successione. Un circolo vizioso determinato, anche in questo caso, dalla bassa crescita del Paese.
La quale bassa crescita dovrebbe essere il primo argomento all'ordine del giorno da anni, vista la marea di problemi che provoca. Non lo è.

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Peo Panizzolo
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Gli educatori
Credo che la figura dell'educatore non esista.
O meglio, credo che si tratti di un artificio, di una invenzione di chi pretende di plasmare, di forgiare, di costruire la personalità altrui su un modello dato, che generalmente corrisponde al proprio.
Penso che l'educazione non sia un'operazione a senso unico, dall'educatore all'educando; penso, al contrario, che il cosiddetto "educatore" debba assumere a sua volta il ruolo di educando attraverso una continua autocritica e una costante disponibilità a imparare, a rivedere le proprie posizioni e in ultima analisi a evolvere. Se questo è vero, è vero anche che non può esistere un autentico processo educativo se non tra individui che siano in una condizione di sostanziale parità. L'educazione, se mi è lecita un'espressione "fisica", è per definizione un'operazione orizzontale. Se si limita a scendere dall'alto verso il basso, da un superiore a un inferiore, se si traduce cioè in un rapporto di dipendenza, cessa immediatamente di essere "educazione". Ciò significa che tutti gli educandi sono anche educatori e viceversa e in definitiva che tutti gli esseri umani possono essere considerati educatori. Il che, ovviamente, toglie ogni senso e ogni contenuto alla tradizionale figura dell'educatore.
L'educare, così come solitamente lo si intende, assomiglia molto al governare, e la vocazione del governante è assai diffusa. Forse universale. Inoltre, per quel che posso giudicare dalle mie esperienze, si tratta di un impulso che diventa sempre più forte man mano che l'individuo si allontana dall'infanzia, non tanto cronologicamente quanto psicologicamente. Il cancellare da sè la componente infantile, cioè l'attitudine al gioco, produce la dilatazione e quindi l'assoluto prevalere della componente adultistica, che è la propensione economica al potere. Colui che arriva ad essere "solo" adulto è intramente dedito alla conquista e all'esercizio del potere, quindi al governare, dato che ha perduto la capacità di giocare. Quando il suo cammino involutivo è terminato egli decide di essere un Educatore.
(Marcello Bernardi - Educazione e libertà)

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