PRODI

<< < (19/24) > >>

Admin:
L'ultima cena di Prodi

E la polemica con la Sinistra

«Walter fa bene a correre da solo»


È la sua ultima cena. A cinque giorni dal voto, Romano Prodi si congeda da Palazzo Chigi con una serata insieme al suo staff. Chitarra, vecchie canzoni di Bob Dylan e tanti ricordi – così racconta La Stampa - e qualche sassolino che se ne va dalla scarpa. Tre mesi fa cadeva il suo esecutivo e tutti a dare la colpa a Mastella, al suo partitino da tre senatori che ha fatto svanire il sogno del governo dell’Unione.

Ma ora è lo stesso premier a dare la sua versione. Una versione articolata in tre punti. Primo, «Mastella ha tradito, non c'è dubbio. E il modo in cui l'ha fatto dimostra mancanza di senso dello Stato, ma la vera responsabilità politica non è stata la sua». Secondo, «La responsabilità politica della crisi è stata di chi ha minato continuamente l'azione del governo, di chi ha fatto certe dichiarazioni istituzionali opinabili...». Terzo, «Walter ha fatto la cosa giusta: correre da soli».

Non lo nomina nemmeno una volta, né lui né il suo partito. Ma il profluvio di reazioni arrivate il giorno dopo dalla Sinistra Arcobaleno, lasciano pochi dubbi. Quel nome l’hanno capito tutti. È lo stesso Fausto Bertinotti a chiamarsi in causa. «La mia analisi sulla caduta del governo Prodi – spiega il presidente della Camera – differisce totalmente da quella del presidente del Consiglio. Il suo governo è caduto perché sono venute a mancargli le basi di consenso di massa. Perché è caduto nella trappola della politica dei due tempi, prima il risanamento e poi la giustizia sociale che però non viene mai. E il governo ha subito il condizionamento delle forze moderate, come Dini e Mastella, che lo hanno fatto cadere». E si dispiace: «È più grave il dimostrare di non aver capito la ragione della crisi del suo governo piuttosto che averla subita».

Tra i ministri che affiancarono Romano Prodi a Palazzo Chigi, ci sono anche Paolo Ferrero e Fabio Mussi che ora pesano il macigno delle sue dichiarazioni. Mussi quasi non ci vuole credere: nell’articolo de La Stampa, rileva, «si riportano frasi attribuite a Prodi non virgolettate: bisogna che Prodi confermi o smentisca». E fa notare che i «nostri ministri non sono mai scesi in piazza contro il governo e non abbiamo mai votato contro il governo». Ferrero, titolare della Solidarietà Sociale nell’esecutivo Prodi, «è stato Walter Veltroni a voler rompere a sinistra, salvo oggi piangere lacrime di coccodrillo».

Attaccano Veltroni anche la senatrice verde Loredana De Petris («ha cominciato la sua campagna elettorale già un mese prima della caduta dell'esecutivo»), il capogruppo Prc al Senato, Giovanni Russo Spena («il Pd cerca in ogni modo di screditare la Sinistra e sono certo che non ci riuscirà»), Franco Giordano, Titti Di Salvo, Manuela Palermi, Pino Sgobio, Angelo Bonelli. E perfino Prodi si lascia scappare l’amaro in bocca: «È davvero strano per me non aver fatto campagna elettorale».

In tutto questo marasma, l’unico a gigioneggiare è lo “sdoganato” Clemente Mastella. «Caro Romano – gli scrive in una lettera – non sono io ad averti tradito, ma chi ha lavorato per mandarti a casa logorando la tua e la nostra azione di governo».

Pubblicato il: 08.04.08
Modificato il: 08.04.08 alle ore 14.46   
© l'Unità.

Admin:
8/4/2008 (6:55) - IL RETROSCENA

Prodi, addio cantando Bob Dylan
 
Silvio Sircana, Romano Prodi e Arturo Parisi

Musica e politica, per il premier cena a Palazzo Chigi tra ricordi e chitarra: mi hanno fregato poteri forti e sinistra

FABIO MARTINI
ROMA


Da settimane e settimane Romano Prodi sublimava la sua delusione nel silenzio e anche l’ennesima giornata appartata si stava spegnendo senza patos. E invece, poco prima di mezzanotte, il Professore chiese al suo portavoce: «Dai Silvio, ce la fai “Blowin’ in the wind”?». Proprio così. Finita la cena, al piano nobile di palazzo Chigi, Prodi si è allentato il nodo della cravatta e in uno slancio di ritrovato buonumore, ha chiesto a Silvio Sircana di strimpellare la celebre canzone di Bob Dylan.

