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5836  Forum Pubblico / "ggiannig" la FUTURA EDITORIA, il BLOG. I SEMI, I FIORI e L'ULIVASTRO di Arlecchino. / Da FB ... Alessandra io non problemi di "resistenza" inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:47:09 pm
Alessandra, qui sopra, ti è sfuggita la mia "risatina" (eh eh eh), mi dispiace tu possa pensare il peggio. La mia solitudine, nel web, è una antica compagna che per 20 anni mi ha permesso d'essere protagonista (modesto) in questa dimensione. Quando ci si batte per capire e per far capire la realtà, si è soli se si vuole essere liberi. Ma non è una condizione che fa star male ... se ci si crede in quello che si vuole comunicare. Ciaooo

...

Alessandra io non problemi di "resistenza" e non ho intenzione di drammatizzare la mia/nostra solitudine che, per come si "vive" in FB, è la dimostrazione di come si vive, oggi, in generale. Sono sul web da 20 anni, ho dialogato, discusso, mi sono confrontato e scontrato con centinaia di persone, ma è accaduto in un forum a tema
ciaooo
5837  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Prodi: “No alla logica di un sistema di voto anti Grillo” inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:43:01 pm
Unità.tv      
@unitaonline

· 29 dicembre 2016
Prodi: “No alla logica di un sistema di voto anti Grillo”

In una intervista al Corriere della Sera, Romano Prodi mette in guardia di fronte all’ipotesi di fare una legge elettorale per fermare Grillo

Negli ultimi anni il Movimento 5 Stelle “si è rafforzato senza dubbio, come tutti i populismi del mondo occidentale. D’altronde, quando si sente dire che occorre fare una legge elettorale perchè tutti hanno paura di favorire Grillo, significa che il suo movimento va avanti; e che gli strumenti usati finora per fermarlo si sono rivelati inadeguati”.

E’ quanto afferma in una intervista a Il Corriere della Sera, Romano Prodi, che mette in guardia di fronte all’ipotesi di fare una legge elettorale per fermare Grillo. “Guai a muoversi in questa logica. Le leggi elettorali – aggiunge – debbono essere per sempre, comunque per un lungo periodo. La mia esperienza mi dice che approvarne una dettata da un interesse a breve termine di solito finisce per ritorcersi contro chi la fa”. E a proposito di una legge elettorale, si dice “favorevole a una rivisitazione del cosiddetto Mattarellum. Credo sia l’unica maniera per ricreare un minimo di rapporto tra elettori e eletti”.

Quanto alle possibili alleanze politiche, secondo Prodi “Ci può essere magari un’alleanza strumentale col Carroccio, ma il M5S per avere vera forza elettorale deve interpretare l’insoddisfazione in modo generale e esclusivo. Direi onnicomprensivo. E dunque andando al di là di categorie tradizionali come destra, sinistra e centro. La Lega è rimasta ancorata a una rappresentanza parziale, non ha capito il nuovo populismo. Esprime una forza specifica, certo con un’appartenenza forte; ma limitata.

Al contrario, il nuovo populismo europeo e statunitense allargano sempre di più l’orizzonte degli interlocutori, e incidono su una gamma sempre più vasta di sensibilità”. Quanto alle vicende del Monte Paschi di Siena e al loro potere di influire sulle inquietudini “La vicenda del Monte dei Paschi di Siena – aggiunge Prodi – è l’esempio tipico di quello che è successo e che sta accadendo. Sono fatti che alimentano la grande paura. Si tratti di Mps o di Banca Etruria, danno corpo a un’ansia nuova. Dieci anni fa chi temeva che mettendo i soldi in banca poteva perderli? Nessuno prima mi veniva a chiedere: professore, rischio se lascio i soldi in banca? Non è solo questione se si guadagna un po’ di più o di meno. La gente teme di perdere tutto quello che ha. In un momento di stagnazione economica domina la paura di vedere volar via i risparmi di una vita”.

Da - http://www.unita.tv/focus/prodi-no-alla-logica-di-un-sistema-di-voto-anti-grillo/    Focus

5838  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / La mossa del Pd. Cambiare i "vitalizi" per andare al voto subito inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:41:10 pm
La mossa del Pd. Cambiare i "vitalizi" per andare al voto subito
Repubblica   
Pubblicato: 27/12/2016 14:07 CET Aggiornato: 16 minuti fa

La mossa del Pd per evitare una prorogatio del Governo Gentiloni e al contempo mettere nell'angolo l'M5s. Repubblica racconta oggi in un retroscena il provvedimento in rampa di lancio a Montecitorio che "può segnare una svolta, un punto in favore dei renziani: convincere peones e new entry parlamentari a chiudere anzitempo la legislatura con una contropartita niente male. Una “buonuscita” da 50 mila euro cash.

Passa attraverso l’abrogazione di qualsiasi pensione in favore di deputati e senatori a partire dalla diciottesima legislatura, la prossima: i 950 euro netti mensili da incassare a 65 anni dopo una sola legislatura (1.500 a 60 anni dopo due)". Una opportunità che dovrebbe convincere tutti gli onorevoli a incassare l'assegno e mettere fine a questa legislatura senza la tentazione di dover attendere il 15 settembre per maturare i diritti alla pensione minima. "I deputati - continua Repubblica - sceglieranno che fare in futuro dei loro contributi e potranno solo nel 2017 ottenerne la restituzione. 50 mila euro: neanche pochi e maledetti, di questi tempi, e da incassare subito.

Per M5S è una "legge porcata". "Al ritorno dalle vacanze natalizie verrà approvata in parlamento la prima norma porcata del 2017, un vero e proprio colpo di coda della casta renziana. Il tema è quello scottante dei vitalizi: con la scusa della sua definitiva abolizione dal 2018 la maggioranza a guida pd garantirà agli attuali deputati e senatori una buonuscita intorno ai 50 mila euro a testa, consistente nei contributi versati dal 2013 ad oggi" denuncia M5S sul blog di Beppe Grillo. "Il movente di questa ennesima manovra di palazzo è politico: Renzi vuole andare ad elezioni il prima possibile con una legge anti-M5s nel vano tentativo di evitare i referendum contro il jobs act e cercare di capitalizzare il fango gettato in queste settimane contro la giunta Raggi. Il segretario del Pd sa, però, che la maggioranza dei parlamentari non ha alcuna intenzione di staccare la spina prima del 15 settembre 2017, data in cui maturerà il diritto al vitalizio essendo passati 4 anni, 6 mesi e 1 giorno dall'inizio della legislatura. Con la ricca buonuscita Renzi spera quindi di placare gli appetiti di partito e di terminare la breve esperienza del burattino Gentiloni".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/27/vitalizi-gentiloni-pd_n_13864392.html
5839  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / Paolo Hendel - O dolci baci e languide carezze inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:39:35 pm
Opinioni
Paolo Hendel - @paolohendel
· 29 dicembre 2016
O dolci baci e languide carezze

Non c’è più limite all’indecenza e l’infanzia, con i suoi miti e i suoi modelli rivisitati, è privata della sua innocenza

Immagino che anche voi come me non avrete ben presente la faccia di Massimo Gandolfini, capo indiscusso del Family Day. A vederlo in foto, con quella sua aria a metà tra Sean Connery e Nicola Arigliano, non può non suscitare simpatia.

Per questo non condivido l’atteggiamento di altezzoso sdegno di quei fighetti dei miei amici della sinistra nei suoi confronti. Non posso con questo dire di condividere sempre le cose che scrive e dice. Anzi, nel 99% dei casi la penso all’opposto e in quell’un per cento dei casi in cui mi trovo d’accordo con lui probabilmente è perché ho frainteso le sue dichiarazioni.

Ma nel caso della trasmissione di Rai Tre “Stato Civile” sono con Gandolfini in tutto e per tutto e stigmatizzo, se solo sapessi cosa vuol dire, le scelte “artistiche “di quella svergognata della Bignardi. E pensare che è di nemmeno un anno fa il caso di quei genitori di Massa Carrara che hanno (giustamente) ritirato da scuola la figlioletta di sette anni perché la maestra aveva letto una fiaba in cui era la principessa a salvare il principe dal drago e non viceversa! Dice, che c’entra? C’entra eccome! Fai passare una cosa del genere, che stravolge i sacri valori della famiglia, e ti ritrovi con le coppie omosessuali in prima serata.

E stai sicuro che domani quella maestra di Massa Carrara leggerà ai suoi alunni una bella fiaba in cui alla fine il principe e il drago fanno outing e se ne vanno mano nella mano a vivere la loro torbida storia d’amore, mentre la principessa lascia il castello, si trasferisce in città e diventa amica della Bignardi!

Non c’è più limite all’indecenza e l’infanzia, con i suoi miti e i suoi modelli rivisitati, è privata della sua innocenza. Già mi immagino Topolino che un bel giorno confessa a Minnie di essere omosessuale. E mi immagino Minnie che gli risponde: “Lo so bene, Mickey, che te sei un topo che non gli piace la topa. Credevi ‘un me ne fossi accorta? D’altronde io son vent’anni che me la intendo con Pippo. Se aspettavo te stavo fresca!” Già mi immagino Tex Willer e Kit Carson, i due rangers del Texas, in Luna di Miele nella prateria stile “I segreti di Brokeback Mountain”, quel film di pervertiti che già nel nome della montagna, per chi sa l’inglese, era un esplicito quanto brutale manifesto dell’Arcigay! Già mi immagino il sindaco di Gotham City che unisce in matrimonio Batman e Robin, “Pipistrello” e “Pettirosso”, sempre per chi sa l’inglese, a braccetto contro il crimine, nei loro pittoreschi costumini.

È proprio vero che Dio li fa e poi li accoppia! Pensate a quando anche Superman si confesserà: “Anche io son gay, come Topolino. Anzi, sono un supergay! È la kriptonyte verde che mi fa diventare etero, accidenti a chi l’ha inventata!” Non ci resta che Donald Trump.

