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5806  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MARIO CALABRESI. Il giudice è il lettore inserito:: Gennaio 06, 2017, 02:20:08 pm

Il giudice è il lettore
Nel dibattito sui falsi che circolano in rete non siamo noi i colpevoli. La prima responsabilità ricade infatti su chi da anni predica l’inutilità di esperienza e competenza

Di MARIO CALABRESI
04 gennaio 2017

L’ITALIA è al 77esimo posto nella classifica della libertà di stampa, dietro Paesi africani come Burkina Faso e Benin. Il motivo? Non quello che pensano i detrattori del nostro giornalismo, ovvero l’asservimento al potere, ma il contrario: troppi sono i giornalisti minacciati dalle mafie e dalla criminalità organizzata per le loro inchieste su malaffare e corruzione. Come se non bastasse abbiamo il record delle cause contro i giornali intentate dai politici, che mal sopportano l’idea che qualcuno faccia loro le pulci o li critichi e così ricorrono ai tribunali con evidente scopo intimidatorio.

Non da ieri si è aggiunto alla schiera dei politici che vorrebbero mettere la museruola ai giornalisti anche Beppe Grillo.  Evidentemente infastidito dall’idea che qualcuno rompa l’incantesimo a 5 Stelle e denunci corruzione, incapacità e opacità delle amministrazioni a lui legate, come sta accadendo a Roma.

Sarebbe sbagliato orchestrare una difesa d’ufficio del giornalismo italiano, senza dubbio non esente da pecche e peccati, ma nel dibattito sui falsi che circolano in rete non siamo noi i colpevoli. La prima responsabilità ricade infatti su chi da anni predica l’inutilità di esperienza e competenza, per cui chiunque può concionare su vaccini, scie chimiche, chemioterapia o cellule staminali con la pretesa di avere in tasca una verità popolare, da nulla suffragata se non da un sentimento di massa.

I danni che questo nuovo conformismo della Rete sta facendo al dibattito pubblico sono incalcolabili. Grillo propone una giuria popolare di fronte alla quale trascinare i direttori per far loro ammettere gli errori a testa bassa. Se l’idea della giustizia popolare non facesse venire alla mente precedenti storici drammatici, sarebbe da riderci sopra. E quanto ai tribunali, esistono già e continuamente si occupano di direttori chiamati a rispondere per quanto scritto sui loro giornali. A Grillo piace l’idea di una giustizia fai da te, come quella che decide espulsioni e ammende all’interno del movimento.

A noi, però, preoccupa di più il danno che la propaganda grillina arreca al tessuto sociale, alla fiducia nell’informazione e il farsi strada dell’idea che il giornalismo sia establishment a cui contrapporre il popolo. Il nostro popolo è la comunità dei lettori, che è anche il nostro unico giudice. Il suo verdetto lo emette ogni mattina, decidendo se leggerci o no.

© Riproduzione riservata
04 gennaio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/01/04/news/il_giudice_e_il_lettore-155364421/?ref=HRER2-1
5807  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / Natalia Lombardo - Il talk di Rai3 a Greco di Agorà, Berlinguer slitta inserito:: Gennaio 06, 2017, 02:18:56 pm
Natalia Lombardo   
· 3 gennaio 2017

Il talk di Rai3 a Greco di Agorà, Berlinguer slitta

Parte subito Greco il 10 gennaio per sei serate e poi dovrebbe prendere il testimone Berlinguer dopo il Festival di Sanremo verso metà febbraio

Cambio di microfono nella prima serata del martedì di RaiTre: a condurre e gestire il talk show, dopo il flop di Politics, sarà per sei puntate Gerardo Greco, volto e voce di Agorà, e non Bianca Berlinguer come aveva invece annunciato a fine anno il direttore generale Antonio Campo Dall’Orto.

O meglio, fra i due giornalisti dovrebbe esserci una staffetta: parte subito Greco il 10 gennaio per sei serate e poi dovrebbe prendere il testimone Berlinguer dopo il Festival di Sanremo verso metà febbraio. Il nome dell’Agorà, lo spazio del dibattito per eccellenza, aperto anche la sera ancora non si conosce.

Il motivo di questo cambiamento a viale Mazzini è motivato soprattutto dal punto di vista pratico ed economico: Bianca Berlinguer, che sta conducendo anche la striscia tardo pomeridiana “Carta bianca” (che ha ascolti tra l’8 e il 10% di share come traino del Tg3 delle 19,20) si sarebbe detta «non ancora pronta» per mettere in piedi in modo stabile un’impegnativa prima serata.

Gerardo Greco, collaudatissimo con la mattutina Agorà (che va da una media dell’8 e l’11% di share), è anche in grado di assicurare una trasmissione lunga, avendo infatti allestito in velocità alcuni speciali in prima serata dopo i numerosi attentati, dal Bataclan a quelli di Bruxelles.

Insomma, dalla parte del giornalista (ex corrispondente Rai da New York) dell’Agorà serale ci sarebbe una struttura e una redazione corposa e organizzata, uno studio a disposizione tutti i giorni da riallestire per la prima serata e quindi costi ridotti (praticamente zero se dovesse basarsi sulle sue forze senza però dover assorbire il personale rimasto a piedi con Politics). Non sfugge un non secondario motivo della scelta su Greco, anche se non in primo piano: un taglio meno decisamente schierato qual è quello impresso da Bianca Berlinguer sia negli anni al Tg3 che nella “striscia”, per di più non proprio nelle grazie di Renzi e dei renziani.

Ma il motivo della scelta effettuata nel giro di una settimana dal Dg, da Daria Bignardi, direttora di RaiTre e dal responsabile informazione Carlo Verdelli, secondo i rumors di viale Mazzini sembra sia anche dovuta alla decisione di non concedere alla giornalista il talk del martedì mantenendo anche la striscia quotidiana prima del Tg3.

Richieste che Bianca Berlinguer avrebbe avanzato ma che, oltre alla complessità del lavoro, avrebbero avuto l’effetto di consegnare tutto l’approfondimento informativo di RaiTre (a parte Agorà) a una sola persona. Quello che in Rai chiamano la “vespizzazione”, il monopolio di Bruno Vespa sull’informazione di Rai Uno. Certo dopo l’uscita di Floris l’informazione della rete è stata in sofferenza, prima con il Ballarò condotto da Massimo Giannini e infine rotolata al 2,5% con Politics affidato a Gianluca Semprini, chiamato da Sky alla Rai con un contratto da capo redattore per di più per RaiNews, mai richiesto dal direttore Di Bella.

Un pasticcio, insomma anche mortificante per lo stesso giornalista. Ora Greco sta lavorando all’esordio, l’idea dovrebbe essere quella di non chiudersi solo nello studio nella formula del talk con ospiti, ma proporre servizi esterni di attualità su ogni tema, dalla paura per il terrorismo al lavoro, passando ovviamente per la politica. Sennò che Agorà sarebbe?

Da - http://www.unita.tv/focus/il-talk-di-rai3-a-greco-di-agora-berlinguer-slitta Focus
5808  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Rudy Francesco CALVO. - Guida ai primi appuntamenti politici del 2017 inserito:: Gennaio 03, 2017, 09:08:28 pm
Focus
Rudy Francesco Calvo    - @rudyfc
· 30 dicembre 2016

Guida ai primi appuntamenti politici del 2017
Occhi puntati sulla Corte costituzionale, ma non solo. Ecco le date da segnare sul calendario

Si preannuncia un altro anno intenso per la politica italiana, con molte incognite legate soprattutto alla sopravvivenza del Governo e all’eventuale chiusura anticipata della legislatura. Difficilmente la strada verso il voto – più o meno lunga – potrà essere tracciata già nelle prime settimane dell’anno, ma nel mese di gennaio non mancheranno appuntamenti importanti, in grado di anticipare cosa accadrà. Ecco allora le date da segnare nell’agenda della politica al rientro dalla pausa natalizia.

1 gennaio: l’Italia al centro del mondo
All’inizio del 2017 l’Italia assume la presidenza di turno del G7 (cruciale sarà il vertice di Taormina di fine maggio) e un seggio non permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu. Assieme alla riunione del Consiglio europeo di marzo per il 60esimo anniversario dei Trattati di Roma, si tratta degli appuntamenti internazionali che spingono soprattutto il Capo dello Stato a voler evitare una campagna elettorale nel primo semestre dell’anno.

10 gennaio: mozione di sfiducia al ministro Poletti
La richiesta è stata presentata da M5S, Lega e Sinistra italiana sia alla Camera che al Senato, dove la maggioranza non può contare su numeri solidissimi. La minaccia della minoranza Pd di votare a favore della sfiducia, non tanto per le dichiarazioni di Poletti sui giovani, quanto piuttosto come strumento per ottenere profonde modifiche all’uso dei voucher, rischia quindi di mettere in serie difficoltà il Governo. Ieri il premier Gentiloni ha detto di considerare superato l’incidente, ma anche di voler apportare correttivi allo strumento dei voucher, senza per questo considerarli un “virus che diffonde lavoro nero”. Basterà a convincere i suoi compagni di partito più riottosi? Anche se una parte delle opposizioni (FI, Ala) non dovrebbe votare la sfiducia, il Governo deve guardare con attenzione a questo primo test dell’anno.

11 gennaio: la Corte costituzionale decide sul referendum sul Jobs Act
Le anticipazioni di stampa prevedono una bocciatura da parte della Consulta per il referendum più ‘caldo’ presentato dalla Cgil, cioè quello per il ripristino dell’articolo 18 (per la sua formulazione, infatti, potrebbe apparire come un quesito ‘propositivo’, in quanto allargherebbe la platea di chi beneficerebbe della tutela contro i licenziamenti più di prima), mentre potrebbero passare il vaglio dei giudici costituzionali sia il quesito sui voucher, sia quello sulla responsabilità solidale in materia di appalti. In questi ultimi due casi, il Parlamento potrebbe legiferare in tempo per neutralizzare il rischio del referendum. Se anche quello sull’articolo 18 dovesse passare, però, solo le elezioni politiche anticipate potrebbero scongiurare il ricorso alle urne contro uno dei provvedimenti più importanti del governo Renzi. Un motivo per accelerare la corsa alle urne, evitando così un brutto colpo all’immagine del Pd?