Sircana, che è un virtuoso della chitarra, ha tirato fuori lo strumento dal suo nascondiglio, ha saggiato le corde ed è partito: «How many roads must a man walk down...». Il Professore prima ha socchiuso le palpebre, poi si è messo a cantare pure lui: «How many times must a man look up...», per quanto tempo un uomo deve guardare in alto prima che riesca vedere il cielo? Finito Dylan, il chitarrista ha proposto “We shall overcome”, il Professore ha annuito e alla fine ha raccontato: «Mi ricordo benissimo, questa canzone Joan Baez la cantò ai funerali di Bob Kennedy, funerali persino più commoventi di quelli del fratello. Avevo 29 anni...».

Una sequenza da film sentimentale. Un presidente del Consiglio ormai fuori dalla mischia che nel cuore della notte si mette a intonare le canzoni della sua giovinezza è una scena che ha finito per toccare i ragazzi dell’Ufficio Stampa, che quella sera erano stati convocati da Prodi per un saluto finale. Qualcuno di loro guardava il soffitto per non commuoversi; qualcun altro era divertito e canticchiava; qualcun altro intuiva che stava per aprirsi una serata speciale. E così è stato. Protetto dalle mura amiche, alcuni giorni fa Prodi ha finalmente raccontato la sua versione dei fatti sulla caduta del governo. Certo, in pubblico finora si è ben guardato dal lanciare accuse e tantomeno si è prodotto in quel “grande sfogo” tanto atteso dai giornali. Prodi ci tiene troppo a non rinverdire la fama del rancoroso ed è riuscito a resistere alla tentazione di replicare alle quotidiane accuse di Silvio Berlusconi, ma anche di ricordare i misconosciuti meriti del suo governo.

Ma l’altra sera Prodi ha risposto senza rete alle domande dei ragazzi che nei 23 mesi precedenti avevano cercato di “fronteggiare” giornali e tv. Uno di loro ha chiesto: «Presidente, hai mai capito come mai i giornali “padronali” ti hanno osteggiato dal primo all’ultimo giorno?». Prodi ha sorriso: «Sai, me lo sono chiesto tante volte e alla fine ho trovato la risposta. Io ho vinto per due volte le elezioni, ma se sono riuscito a governare soltanto per 5 anni scarsi, questo mica è un caso. L’atteggiamento ostile dei giornali e dei loro proprietari si spiega così: io ero un’anomalia che non sono riusciti a riassorbire, ho urtato interessi di qua e di là e alla fine sono stato espulso!». Parole dure, amare di un professore orgoglioso, che ha provato a non rinunciare alla sua indipendenza rispetto ai poteri forti. Il mondo delle imprese. Gli Stati Uniti di Bush. Ma anche la Santa Romana Chiesa di Camillo Ruini: «Che paradosso, proprio io, che ho sempre avuto un rapporto così intenso e profondo con quel mondo...». E il suo pensiero va ad un passaggio che ha finito per restare cancellato nel racconto della crisi di governo. Era il 24 gennaio e la giornata - conclusa con la caduta dell’esecutivo - si aprì con una nota ufficiale del governo di smentita al presidente della Cei, il cardinale Bagnasco, sulla visita del Papa alla Sapienza. Uno scambio duro, uno dei più aspri nella storia recente tra la Chiesa e un governo italiano.

Certo, Prodi vanta fior d’amicizie tra i bancheri. Certo, l’autocritica è un genere sconosciuto al Professore e semmai la sua capacità analitica diventa penetrante nell’individuare i nemici. Tutti immaginano che Prodi ce l’abbia con Clemente Mastella, ma il Professore stupisce la tavolata: «Lui ha tradito, non c’è dubbio. E il modo in cui l’ha fatto dimostra mancanza di senso dello Stato: pensate l’ho cercato per due giorni, io avevo bisogno di fare almeno il cambio delle consegne al ministero di Giustizia. Ho chiesto persino a Diego Della Valle di trovarlo. Niente. Lui non aveva fatto male come ministro, ma la vera responsabilità politica non è stata la sua...». E di chi è stata? «Di chi ha minato continuamente l’azione del governo, di chi ha fatto certe dichiarazioni istituzionalmente opinabili...». Neppure tra i suoi, Prodi chiama per nome Fausto Bertinotti ma è a lui che pensa. Il Professore non ha dimenticato di essere stato paragonato ad un «poeta morente» e ad un fruitore di «brodini caldi» da colui che era - e ancora è - la terza carica dello Stato. E tanto gli brucia l’atteggiamento di Rifondazione comunista che Prodi, anche in privato, promuove Veltroni: «Walter ha fatto la scelta giusta: correre da soli». E il discreto feeling tra i due è confermato dal comizio in tandem che Prodi, il leader del Pd e il sindaco di Parigi Bertrand Delanoe, terranno domani in piazza Maggiore a Bologna. Anche se l’altra sera, il Professore confessava: «Davvero strano non aver potuto fare campagna elettorale...».