Se mi diventa frocio anche lui lascio la Terra e parto con Gandolfini per la prima missione su Marte. In sette mesi di viaggio nello spazio, chissà che non nasca qualcosa tra di noi…

Da - http://www.unita.tv/opinioni/o-dolci-baci-e-languide-carezze/
5840  Forum Pubblico / LA CULTURA, IL MONDO DEL LAVORO, I GIOVANI, L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA. / Thomas Oppong. La vita migliora (e tanto) quando inizi a fregartene inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:38:05 pm

La vita migliora (e tanto) quando inizi a fregartene

L'Huffington Post
Di Thomas Oppong

Pubblicato: 29/12/2016 12:54 CET Aggiornato: 29/12/2016 12:54 CET

“Un uomo è incline a badare ai suoi affari quando ne vale la pena. In caso contrario, distoglie la mente dai suoi affari insignificanti, iniziando a farsi quelli degli altri” – Eric Hoffer

Il desiderio di piacere ed essere accettati è insito nella natura umana, da qui deriva la folle ricerca del conformismo. Ma si deve compiere uno sforzo consapevole per infischiarsene. Per liberare noi stessi. È una capacità che richiede pratica, come qualsiasi altra abilità. Quando avrai compreso davvero come lasciare andare, vedrai il mondo da una prospettiva totalmente diversa.

Il mondo ti dice continuamente che tutto ciò che sei non servirà a renderti felice. Gli altri hanno un lavoro “magnifico”, un’auto più bella, una nuova casa più grande ecc. Dare importanza a tutto quello che il mondo vorrebbe per te ti rende più infelice, a causa delle cose che non sei o che non hai.

Non concentrare la tua vita e le tue energie nell’inseguimento di un miraggio. Causerà problemi di salute mentale che di certo non vuoi. Probabilmente sei troppo impegnato a occuparti di così tante cose intorno a te da aver praticamente smesso di vivere. Il segreto per la vita positiva di cui hai bisogno è concentrarsi sugli elementi importanti per la tua crescita, per la carriera e per il benessere generale.

Quando inizi a fregartene di quello che pensa la gente, la tua sicurezza arriverà alle stelle più velocemente di quanto immagini. Inizierai a credere in te stesso, a quello che puoi offrire al mondo senza lasciare che le influenze esterne ti frenino o condizionino le tue decisioni.

Continuando a desiderare ardentemente di essere come qualcun altro, ti sentirai sempre più immeritevole. Continuando a desiderare ardentemente di essere più felice, ti sentirai sempre più solo nonostante le persone meravigliose che ti circondano. La resistenza mentale, la felicità, la capacità di vivere la propria vita a pieno derivano dal saper riconoscere le cose per cui preoccuparsi e, cosa ancora ancora più importante, quelle per cui non preoccuparsi.



Mark Manson del NYTimes, autore di “The Subtle Art of Not Giving a Fuck” lo spiega meglio:
In realtà, la capacità di riservare le nostre attenzioni solo alle situazioni realmente meritevoli renderebbe la nostra vita molto più semplice. Il fallimento ci sembrerebbe meno spaventoso. Il rifiuto meno doloroso. Le incombenze sgradevoli sarebbero più piacevoli e i bocconi amari sarebbero un po’ più saporiti. Voglio dire, se riuscissimo a fregarcene di meno, o ad avere delle preoccupazioni consapevolmente indirizzate, la vita ci sembrerebbe davvero più facile.

Dimentica (e proteggi) le tue debolezze. Gioca sui tuoi punti di forza.

È più facile giocare sui propri punti di forza. Non cercare di compensare i tuoi punti deboli.

Ci sono buone probabilità che tu stia prestando troppa attenzione alle informazioni negative. Ci sono milioni di persone preoccupate, che pensano continuamente a come liberarsi delle proprie debolezze.

E se, invece, invertissi la rotta e iniziassi a concentrarti sui tuoi punti di forza? La dura verità è che forse non supererai mai le tue debolezze ma potresti apportare cambiamenti significativi al modo in cui vivi e lavori, se ti concentri sulle tue abilità. Il segreto non è cambiare ciò che sei, ma diventare ancora di più te stesso. Riconosci le tue debolezze e accettale: accogli le tue paure, i tuoi errori, le tue incertezze. Inizia ad affrontare la verità dolorosa e brutale su te stesso.

In uno studio della Harvard Business Review, è stato sottolineato che mentre le persone ricordano le critiche ricevute, la consapevolezza dei propri errori non si traduce sempre in una performance migliore.

Inoltre, si è scoperto che conoscere i propri punti di forza consente di comprendere meglio come gestire le proprie debolezze e aiuta ad acquisire la sicurezza necessaria ad affrontarle.

Ti consente di dire “Sono bravissimo come leader, ma con i numeri sono un disastro. Quindi, anziché darmi ripetizioni di matematica, datemi un socio bravo con i conti”.

Invece di preoccuparti delle cose in cui non eccelli, e fare di tutto per riuscire, perché non giochi sui tuoi punti di forza? Non si può essere bravi in tutto. Anzi si può, ma di certo non si riesce ad eccellere in ogni cosa.

“Quando permettiamo a noi stessi di esistere per davvero, completamente, punzecchiamo il mondo con la nostra visione e lo sfidiamo con il nostro personale modo di essere” – Tommaso Moro.

Sii a tuo agio con la tua diversità. Non devi adattarti. Non devi per forza essere come tutti gli altri. Non adattarti se ti fa male. Non aver paura di abbracciare la tua natura più autentica. Non aver paura di come ti vedrà il mondo. Mentre gli altri cercano di adattarsi al mondo, fa che sia il mondo ad adattarsi a te.

Diventa insensibile all’influenza delle opinioni altrui ed ergiti dritto in una moltitudine di idee. Sicuro nel sapere che mentre gli altri si sono accontentati del quotidiano, tu hai esplorato l’eccezionale. Se non ti interessa mostrare il tuo lavoro al resto del mondo, nonostante la voce del tuo critico interiore, allora sei già sulla buona strada.

Non smettere di esercitare il tuo diritto a provare qualcosa di nuovo e cambiare la routine per migliorare le cose, renderle più veloci, più belle. C’è sempre un’opzione migliore. Prendi l’abitudine di mettere in discussione le regole, sii curioso e individua l’ambito in cui provare qualcosa di diverso, il luogo in cui aprire una finestra. Resterai sorpreso delle tue capacità. Le cose possono solo migliorare.

In un mondo dove tutti seguono le regole, nessuno ha il tempo per prestare attenzione. Le persone fanno praticamente sempre le stesse cose. Cosa c’è di tanto interessante: niente. A nessuno importa il fatto che tu ti stia facendo in quattro per portare a termine il tuo lavoro.

Hai portato a termine il tuo compito? È tutto quello che i tuoi superiori e il tuo capo vogliono sapere. Sei parte di un processo e, se funziona, devi restare lì e fare il tuo lavoro. Le persone che hanno sconvolto il mondo hanno creato le loro regole nonostante l’enorme resistenza. Ma lo hanno fatto lo stesso.

Conosci te stesso. Accetta te stesso. Sii te stesso.

“Il mio grande errore, la colpa per la quale non posso perdonare me stesso, è che un giorno ho cessato la ricerca ostinata della mia individualità” – Oscar Wilde.

Non aspettare l’approvazione. Chiedi la comprensione, non il permesso. L’unico ostacolo che t’impedisce di compiere imprese straordinarie sei tu. Se vuoi fare qualcosa di straordinario non parlarne soltanto, fallo.

Prendi il comando della tua vita. Se non sei soddisfatto del presente, fai qualcosa di diverso. La tua vita non cambierà se tu non crei quel cambiamento. Se ti senti tranquillo fuori dalla tua “zona di sicurezza” stai già facendo un buon lavoro.
Smettila di preoccuparti per ciò che non sei e inizia a vivere! La tua vita migliorerà sensibilmente se ti preoccuperai meno delle opinioni altrui, e inizierai a preoccuparti solo di ciò che tu pensi di te stesso.

Questo pezzo è stato pubblicato su Huffpost Usa ed è stato tradotto da Milena Sanfilippo

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/29/la-vita-migliora-e-tanto-quando-inizi-a-fregartene_n_13878246.html
5841  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / Gianni RIOTTA - Obama usa la politica estera per mettere in difficoltà Trump inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:35:59 pm
Obama usa la politica estera per mettere in difficoltà Trump   
Mentre i leader rivali disegnano il nuovo Medio Oriente il presidente uscente spera di dividere i repubblicani dalla Casa Bianca

Pubblicato il 29/12/2016
Gianni Riotta

Il Vecchio Medio Oriente e il Nuovo Medio Oriente si sono incontrati ieri, come nelle vignette dei calendari antichi, con l’Anno Vecchio, debole e ferito, a consegnare il mondo all’Anno Nuovo, fresco virgulto. Il segretario di Stato americano John Kerry, che il 20 gennaio va in pensione, ha pronunciato un solenne requiem per la formula «Due popoli due Stati» che in infiniti dibattiti Onu, negoziati tra due generazioni di leader israeliani e palestinesi, tesi di laurea impolverate, ha cercato, invano, di riportare pace e coesistenza. 

Il presidente Obama, che aveva irriso Kerry con una battutaccia - «Che mi porti? Altre soluzioni?» - ha lasciato al generoso ministro l’onore delle armi. Kerry riconosce che il pugno duro del premier israeliano Netanyahu sulle colonie di Israele affossa il negoziato con i palestinesi, stretti tra Hamas e l’ormai fragile Abu Mazen dell’Olp. E lancia un monito da editorialista deluso, non da diplomatico di ferro: senza uno Stato palestinese Israele perde l’identità ebraica o la democrazia. In una West Bank ridotta secondo Kerry a «groviera» dalle colonie, dovrà fare il poliziotto, tra terroristi e un «movimento per i diritti civili e umani palestinesi», dopo il voto Onu facilitato da Obama come ritorsione contro i troppi tackle del premier israeliano. 