17 gennaio: elezione del presidente del Parlamento europeo
Al momento le due grandi famiglie del Pse e del Ppe non hanno ancora trovato un accordo per scongiurare una inedita conta per decidere il nuovo presidente. Segno dei difficili rapporti che persistono ancora a livello internazionale su molti punti tra Socialisti e Popolari, a cominciare dall’immigrazione e dalle questioni economiche. In corsa per la poltrona più importante dell’aula di Strasburgo ci sono due italiani: Gianni Pittella, candidato unitario del Pse, e Antonio Tajani, scelto dal Ppe.

21 gennaio: mobilitazione Pd
È il clou di quella campagna d’ascolto annunciata da Matteo Renzi dopo la sconfitta referendaria e le sue dimissioni da premier. I dettagli non sono stati ancora definiti (sarà una riunione dei segretari regionali e provinciali a farlo al rientro dalla pausa di fine anno), ma il segretario dem vorrà certamente mostrare un Pd in forze e pronto a tornare a confrontarsi con i cittadini.

24 gennaio: la decisione sull’Italicum
È questa la vera chiave di volta della legislatura. La Corte costituzionale aveva rinviato il proprio pronunciamento a dopo il referendum costituzionale e la vittoria del No sembra aprire la strada – secondo le indiscrezioni – anche alla bocciatura di alcuni punti della legge elettorale. Dall’intervento della Consulta (sul premio di maggioranza? sui capilista bloccati? sulle pluricandidature?) si potrà anche capire se la legge che rimarrà in vigore potrà essere immediatamente utilizzabile per andare al voto, magari estendendola con poche modifiche anche al Senato, dove è in vigore il Consultellum di stampo proporzionale, oppure (ad esempio, nel caso in cui ne uscisse una legge non in grado di assicurare governabilità) sarà più necessario un intervento del Parlamento. Con tempi e in direzioni difficili da immaginare.

27-28 gennaio: assemblea degli amministratori del Pd
Un appuntamento importante per il partito guidato da Matteo Renzi, intenzionato a ripartire proprio dai sindaci per rafforzare la struttura interna e la capacità di rappresentare i territori, ma che assume ancora più rilievo proprio perché giunge a pochi giorni di distanza dal pronunciamento della Corte costituzionale. Il leader dem a Rimini è chiamato a chiarire le proprie intenzioni sulla strada da intraprendere per arrivare alle urne.

28 gennaio: la destra in piazza
Mentre i dem si riuniscono sulla riviera romagnola, Giorgia Meloni chiama a raccolta il popolo della destra a Roma per una manifestazione, alla quale parteciperà anche la Lega di Salvini, ma non Forza Italia. La richiesta è semplice: tornare al voto prima possibile. E questo potrebbe essere l’unico punto di contatto proprio con l’appuntamento di Rimini.

Da - http://www.unita.tv/focus/guida-appuntamenti-politica-gennaio-2017/
5809  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / EUGENIO SCALFARI. Il mito dell'Europa nel labirinto e il futuro del governo inserito:: Gennaio 03, 2017, 09:05:48 pm
Il mito dell'Europa nel labirinto e il futuro del governo

Di EUGENIO SCALFARI
31 dicembre 2016

SPESSO mi chiedo dove e come è nato l’Occidente, la sua cultura, la sua potenza ed anche le sue debolezze; ma non so rispondere. Senza dubbio è nato in Europa ma quando e come? La storia e perfino la preistoria non lo dicono; le religioni neppure. Il mito forse. Sì, il mito lo dice.

Queste cose pensavo mentre stavo leggendo un libro sulla mitologia; ce ne sono molti e mi hanno sempre attirato. Colgono il profondo dell’animo nostro e lo mettono in luce, come le sue contraddizioni che cambiano sempre ma sempre ci sono, si scontrano ma non si spengono, fanno parte della nostra specie di uomini che guardano se stessi mentre operano, giudicano se stessi e così nasce l’Io e con esso il desiderio del potere, la sua trascendenza.

Il libro di mitologia che meglio affronta questo tema l’ha scritto pochi mesi fa Paola Mastrocola. Si intitola L’amore prima di noi. Prima di affrontare i problemi reali che dobbiamo risolvere, voglio soffermarmi sul loro aspetto mitico. Poi scenderemo a quelli reali. Dalle stelle alla terra. C’è sempre il filo di Arianna che può farci uscire dal labirinto nel quale oggi il mondo si trova.

«Un giorno Zeus guardava il mondo sotto di sé. Il suo sguardo si era posato per caso su una fanciulla che si chiamava Europa perché aveva gli occhi grandi. Rimase incantato a guardarla. Poco dopo sulla spiaggia della costa fenicia comparve un toro straordinariamente bianco».

«Le ragazze che danzavano sulla spiaggia furono curiose di quel toro straordinariamente bianco. Erano estremamente incuriosite. Il toro si fermò a grande a distanza e continuò a guardare soprattutto Europa dagli occhi grandi. Fu lei ad avvicinarsi. Il toro aspettava e lei arrivò vicina e lo carezzò. Per gioco gli montò sul dorso e lui partì. Entrò in mare al galoppo, superò le onde in un attimo, prese il largo mentre Europa, avvinghiata alle sue corna chiedeva aiuto. Le compagne guardavano mute ma non potevano far nulla. Il toro era ormai in mare aperto, s’involava spariva e riemergeva.

Zeus ebbe da Europa tre figli e le lasciò una lancia che non sbagliava il bersaglio. Uno di loro si chiamò Minosse, che fece costruire nel suo regno il labirinto. L’Europa di allora si chiamò Europa, colei che ha gli occhi grandi. Così da una fanciulla d’Oriente nacque l’Occidente».
Questo è tutto. Ce n’è abbastanza per riflettere.
***
A me piacerebbe che sul significato di questa scena mitologica riflettessero le persone d’autorità investite, a cominciare dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il presidente della Corte costituzionale Paolo Grossi, il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, il capo del partito di maggioranza Matteo Renzi ed anche, a suo modo, Silvio Berlusconi. Di altri non parlo, pensano ad esistere e seguono soltanto questa necessità.

L’Italia e chi la rappresenta in Europa e nel mondo provengono in qualche modo dal figlio che lo Zeus mitologico lasciò ad Europa e da questo non possiamo prescindere. Come pure dobbiamo capire qual è il filo di Arianna per uscire dal labirinto in cui l’Italia e l’Europa si trovano. Temo per esempio che Renzi abbia sbagliato a respingere la proposta di Mattarella a tenere in vita il suo governo e far nascere in sua vece un governo burattino del quale vuole essere il burattinaio. Così pure credo che sarebbe molto opportuno se Gentiloni tagliasse i fili del burattinaio e avesse il governo che pensa e durasse fino alla fine della legislatura. Temo anche che la diffidenza interna del Pd continui a fare il gioco dei tanti galli che si disputano la sola gallina del pollaio invece di volare alto insieme al segretario. Temo infine che, tranne Mattarella, nessuno abbia capito quali sono i reali interessi del Paese e dell’Europa della quale facciamo parte integrante.

La sinistra, non soltanto quella italiana, dovrebbe porsi due fondamentali obiettivi: modernizzare il proprio modo d’essere aggiornandolo secondo i nuovi bisogni della società e conquistare un ruolo di governo sia in Italia sia in Europa. La guerra nel pollaio è miserevole, dividersi in correnti è altrettanto miserevole, ma purtroppo continuano tutti, dal segretario Renzi fino all’ultimo militante del partito. Questi fin qui esposti sono temi essenziali, ma non sono i soli. Ci sono le riforme e la politica sociale, c’è la legge elettorale e i problemi nati dal bicameralismo ridiventato perfetto con le esigenze che porta con sé. Ne abbiamo più volte parlato da queste pagine ma vale la pena di riparlarne ancora in un mondo che ormai cambia con molta velocità, in una società globale che cambia anch’essa a dir poco ogni mese se non addirittura ogni giorno. Dunque esaminiamoli questi aspetti della situazione e ciò che compete a chi è chiamato a risolverli.

La politica sociale d’una sinistra moderna ha due compiti principali: aumentare la produttività ed abolire o almeno diminuire le diseguaglianze. La discussione non è quella attualmente in corso di accrescere le imposte oppure le spese o viceversa; imposte e spese sono certamente strumenti necessari ma l’obiettivo principale è la diseguaglianza che significa sostanzialmente una costante e crescente differenza tra ricchi e poveri.

Questa differenza fa sì che il numero dei ricchi diminuisca ma la ricchezza di ciascuno di loro aumenti mentre specularmente il numero dei poveri e dei meno abbienti aumenta insieme alla loro povertà soprattutto per quanto riguarda il cosiddetto ceto medio. Non esiste quasi più il ceto medio e chi ancora ne fa parte ha il timore di diventare proletariato, questa è la situazione, uno dei fattori d’una dilagante rabbia sociale che alligna in tutti i Paesi del mondo a cominciare dagli Stati Uniti d’America, dove il fenomeno ha determinato la vittoria di Donald Trump, e così pure in Inghilterra e minaccia in Germania la cancelliera Angela Merkel e spiega anche la vera causa della nascita del Movimento 5 Stelle in Italia. La diseguaglianza, è questo che dobbiamo combattere. Per quanto riguarda la produttività anche i lavoratori debbono contribuire ma marginalmente. Sono soprattutto gli imprenditori che debbono perfezionare i loro investimenti ma debbono anche inventare nuovi prodotti da offrire ai consumatori. La domanda di consumi dipende da molti fattori ma principalmente da nuovi prodotti offerti. Si veda il fenomeno che la storia dell’industria ci offrì nei primi anni del Novecento: il motore a scoppio e l’automobile. Le prime automobili furono un prodotto di lusso riservato ai ricchi. Comunque un nuovo prodotto che gradualmente sostituì le carrozze trainate da cavalli o da muli. Ma poi accanto alle auto di lusso di grande cilindrata usate anche per le gare sportive, nacque ad un certo punto l’automobile piccola, alla portata dei ceti medi e questa fu l’auto di massa che ebbe una grande diffusione. Nelle città diventò anche la seconda automobile dei ricchi per circolare e posteggiare con maggiore facilità. Adesso sta addirittura nascendo un’auto senza pilota, che marcia da sola e da sola posteggia. L’autista guida accendendo il computer, che poi pensa a tutto il resto.