Un Prodi orgogliosamente solitario che racconta di non aver avuto timore neanche nello sfidare l’opinione del Capo dello Stato durante la crisi di governo: «Subito dopo aver parlato al Senato, ho ricevuto molte richieste, a tutti i livelli, per recarmi subito al Quirinale e dimettermi senza un voto. Ma per la mia dignità e per la dignità della politica ho tenuto duro sulla procedura più trasparente. Anche perché se avessi rinunciato al voto, avrei consentito ai Mastella e ai Dini di poter poi dire: Prodi si è dimesso, ma noi mica avremmo votato contro. La procedura trasparente ha inchiodato i responsabili e non è un caso che Mastella non sia stato candidabile da nessuno...». Zampate dell’antica cattiveria. Anche se venate da una certa malinconia. L’altra sera, oramai era passata mezzanotte, il Professore si è alzato, si è affacciato dalla finestra, ha visto la piazza vuota e poi ha chiesto a Sircana: «Fai Sound of Silence?».

da lastampa.it

Admin:
AMBIENTE L'INTERVENTO

Il mondo senza cibo un disastro evitabile

di ROMANO PRODI


CARO direttore,
dopo aver tanto parlato della crisi energetica e della crisi finanziaria ci siamo finalmente resi conto di un dramma ancora più grande e di conseguenze immediate per l'umanità: la crisi alimentare.

Miliardi di persone soprattutto in Africa, in Asia e in America centro-meridionale, sono colpiti da un progressivo e insostenibile rincaro di tutti i prodotti agricoli, dal grano alla soia, dal riso al mais, dal latte alla carne. Ogni giorno scoppiano rivolte e si ha notizie di repressioni.

Alcuni governi, come quello egiziano, sono costretti a impiegare nel sussidio del pane la gran parte delle risorse generate dalla buona crescita economica e in altri casi, come nel Corno d'Africa, nei paesi subsahariani e a Haiti non resta che la fame e la sempre più vicina prospettiva di una tragica carestia.

Alla base di questi aumenti di prezzi vi sono certo anche realtà positive, come il miglioramento della dieta in Cina, in India e in molti altri paesi. Per nutrirsi con la carne si impiega infatti una superficie di terreno di almeno cinque volte superiore di quanto richiesto da una nutrizione a base di cereali.

Vi sono altre realtà rispetto alle quali ben poco si può fare, come l'aumento dei prezzi dei carburanti e dei fertilizzanti necessari a produrre o trasportare i prodotti alimentari.

Ma vi è una decisione politica che sta aggravando in modo precipitoso la situazione ed è la progressiva sottrazione di suolo alla produzione di cibo per utilizzarlo a produrre biocarburanti. Sulla carta questo risponde al nobile scopo di attenuare la nostra dipendenza dalla benzina e dal gasolio nei trasporti e così facendo, ridurre l'impatto ambientale in termini di anidride carbonica. Purtroppo le cose non stanno così.

I più recenti studi (come quelli dell'Ocse e Royal Society) sostengono invece che con le tecnologie oggi impiegate per produrre biocarburanti, il bilancio energetico è solo marginalmente positivo o addirittura negativo. Il computo preciso dipende dalle specifiche realtà territoriali ma vi è chi autorevolmente sostiene (come le analisi apparse su National Resources Research) che l'energia impiegata per produrre biocarburanti sia negli Stati Uniti del 30% superiore all'energia prodotta.

Complessivamente un bel disastro sia dal punto di vista energetico che da quello ambientale. Ma il disastro ancora più grande è quello di mettere in conflitto il cibo con il carburante in un periodo già di scarsità. Un conflitto vero, tragico.

Per descriverlo in modo semplice e fortemente evocativo basta dire che il grano richiesto per riempire il serbatoio di un così detto Sport Utility Vehicle (Suv) con etanolo (240 chilogrammi di mais per 100 litri di etanolo) è sufficiente per nutrire una persona per un anno. E già siamo arrivati ad utilizzare per usi energetici intorno al 20% di tutta la superficie coltivata a mais negli Stati Uniti.