Mentre Kerry alzava bandiera bianca, Russia, Turchia e Iran, irrompendo nel vuoto strategico lasciato dal presidente Obama in Medio Oriente, hanno proposto un nuovo patto che, giusto 100 anni dopo la divisione anglo-francese di Sykes-Picot dell’ex impero ottomano, ridisegna la Siria in tre aree. Il dittatore Assad, protetto da Putin e dall’Iran, resterebbe al potere almeno fino alle prossime «elezioni», una farsa in cui al suo posto andrebbe un altro raiss alawita, fedele al Cremlino e vicino, per ancestrale odio contro i sunniti, agli sciiti di Teheran. L’Iran avrebbe un corridoio che, via Siria, lo colleghi ai clienti di Hezbollah in Libano, traffici, armi, propaganda, influenza. La Turchia dell’uomo forte Recep Tayyip Erdogan mobiliterebbe quel che resta dei ribelli anti Assad, ridotti in numero e prestigio dopo la caduta di Aleppo e l’abbandono di Obama, in una sua enclave, da cui combattere - un po’ - l’Isis, ma soprattutto impedire che i miliziani curdi avanzino in Siria, provando a lanciare finalmente la loro «Sfida nel Kurdistan», sognata da un secolo come ricorda la novella di Jean-Jacques Langendorf (Adelphi).

 

Seguite le sorti della città di al-Bab, 40 chilometri da Aleppo, presto contesa tra i combattenti dell’Isis e i ribelli pagati da Erdogan. I turchi hanno mediato tra Putin e i ribelli, favorendo la ritirata da Aleppo e allestendo l’assedio ad al-Bab, che non vogliono in mano ai curdi. Ma gli iraniani, che temono una Casa Bianca di Trump ostile all’accordo sul nucleare sponsorizzato da Obama, non hanno fretta. Ali Akbar Velayati, consigliere del leader supremo ayatollah Khamenei, dice: dopo Aleppo in Siria vanno rifatti tutti i conti.

A proposito, Erdogan vorrebbe far pagare il conto dei nuovi campi profughi siriani agli europei, in cambio di una riduzione dell’ondata di rifugiati, alla vigilia di elezioni in Francia e Germania, forse Italia. Arbitro severo è Putin, forte di basi militari nel Mediterraneo. L’America langue nel vuoto pneumatico di Obama che i focosi tweet di Donald Trump non riempiono. La Clinton minacciava una «no fly zone» in Siria, Putin aveva già schierato rampe di missili, ma Trump ha altro per la testa, i ribelli sono sconfitti, Mosca, Ankara e Teheran fanno da soli, con l’Occidente che si lecca le ferite, impotente: addio esportazione della democrazia, Primavere arabe.

I fondamentalisti islamici dicono la loro con il terrore, da Berlino all’ambasciatore russo ucciso in Turchia, ma Putin ha fatto terra bruciata in Cecenia come Assad padre e figlio in Siria, Iran e Turchia non si curano certo delle critiche umanitarie per due foto come gli Usa ad Abu Ghraib. La tripartizione della Siria non sarà facile, Assad terrà duro, i fondamentalisti colpiranno, la guerra civile sunniti-sciiti continua, sauditi e Paesi del Golfo non sono d’accordo. E Obama? Si limita ad annunciare nuove sanzioni contro la Russia, per l’ingerenza di pirateria informatica sulle elezioni Usa, minacciando ritorsioni, senza rivelare quali e quante. Crowdstrike, un gruppo di informatici Usa, conferma i legami tra i leaks anti Clinton e il Gru, lo spionaggio militare russo, Assange di Wikileaks in un’intervista a Repubblica si dichiara interessato alla «novità» Trump. Obama sa che in Senato i repubblicani non sono allineati con il neo presidente, amico del Cremlino, e spera di dividere partito e Casa Bianca. Che mentre russi, iraniani e turchi si giocano ai dadi il Medio Oriente, il premio Nobel Obama sia ridotto a questi giochini dice quanto tumultuoso sarà Capodanno 2017. 

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Da - http://www.lastampa.it/2016/12/29/esteri/la-politica-estera-diventa-la-mossa-per-mettere-
in-difficolt-il-successore-9Hj3hXFDduXbO8J1s0elSN/pagina.html?wtrk=nl.direttore.20161229.
5842  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Angela Mauro. Paolo Gentiloni alla conferenza stampa di fine anno, un governo... inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:34:04 pm
Paolo Gentiloni alla conferenza stampa di fine anno, un governo di (moscia) continuità con Matteo Renzi

Pubblicato: 29/12/2016 19:55 CET Aggiornato: 1 ora fa

Angela Mauro

“La continuità di questa squadra di governo con il precedente governo Renzi è da molti considerata un limite. Capisco e accetto la critica, ma io rivendico questa continuità…”. Paolo Gentiloni, premier da soli 15 giorni, decide di darsi in pasto per oltre due ore ai giornalisti della stampa parlamentare nella tradizionale conferenza stampa di fine anno. Ne viene fuori il ritratto di un presidente del Consiglio “di servizio”, espressione che non a caso Gentiloni usa spesso, un premier che non prende impegni, assolutamente fedele al mandato ‘politico’ ricevuto dall’ex premier Matteo Renzi. “Cancellare il lavoro svolto dal governo Renzi o relegarlo nell’oblio sarebbe un errore”, dice Gentiloni. Già, ma di quale continuità sta parlando? Moscia, a dir poco. Continuità ma senza "tono muscolare" con l’Europa, senza nemmeno il gusto politico anche solo verbale della sfida a Bruxelles su immigrazione e fiscal compact, per non parlare di Mps. Continuità fino al punto in cui vuole e dice Renzi.

Mentre Gentiloni parla, tentando affannosi slalom tra affermazioni e negazioni, ‘se e ma’, ‘posso non posso’, Renzi segue la conferenza stampa alla tv. Il nuovo premier è costretto a muoversi in una difficile strettoia di parole senza prospettiva. Perché non sa se la prospettiva del suo governo è breve (come vorrebbe Renzi) o senza particolari scadenze (come preferirebbe il Colle). E allora fa come può, tra detti e non detti, sì ma anche no.

“Non si può vedere il voto anticipato come una minaccia, il governo fa la sua parte fino a quando ha la fiducia del Parlamento…”. Ma anche: “I governi non hanno una scadenza, ma non si tengono in vita artificialmente… L’unica cosa che può fare il premier, a parte l’indovino, è fare bene il suo lavoro…”. Peccato che questo lavoro non possa esplicarlo in tutta la sua urgenza e – perché no – potenza. Troppe variabili in campo. Soprattutto c’è Renzi o la sua ombra. “Da circa 15 anni ho rapporto di stima e grande collaborazione con Matteo Renzi e questo penso che sia un atout per il governo”, si arrende il neopremier.

E’ per questo che la continuità si palesa solo fino a un certo punto: fin dove decide Renzi. Gentiloni, per dire, non fa menzione dell’intenzione di chiedere all’Europa la revisione del Fiscal Compact. Eppure questo era il cavallo di battaglia di Renzi per il nuovo anno. Il Fiscal compact “approvato nel 2012 per un periodo sperimentale di 5 anni va a scadenza alla fine del 2017”, diceva Renzi in campagna referendaria. Nessuna eco nelle parole del nuovo premier.

E ancora: Renzi aveva annunciato anche il veto italiano al bilancio Ue in mancanza di solidarietà da parte dei paesi dell’est sui migranti. Anche qui non c’è continuità, anzi. Morbidissimo, Gentiloni sottolinea: l’Italia non vuole “fare ostruzionismo” sul bilancio Ue, ma “usa i mezzi a sua disposizione per segnalare il problema…”.

Quasi a voler indicare, per obbligo e per carattere, che il governo politico che poteva battere i pugni sui tavoli europei era quello di Renzi e non questo di Gentiloni. “In questi anni, l’Italia ha avuto più ascolto a livello internazionale: per me si presenta la sfida non facile di continuare ad averlo…”, dice non a caso il capo del nuovo governo.

Per non dire della crisi del Monte dei Paschi. Fallita l’opzione di mercato, preferita da Renzi almeno fino al referendum del 4 dicembre, è stato proprio il governo Gentiloni a dover adottare in tutta fretta la soluzione statale, con il decreto ‘salva risparmio’ “la cui attuazione sarà lunga e complicata”, dice il neo-premier. Bene. Anche questo è un esempio di discontinuità, per forza di cose ma lo è. E che dire dell’intervento a sorpresa della Bce che ora suggerisce al governo di spendere non meno di 8,8 miliardi di euro per salvare Mps? Richiesta “opaca”, dice Pier Carlo Padoan al ‘Sole24ore’. Gentiloni conferma e prevede “un percorso lungo” di “dialogo” con la Banca centrale, “tocca abituarsi all’idea…”.

Il “senno di poi” non ha senso, come dice lo stesso premier, ma non è difficile immaginare che con Renzi a Palazzo Chigi anche il caso Mps e la dialettica (eventuale) con la Bce avrebbe preso un’altra piega. Almeno nei toni. Ora invece "più che muscolare", il tono con l'Ue in generale è "pedestre", sottolinea Gentiloni recuperando almeno un po' di ironia. Nel senso che "abbiamo messo un piede nella porta...", dice parlando di immigrazione e reticenze europee.

Evasivo sulla riforma del processo penale: "Stiamo valutando con il ministro della Giustizia e il ministro del Rapporti con il parlamento quale soluzione migliore adottare. Abbiamo un cahier di provvedimenti sulla giustizia tutti molto importanti, come il diritto fallimentare, il codice civile, il codice antimafia. La maggiore o minore durata del governo non dipende da me, ma il messaggio è molto semplice, la riforma andrà avanti…".