Questo è il vero aumento della produttività di cui viene anche a godere il salario dei lavoratori dipendenti e di conseguenza anche i consumatori.

Noi qui in Italia facciamo assai poco in questa direzione perché la maggior parte degli imprenditori, se il loro profitto aumenta, invece di riconvertirlo in buona parte, lo tengono per sé e lo investono nella finanza invece che nell’industria. Qui dovrebbero intervenire le imposte o le tasse per punire questo comportamento dei capi delle imprese, ma abbiamo visto ben poco di questa politica fiscale.

Dovremo ora parlare della legge elettorale dopo il No referendario che ripristinando il Senato deve necessariamente esser rifatta dal Parlamento su proposta del governo e/o dai partiti. Ci sono due alternative: una legge sostanzialmente maggioritaria come era l’Italicum, con premio alto, il 40 per cento, oppure una legge proporzionale senza ballottaggio ma eventualmente con un premio di maggioranza per il partito con maggiori voti degli altri. Oppure una via di mezzo tra queste due ipotesi.

Personalmente ritengo che una legge proporzionale con o senza premio sia migliore della maggioritaria. Si obietta (Renzi soprattutto) che la proporzionale frantuma il Parlamento e in tal modo indebolisce la governabilità. Questa obiezione è fondata ma il modo di superarla è la coalizione tra due o più partiti. Molte volte ho richiamato a questo proposito la storia della Democrazia cristiana da Alcide De Gasperi fino alla morte di Aldo Moro. Vigeva la proporzionale e non c’era alcun premio, e le coalizioni si formavano dopo le elezioni. Si rilegga quella legge. Tra l’altro essa può essere entro certi limiti modificata adottando un voto di collegio o uninominale, ma la base di fondo è in ogni caso proporzionale.

È vero che questo tipo di legge alimenterebbe le correnti dentro i partiti, soprattutto in quelli maggiori, ma questo avviene anche adesso, perfino nel movimento grillino. Ormai le correnti ci sono anche lì sebbene sia un movimento di proprietà di Grillo e di Casaleggio.

Questo è comunque il mio parere che ovviamente non conta niente in materie di questo genere. E poiché siamo alla conclusione mi permetterò di fare a Renzi una proposta personale alla quale so già che dirà di no (forse sarebbe stato meglio per lui se mi avesse ascoltato a suo tempo): non chiedere le elezioni entro giugno, anzi non le chiedere affatto e lascia che Gentiloni arrivi al termine della legislatura. Tu nel frattempo ti dedichi al tuo partito, alla sinistra in Italia e in Europa e nei momenti liberi che certo avrai porta i figli a scuola e occupati della famiglia. Leggi libri utili e belli e attendi fino al 2018. A quel punto ti presenti alle elezioni e cerchi di vincerle, tu e il tuo partito. Avrai un lungo avvenire politico davanti. Sei un uomo di talento e di capacità decisionali ed anche di carisma politico. L’Italia e l’Europa ne sarebbero avvantaggiate sia adesso senza di te sia dopo insieme a te. Grazie.
 
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31 dicembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/12/31/news/il_mito_dell_europa_nel_labirinto_e_il_futuro_del_governo-155152924/?ref=HRER2-1
5810  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / GENTILONI Gentiloni difende i voucher in attesa della Consulta inserito:: Gennaio 03, 2017, 09:04:36 pm
Gentiloni difende i voucher in attesa della Consulta

Di GIANLUCA LUZI
    
L'Istat chiude il 2016 con una nota di ottimismo: la ripresa si sta consolidando. Incrociando i dati sulla fiducia dei consumatori con gli ordinativi dell'industria e l'aumento delle persone che cercano lavoro con la speranza di trovarlo, l'istituto statistico sottolinea che la ripresa è ancora fragile ma che sta cominciando a diventare una realtà concreta. È una base su cui il governo Gentiloni può lavorare per completare le riforme cominciate con il governo Renzi, di cui l'attuale è la prosecuzione senza strappi. Ma sul terreno del lavoro c'è il problema del Jobs act. In particolare dei voucher e dell'uso sempre crescente che alcuni datori di lavoro ne fanno. Il premier ha detto nella conferenza stampa di fine anno che certamente alcuni aspetti dell'uso dei voucher saranno rivisti, ma che non si può dare la colpa della mancanza di lavoro ai voucher che anzi sono uno strumento efficace per l'emersione del lavoro nero. Sul governo grava il pericolo del referendum promosso dalla Cgil contro il Jobs act. E all'interno della Consulta si profila un duello sulla ammissibilità del quesito referendario. Quella del lavoro, insieme alla Giustizia, al Sud, alle tasse e ai dipendenti pubblici è una delle riforme che terranno occupato il nuovo governo nei prossimi mesi. Ma tutti sanno che - pur non impegnando direttamente l'esecutivo - la riforma attorno a cui ruota tutto lo scenario politico è quella elettorale. In attesa che la Corte costituzionale si pronunci sull'Italicum il 24 gennaio la situazione vede Berlusconi attestato sulla richiesta di una legge proporzionale. Al contrario il Pd è la Lega vogliono il Mattarellum in tempi brevi per andare a votare in giugno. Posizioni inconciliabili anche sulla durata del governo Gentiloni che il leader di Forza Italia vorrebbe fino alla fine della legislatura, disposto ad appoggiarlo nei voti difficili al Senato, ora che può venire meno l'appoggio di Verdini, escluso dai ministeri e anche dalla partita dei sottosegretari.

Da - http://www.repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-3
5811  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / All'agnello Obama crescono i denti da lupo inserito:: Gennaio 03, 2017, 09:02:59 pm
All'agnello Obama crescono i denti da lupo

Pubblicato: 30/12/2016 19:31 CET Aggiornato: 30/12/2016 19:44 CET OBAMA

La guerra fra poteri si riaccende nel cuore degli Stati Uniti.

Scrivo "si riaccende" perché l'attacco di Obama a Trump, via Putin, il tentativo dell'ormai ex Presidente di condizionare le decisioni prossime del nuovo Presidente, e, in prospettiva, - perché non immaginarlo? - preparare il terreno per un impeachment, può sorprendere solo chi dell'America ha, o preferisce avere, una visione propagandistica. E può sorprendere solo chi del Presidente Obama ha sempre preferito coltivare una immagine da santino.

In realtà un robusto, spesso pericoloso, conflitto interno è parte sostanziale di una democrazia come quella americana che è sempre stato un sistema attraversato da complotti, violenze, e rese dei conti. Basterà qui ricordare i ben 4 presidenti uccisi, a partire da Abraham Lincoln nel 1865 e arrivando a John F. Kennedy a Dallas, in Texas, il 22 novembre 1963.

Basterà qui ricordare il Maccartismo, le schedature dell'Fbi, le operazioni segrete contro i nemici Usa, le manovre intorno al Vietnam, l'impeachment di Nixon, lo scandalo Contras, le guerre di spie di epoca reaganiana (che fanno sembrare sciocchezze le espulsioni di Obama oggi) gli scandali sessuali dei Clinton e le gigantesche false verità raccontate all'Onu da Bush.

Vitale e fetida, la democrazia americana non ha mai perso lo spirito animale che l'ha creata e sostenuta in quasi due secoli di incontrastata ascesa nel mondo. Un vitalismo spesso trasformato nella impeccabile foto di un perfetto sistema di pesi e contrappesi. Immagine popolare ma creazione, più che di verità, di una poderosa macchina produttrice di mitologia sul destino speciale americano. Macchina essenziale dello sviluppo americano, ben anteriore ad Hollywood, se è vero che alcuni dei testi fondamentali del mito americano (ad Harvard in primis) sono libri come quello di James Fenimore Cooper, The Prairie, del 1827, o Walden di Henry David Thoreau, del 1847.

Nulla di nuovo dunque a Washington. Salvo, forse, la sorpresa di vedere crescere i denti da lupo all'agnello Obama.

Minacciato nella sua eredità, nel significato stesso della sua presidenza, ha tirato fuori le verità che albergavano evidentemente nel suo cuore - e ha finalmente parlato di razzismo, di fine della speranza, ha fatto all'Onu un passo contro Israele, ha inviato, via Kerry, una denuncia dell'espansionismo israeliano in Cisgiordania accusando direttamente Israele di essere una minaccia per la pace. Ha poi mobilitato la Cia, con il suo rapporto sulle ingerenze russe nelle elezioni Usa, e l'Fbi sulle operazioni di hackeraggio di Putin, fino alla espulsione di 35 supposte spie di Mosca.

In tutti questi passaggi si legge lo scopo evidente di costruire un muro intorno a Trump, precipitando situazioni di fatto che il prossimo presidente dovrà platealmente cancellare. Sono mosse intese anche a raccogliere e galvanizzare lo scontento delle molte istituzioni che saranno fatte fuori dalla politica di Trump: si attendono pulizie generali dentro la Cia, dentro l'Fbi, la dismissione di progetti militari contro Putin in Europa e Medio Oriente, in Africa. Sono mosse di posizionamento di una guerra interna il cui profilo è già chiaro.

Cade così la limata, lisciata versione del presidente " buono" Obama. La novità che si segnala in questi giorni è proprio la caduta della convenzione rassicurante, alcuni preferirebbero dire "buonista", del potere Usa che è sembrata prevalente in questi ultimi otto anni della amministrazione democratica. Una ammissione tardiva, ma non meno feroce perché tale, dello scontro di potere che si è mosso sotto le acque apparentemente tranquille dell'amministrazione Obama. Otto anni finiti, non a caso, con la vittoria di Donald Trump, il cui successo è stato inversamente proporzionale allo sfaldamento politico vissuto dall'interno del mondo democratico perfetto degli Obama.

Anche in questo senso, l'elezione di Donald Trump ha messo allo scoperto una parte di verità sugli Stati Uniti. Rompendo i luoghi comuni, le banalità, ed esponendo invece l'asprezza delle divisioni interne del Paese su praticamente ogni tema, da Israele, al petrolio, al mondo musulmano, al nazionalismo economico, all'immigrazione, alle alleanze di mercato, fino a, e non ultimo, il riscaldamento globale.

La divisione che attraversa ora l'America non è questione di politica o di ideologie. Riguarda il giudizio su cosa è il mondo in cui viviamo, e riflette opinioni e divisioni che attraversano tutti i nostri paesi occidentali. Per questo, la lotta fra democratici e repubblicani nei prossimi anni sarà in grado di imbastardirsi al suo interno a un livello che farà apparire ogni precedente un gioco da gentiluomini.