Una superficie più grande della Svizzera è stata sottratta di colpo alla produzione di cibo per effetto delle pressioni delle potenti lobby agricole e di una parte non informata o distratta di quelle ambientalistiche. E nel frattempo, come conseguenza, il prezzo della terra e dei fertilizzanti sale in tutto il mondo facendo a sua volta moltiplicare il prezzo dei prodotti alimentari. E questo fa scoppiare tumulti per la fame a Città del Messico, in Egitto, nel west Bengala, in Senegal, in Mauritania mentre la Fao ci dice che 36 paesi hanno oggi bisogno di urgenti spedizioni di grano e di riso.

Questo non comporta che la produzione di energie alternative vada del tutto cancellata perché vi sono situazioni in cui essa non è in diretta concorrenza con la produzione agricola, utilizzando terreni non alternativi a produzioni alimentari, aree boschive o biomasse. E soprattutto bisogna incentivare la ricerca sulla "seconda generazione" di biocarburanti, attraverso la selezione di nuove specie, attraverso una maggiore efficienza dei processi e l'utilizzazione di terre marginali (ad es. il bosco ceduo) non alternative all'agricoltura.

E' quindi necessario che i governi smettano di sovvenzionare gli agricoltori al fine di produrre meno cibo, obbligando i paesi poveri a svenarsi per assicurare il pane quotidiano a coloro che muoiono di fame. E bisogna che questo obiettivo venga tradotto subito in decisioni politiche. La prima di queste decisioni è di intervenire dove sono in corso i drammi maggiori.

Rendere quindi subito disponibili i 500 milioni di dollari richiesti per l'emergenza del Programma Alimentare Mondiale delle nazioni Unite e il miliardo e mezzo di dollari richiesto dalla Fao. Ma non si può non affrontare nel contempo il problema politico fondamentale, in modo da invertire l'aspettativa di ulteriori aumenti dei prodotti alimentari prima che i paesi che hanno produzione eccedente proibiscano (come hanno già cominciato a fare) l'esportazione di prodotti alimentari trasformando, con questo, l'attuale crisi in tragedia mondiale.

I due prossimi grandi appuntamenti internazionali, cioè la riunione della Fao a Roma e dei G8 in Giappone, debbono diventare il momento di discussione e di decisione di una nuova politica che fermi i danni dell'attuale politica e che possa redistribuire al mondo le risorse alimentari di cui ha bisogno.

Non sono decisioni facili, ma bisogna agire perché sia negli Stati Uniti che in Europa la produzione di carburante in concorrenza col cibo si fermi e gli incentivi vengano riservati agli studi e alle ricerche necessarie per arrivare alla produzione di biocarburanti di nuova generazione. Non possiamo più ammettere che la gente muoia di fame in Africa perché c'è qualcuno negli Stati Uniti che considera i voti degli agricoltori o dei proprietari terrieri più importanti della sopravvivenza di milioni di persone. È vero che la politica di oggi è stata decisa quando si pensava di vivere in un mondo di scarsità energetica e di eccedenza alimentare. Ma oggi le cose non stanno più così.

È ora quindi di cambiare politica perché i rimedi finora adottati sono peggiori del male che si voleva curare. Queste sono le politiche serie che la globalizzazione ci impone e l'Italia non può certo sottrarsi alle sue responsabilità.

(13 aprile 2008)

da repubblica.it

Admin:
Dopo i dati su bassa affluenza e avanzata della Lega in Emilia

Prodi: si dorme nel letto che si è preparato

L'attesa nella casa di Bologna e una "profonda delusione" per come si è conclusa la stagione dell'Unione

DAL NOSTRO INVIATO

 

BOLOGNA — Finestre e portone di casa chiusi. Un gesto dalla finestra, a metà pomeriggio, per mandare via la scorta. Un «no» con il dito all'indirizzo dei giornalisti. Il ritorno del Cavaliere ha l'effetto di un bavaglio su Romano Prodi. Dalla casa di via Gerusalemme, nel giorno che sancisce la fine della breve e chiassosa stagione del centrosinistra, non escono dichiarazioni ufficiali, ma solo sensazioni pesanti, pensieri cupi, recriminazioni che soltanto nei prossimi giorni prenderanno probabilmente forma compiuta. «Romano temeva che finisse così, non poteva dirlo e ha sperato fino all'ultimo di sbagliarsi, ma i segnali non erano affatto buoni e quando ha visto che calava l'affluenza al voto in Emilia e che la Lega era in crescita, ha capito che era finita...» racconta chi gli è stato vicino in queste ore. Un pessimismo, quello del premier dimissionario, tenuto nascosto fino all'ultimo. Che nemmeno i cori e le ovazioni ricevute l'altra sera dai 40 mila di piazza Maggiore, durante l'ultimo (e unico) comizio di questa sua defilatissima campagna elettorale, erano riusciti a scalfire.