E anche sul caso Mediaset-Vivendi, il trait d’union tra il governo e un ‘redivivo’ Silvio Berlusconi, si mantiene vago: Mediaset è “un settore importante e il fatto che sia oggetto di scalata non lascia indifferente il governo, ma la nostra è una valutazione politica. Il governo vigila dal punto di vista politico ma non è il governo che ha gli strumenti di intervento. Per questo ci sono le autorità di garanzia indipendenti…”.


Jobs Act, in attesa della sentenza della Corte Costituzionale sul referendum (11 gennaio), Gentiloni non arretra ma non avanza: “C’è qualcosa da correggere nei voucher, stiamo valutando ma non si dica che sono causa di lavoro nero”. E anche qui un segnale di discontinuità c’è: si capisce che il nuovo premier ami usare l’espressione italiana, “riforma del lavoro, poi gli abbiamo dato questo nome inglese…”. Piccola divagazione sul renzismo.

Promette ma anche no. Soprattutto mantiene la prospettiva a gittata corta e complicata. Rompe con Verdini, cesura con il ‘Renzi primo’ si può dire. “Non sono in grado di fare dichiarazioni sulla riduzione dell’Irpef”, arriva ad ammettere in finale di conferenza stampa, che suona quasi una resa di fronte alle oltre trenta domande che ha dovuto gestire. Tortuoso. Come quando spinge un “contributo del governo per facilitare, accompagnare, sollecitare la discussione sulla legge elettorale”, salvo poi precisare che “non ci sarà una proposta del governo”, ma “se la situazione dovesse andare per le lunghe, ricorderemo che un sistema democratico deve avere delle norme elettorali pienamente funzionanti e utilizzabili". Come? Non si sa. L’iniziativa è nelle mani del segretario del Pd.

Ma Gentiloni è netto nella difesa di Luca Lotti e Maria Elena Boschi, i due bastioni del fortino renziano, confermati al governo, il primo neo-ministro, la seconda sottosegretario a Palazzo Chigi. Averli al governo “non è un autogoal” nella sfida Dem ai populismi, dice, “Boschi è una risorsa utile. Che ci si creda o no, le ho chiesto io di restare”. Quanto a Lotti e il caso Consip: “Lotti e Del Sette (generale dei Carabinieri pure indagato, ndr.) godono della mia massima considerazione. Al momento le iniziative giudiziarie non impongono al Governo una decisione. Sarebbero decisioni ingiuste e ingiustificate".

Cala il sipario sul 2016, Gentiloni stringe mani prima di andare. Programma, questo sì, alcune iniziative su “lavoro e sud”, servono per affrontare la campagna elettorale. Ma anche qui non scende “nel tecnico”, stretto in un ruolo mediano pur da capo di un governo. Soprattutto costretto ad ammettere: “Mi sento innaturale abbastanza…”.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/29/governo-gentiloni-renzi_n_13879984.html?utm_hp_ref=italy
5843  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / JACOPO IACOBONI. - La “struttura delta” della Casaleggio. Ecco tutti i nomi e... inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:32:14 pm
La “struttura delta” della Casaleggio. Ecco tutti i nomi e come funziona   
Dal contratto imposto al M5S Roma fino alle webstar politiche: come l’azienda guadagna

Pubblicato il 11/02/2016
Ultima modifica il 11/02/2016 alle ore 07:54
Jacopo Iacoboni

Diciamo che è la struttura delta della Casaleggio, uno staff nello staff. Al punto 4a del «contratto» con il candidato sindaco del M5S a Roma, Gianroberto Casaleggio ha inserito una delle clausole più importanti, che possono passare inosservate: «Lo strumento per la divulgazione delle informazioni e la partecipazione dei cittadini è il sito beppegrillo.it/listeciviche/liste/roma». Tradotto, tutto il traffico - anche video e social - deve passare dal blog. Ma chi gestisce in concreto questa “struttura” alla Casaleggio associati? 

La Stampa è in grado di raccontarlo millimetricamente. Mentre Grillo parla di «Rai fascista», la Casaleggio guadagna dai video di Rai, La7 e Mediaset, con un sistema semplice e perfettamente legale. Prima cosa: ancor prima del boom del M5S, la Casaleggio ha costruito una quindicina di - chiamiamole così - webstar, da Di Battista a Fico, gente con un milione di iscritti su facebook, che è tenuta a concedere di pubblicare ogni proprio video sul sito di Grillo. Se Dibba fa una performance dalla Gruber, la deve mettere sul sito di Casaleggio. I video non vengono caricati su youtube (che non accetta caricamenti con monetizzazione di video protetti da copyright), ma su un altro servizio di cloud storage di video, che non ha evidentemente ancora stipulato accordi con le tv italiane e le società di produzione. A questo servizio la Casaleggio paga una quota per ricevere in cambio dei ritorni pubblicitari dagli spot che partono prima del video, e dai banner (attraverso Adwords o altre piattaforme di monetizzazione pubblicitaria). Per ogni video caricato e visto la Casaleggio incassa in percentuale una quota stimabile fino ai mille euro e oltre per ogni video visualizzato almeno centomila volte (dati variabili). Cosa che a suo tempo fece infuriare moltissimi parlamentari M5S, che però non hanno mai avuto la forza di stoppare questo meccanismo.

Alla Casaleggio tre persone hanno tenuto in mano operativamente la cosa, nel corso di questi anni in varie fasi: Pietro Dettori, che gestisce anche gli account twitter di Grillo, e molto spesso è autore materiale dei post (Grillo incredibilmente lascia fare anche quando poco o nulla sa di ciò che viene scritto, anche delle uscite più tremende), figlio di un imprenditore sardo legato in precedenza a Casaleggio. Biagio Simonetta, un giornalista, esperto di new media. Marcello Accanto, un social media manager. E, ultima entry, Cristina Belotti, che si occupa della tv La Cosa, una bella ragazza cresciuta curiosamente alla più pura scuola del centrodestra milanese, la scuola di Paolo Del Debbio - lavorava nella redazione del suo programma - e arrivata alla Casaleggio attraverso il network dei fratelli Pittarello; soprattutto Matteo, fratello di Filippo, storico braccio destro di Casaleggio, un passato anche da boy scout.
Belotti è diventata collaboratrice di Luca Eleuteri, uno dei soci della Casaleggio (l’altro è Mario Bucchich; da non molto si sono aggiunti il programmatore storico della Casaleggio, Marco Maiocchi, e un uomo di marketing che collaborava con Casaleggio già in Webegg, Maurizio Benzi).

I tre che gestiscono il blog e le pagine social della galassia Casaleggio controllano tutto il giorno il trend di viralità dei contenuti pubblicati, attraverso le analisi comparate dei dati (usano insights di facebook e Google analytics). Con l’incrocio semplicissimo di questi due strumenti, sanno in ogni momento quanto stanno guadagnando. Le webstar politiche fanno fare soldi all’azienda. Un berlusconismo 2.0.

C’è però un’altra cosa in cui i «ragazzi» eccellono, e Dettori è bravissimo, la profilazione. È un loro divertimento sapere: chi si collega a un video, da dove, con quale software, quale browser, qual è la sua età e i suoi interessi. Non è proprio The Circle di Dave Eggers - l’azienda è troppo piccola; quello è il sogno.

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Da - http://www.lastampa.it/2016/02/11/italia/politica/la-struttura-delta-della-casaleggio-ecco-tutti-i-nomi-e-come-funziona-KjOs99jXDHs6JbhPBP5uAM/pagina.html
5844  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / UGO MAGRI Mattarella e il “Paese sfibrato” che deve ritrovare l’unità inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:30:10 pm
Mattarella e il “Paese sfibrato” che deve ritrovare l’unità
Domani il Capo dello Stato si rivolgerà ai cittadini e non ai politici. Sarà un appello a superare l’odio e a ritrovare un destino comune
Domani sera, Mattarella farà un discorso sobrio e preoccupato. Non dirà che tutto va bene. Ricorderà invece che siamo alle prese con drammi piuttosto seri, in qualche caso «epocali», a fronte dei quali l’Italia dovrebbe darsi la forza di reagire con totale unità di intenti.

Pubblicato il 30/12/2016
Ugo Magri
Roma

In tivù, domani sera, Mattarella farà un discorso sobrio e preoccupato. Non dirà che tutto va bene, dunque possiamo festeggiare sereni. Ricorderà invece che siamo alle prese con drammi piuttosto seri, in qualche caso «epocali», a fronte dei quali l’Italia dovrebbe darsi la forza di reagire con totale unità di intenti. Invece purtroppo (sarà questo il succo vero del messaggio in preparazione) stiamo rischiando di smarrire il senso del destino comune. Troppi risentimenti, troppi egoismi, troppe divisioni a ogni livello. Non che manchino le isole di solidarietà, i buoni esempi ai confini dell’eroismo: a sentire chi frequenta il Colle, il Presidente ne citerà parecchi in quanto, se siamo ancora in piedi nonostante tutto, è proprio grazie a chi ci crede e si mette quotidianamente in gioco. Ma in questo clima di frustrazione e talvolta di odio, certamente di rabbia e di divisione, risalire la china può diventare ancora più complicato. Di qui l’appello a fare pace con noi stessi. A ritrovarci insieme sulle cose davvero importanti. E un invito trasparente ai partiti: nella loro libera dialettica, che si annuncia vivace, si combattano pure sulla legge elettorale e sul resto, a patto di non trascurare i problemi veri. Quelli per cui la gente comune sta soffrendo. Perché a che cosa serve la politica, se non a farsene carico?