Ma c'è una differenza fra il conflitto interno agli Usa oggi e quelli del passato. L'America è entrata in una fase di lotta intestina ogni volta che il suo destino dominante è stato minacciato da una sconfitta. La crisi interna dei diritti civili, la crisi internazionale del Vietnam, e poi dell'Iran, la crisi petrolifera degli anni settanta. E anche oggi vi si ritrova la stessa traccia di debolezza.

La crisi odierna ha però un contesto diverso. L'America di Trump si affaccia su un mondo in cui il suo potere di controllo non è solo debole, è anche già ampiamente sostituito da altri centri di potere. E' un mondo con altre grandi nazioni di fatto esenti dalla influenza Usa, come il blocco asiatico; un mondo in cui per Washington l'Europa stessa non è più una sponda indiscutibile, e il Medioriente e l'Africa sono praticamente persi. Un contesto in cui gli Usa non sono più né il maggior mercato né il maggior produttore, e nemmeno il maggior contribuente per la spesa per aiuti allo sviluppo dei paesi terzi. La risposta ironica e condiscendente di Putin a Obama è una prova agghiacciante di questa "superfluità" americana.

Un mondo in cui ognuno corre per sé.

L'America in cui si riaccende la guerra politica interna avrà dunque molte poche sponde a cui aggrapparsi con una certa sicurezza, mentre viceversa noi alleati degli Americani abbiamo molte meno ragioni per poterci schierare con e per gli Stati Uniti. Un disvelamento non da poco, che ci porterà, nei prossimi mesi ed anni, a ri-tarare il nostro giudizio e le nostre previsioni su cosa sono gli Usa per noi e su cosa davvero ci conviene fare di loro, e con loro.

Da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/all-agnello-obama-crescono-i-denti-da-lupo_b_13897358.html?utm_hp_ref=italy
5812  Forum Pubblico / ECONOMIA e POLITICA, ma con PROGETTI da Realizzare. / Bravo Bersani, guardiamo avanti inserito:: Gennaio 03, 2017, 09:01:16 pm
Bravo Bersani, guardiamo avanti

Pubblicato: 30/12/2016 17:27 CET Aggiornato: 30/12/2016 17:27 CET BERSANI
Il lungo articolo pubblicato da Pier Luigi Bersani sul giornale online del suo centro studi è importante, per almeno tre ragioni.

La prima: parla esplicitamente di campo progressista, cioè della necessità di una sinistra di governo che mandi in soffitta la vocazione all'autosufficienza con cui è nato il Partito democratico. Sono le stesse parole che utilizziamo noi e che indicano la possibilità e la necessità di un perimetro comune.

La seconda: non sono sufficienti, dice Bersani, aggiustamenti millimetrici rispetto al "blairismo rimasticato" di Renzi e del suo gruppo dirigente. Serve una nuova piattaforma programmatica che parta dai diritti del lavoro, da un nuovo sistema di welfare e dalla riduzione della forbice delle diseguaglianze, da un nuovo intervento dello Stato e del settore pubblico nell'economia. Si tratta di priorità del tutto condivisibili, coerenti con il Social Compact proposto in Parlamento dal gruppo di Sinistra italiana.

La terza ragione riassume le prime due: tali auspici muovono cioè in direzione opposta alla teoria e alla pratica del renzismo, nei confronti del quale non è possibile alcun atteggiamento mimetico. La sinistra a cui dobbiamo ridare forza è radicalmente alternativa al renzismo, per valori, ambizioni, programmi, stile (Bersani scrive di rottamazione e giovanilismo un po' futurista).

Delle due l'una, quindi: o siamo in grado di costruire, su questi presupposti, un campo progressista capace di governare e di dare finalmente risposte alla condizione sociale drammatica del nostro Paese; oppure abbiamo fallito l'appuntamento con la storia, piccola o grande che sia.

Il fallimento della costruzione di un campo progressista in discontinuità con gli errori degli ultimi anni conduce automaticamente a uno scenario horror: un Pd di Renzi e Marchionne subalterno vita natural durante ai paradigmi neo-liberali, una sinistra radicale irrilevante nel suo ennesimo cartellino elettorale, le destre o il Movimento Cinque Stelle al governo.

Non servono molte parole. Bisogna agire rapidamente nella direzione opportuna. I referendum proposti dalla Cgil sui voucher, l'articolo 18 e gli appalti sono il primo grande banco di prova per capire chi vuole voltare pagina e chi vuole rimanere indietro. Perché, caro Renzi, il 4 dicembre ha detto a tutti una cosa chiara: voi siete la conservazione, noi il (possibile) cambiamento.

Da - http://www.huffingtonpost.it/simone-oggionni/bravo-bersani-guardiamo-avanti_b_13895676.html
5813  Forum Pubblico / GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. / MARIO CALABRESI. Grillo e M5s, una nuova grammatica inserito:: Gennaio 03, 2017, 08:59:38 pm

Grillo e M5s, una nuova grammatica

Di MARIO CALABRESI
03 gennaio 2017

NON CI può essere alcun automatismo tra un avviso di garanzia e le dimissioni e questo nemmeno può significare che sia certo un comportamento grave da parte di chi si trova al centro di un’indagine. A stabilirlo è il nuovo codice di comportamento del Movimento 5 Stelle diffuso ieri da Beppe Grillo. Una reazione istintiva ci spingerebbe a criticare questa svolta radicale sottolineando che suona opportunistica nella tempistica, visto che arriva quando appare imminente un coinvolgimento nelle inchieste romane di Virginia Raggi. Un atto che, proprio in base ai canoni sempre santificati dai Cinquestelle, avrebbe imposto le dimissioni della sindaca, come preteso un anno fa nel caso del primo cittadino di Parma, anche se in quel caso a sollevare la contestazione fu la mancata trasparenza sulla vicenda.

Inoltre colpisce che questo garantismo arrivi da parte di un uomo che ha usato gli avvisi di garanzia come una clava nella lotta politica e predicato la purezza come carattere distintivo del suo movimento. Un'obiezione che però sarebbe facile muovere anche al Partito Democratico che per anni ha usato inchieste, indagini e avvisi di garanzia nella sua battaglia contro Berlusconi e il centrodestra salvo poi trovarsi numerosi indagati e condannati in casa.

Così ci sembra più corretto guardare alla sostanza per dire che l'intervento di Grillo è giusto per il principio che esprime e serve a ristabilire alcuni elementi di correttezza nel rapporto tra politica e magistratura. Le nuove linee guida dei 5 Stelle restituiscono all'iscrizione nel registro degli indagati il suo valore autentico: l'inizio di un procedimento in cui vengono raccolti e pesati gli elementi a sostegno dell'accusa e non un indizio automatico di colpevolezza.

Da quasi un quarto di secolo si ripete che l'avviso di garanzia è un atto dovuto, uno strumento difensivo che invece troppo spesso è stato impugnato come elemento offensivo. Oggi non si usa quasi più, perché le riforme alla procedura penale hanno imposto l'interrogatorio a chiusura indagini, che infatti assieme alle proroghe delle inchieste è diventato il momento giornalistico in cui si viene a conoscenza delle inchieste contro qualcuno.

Ma ribadirlo oggi può aiutare a svelenire il clima politico e può servire a restituire un sano principio di responsabilità alla politica e al mondo dell'informazione. È l'occasione per una nuova grammatica, in cui si mettono da parte automatismi e riflessi pavloviani e si analizzano i casi nella loro specificità, valutandone gravità e responsabilità.

Bisogna dire che nel corso degli anni il livello di tolleranza verso il comportamento dei politici è comunque cambiato, qualcosa che solo i 5stelle hanno ignorato. Due ministri — Maurizio Lupi e Federica Guidi — si sono dimessi senza che fossero state formalizzate ipotesi di reato nei loro confronti. Ci sono stati dibattiti parlamentari e una valutazione di quanto emergeva dagli atti delle procure che li hanno spinti a decidere: valutazioni etiche e politiche, che sono andate oltre il quadro giudiziario.

Questo è il punto da sottolineare, che deve servire come stella polare anche per l'attività giornalistica: non limitarsi alla pubblicizzazione della mera posizione di indagato, ma insistere in un lavoro di approfondimento e analisi dei comportamenti, che offra al Parlamento e ai cittadini tutti gli elementi per decidere. Quello era il senso delle dieci domande di Giuseppe D'Avanzo nei confronti dell'allora premier Silvio Berlusconi: il giornalismo d'inchiesta.

Lo stesso che ci ha portato a denunciare opacità e rischi nelle nomine e nella scelta dei collaboratori da parte di Virginia Raggi, un lavoro fatto ben prima che arrivassero avvisi di garanzia e arresti, che hanno solo confermato la bontà del lavoro di Repubblica.

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03 gennaio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/01/03/news/titolo_non_esportato_da_hermes_-_id_articolo_5626317-155310306/?ref=HRER2-1
5814  Forum Pubblico / AUTORI. Altre firme. / Francesco GERACE - A chi conviene il proporzionale inserito:: Gennaio 03, 2017, 08:54:15 pm
   Focus   
Francesco Gerace - @FrancescoGerace
· 2 gennaio 2017

A chi conviene il proporzionale

Il dibattito sulla legge elettorale è al centro dell’agenda politica

Proporzionale o maggioritario? Sul tipo di sistema elettorale i partiti politici continuano ad essere divisi. Dal tipo di legge elettorale dipenderanno le sorti del governo del Paese. Il sistema maggioritario (Mattarellum prima e Porcellum poi) è in vigore in Italia dalle elezioni politiche del 1994. Il Mattarellum, che prende il nome dall’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ne fu primo firmatario, è diretta conseguenza del referendum del 1993, quando quasi 29 milioni di italiani scelsero il sistema maggioritario per eleggere i parlamentari e di fatto segnarono il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica.

Oggi in molti vorrebbero ritornare ad un sistema elettorale simile a quello della Prima Repubblica, quando vi era la necessità di formare governi forzatamente di coalizione. Pensare ad un ritorno al passato oggi sembrerebbe alquanto bizzarro, ma per molte forze politiche un ritorno al passato è necessario, vista l’attuale situazione politica.