La lista dei problemi 
Inevitabilmente, le parole di Mattarella verranno scannerizzate per ricavarne indizi sul futuro della legislatura. E qualche utile indicazione senza dubbio ne verrà fuori. Tuttavia al Quirinale spengono in anticipo gli entusiasmi dietrologici, in quanto destinatari del messaggio saranno i «concittadini», la gente comune. E diversamente dagli auguri rivolti pochi giorni fa alle alte cariche dello Stato, quando non poteva che prendere spunto dalla crisi di governo appena risolta, stavolta il Presidente partirà dai problemi reali. Dal lavoro che manca per tanti giovani e non solo. Dal terrorismo che insanguina l’Europa. Dai risparmi e dal sistema bancario che urge mettere in sicurezza. Il suo discorso toccherà vecchie piaghe nazionali come la corruzione e nuove calamità come il terremoto. Né trascurerà i rifugiati, in fuga dalle guerre, con le tensioni che gli sbarchi e l’accoglienza si portano dietro. Insomma, Mattarella elencherà a una a una le piaghe di un paese «sfibrato», dove sta venendo meno la sicurezza del futuro. Un malessere di cui la politica non è stata la medicina, e probabilmente non lo sarà nemmeno nei prossimi mesi. Con i principali leader già proiettati al voto, e un governo dichiarato «provvisorio» dagli stessi partiti che lo dovrebbero sostenere. Insomma: questo equilibrio fragile non può durare. Perciò si illude chi pensa (o spera) che il Capo dello Stato farà di tutto per ritardare la resa dei conti elettorale. Una volta chiarito con quale legge voteremo, l’arbitro fischierà la fine di questa XVII legislatura. Il popolo sovrano potrà finalmente esprimersi. L’importante, insisterà domani sera Mattarella, è che la politica non si avviti su se stessa, perché di guai ne abbiamo già abbastanza.

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Da - http://www.lastampa.it/2016/12/30/italia/politica/mattarella-e-il-paese-sfibrato-che-deve-ritrovare-lunit-ZXrzxsssQdPqo0D7qxyMNN/pagina.html
5845  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / Massimo D'Alema: La sinistra recuperi il suo spazio e il suo ruolo, senza una... inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:28:43 pm
Massimo D'Alema: "La sinistra recuperi il suo spazio e il suo ruolo, senza una svolta politica sarà una deriva irrimediabile"

L'Huffington Post
Pubblicato: 30/12/2016 10:52 CET Aggiornato: 26 minuti fa

Si intitola "Fondamenti per un programma della sinistra in Europa" l'analisi che Massimo D'Alema fa della salute della sinistra nel contesto italiano ed europeo. L'editoriale, di cui HuffPost è in grado di anticipare ampi stralci, viene pubblicato il 31 dicembre sul nuovo numero della rivista Italianieuropei, fondazione presieduta dallo stesso D'Alema. L'autore mette sul tavolo le difficoltà di una sinistra divenuta "bersaglio principale" dell'antipolitica e dei populismi, analizza le cause dello sbandamento della socialdemocrazia e propone la via d'uscita per il socialismo europeo, una "svolta politica" che consenta di "tornare a parlare alle nuove generazioni e al mondo del lavoro". Una sterzata urgente e indifferibile, senza la quale si profila il rischio di una "deriva irrimediabile".

    "La sinistra sembra essere il bersaglio principale di quell’ondata di sentimento avverso alla politica, di quella diffusa protesta contro l’establishment che percorre gran parte dell’Europa. Non è difficile capire perché. In realtà, è persino naturale che sia proprio la sinistra a essere sul banco degli imputati, nel momento in cui la globalizzazione selvaggia provocata dal capitalismo finanziario e la sua successiva crisi hanno innanzitutto colpito protezioni e diritti sociali, aggravando diseguaglianze e povertà. In questo contesto, la sinistra appare una forza che, ben più dei partiti conservatori, è venuta meno alle sue ragioni costitutive e alla sua missione storica. Tutto questo ci potrà sembrare ingiusto, e in parte lo è. Ma non possiamo nasconderci il peso e il rilievo delle nostre responsabilità".

Il punto da cui ripartire per la sinistra deve essere quindi la presa d'atto dell'errore nella valutazione ottimistica degli effetti della globalizzazione sull'economia e sulla società e il recupero del suo ruolo fondamentale nella politica.

    "Ciò che sembra chiaro, anche alla luce delle recenti elezioni americane, è che la sinistra potrà fare argine al populismo soltanto se sarà in grado di tornare a svolgere il suo ruolo fondamentale: essere, cioè, la forza capace di ridurre le diseguaglianze, combattere la povertà, restituire dignità al lavoro. Altrimenti, paradossalmente, queste bandiere passeranno nelle mani delle destre e della demagogia populista, mentre noi appariremo sempre di più come i rappresentanti di un establishment lontano dai bisogni e dai sentimenti popolari. Non ha forse vinto, Trump, rivolgendosi – come egli ha detto – ai dimenticati della globalizzazione? Certo, poi il neopresidente sta procedendo a mettere ai vertici della sua Amministrazione i capi più feroci e antioperai delle grandi società multinazionali. Ma, proprio per questo, appare più doloroso il paradosso nel quale ci troviamo".

Secondo D'Alema non c'è dubbio che il movimento progressista debba ripartire dall'Europa. Dove la globalizzazione ha rafforzato le spinte antieuropeiste e la crisi economica e sociale ha alimentato il sentimento anti-establishment. Tendenze che hanno portato i partiti europeisti a un'innaturale coabitazione, quelle grandi coalizioni che hanno visto la luce in Germania, Spagna, Austria e per certi versi anche in Italia.
   
    "Il rischio, per i socialisti, è grave: diventare progressivamente junior partners delle forze conservatrici, appannando la propria identità e rafforzando così le ragioni di chi guarda all’establishment europeo come a un insieme sostanzialmente, politicamente e culturalmente omogeneo".

Una collaborazione che non si è rivelata proficua per le politiche europee, salvo l'introduzione del principio di flessibilità nei vincoli del patto di stabilità che alla prova dei fatti è stata però utilizzata per risolvere problemi a livello nazionale e non si è trasformata in una lotta per una sterzata delle politiche comunitarie.

    "Siamo ben lontani da quella profonda svolta nel senso di una politica tesa alla crescita economica, al rinnovamento e rilancio del welfare, alla lotta alla povertà e alle diseguaglianze, che sarebbe indispensabile per riguadagnare la fiducia dei cittadini nel processo europeo"

Non manca un passaggio critico sull'azione svolta dal Governo di Matteo Renzi in Europa e in Italia. A livello europeo perché la battaglia sulla flessibilità è stata condotta per reperire risorse da utilizzare "in chiave elettoralistica", a livello nazionale perché la riforma costituzionale appariva una diretta emanazione di un "riformismo neoconservatore".

    "Al di là del metodo con cui essa è stata varata e dell’impostazione irresponsabilmente plebiscitaria del referendum popolare, ciò che ha suscitato la risposta negativa dei cittadini è stata proprio una impronta culturale volta a ridurre gli spazi della partecipazione, del controllo parlamentare, dell’autonomia delle comunità locali, nel nome di una razionalizzazione semplificatrice all’insegna dell’accentramento e della governabilità. So bene quanto sia importante la stabilità dei governi, ma credo che sia pericolosa l’ideologia di una governabilità che non si fondi sul consenso e sulla partecipazione. Perché non c’è governo – soprattutto se per governo si intende la guida di un processo di trasformazione sociale – che possa prescindere dalla partecipazione consapevole della maggioranza dei cittadini e dal contributo attivo dei corpi intermedi della società. La riforma costituzionale andava in senso esattamente opposto ed è stata percepita come una ulteriore sottrazione di diritti, in particolare determinando una rivolta della stragrande maggioranza dei giovani, che già sperimentano la mancanza di un sistema di istruzione all’altezza dei tempi che stanno vivendo e la perdita del diritto a un lavoro dignitoso. Lungo questi percorsi, la sinistra smarrisce se stessa, si allontana dalle sue ragioni e dal suo popolo".

Il rischio è una sinistra ridimensionata e subalterna. E senza una sinistra capace di essere una vera alternativa alle politiche dominanti in Europa, il rischio vero è il diffondersi di "illusioni regressive", spiega D'Alema, come "la fuoriuscita dall'euro o la rinazionalizzazione delle politiche economiche"

    "Occorrono una svolta politica e il coraggio di rompere con il conformismo e l’eccesso di prudenza e gradualità che hanno finora caratterizzato l’azione del socialismo europeo, pena il rischio di una deriva irrimediabile, soprattutto se investirà paesi chiave come l’Italia e la Francia. Ciò che occorre è mettere in campo un programma effettivamente radicale di cambiamento delle politiche europee e, in prospettiva, degli stessi assetti istituzionali. Una visione europea che sia anche la guida per concrete politiche nazionali. Una spinta, in questo senso, viene ormai da tanta parte del pensiero economico, da Joseph Stiglitz a Paul Krugman, da Mariana Mazzucato a Thomas Piketty, al nostro Salvatore Biasco. Ma ancora non si traduce in un coerente e coraggioso programma politico".

Un programma della sinistra che riparta da alcuni pilastri chiari.
    "Innanzitutto la politica, cioè lo Stato e le istituzioni, devono riappropriarsi della sovranità fiscale e tributaria. La leva dell’imposizione non è in grado di funzionare come strumento di redistribuzione della ricchezza e di riduzione delle diseguaglianze. La rendita finanziaria ma anche i profitti delle grandi società multinazionali sono toccati solo marginalmente dalla fiscalità. Pagano esclusivamente il lavoro e le pmi". [...] "Serve, inoltre, un grande piano per la crescita in Europa, che comporta massicci investimenti, anche pubblici e anche finanziati in deficit. Ben oltre i confini dell’asfittico Piano Juncker" [...] "C’è poi bisogno di un grande progetto europeo per la formazione, la ricerca e l’innovazione. E, ancora, è necessario un patto sociale, nuovo, basato anche su un rapporto diverso tra Stato, società civile, privato sociale, imprese, per rinnovare il welfare mantenendo, però, la capacità di questo sistema di proteggere effettivamente le persone dalla povertà, dall’esclusione, dalle malattie, evitando il rischio di una americanizzazione selvaggia delle società europee. Occorre, infine, tornare a discutere delle possibili soluzioni per una forma di mutualizzazione del debito che, senza ovviamente scaricare di responsabilità i debitori, consenta di bloccare la speculazione e di avviare una politica di riduzione del servizio del debito"

L'America di Trump, conclude D'Alema, rende ancora più necessaria inoltre un'Europa unita e forte, obiettivo che può essere raggiunto se la sinistra saprà riprendersi il suo spazio e il suo ruolo.

    "Una sinistra europea che avesse il coraggio di mettere sul tavolo con chiarezza un programma così netto e coraggioso avrebbe almeno la possibilità – ne sono convinto – di tornare a parlare alle nuove generazioni e al mondo del lavoro".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/30/massimo-dalema-sinistra_n_13882578.html?1483091571&utm_hp_ref=italy
5846  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MASSIMO GIANNINI Mps, le risposte che mancano inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:26:55 pm
Mps, le risposte che mancano
L'inizio della fine comincia con Mussari, che compra Antonveneta e fa esplodere i conti. La cronaca di questi mesi ha zone d'ombra e il salvataggio della banca avrà costi enormi, ancora incalcolabili

Di MASSIMO GIANNINI
30 dicembre 2016

ABBIAMO messo in sicurezza il risparmio". Anche Paolo Gentiloni ricalca le orme di Matteo Renzi. Anche il nuovo premier, dopo aver varato il decreto salva-Mps, tira un sospiro di sollievo, come fece il vecchio premier il 22 novembre 2015, dopo aver varato il decreto salva-Etruria. Sollievo malriposto. Allora come oggi. Il salvataggio della banca più antica del mondo avrà costi enormi, ancora incalcolabili.
 
I20 MILIARDI stanziati sono nuovi debiti pubblici.
Dall'anno prossimo peseranno sulle tasche di tutti i contribuenti. È giusto sacrificarsi per Siena. Ma a patto che si faccia luce sull'infinita catena di errori commessi in questi anni (magari proprio con quella famosa commissione d'inchiesta che Renzi lanciò a sproposito il 23 dicembre 2015). E a patto che si fissi almeno un punto fermo: chi ha sbagliato, una volta tanto, tolga il disturbo. A pagare il conto finale non può essere sempre e solo Pantalone. Pantalone siamo noi. Vorremmo almeno sapere, con qualche domanda, chi dobbiamo "ringraziare".
 
IL TESORO.
In una lunga intervista al Sole 24 Ore, il ministro Padoan ripercorre a modo suo il calvario di Mps. Nulla c'è ancora di chiaro, sulle modalità con le quali saranno "coperti" gli obbligazionisti della banca, e quali saranno, anche in questo caso, i sommersi e i salvati. Per il resto, il ministro dice: "Non sono affatto pentito di aver sostenuto, nel rispetto del ruolo di tutti, l'operazione di mercato". Ma non era forse già chiaro a luglio che la "strada privata" avrebbe portato a un vicolo cieco? Si può considerare il licenziamento di un amministratore delegato come Fabrizio Viola, deciso con una telefonata fatta "per conto" dell'allora premier Renzi il 7 settembre, una mossa "nel rispetto del ruolo di tutti"? O qui non c'è forse una clamorosa invasione di campo della politica, che invece di salvare la banca quando le condizioni lo consentivano si è avventurata in un'improbabile "operazione di mercato"? Padoan aggiunge: do il "pieno sostegno all'attuale management della banca", compreso l'ad Marco Morelli. Considerato che in questi anni Mps ha bruciato 17 miliardi di patrimonio, non è il momento di attuare anche in Italia il metodo Obama, che nel 2009 varò il "Tarp", un piano di intervento dello Stato nelle banche da 700 miliardi di dollari, che aveva come condizione l'azzeramento totale di tutti i vertici e la nomina di manager pro tempore scelti dallo Stato? Padoan si lamenta perché "nel nostro Paese non sono sanzionate abbastanza le responsabilità di singoli manager che hanno prodotto danni rilevanti a investitori, azionisti, risparmiatori". Giusto, ma allora perché non presenta una legge che introduce e inasprisce queste sanzioni? Lui è il governo: ha l'obbligo politico e morale di parlare e di agire come il ministro del Tesoro, non come un cittadino qualunque.
 
LA BCE.
La Banca centrale europea ha avuto un ruolo cruciale, fa il suo mestiere. Ma il suo "accanimento terapeutico" nei confronti di Siena merita qualche chiarimento. Dopo gli stress test del 23 giugno, la Vigilanza europea guidata dalla francese Danièle Nouy impone la ricapitalizzazione da 5 miliardi entro il 31 dicembre. In base a quale criterio, solo 4 giorni fa, la Bce chiede per lettera al Monte di aumentare la ricapitalizzazione a 8,8 miliardi? Cosa è cambiato, in questo frattempo? E in base a quale principio Francoforte impone a Mps la stessa copertura patrimoniale (il Cet1, fissato all'8%) che nel 2015 applicò alle banche greche, mentre nelle stesse ore riduce dal 10,7 al 9,5% l'analogo parametro richiesto alla Deutsche Bank (la banca europea con il portafoglio più "zavorrato" dal peso dei titoli tossici)? Mario Draghi, giustamente, ha fatto della cosiddetta "accountability" la sua religione. Ma la necessità di "rendere conto" del proprio operato, a Francoforte, deve valere per tutti.
 
LA BANCA D'ITALIA.
Via Nazionale ha avuto un ruolo importante. Non tanto per quello che ha fatto, quanto per quello che non ha fatto. Sul fronte "esterno": il governatore Visco siede nel board di Francoforte, e l'italiano Ignazio Angeloni siede in quello della Vigilanza europea. Perché sono mancate comunicazioni puntuali tra l'Eurotower e Palazzo Koch? Sul fronte interno: la direttiva sul bail in (che scarica i costi dei fallimenti bancari su azionisti, obbligazionisti e correntisti oltre i 100 mila euro) viene approvata dalla Ue nel 2014, e in Italia viene introdotta per la prima volta un anno dopo con il "decreto di risoluzione" su Banca Etruria, Marche, Cariferrara e Carichieti. Perché Bankitalia (che solo in seguito si dichiarerà contraria a quelle norme, applicate in modo retroattivo su tutti i risparmiatori) non fa una campagna per sensibilizzare l'opinione pubblica e convincere i governi a modificarla? E poi, più in particolare sull'affare Mps: perché il governatore ripete dal gennaio 2013 che la banca "non ha problemi di tenuta ", mentre nei due anni successivi Viola è costretto a chiedere aumenti di capitali per ben 8 miliardi? Perché in estate non si oppone alla cacciata dello stesso Viola, decisa da Renzi il 6 luglio dopo una colazione di lavoro a Palazzo Chigi con il presidente di Jp Morgan, Jamie Dimon? Perché in autunno non si oppone al rinvio dell'aumento da 5 miliardi, che Renzi decide di spostare a dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre, per evitare di dover mettere la faccia su un sicuro fallimento? Queste risposte sarebbero necessarie. Al contrario di quello che avviene per le ispezioni (sulle quali pure ci sarebbero tante domande da fare) non si viola nessun segreto d'ufficio.
 
LA CONSOB.
La commissione che vigila sulle società e la Borsa non può chiamarsi fuori dalle responsabilità. Stendiamo un velo pietoso sui derivati Alexandria e Santorini, che cinque anni fa nessuno vide e nessuno bloccò. Anche negli ultimi mesi su Mps sono accadute anomalie che una Vigilanza seria avrebbe potuto e dovuto intercettare. Almeno due delle emissioni obbligazionarie a rischio ("Lower Tier 2", a scadenza 2020) risultano vendute ai clienti al dettaglio della banca durante la gestione di Giuseppe Vegas. Se questo è vero, perché la Consob non le ha valutate e non le ha bloccate? E se invece non è vero, perché non smentisce e non chiarisce esattamente chi e quando ha autorizzato che cosa?
 
I VERTICI MPS.
Il "groviglio armonioso", a Siena, ha radici antiche. L'inizio della fine, com'è noto, comincia con Giuseppe Mussari, che compra Antonveneta dal Santander per oltre 9 miliardi, la cifra folle che fa esplodere i conti. Questa ormai è storia. La cronaca di questi ultimi mesi presenta zone d'ombra non meno inquietanti. Da settembre, dopo la famigerata "telefonata di licenziamento" di Padoan, ai vertici Mps siede Marco Morelli, già dirigente della banca ai tempi di Mussari. Insieme a Jp Morgan e Mediobanca (finora curiosamente rimasta "al riparo" da critiche) è proprio Morelli a farsi garante della cosiddetta operazione "di mercato", cioè del reperimento dei 5 miliardi di capitali privati. Ed è proprio Morelli a ventilare fino all'ultimo la possibilità che grandi fondi esteri intervengano nella ricapitalizzazione, nel ruolo di "anchor investor", convincendo il Tesoro a rinviare fino all'ultimo un intervento pubblico su Mps che si poteva e si doveva fare almeno sei mesi fa.
 
Dunque: quando e con chi ha parlato Morelli, tra i rappresentanti del fondo sovrano del Qatar? Quali sono stati i suoi interlocutori nel fondo gestito da George Soros? E quali offerte concrete aveva in mano, quando il 7 dicembre il cda della banca ha chiesto alla Bce una proroga al 20 gennaio 2017, per il closing dell'operazione? È il minimo che si possa chiedere a un manager che ha un compenso fisso di 1,4 milioni, superiore a quello del suo pari grado di Bnp Paribas. Per gestire la peggiore delle grandi banche europee, guadagna più di quello che guida la migliore. Come direbbero un Longanesi o un Flaiano: ah, les italiens...