Ma a chi converrebbe questa scelta? Il Pd ha proposto un ritorno al Mattarellum – modificato – un modo per avere ancora un sistema maggioritario con cui una forza, o coalizione, politica possa da sola governare il Paese con un programma coerente e senza accordi al ribasso con le altre forze politiche. Essendo il primo partito, secondo i sondaggi, e comunque un partito con un ampio consenso, il Pd punta ad un sistema che garantisca la governabilità e non produca governi di coalizione instabili.

Favorevoli alla proposta del Pd sono la Lega Nord e Fratelli d’Italia. Per il leader leghista qualsiasi legge elettorale va bene pur di andare presto alle urne, ma comunque si dice contrario al proporzionale che “porterebbe solo a governi dell’inciucio”. Matteo Salvini punta a guidare la coalizione di centro-destra e un sistema maggioritario garantirebbe un buon risultato anche nel Sud Italia, dove il suo partito è elettoralmente debole.

Il M5s, invece, sostiene un sistema elettorale proporzionale, vicino al sistema elettorale spagnolo. Questa decisione del M5s è alquanto strana, infatti un modello del genere non consentirebbe ai pentastellati di governare. I cinquestelle sono indisponibili a qualsiasi alleanza e accordo, e ad oggi sono ben lontani da quel 43/44% che il Democratellum – la proposta di legge da loro presentata – impone ad una forza politica per governare in solitaria. La posizione dei grillini è inspiegabile, un sistema maggioritario sarebbe l’unico modo per formare un governo, ma dalle dichiarazioni fatte sembra che questo non gli interessi.

Altra forza politica contraria al maggioritario e fautrice del proporzionale è Forza Italia. Il consenso degli azzurri è molto calato, anche all’interno della coalizione, e un sistema proporzionale sarebbe l’unico che con il bacino elettorale su cui può contare il partito di Berlusconi garantirebbe un peso politico nelle decisioni di governo.

Anche Sinistra Italiana è per un sistema proporzionale che ” ridia dignità alla rappresentanza”, una posizione naturale dopo la rottura con il Pd. Un sistema maggioritario quasi certamente escluderebbe Si dal Parlamento, mentre con un sistema proporzionale potrebbero essere decisivi nella formazione del prossimo governo.

Dice No al proporzionale il leader dei Conservatori e Riformisti – alleati di Forza Italia – Raffaele Fitto, secondo cui un tale sistema produrrebbe un “patto del Nazareno forever”.

Da - http://www.unita.tv/focus/a-chi-conviene-il-proporzionale/
5815  Forum Pubblico / L'ITALIA DEMOCRATICA e INDIPENDENTE è in PERICOLO. / Bufale online, nuova polemica dopo le parole dell’Antitrust. inserito:: Gennaio 03, 2017, 08:51:51 pm
Bufale online, nuova polemica dopo le parole dell’Antitrust.
Beppe Grillo: “Volete l’inquisizione”   

ANSA
Pubblicato il 30/12/2016
Ultima modifica il 31/12/2016 alle ore 07:43

Una rete di agenzie pubbliche dei Paesi Ue contro le `bufale´ online che fissino regole per evitare che la rete continui a essere una sorta di Far West. Lo propone il presidente dell’Antitrust, Giovanni Pitruzzella, in un’intervista al Financial Times, provocando la reazione furiosa di Beppe Grillo, che sul suo blog associa Pitruzzella a Gentiloni e Renzi, definendoli «i nuovi inquisitori del web», desiderosi di «un tribunale per controllarlo e condannare chi li sputtana».

L’obiettivo del ragionamento di Pitruzzella è lottare contro la diffusione in rete delle notizie false. A suo giudizio, questa opera di smascheramento delle bufale è più efficace se viene affidata agli Stati. «Ritengo che dobbiamo fissare queste regole e che spetti farlo al settore pubblico», aggiunge il presidente dell’Autorità, evidenziando che gli utenti continuerebbero «a usare un Internet libero», ma beneficerebbero di un’entità «terza», indipendente dal governo, «pronta a intervenire rapidamente se l’interesse pubblico viene minacciato». «La post-verità - è la tesi centrale di Pitruzzella - è uno dei motori del populismo ed è una minaccia per le nostre democrazie». Ma è proprio sul tema del controllo della rete che Grillo sferra il suo attacco: «Vogliono fare un bel tribunale dell’inquisizione, controllato dai partiti di governo, che decida cosa è vero e cosa è falso». In serata, Pitruzzella torna sull’argomento su Skytg24: «La mia non è una proposta volta a creare forme di censura, ma a rafforzare la tutela dei diritti nella rete». Contro Grillo, il Presidente del Pd, Matteo Orfini: «Caro Beppe Grillo. Nessuno attacca la rete. Attacchiamo i cialtroni che la inondano di bufale e bugie. A proposito, ne conosci qualcuno?».

Un tema, quello delle fake news, centrale nel dibattito in Usa, soprattutto dopo il trionfo di Trump, ma che è stato rilanciato di recente anche in Italia dalle più alte cariche istituzionali. Dalla Presidente della Camera, Laura Boldrini, al capo dello Stato, da Giorgio Napolitano sino allo stesso premier ieri, tutti loro hanno espresso le loro preoccupazioni circa il clima violento e incontrollato che si sviluppa sui social, che spesso arriva a produrre odio e violenza. A tutti loro, Grillo replica secco, ritagliandosi il ruolo di difensore dell’autonomia del web. «Il premier fotocopia Gentiloni ieri ha detto che gli strappi nel tessuto sociale del Paese sono causati anche da Internet. Per il sempregrigio Napolitano «la politica del click è mistificazione». Renzi è convinto di aver perso il referendum per colpa del web. I travestiti morali - prosegue l’ex comico - sono abituati alla TV, dove se vai con una scheda elettorale falsa i giornalisti ci credono, ma se lo fate sul web i cittadini ve lo dicono che siete dei cazzari, non prendetevela». E il post si chiude con un avvertimento: «Questo Blog non smetterà mai di scrivere e la Rete non si fermerà con un tribunale. Bloccate un social? Ne fioriranno altri dieci che non riuscirete a controllare. Le vostre post-cazzate non ci fermeranno».

Al di là della polemica, anche l’esecutivo si sta occupando concretamente di questo tema. Ma già emergono alcuni dissapori. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha proposto «la responsabilizzazione dei social network nel contrasto alla propaganda d’odio», chiedendo la «rimozione di quei contenuti che inneggiano a comportamenti violenti o a forme di discriminazione». In una lettera al Foglio, la replica del sottosegretario con delega alle Comunicazioni Antonello Giacomelli che avverte: «I milioni di cittadini che tutti i giorni usano Facebook o Youtube sanno benissimo come funzionano Facebook o Youtube e non credo accetterebbero l’idea che qualcuno preventivamente decidesse cosa pubblicare e cosa censurare».

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http://www.lastampa.it/2016/12/30/italia/politica/bufale-online-nuova-polemica-dopo-le-parole-dellanitrust-beppe-grillo-volete-linquisizione-lylz9ZnmV1FDX72DTd9tDO/pagina.html
5816  Forum Pubblico / L'ITALIA DEMOCRATICA e INDIPENDENTE è in PERICOLO. / ALBERTO CUSTODERO. Bufale in Rete, proposta Grillo Una giuria popolare per ... inserito:: Gennaio 03, 2017, 08:49:58 pm
Bufale in Rete, proposta Grillo: "Una giuria popolare per 'smascherare' media"
Mentana: "Querelo, offesa non sanabile". Critiche bipartisan, Fi: "Vuole imporre la mordacchia ai media". Pd: "Somiglia a Paolini".
Si: "Suo modello Erdogan". Fnsi: "Linciaggio mediatico contro tutti i giornalisti"


Di ALBERTO CUSTODERO
03 gennaio 2017

ROMA - "Propongo non un tribunale governativo, ma una giuria popolare che determini la veridicità delle notizie pubblicate dai media. Cittadini scelti a sorte a cui vengono sottoposti gli articoli dei giornali e i servizi dei telegiornali". È la proposta avanzata da Beppe Grillo sul suo blog. Ma per questo suo post dal titolo "Una giuria popolare per le balle dei media" sarà querelato dal direttore del tg La7, Enrico Mentana. Critiche bipartisan dal mondo politici. Interviene l'Fnsi.

Mentana: "Offesa non sanabile". "In attesa della giuria popolare - annuncia su Facebook il direttore del tg La7 - chiedo a Grillo di trovarsi intanto un avvocato. Fabbricatori di notizie false è un'offesa non sanabile a tutti i lavoratori del tg che dirigo, e a me che ne ho la responsabilità di legge. Ne risponderà in sede penale e civile". Sul blog beppegrillo.It l'accusa - generica - lanciata dal leader del M5s è accompagnata da un fotomontaggio di testate giornalistiche che comprende il logo del telegiornale diretto appunto da Mentana.

Critiche bipartisan dalla politica. L'iniziativa di Grillo ha suscitato critiche bipartisan da parte del mondo della politica. Per il senatore di Forza Italia, Francesco Giro, "Grillo vuole imporre la mordacchia alla stampa e ai tg. Prima assolve tutti gli indagati del suo Movimento e ora vuole colpire i giornalisti: sembra terrorizzato dallo tsunami che presto si abbatterà sul Campidoglio". "Minculpop 2.0", dice il deputato forzista Luca Squeri. Per Stefano Pedica, deputato pd, il leader 5 Stelle "più tempo passa più somiglia a Paolini, il disturbatore televisivo. Ma i nuovi giudici dovranno prima giurare sul Codice comico del M5s o su quello del mago Otelma?". Vanna Iori, deputata dem: "Grillo censore, pericolosa deriva oscurantista". Arturo Scotto, capogruppo di Sinistra italiana alla Camera, chiede: "Grillo spieghi se suo modello è Erdogan".

Fnsi: "Linciaggio mediatico". "Se fosse approvata la proposta di Grillo l’Italia non occuperebbe più il 77°, ma il 154° posto nella classifica sulla libertà di stampa nel mondo". È il commento del segretario generale e del presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti. "Quello che il leader del M5s fa finta di non capire - aggiungono - lanciandosi in un linciaggio mediatico di stampo qualunquista contro tutti i giornalisti, è che sono le minacce e le intimidazioni, come quelle che lui velatamente lascia trasparire, a far precipitare il Paese nelle classifiche internazionali".