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30 dicembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/12/30/news/mps_giannini-155101167/?ref=HRER2-1
5847  Forum Pubblico / LA CULTURA, IL MONDO DEL LAVORO, I GIOVANI, L'AMBIENTE, LA COMUNICAZIONE ETICA. / Aria di tempesta perfetta inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:25:11 pm
   Aria di tempesta perfetta
Se il 2016 non vi è piaciuto abbastanza è perché non avete ragionato su quanto nefasto può essere il 2017.
Eppure è almeno prematuro dichiararsi sconfitti.
Ecco qualche spunto di riflessione per chi non vuole arrendersi, o per chi vuole farlo con consapevolezza. E, in coda, gli auguri.

30/12/2016   

Se il 2016 vi è sembrato un anno preoccupante, magari è perché non avete ragionato a fondo su quanto ci aspetta nel 2017. Siamo nella stagione più instabile da anni, viviamo gli effetti del lungo e pesante sciame sismico che dal 2008 colpisce l’economia del continente, minandone la capacità politica e le potenzialità di sviluppo. 

 La crisi finanziaria (cominciata per la verità negli Stati Uniti) ha messo al tappeto le banche europee e a dura prova i debiti sovrani. Ha generato recessione e fiaccato la crescita. Ha fiaccato la fiducia e scatenato una tempesta perfetta da cui populismi e nazionalismi sono usciti drammaticamente rafforzati.

 La combinazione di tutto ciò ha spazzato via ogni vera leadership tradizionale, costringendo i governi a errori gravi, a partire dall’attacco alla Libia. La cattiva gestione delle crisi esterne, frutto della debolezza generalizzata, ha gonfiato il flusso dei migranti disperati che il solito conflitto siriano bastava a rendere allarmante e tragico. L’instabilità e l’insoddisfazione hanno favorito il diffondersi del terrorismo. Vista in prospettiva, se va male rischiamo di essere rovinati.

 Le cattive notizie si susseguono. I flussi dei rifugiati si sono fermati solo per mezzo di un pericoloso accordo a doppio taglio con l’alleato più scomodo fra quelli possibili per l’Europa, la Turchia. Il golpe antiErdogan, e la violenta reazione normalizzatrice del Sultano, hanno reso meno sicura la prospettiva che l’intesa continui a funzionare. Gli ammiccamenti con la Russia di Putin aggiungano dubbi al dubbio. I piani "migranti" approvati a Bruxelles non hanno avuto il loro naturale seguito nelle capitali, i leader hanno detto una cosa durante i vertici, e ne hanno fatta un’altra una volta tornati a casa.

Colpiti dal terrorismo, i Ventotto non hanno dato l’unica risposta che avrebbero dovuto, unirsi sino in fondo per la fare la forza. Il risultato è che i cittadini non si sentono protetti e, tantomeno, sicuri. E che premier e presidenti in carica si ritrovano sempre più sfiduciati. Nessun grande governo europeo, in questa fase, può dirsi sicuro di poter sopravvivere all’anno che arriva. Anche perché manca la crescita e ogni istituzione internazionale continua sistematicamente a tagliare le stime.

 

Qualcuno chiamerà in causa i gufi. Ma la verità è che c’è poco da ridere. Di qui a dodici mesi, salvo svolte serie, l’Ue si può ritrovare con le ossa un poco più rotte a ogni spoglio ultimato. Dopo il referendum britannico in cui si è affermata la volontà di John Bull di uscire dall’"Europa dei burocrati" - volontà che non verrà discussa ufficialmente prima di marzo e richiederà almeno due anni per essere chiarita - il calendario regala consultazioni popolari insidiose. 

Nel marzo 2017 si vota in Olanda, dove l’antislamico Wilders potrebbe conquistare la maggioranza relativa dei suffragi. Il primo passo dopo il trionfo (improbabile) sarebbe un referendum anti Europa.

Lo stesso discorso porta a maggio e alle presidenziale francesi. Anche qui la cittadina Le Pen vuole far esprimere il popolo su Bruxelles, come se Bruxelles fosse l’Europa, però la carta Fillon potrebbe ancora una volta tarparle le ali, anche se poi non è chiaro cosa succederà davvero nell’Esagono. 

In autunno, voto complesso in Germania, con Frau Merkel in pericolo per cose che non merita sino in fondo. I morti di Berlino non sono colpa sua, ma vallo a spiegare. Viviamo in un mondo in cui basta dire "mandiamoli a casa" per vincere le elezioni. Che poi non si dica "come" è tristemente marginale nei ragionamenti di una parte rumorosa dell’opinione pubblica.

Il negoziato per la Brexit e la gestione ordinaria delle cose interne in chiave elettorale costringerà la tribù dei governi deboli dell’Unione a guardare il dito delle cose interne e non la luna delle strategie sovranazionali. L’Europa potrebbe come conseguenza imboccare un lungo tunnel di paralisi decisionale, di attendismo. Nessuno a Bruxelles si aspetta grandi o piccole decisioni per paura degli effetti che si riverberebbe a livello locale. Posto che i problemi sono talmente grandi da non poter essere affrontati produttivamente da un paese solo, le soluzioni verrebbero a mancare, sull’occupazione come sulla sicurezza e il terrorismo. Il che alimenterebbe i populismi e indebolirebbe ulteriormente la capacità di reazione collettiva.

L’unica vera chance è quella di alzare la testa e guardare avanti. Spiegare come stanno davvero le cose, che l’Europa non è un vincolo, ma un’opportunità. Che non si fermano i migranti alzando un muro lungo il Brenta o sulla Sprea. La probabilità che abbiamo di uscire dai guai mostruosi in cui ci siamo infilati (spesso da soli) sta nell’andare avanti tutti insieme, rinunciando agli alibi e prendendo ognuno le sue responsabilità. Le grandi promesse di soluzioni istantanee hanno in genere le gambe corte e portano in nessun luogo. Occorre una strategia corale fatta di piccoli concreti passi. Sennò non ci si salva.

 

  Se l’anno prossimo vinceranno gli estremisti, i partiti che vogliono mettere la testa di struzzo nella terra della loro Patria o nazione, dovremmo concederci ancora a una ripresina, non creeremo posti di lavoro, non stabilizzeremo né noi, né quelli che ci stanno vicini. E’ questo il destino di chi impone il dialetto come punteggio extra nei conti pubblici e lo insegna a scuola in luogo delle lingue straniere che già si parlano poco. Questo il futuro di chi, invece che aggiustare le evidenti disfunzioni dell’Europa, vuole distruggerla del tutto. Come il meccanico che, davanti alla prospettiva di ingrassarsi le mani per aggiustare il motore, decidere di andare a Capo Nord a piedi. 
(Non è male andare a Capo Nord a piedi, ma ci vuole più tempo di quanto ne abbiano i più fra noi).

  Vale la pensa saperlo, riflettere sul fatto che potrebbe essere un annus horribilis, ma che la colpa o il merito delle cose è sempre di chi le fa, di chi le forma, di chi le decide. Non siamo condannati. Ma è meglio tenere presente che - se tutti non faranno il proprio dovere, dal primo all’ultimo dei cittadini, in città e oltreconfine - fra un anno potremmo anche rimpiangere questo tragico, sanguinoso e difficile Anno del Signore 2016.     

PS. Chiudo gli occhi e dal 2016 compare una telefonata alle 8 e pochi minuti da Zaventem, una a tarda sera da Torino, lo sguardo sprezzante di Robert Fico, quello umano di Jean-Claude Juncker, la notte rivoltosa degli inglesi e quella degli americani, la stretta di mano del Signor Rankin, il lampadario che trema a Roma per il terremoto di Amatrice, gli amici, gli addii e gli arrivederci, la rivoluzione personale, le altane e le ore veneziane, Walter Scott e il profilo rosso di Schiele, il Nuovo Mondo e il Vecchio Mondo. Un grande anno. Ma non come il prossimo, ovviamente, volendo. Auguri.

  Da - http://www.lastampa.it/2016/12/30/blogs/straneuropa/aria-di-tempesta-perfetta-79ZprtGuSctDfTvVQ96UBP/pagina.html
5848  Forum Pubblico / AMBIENTE & NATURA / LUCA MERCALLI. Il messaggio che arriva dai 20 gradi a Milano inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:22:57 pm

Il messaggio che arriva dai 20 gradi a Milano
Pubblicato il 28/12/2016  -  Ultima modifica il 28/12/2016 alle ore 07:41
Luca Mercalli

Venti gradi ieri a Milano, ma pure ad Aosta a Natale, complice il foehn, il vento di caduta dalle Alpi che comprimendosi scalda l’aria, insieme all’alta pressione atlantica già di per sé mite. Un episodio simile in Valpadana si verificò nel dicembre 1967, però a inizio mese - periodo di norma meno freddo - per cui l’anomalia dei giorni scorsi è più straordinaria. 

Come sempre quando si parla di clima un giorno fuori norma non significa granché, ma se la frequenza di queste anomalie aumenta anno dopo anno allora i sintomi del riscaldamento globale diventano inequivocabili. L’inverno più caldo in assoluto degli ultimi due secoli fu quello del 2007, quando in dicembre fiorivano le primule, il 19 gennaio si misuravano 25 °C sulla pianura piemontese e le Alpi erano brulle fino a tremila metri, ma uno scenario simile si verificava pure un anno fa. Finora, nei primi scorci di questo inverno, nebbie e inversioni termiche avevano un po’ mascherato gli eccessi di tepore in pianura, ma con l’impennata tiepida natalizia questo dicembre si avvia a chiudersi con almeno 1 °C sopra media sull’Italia settentrionale, collocando il 2016 tra i cinque anni più caldi degli ultimi due secoli. 