L'allarme bufale o fake news. Dopo le elezioni americane e la vittoria di Donald Trump, il dibattito si è intensificato. Le false notizie sui social - fake news o bufale - sono trattate oggi alla stregua di una minaccia contro la democrazia. Nei giorni scorsi Grillo aveva attaccato il presidente dell'Antitrust Giovanni Pitruzzella che al Financial Times, a proposito delle bufale nel web, aveva parlato della necessità di "una rete di organismi nazionali indipendenti capace di identificare e rimuovere le notizie false". "Post verità nuova inquisizione", era la dura critica del leader 5 Stelle al quale il capo dell'Antitrust aveva replicato sostenendo: "Nessuna censura, la Rete deve essere credibile". Ora il cofondatore del Movimento, estremo difensore della Rete senza regole e della democrazia in Rete, torna sull'argomento rilanciando le accuse (di pubblicare bufale) a giornali e tv.
   
Grillo: "Se notizia falsa direttore si scusi". Ecco i passi principali del post sul blog di Beppe Grillo dal titolo "Una giuria popolare per le balle dei media". "Se una notizia viene dichiarata falsa - si legge - il direttore della testata, a capo chino, deve fare pubbliche scuse e riportare la versione corretta dandole la massima evidenza in apertura del telegiornale o in prima pagina se cartaceo. Così forse abbandoneremo il 77mo posto nella classifica mondiale per la libertà di stampa", spiega Grillo.

Grillo: "Tutti contro Internet". "Prima Renzi, Gentiloni, Napolitano e Pitruzzella, poi il ministro della Giustizia Orlando e infine il presidente Mattarella nel suo discorso di fine anno", prosegue Grillo nel suo blog. "Tutti puntano il dito sulle balle che girano sul web, sull'esigenza di ristabilire la verità tramite il nuovo tribunale dell'inquisizione proposto dal presidente dell'Antitrust. Così il governo decide cosa è vero e cosa è falso su Internet".

Grillo: "Chi pensa alle balle di giornali e tv?". "E alle balle propinate ogni giorno da tv e giornali - continua il leader 5 Stelle - chi ci pensa? Il quotidiano La Stampa ha diffuso un articolo sulla fantomatica propaganda M5s capitanata da Beatrice Di Maio, notizia ripresa da tutti i giornali e i tg, poi si è scoperto che era tutto falso. La Stampa non ha chiesto neppure scusa - sottolinea il cofondatore del Movimento - e nessuna sanzione è stata applicata nei suoi confronti, né degli altri giornali e telegiornali che hanno ripreso la bufala senza fare opportune verifiche.

Grillo: "La bufala di oggi". "Poi fresca di oggi - continua Grillo - la bufala in prima pagina del Giornale di Berlusconi: 'Affari a 5 stelle. Grillo vuole una banca'. Una falsità totale che stravolge un fatto vero, ossia che Davide Casaleggio ha accettato di incontrare l'Ad di una banca online che ha ricevuto vari premi per l'innovazione tecnologica utilizzando il web per scambiare esperienze e idee sula Rete e sulle sue possibilità, così come incontra decine di aziende innovative. Capite come lavorano i media?" Insomma, conclude Grillo, "i giornali e i tg sono i primi fabbricatori di notizie false nel Paese con lo scopo di far mantenere il potere a chi lo detiene. Sono le loro notizie che devono essere controllate".


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03 gennaio 2017

DA - http://www.repubblica.it/politica/2017/01/03/news/m5s_proposta_grillo_una_giuria_popolare_per_smascherare_media_-155334540/?ref=HREA-1
5817  Forum Pubblico / MONDO DEL LAVORO, CAPITALISMO, SOCIALISMO, LIBERISMO. / LUIGI GRASSIA. Allarme lavoro, entro vent’anni scompariranno cinque settori inserito:: Gennaio 03, 2017, 08:45:40 pm
Allarme lavoro, entro vent’anni scompariranno cinque settori   
Addio ad autofficine, produttori di componenti industriali, agenzie di viaggio, venditori di polizze e consulenti finanziari
Le agenzie di viaggio perdono mercato a vantaggio delle vendite online

Pubblicato il 02/01/2017
Ultima modifica il 02/01/2017 alle ore 01:30
LUIGI GRASSIA

I guru ci garantiscono che la tecnologia distrugge vecchi lavori ma ne crea nuovi. Gli scettici, a costo di passare per luddisti, osservano che la distruzione di posti di lavoro è certa, mentre la creazione di impieghi sostitutivi è un atto di fede, e comunque tra i due fenomeni c’è una sfasatura temporale intollerabile per chi ci casca dentro. 
 
Senza prendere posizione diretta in questa polemica, il prestigioso Financial Times, bibbia dell’economia globale, scrive che entro dieci o vent’anni cinque settori economici saranno schiantati dalla tecnologia: spariranno, o quasi, le agenzie di viaggio (e fin qui la profezia è facile) ma anche i produttori di componenti industriali (un comparto essenziale dell’economia italiana), le officine auto, i venditori di polizze Rc e (addirittura) i consulenti finanziari. Un presidio di operatori umani resterà in ciascuno di questi settori economici ma ridotto all’osso. E la cosa notevole è che a tramontare non saranno solo attività manuali ma anche professioni altamente qualificate nel terziario. C’è da crederci? E quali saranno le conseguenze?
 
Partiamo dalle agenzie di viaggio. Negli Stati Uniti il loro numero si è quasi dimezzato dal 1990 a oggi, sostituite dalla compravendita di servizi turistici online, e secondo le previsioni del governo diminuiranno di un altro 12% entro il 2024. E la rivoluzione digitale non travolgerà solo i negozi indipendenti che presidiano il territorio ma anche i grandi tour operator, cioè i gruppi che vendono i pacchetti turistici tramite le agenzie; saranno costretti a cambiare attività in maniera sostanziale, e il top manager di un colosso del settore dice: «Dovremo sempre meno vendere viaggi e vacanze e sempre più possedere e gestire alberghi e navi da crociera».
 
Le stampanti 3D 
Ancora più devastante sarà l’impatto delle stampanti 3D: i produttori di componenti industriali rischiano di perdere il 60% del mercato entro dieci anni, perché le grandi aziende della meccanica potranno stampare quasi tutto in casa. Una brutta botta, ad esempio, per chi fabbrica componenti per auto in Italia (che spesso vengono esportati). Si salveranno - per un po’ - solo i produttori più sofisticati. E ancora non basta. Sempre nel comparto auto, il proliferare delle vetture elettriche farà crollare del 90% la richiesta di riparazioni in garage, perché la manutenzione dei motori elettrici è più semplice.
  (La componentistica è un settore minacciato dalle stampanti 3D) 
 
Tesi ardita o provocazione 
Una tesi ardita, quasi una provocazione, riguarda le automobili senza conducente: faranno sparire gli incidenti stradali e questo renderà inutili gli assicuratori di veicoli a motore. C’è da crederci? Per adesso le vetture che si guidano da sole fanno notizia proprio per il motivo contrario, cioè quando si sfasciano. Certo miglioreranno. Ma l’idea di base potrà mai piacere davvero? Milioni di automobilisti considerano un’intollerabile offesa alla loro identità virile anche solo l’idea del cambio automatico; e invece accetteranno di automatizzare tutto? Qualche dubbio è lecito.

(Con le vetture senza conducente spariranno le Rc Auto) 
 
Sostituzione di impieghi 
La quinta e ultima previsione riguarda la consulenza finanziaria: sarà sempre più affidata a siti web che gestiscono i portafogli dei clienti sulla base di algoritmi. Così una miriade di intermediari strapagati perderà la sua ragion d’essere. E va beh. E queste persone e tutte le altre che perdono il posto che cosa faranno? Altre professioni che nasceranno entro una generazione o due? E nel frattempo, giorno per giorno, che cosa si mangia?
 
Carlo Dell’Aringa, docente di Economia dell’impresa e del lavoro alla Cattolica di Milano, non si iscrive fra i guru che pensano che il passaggio sia indolore, ma ritiene che «nuovi lavori ci saranno sempre» e punta l’attenzione sul fatto che il mondo futuro sta già nascendo: «La “sharing economy”, o consumo collaborativo, è una realtà». Sì ma produce anche reddito? Stipendi? «Crea anche un fabbisogno di manodopera, ma soprattutto premia la capacità di iniziativa imprenditoriale. Certo così rischia di ampliarsi il divario fra chi ha queste capacità e chi non le ha. È un fenomeno di divaricazione e di polarizzazione sociale», dice Dell’Aringa. Enorme problema. Questa polarizzazione è sostenibile politicamente? O già si avverte una reazione di rigetto che farà saltare tutto? «Sono indispensabili politiche di redistribuzione del reddito. Non dico solo politiche di welfare ma proprio di redistribuzione. Però senza scoraggiare lo spirito d’impresa». Un equilibrio tutto da inventare.
 
(Siti web con algoritmi potranno prendere il posto dei consulenti finanziari) 
 
Ricette sbagliate 
Domenico De Masi, docente di Sociologia del lavoro alla Sapienza di Roma, sta per pubblicare un libro dal titolo provocatorio: “Lavorare gratis, lavorare tutti”. Dice che «il sistema attuale non è sostenibile. La nuova ondata della robotica distruggerà il triplo del lavoro che hanno distrutto le precedenti ondate di innovazione». De Masi ritiene che le ricette che propongono gli economisti e i politici vadano addirittura capovolte. «Non bisogna aumentare la produttività riducendo il personale. Il problema di oggi e di domani non è la produzione (ce n’è già troppa), il problema è la mancanza di consumi. Meno lavoratori significa meno consumatori. Invece il numero dei lavoratori (e dei consumatori) deve aumentare. Bisogna ridurre a 35 o 36 ore l’orario di lavoro». E a chi obietta che in Francia non ha funzionato? «Ha funzionato benissimo, infatti la Francia ha 4 punti meno di disoccupazione rispetto a noi. Anzi ha funzionato così bene che quando si è prospettato il ritorno a 40 ore sono stati proprio i datori di lavoro a opporsi». De Masi dice pure peste e corna sul taglio delle tasse: «In tempo di crisi non devono diminuire, semmai devono aumentare per finanziare investimenti pubblici. Le tasse sono l’unico sistema per trasferire reddito dai ricchi ai poveri, che appena hanno un euro in tasca in più lo consumano. La lezione di Keynes è validissima. Purtroppo l’abbiamo buttata a mare».

Da - http://www.lastampa.it/2017/01/02/economia/allarme-lavoro-entro-ventanni-addio-a-cinque-settori-economici-v5Dgh8gMm3X42s7ymraOWO/pagina.html
5818  Forum Pubblico / ESTERO fino al 18 agosto 2022. / ANNA ZAFESOVA. Sorpresa: la Russia scopre il fascino della cortesia. inserito:: Gennaio 03, 2017, 08:44:00 pm
Sorpresa: la Russia scopre il fascino della cortesia   
Dalle reazioni muscolari al savoir faire, una metamorfosi che non è solo diplomatica

Pubblicato il 02/01/2017
Ultima modifica il 02/01/2017 alle ore 18:40
ANNA ZAFESOVA

La notte di Capodanno, cinque minuti prima della mezzanotte, il presidente russo parla a reti unificate al suo popolo, ed è con lui che i russi fanno il brindisi dell’anno nuovo. Nel 2016 Vladimir Putin ha proposto ai suoi concittadini di «diventare un pochino maghi», mostrandosi rispettosi e premurosi verso i propri cari. Ma il vero messaggio di bontà prefestiva il capo del Cremlino l’ha lanciato il giorno prima, perdonando a Barack Obama le nuove sanzioni contro la Russia, e rinunciando alla simmetrica rappresaglia di espellere 35 diplomatici americani da Mosca, considerata inevitabile e scontata da tutte le regole diplomatiche. Un colpo da gran maestro di scacchi politici, hanno convenuto i commentatori, che ha declassato la decisione di Obama a un dispetto, ignorato con benevolenza da un leader che si considera più forte. Ma soprattutto una rottura completa con quello che era il personaggio politico di Putin.
 
Il vecchio Vladimir 
Dopo la strage nella scuola di Beslan, nel 2004, Putin aveva reagito abolendo le elezioni dei governatori, che sarebbero stati nominati dal presidente invece del voto popolare. Dopo che, nel 2013, il Congresso Usa votò la lista Magnitsky - un elenco di funzionari della giustizia russa sanzionati per aver contribuito alla morte in carcere dell’avvocato che ne aveva denunciato gli schemi di corruzione - la Duma aveva risposto proibendo l’adozione degli orfani russi nelle famiglie americane. Quando, dopo l’abbattimento del Boeing malese sopra il Donbass nel luglio del 2014, americani ed europei avevano colpito politici e generali russi - un totale di circa 150 persone, più una decina di aziende considerate cruciali per il finanziamento del sistema - con sanzioni più pesanti di quelle inflitte prima per l’annessione della Crimea la risposta del presidente russo furono le “controsanzioni”, il divieto a importare in Russia quasi tutti i generi alimentari occidentali. Il Cremlino di Putin ha sempre interpretato il principio dell’occhio per occhio in maniera molto elastica, mediamente rispondendo con una rappresaglia di scala molto più vasta, con “punizioni” che colpivano migliaia o milioni di persone, anche e soprattutto russi. Anche stavolta ci si aspettava una reazione rapida e pesante: la Cnn dava per imminente la chiusura della scuola americana a Mosca, esperti informatici il bando dei social network made in Usa (i cui messenger proprio quel giorno erano stati proibiti ai funzionari statali di Kaliningrad). 
 
La lista nel cestino 
Invece, non è successo niente. Il Capodanno non è stato rovinato dalle immagini di bambini in lacrime sfrattati dalla scuola, i social non si sono oscurati, il ministro degli Esteri Lavrov ha buttato nel cestino la lista di diplomatici americani da espellere che aveva già preparato. Putin ha deciso di essere imprevedibile, anche se questo implicava l’apparire buono. O perlomeno cortese, come recita la scritta su una delle t-shirt più popolari che raffigurano il leader russo: «Il presidente più cortese». Anche se in questo caso l’allusione contiene del sarcasmo, facendo riferimento agli “uomini educati” in “uniformi senza insegne” che alla fine di febbraio 2014 apparvero in Crimea per strapparla, in maniera efficiente e indolore, all’Ucraina. I famosi omini verdi, che poi lo stesso Putin ammise essere militari russi dei reparti speciali, venivano decantati dai media come «educati e cortesi», e il tormentone, all’inizio ironico, presto è diventato ufficiale. 
 
Una linea di abbigliamento 
Pochi giorni dopo il ministero della Difesa russo ha brevettato il marchio Vezhlivye Liudi, uomini cortesi, lanciando una linea di abbigliamento sportivo che viene venduta con un certo successo. Il coro Alexandrov - più conosciuto come il Coro dell’Armata Rossa - ha prodotto una canzone dal titolo Uomini cortesi, il cui autore Anton Gubankov è diventato capo del dipartimento della Cultura della Difesa ed è morto sull’aereo che portava cantanti e ballerini a esibirsi davanti ai soldati in Siria, il giorno di Natale del 2016. In Crimea è stato inaugurato un monumento agli Uomini cortesi, che raffigura un soldato russo accolto da una bambina con un mazzo di fiori e un gattino che si struscia ai suoi piedi. E il ministero della Difesa ha indetto nell’esercito un concorso di educazione, per elevare gli standard comportamentali dei soldati.
 

Il monumento agli Uomini cortesi in Crimea 
 
Cortesia e forza 
Da meme di Internet a propaganda non esattamente raffinata, la campagna pro-gentilezza ha però segnato una svolta importante. La cortesia come segno di forza. Una rottura culturale non irrilevante, in un mondo dove colui che comanda - dalla scuola alla caserma al governo - tradizionalmente deve dimostrare di essere inflessibile, e ogni cedimento può venire interpretato come debolezza. La popolarità di Vladimir Putin schizzò subito alle stelle quando, nell’autunno 1999, promise in tv di «ammazzare i terroristi nel cesso», mentre Mikhail Gorbaciov rimane ancora il leader più disprezzato dai russi perché «debole». Molti russi teorizzano la necessità di venire governati da un pugno di ferro, pena l’anarchia, e molti ex sovietici rimpiangono la guerra fredda quando «venivamo rispettati perché temuti». 
 
Paura e rispetto 
Si potrebbero scrivere volumi di psicologia sulla tendenza a confondere paura e rispetto, ma sicuramente si tratta di una radice importante della cultura russa, che continua ad ammirare uno zar che come soprannome aveva Temibile (tradotto nelle lingue europee come «terribile») e un dittatore il cui pseudonimo si richiamava all’acciaio (Stalin viene da stal’, acciaio) e che, pur non essendosi guadagnato l’appellativo di terribile, se lo sarebbe meritato. U na gerarchia verticale dove il capobranco non perdona mai, e lo stesso Putin vi ha fatto cenno spiegando perché aveva iniziato la guerra in Siria: «La vita in strada mi ha insegnato che quando una rissa è inevitabile bisogna picchiare per primo».
 
La legge delle gang 
La legge delle gang di quartiere nella Leningrado del dopoguerra, dove il piccolo Vladimir si era fatto strada a colpi di pugni, dopo aver subito le vessazioni dei ragazzi più grandi e robusti, è la stessa regola che fa da molla al nonnismo e alla mafia, e molti commentatori - ovviamente di opposizione - hanno attribuito a questa formazione il bullismo della Russia degli ultimi anni. «È la logica dei ragazzi del cortile, prima aggredire il più pesante possibile, per poi fare una marcia indietro ma comunque guadagnare terreno», è la descrizione del rapporto con l’Occidente data dall’ex deputato Ilya Ponomariov. Il politologo Stanislav Belkovsky ha costruito sulla teoria del ragazzo da strada tutta una teoria del putinismo come visione del mondo che il presidente condivide con una buona fetta dei suoi concittadini: come lui disprezzano il buonismo europeo considerato una debolezza, come lui ritengono la tolleranza europea (per esempio, nei confronti degli immigrati e dei gay) un sinonimo di «anarchia onnipermissiva». Anche se, a dire il vero, il presidente russo spesso viene dipinto più brutale di quanto non sia, come dimostrano le bufale che gli vengono attribuite su Internet, tipo la frase (falsa) «Perdonare i terroristi è compito di Dio, il mio compito è spedirli da lui». Ma è questo il Putin che piace, in patria come all’estero.
 
Strisce pedonali 
La propaganda continua a promuovere modelli di durezza e inflessibilità, a inneggiare alle vittorie militari e presentare la «liberazione di Aleppo» come un’impresa eroica. Ma qualcosa è cambiato. A Mosca le berline di lusso frenano davanti alle strisce pedonali ed è diventata buona regola tenere la porta della metropolitana, o di un negozio, davanti a chi viene dietro, invece di lasciarla andare senza guardarsi se andava a sbattere in faccia a qualcuno. Un cambiamento epocale, dopo anni in cui i pedoni venivano scansati da auto in corsa anche se attraversavano con il verde, con i guidatori che clacsonavano arroganti per cacciare gli sventurati che erano così poveri e sfigati da doversi spostare a piedi. 
 
Essere educati 
Gli stessi moscoviti sono un po’ sorpresi da questo cambiamento, che è nato dal nulla: all’improvviso essere educati è diventato di moda. Un paio d’anni fa, dicono molti, quasi con stupore. La rudezza delle relazioni interpersonali era considerata dai russi più liberali il tratto più insopportabile della Russia, e le leggendarie code che si formavano al primo McDonalds di piazza Pushkin non erano dovute tanto alle qualità dell’hamburger, quanto allo choc culturale di venire accolti da camerieri sorridenti e gentili. Un costume che sembrava più duro a cambiare delle regole politiche o dei consumi. Molti attribuiscono la nuova gentilezza a un progresso inevitabile: dopo anni di ricchezza e tranquillità arriva il bisogno di un benessere non solo materiale, e l’insicurezza aggressiva di un popolo che ha perso la sua identità nel crollo dell’Urss viene sostituita da un desiderio di normalità, in un passo verso l’Europa tanto disprezzata. Se non fosse che i moscoviti sostengono che essere civili ed educati diventò di moda all’improvviso un paio d’anni fa. Cioè all’epoca della Crimea. Quando la penisola ucraina fu annessa da uomini cortesi, il trauma postimperiale venne guarito e Vladimir Putin voltò le spalle all’Europa, come partner politico e modello di civiltà. Uno strano paradosso: la nuova Russia cortese potrebbe riservare delle sorprese.
   