Peggio ancora a scala globale, dove l’anno diverrà il più caldo della storia meteorologica, stracciando il vicinissimo record del 2015. Nei prossimi giorni aria più fredda da Est investirà soprattutto l’Adriatico, portando un assaggio d’inverno, ma per la neve, che ancora manca su Alpi centro-orientali e Appennini, toccherà ancora aspettare. 

Dall’Artico alle Ande gli avvertimenti che ci lancia il clima sono sempre più espliciti e collimano con gli scenari che erano stati elaborati oltre vent’anni fa. Le riviste scientifiche internazionali pubblicano ogni giorno articoli che sottolineano la gravità del cambiamento climatico indotto dalle attività umane e l’urgenza di ridurre il nostro impatto sull’ambiente. Una grande quantità di conoscenza sottovalutata e sottoutilizzata: peccato, potrebbe rappresentare la nostra uscita d’emergenza dalla rotta verso il collasso, ma rischia di essere semplicemente il documento postumo della nostra stupidità.

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Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/12/28/cultura/opinioni/editoriali/il-messaggio-che-arriva-dai-gradi-a-milano-Hg9pxSTdZR5mG43WyhSkGK/pagina.html
5849  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / Pier Luigi Bersani: Superiamo il renzismo, tre campi d'azione per cambiare il PD inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:21:44 pm
Pier Luigi Bersani: "Superiamo il renzismo, tre campi d'azione per cambiare il Pd"

L'Huffington Post  |  Di Redazione
Pubblicato: 29/12/2016 15:42 CET Aggiornato: 5 ore fa

Per il Pd è arrivato il momento di cambiare, o si andrà dritti contro un muro. “Blairismo rimasticato”, “rottamazione” e “giovanilismo” hanno fallito, è tempo di cambiare rotta. È un duro attacco ai principi cardine del renzismo il lungo articolo a firma di Pier Luigi Bersani apparso oggi su Il Campo delle Idee, giornale online dell’Associazione Nuova Economia Nuova Società, centro studi fondato dallo stesso Bersani insieme a Vincenzo Visco.

    "Una fase si è chiusa”, scrive l’ex segretario. “L'esigenza urgente e drammatica è di non arroccarsi e di aprire una discussione vera. Perché sarebbe sbagliato pensare solo ad aggiustamenti millimetrici, o che basti mettere una scorza di sinistra nel cocktail degli ultimi tre anni. Non basta. Né il Pd potrà riproporre idee come la rottamazione, o quella forma di giovanilismo un po’ futurista che ha contraddistinto l'ultima fase. Per il centrosinistra si impone una nuova piattaforma politica: guardiamo avanti".

Secondo Bersani, “solo con proposte di una sinistra di governo la sinistra sarà di nuovo competitiva. Se invece il Pd e insieme al Pd tutto il campo progressista restano sul piano di un blairismo rimasticato, e ormai esausto, o se si mettono sulla strada di un populismo a bassa intensità, si va a sbattere contro un muro”.

Per Bersani è necessario evitare che il malessere “venga interpretato solo dalla demagogia”. "Dobbiamo fare in modo che il problema che c'è, il malessere, non venga interpretato solo dalla demagogia. Non lo chiamo neppure più populismo. Sono i cattivi pensieri di una nuova forma di destra nascente. E possono essere guai, se non interviene il Pd, lo schieramento progressista, che è già in ritardo. Come? Io vedo tre campi di azione".

    “Il primo: riprendere in mano i diritti del lavoro. C’è poco da fare: se non mettiamo meno insicurezza, meno incertezza e meno precarietà nel lavoro; se prosegue l’umiliazione del lavoro; se non mettiamo più dignità e sicurezza nel mondo del lavoro, se tutto questo non accade, i consumi e gli investimenti non riprenderanno mai. Dobbiamo dirlo chiaro e forte.

    Secondo, cercare di ridurre la forbice sociale. Sono due i pilastri per riuscire in questa impresa: fedeltà e progressività fiscale da un lato; e, dall’altro, welfare universalistico davanti a bisogni essenziali della vita delle persone, a cominciare dalla salute. Anche questo dobbiamo dirlo chiaro e forte.

    Terzo campo di azione: il ruolo del settore pubblico, diretto e indiretto, negli investimenti. Finché si va avanti con crescite dello zero virgola non possiamo pensare che non vi sia uno sciopero del capitale, come è avvenuto negli ultimi anni. Se non c’è un orizzonte che consente di sperare in una crescita dei consumi, l’imprenditore i soldi se li tiene ben stretti. Quindi ci vuole un nuovo ciclo di investimenti pubblici diretti e indiretti, se vogliamo dare lavoro. Investimenti ben selezionati, perché devono essere orientati al lavoro, alla modernizzazione e al potenziamento dell’apparato economico”.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/12/29/pier-luigi-bersani-superare-renzismo_n_13879958.html?utm_hp_ref=italy
5850  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / Stefano Stefanini. La pericolosa diplomazia a triangolo inserito:: Dicembre 31, 2016, 02:16:38 pm

La pericolosa diplomazia a triangolo
Pubblicato il 30/12/2016

Stefano Stefanini

Roma ringrazia il Tar e aspetta Capodanno per i botti. Fra Washington e Mosca sono già fuochi d’artificio. Ad accenderli sono Barack Obama e Vladimir Putin. Dal Cremlino, il Presidente russo chiama gioco, partita e incontro sulla Siria. Dalle Hawaii, Obama documenta l’Hacking elettorale russo e firma una raffica di sanzioni e di espulsioni mirate. I due giocano ormai a carte scoperte. 

Altrettanto fanno il 44° Presidente Usa uscente e il 45° entrante: fra i quali, più che un passaggio di consegne, è in corso una partita di ping-pong. Educata, ma senza risparmiare schiacciate. Il Cremlino non nasconde il tifo per Donald Trump. Non si era mai visto: né nelle relazioni russo-americane né nel collaudato rituale del cambio di presidenza.

Il Presidente russo taglia fuori gli americani dall’accordo che potrebbe mettere fine alla guerra civile in Siria; Obama risponde con vistosa durezza all’interferenza informatica russa nelle elezioni americane. L’uno e l’altro guardano al 20 gennaio quando Donald Trump entrerà alla Casa Bianca, come all’inizio di una nuova era nelle relazioni russo-americane.

Putin gli fa ponti d’oro; Obama cerca di condizionarlo. Il nuovo Presidente degli Stati Uniti trova così un leader russo che gli spiana la strada e un leader americano che gli pone «blocchi stradali» (così li ha chiamati Donald Trump). 

 Al centro del fuoco incrociato, il Medio Oriente. Non la crisi ucraina, non la Nato, maggiori pomi di discordia russo-americana. Stati Uniti e Russia hanno girato intorno alla crisi siriana senza chiudere un’intesa in chiave anti-Isis e anti-terrorismo; non avendo voluto raggiungerla con Obama, Putin la ventila ora a Trump – da una posizione di forza. Il Presidente russo ha messo a segno due colpi da maestro: un «piano di pace» concordato con Turchia e Iran; l’annuncio da Damasco di una tregua con i ribelli dalla mezzanotte di ieri. Vedremo se la seconda terrà: esclude Al Nusra e Isis e Putin stesso l’ha chiamata «fragile».

L’accordo ignora la Washington di Obama e Kerry, facendo della Turchia di Erdogan l’unico tenue filo che lo collega all’Occidente. Può darsi che Ankara, bontà sua, ne ragguaglierà gli alleati Nato; l’Alleanza serve anche a quello. Putin ha comunque già detto che la porta è aperta agli Usa – agli Usa di Trump.

Il giorno prima John Kerry aveva messo alle corde Netanyahu sugli insediamenti israeliani. La logica, impeccabile, del segretario di Stato uscente, sulla necessità di non ipotecare la soluzione dei “due Stati”, israeliano e palestinese, con un’occupazione di fatto, ha ricevuto una caustica risposta da Gerusalemme. Netanyahu può permettersi d’ignorare Washington. «Tieni duro, arrivo io» l’aveva rassicurato Donald Trump (per tweet – ricambiato – naturalmente).

Netanyahu e, più sottilmente, Putin chiamano il bluff di un’amministrazione uscente perché, grazie a Trump, sanno che avrà poca continuità. Le frecce all’arco mediorientale di Obama sono spuntate. Egli sconta l’ascesa di Mosca e il divario apertosi con Gerusalemme. Sarebbe ingeneroso ignorare il suo ruolo decisivo nel tenere insieme l’Iraq, nel demolire Isis, nel sostenere i curdi e nella lotta mirata al terrorismo, ma i rapporti di forza russo-americani nella regione si sono invertiti a favore di Mosca.

La bordata americana di ieri, con l’espulsione di 35 «operatori d’intelligence» russi e le altre misure di rappresaglia, è però un’arma ancora efficace. Mosca risponderà con un provvedimento analogo – il gioco delle parti è inesorabile. Non può permettersi di aspettare Trump. Sarà difficilissimo al nuovo Presidente americano revocare in tronco il provvedimento. La Russia è il nervo scoperto dei repubblicani; il Senato è tutto a favore di sanzioni per le interferenze elettorali. Sulla Russia è pronto a dar battaglia anche al nuovo Presidente. Donald Trump ha le mani parzialmente legate.

L’eredità russa di Obama a Trump è una relativa inferiorità in Medio Oriente e una tensione bilaterale senza precedenti dalla Guerra fredda. Fra le misure americane potrebbero anche rientrare non dichiarate offensive informatiche, entrando così in una dimensione di guerra «calda». Paradossalmente però, le barriere che il Presidente uscente cerca di erigere al successore potrebbero rivelarsi un viatico. Qualsiasi cosa Donald Trump farà nelle prime settimane e mesi di presidenza sarà accolta entusiasticamente in molte capitali, come Mosca, Gerusalemme, Manila, Ankara – perché «diverso da Obama». Poi anche per lui cominceranno le difficoltà.

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