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Da - http://www.lastampa.it/2017/01/02/esteri/la-russia-scopre-il-fascino-della-cortesia-UUK3x6VHMpOqthTnc1FCvI/pagina.html
5819  Forum Pubblico / Gli ITALIANI e la SOCIETA' INFESTATA da SFASCISTI, PREDONI e MAFIE. / Renzi e la fretta di andare a votare ad ogni costo inserito:: Gennaio 03, 2017, 08:42:28 pm
Renzi e la fretta di andare a votare ad ogni costo.
Un incrocio pericoloso con Mattarella

Pubblicato: 02/01/2017 20:14 CET Aggiornato: 4 ore fa


L’ossessione (di Matteo Renzi) si chiama voto. Anche senza primarie o senza uno “schema politico” o una nuova visione, dopo la frana del 4 dicembre. Per tornare presto in scena perché, spiegano i suoi, “il tempo gioca a suo sfavore”. Voto, anche giocando al limite col Quirinale.

Ecco che, ventiquattr’ore dopo il discorso di Sergio Mattarella, il primo falco renziano che vola sulle urne di giugno è Matteo Orfini, presidente del Pd. Che in un’intervista al Corriere, nel giorno in cui sui giornali va il discorso del capo dello Stato, dice senza tante diplomazie: “Se riusciamo a far partire la nostra road map si può votare a giugno con una nuova legge. Qualora invece gli altri partiti ci lasciassero soli nel tentativo sincero di cambiarla, dovremmo sperare che il doppio Consultellum sia il più possibile omogeneo. Inevitabilmente si voterebbe con i sistemi indicati dalla Corte costituzionale e non certo per responsabilità del Pd”.

Significa che, alla ripresa, il Pd farà un giro di incontri, con scarsa convinzione, con le altre forze politiche. Più per dimostrare che ogni sforzo è stato tentato che per cercare un’intesa. Base di partenza, il Mattarellum, legge dall’impianto maggioritario. Se va a vuoto, c’è la legge che verrà partorita dalla sentenza della Corte. Che Orfini spera produca il cosiddetto Consultellum, ovvero un proporzionale molto simile alla prima Repubblica, praticamente la filosofia opposta al Mattarellum.

Proporzionale, maggioritario. L’una o l’altra pari sono, anche se funzionano in modo opposto. Perché l’unico schema è la fretta. Il pressing più che ricerca di interlocutori in Parlamento. La velocità più che il disegno. O meglio, il disegno di potere più che il disegno politico, dove l’ossessione del voto coincide con l’ossessione della stanza dei bottoni - palazzo Chigi – perché “con quel 40 per cento comunque Renzi arriva primo e l’incarico lo danno a lui”: “Tutto – sussurra a microfoni spenti un democrat di rango – è funzionale a far tornare presto in campo Matteo. Non può stare fuori e non può arrivare così alle amministrative di primavera, dove si vota in mille comuni. Se non si vota a giugno si arriva al 2018 e chissà se ci arriva candidato”.

Anche le parole e gli avverbi dell’intervista di Orfini (“inevitabilmente si voterà coi sistemi indicati dalla Corte”) incrociano pericolosamente quelle di Sergio Mattarella. Il quale, nel discorso di fine anno, ha fatto intendere che votare con due sistemi dissimili per Camera e Senato produrrebbe “un alto rischio di ingovernabilità”. E che è necessario uniformare il sistema. Prima o dopo la sentenza della Corte che al momento è imprevedibile e non è detto che produca ciò che il gruppo dirigente del Pd auspica. Dopodiché sarà possibile sciogliere senza indugio se lo chiederanno i partiti, anche a giugno.

L’incrocio pericoloso non è tra Mattarella che non vuole sciogliere e il Pd che chiede lo scioglimento. È tra Mattarella che chiede un sistema ordinato tra le due Camere (prima di sciogliere) e il Pd che invece di rimuovere gli ostacoli che si frappongono a uno svolgimento ordinato del voto procede a strappi. Anche in nome di Mattarella: “Siamo noi – dice Orfini all’HuffPost - il partito pro Mattarella, che vuole fare la legge elettorale. Quelli che citano il Quirinale senza agire in realtà vogliono solo allungare legislatura”. E Lorenzo Guerini, colomba renziana: “L’iniziativa del Pd per un confronto immediato con tutte le forza politiche sulla legge elettorale è il modo più serio e responsabile per raccogliere gli auspici indicati dal presidente della Repubblica”.

Tradotto: il Pd proverà a utilizzare questo paio di settimane per dire che ce l’ha messa tutta per trovare un’intesa come chiesto dal capo dello Stato, ma che purtroppo non tutti hanno avuto lo stesso senso di “responsabilità” e dunque, non resta altra strada che andare al voto con quel che dice la Corte. Anche se nessuno è in grado di dire se dalla Corte uscirà un sistema uniforme tra Camera e Senato o che sistema uscirà. La sensazione è che il vero incrocio pericoloso, col Quirinale, ci sarà allora, se da un lato l’unico schema sarà la fretta e dal Colle si continuerà a chiedere un sistema uniforme.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2017/01/02/matteo-renzi_n_13930088.html?utm_hp
5820  Forum Pubblico / AUTRICI e OPINIONISTE. / ALESSANDRA LONGO. Giuseppe De Rita: "Grillo? Loda i poveri chi povero non è. inserito:: Gennaio 02, 2017, 06:58:24 pm

Giuseppe De Rita: "Grillo? Loda i poveri chi povero non è.
La nostra identità si fonda sulla crescita"
Il fondatore del Censis contesta l'ideologia del minimo necessario, rilanciata dal leader M5S il giorno di Natale con un testo di Parise pubblicato sul suo blog

Di ALESSANDRA LONGO
28 dicembre 2016

ROMA - La povertà "come ideologia nazionale", la povertà come filosofia "politica ed economica ". Il Grillo natalizio si lancia in un elogio del "minimo e necessario ", attingendo ad un Goffredo Parise del 1974, anno di preausterity berlingueriana. È il mito Cinque Stelle della decrescita felice che riaffiora nel "manifesto" di fine anno, accanto alla linea cupa e muscolare sull'immigrazione. Ma povero è davvero bello?

Lo chiediamo a Giuseppe De Rita, fondatore del Censis, che risponde con l'esperienza del sociologo e la saggezza dei suoi 84 anni: "I cantori dei poveri non sono mai i poveri. I poveri non cantano...". Serge Latouche, padre della decrescita felice, non è nelle corde del professore: "No, non credo alla decrescita felice. Questo Paese ha formato la sua identità sulla crescita, la decrescita significherebbe perdita di identità. Sono francamente sorpreso dall'uscita di Grillo".

Professore, di questi tempi è raro che la politica parli di povertà, non le pare?
"Indubbiamente non capita spesso ma devo specificare che povertà non è la parola giusta per descrivere la società italiana di oggi".

Qual è la parola giusta?
"Sono due, non una: sobrietà e arbitraggio. La sobrietà nasce dalla stanchezza per l'edonismo consumista, dalla casa piena di cose, dalla crisi iniziata nel 2007. Noi del Censis l'abbiamo definita, due o tre anni fa, la riscoperta dello scheletro contadino dell'Italia, una spina dorsale forte, piedi per terra e cervello fino. Né povertà né consumismo illusorio".

E l'arbitraggio?
"Gli italiani adesso arbitrano su tutto, fanno la spesa pensando a che cosa serve e a che cosa non serve, meglio le scarpe dei vestiti, di cui abbiamo pieni gli armadi, meglio i voli low cost, i bed and breakfast, meglio fare la spesa per la famiglia al discount... ".

Ma non sono poveri.

"No. Il ciclo dei grandi investimenti, degli operai che diventavano piccoli imprenditori, l'affermazione del ceto medio, gli acquisti della prima e della seconda casa, i 40 anni fiammeggianti della crescita, tutto questo è finito. Oggi il grande risparmio, che pure c'è, viene usato per creare altro risparmio, il patrimonio, che pure c'è, viene messo a reddito. Non c'è un modello nuovo, c'è un momento di sospensione in continuità culturale con quello precedente".

Gli italiani sobri, come li definisce il Censis, non sembrano contenti, anzi.
"In effetti è così: sobri, arbitri attenti dei propri consumi, ma non propriamente allegri".

Grillo li vorrebbe più poveri e felici.
"La sua sortita mi sorprende. Uno come lui, con il fiuto dell'attore comico, ha sempre saputo interpretare bene le emozioni, anche quelle identitarie, prova ne è il Vaffa. Stupisce che Grillo dica agli italiani: "Siate miserrimi!". Poi magari mi sbaglio, visto che lui raddoppia i voti. Magari intercetta pulsioni alla povertà che io non vedo".

Meno consumi, meno tutto: l'apologia dell'essenziale.
"Ah sì certo. La sconfitta elettorale può essere "meravigliosa", la povertà bella... È come se in un angolo del grillino medio ci fosse sempre una "base liquida", un'attitudine a rendere le cose commoventi e in quanto commoventi belle".

Lei, invece, non si commuove pensando alla decrescita felice.
"Non ci ho mai creduto. Abbiamo un'identità di Paese costruita sulla crescita. Persino i cinesi, quando sono sbarcati a Prato, hanno fiutato la nostra identità. Abbiamo avviato ora una fase diversa, di sobrietà e arbitraggio, ma siamo in linea con il modello identitario ".

Roma ha già voltato pagina: Natale all'osso, artisti di strada non pagati, poche luci, pochi mezzi di trasporto. Modello pauperista.
"Non parlo di Roma, ho 84 anni, rischio di sentirmi male, mi viene uno stranguglione...".

Non sarà che certe riflessioni sulla povertà
"Infatti, predicare la povertà è molto consumista".

In che senso?
"Per esempio noi, partendo da Grillo, stiamo usando la parola povertà e abbiamo consumato una pagina di giornale...".

© Riproduzione riservata
28 dicembre 2016

http://www.repubblica.it/politica/2016/12/28/news/giuseppe_de_rita_grillo_loda_i_poveri_chi_povero_non_e_la_nostra_identita_si_fonda_sulla_crescita_-154999886/
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