Nel Prodi che assiste dal tavolo di lavoro al ritorno del Berlusconi Ter, sforzandosi di concentrarsi sugli incontri che tra domani e giovedì avrà al Consiglio di sicurezza dell'Onu, a New York, convive un coacervo di sensazioni. «Profonda delusione» per come si è conclusa la stagione dell'Unione e per come è andato in pezzi il suo governo. «Preoccupazione» per il futuro dell'Italia, incalzata da venti di crisi che imporrebbero «politiche rigorose e coerenti ». La consapevolezza che, nonostante la netta sconfitta elettorale, il Pd «è diventato un punto di riferimento per la democrazia italiana». Poi c'è anche, ma difficilmente il Professore su questo si lascerà scappare una parola, la conferma di vedere ancora una volta confermato dalle urne il suo ruolo di indiscusso «anti-Berlusconi»: l'unico capace di batterlo due volte ('96 e 2006), facendo da argine a quello che altrimenti sarebbe stato un quindicennio nel segno del Cavaliere.

Magra consolazione, in una serata che riporta all'anno zero quella sinistra radicale che tanto ha fatto penare Prodi nei suoi 20 mesi a Palazzo Chigi. Difficile dire cosi provi il Professore nel vedere Bertinotti costretto ad alzare bandiera bianca. Qualcuno, raccontano, pare l'abbia sentito sussurrare: «Ognuno dorme nel letto che si fa». Come dire: se la sono cercata, segando l'albero di governo sul quale erano seduti. Acqua passata, ormai. L'unica cosa certa è che il Professore, a parte il ruolo di presidente del Pd, con la politica attiva ha chiuso. Il suo rapporto con Veltroni, con il quale si è ripetutamente sentito al telefono e del quale dice di «aver condiviso la campagna elettorale», non sembra riservare scintille. Il resto è proiettato sulla scena internazionale. Si è profilata la possibilità di un incarico direttivo all'Unesco, poi tramontata. «Ma le occasioni non mancano, vedremo, valuterò...» confessa il Professore. Nonno sì, ma non troppo.


Francesco Alberti
15 aprile 2008

da corriere.it

Admin:
2008-04-15 13:30

L'ULTIMA MISSIONE DI PRODI, A ONU PER PARLARE DI AFRICA


 ROMA - L'ultima missione. A New York, Palazzo di Vetro, per partecipare alla riunione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu allargato ad un'ampia rappresentanza di capi di Stato africani (16 e 17 aprile) per discutere dei conflitti che dal Darfur alla Somalia insanguinano il Continente nero. Sarà questo il congedo definitivo di Romano Prodi dalla politica internazionale. Almeno da presidente del Consiglio.

Il Professore arriverà tra poche ore a New York: il suo intervento alle Nazioni Unite è previsto per la mattina di domani, ma già stasera il premier uscente si incontrerà a cena con l'ambasciatore italiano a Palazzo di Vetro Marcello Spatafora. L'impegno di Prodi verso l'Africa è stato una costante del suo biennio a Palazzo Chigi.

 Non a caso, assieme al premier turco Recep Tayyip Erdogan, fu l'unico capo di governo straniero ad essere invitato a partecipare al vertice dell'Unione Africana lo scorso gennaio ad Addis Abeba. Proprio in quell'occasione, Prodi ribadì il forte sostegno dell'Italia all'Unione africana, primo e unico strumento continentale per la prevenzione dei conflitti sul territorio. Ma al di là delle emergenze belliche che scuotono il Continente, domattina a Palazzo di Vetro il presidente del Consiglio concentrerà il suo intervento sulla crisi dei prezzi che sta mettendo in ginocchio l'Africa.

 La volata delle quotazioni petrolifere, l'aumento dei carburanti e dei fertilizzanti e la conseguente impennata dei prezzi dei prodotti alimentari hanno raggiunto ormai livelli di guardia. E lo stesso Prodi, in una lettera a 'Repubblica' domenica scorsa, ha lanciato un appello agli altri leader mondiali per "non lasciare il mondo senza cibo". Scagliandosi tra l'altro contro "la progressiva sottrazione di suolo alla produzione di cibo per utilizzarlo nella produzione di biocarburanti". Scelta suicida, se gli studi più recenti raccontano come l'energia impiegata per produrre biocarburanti sia negli Stati Uniti del 30 per cento superiore all'energia prodotta.

 "Un bel disastro - commenta Prodi -, anche se il disastro ancora più grande è quello di mettere in conflitto il cibo con il carburante in un periodo già di scarsità ". Dopo l'intervento al Consiglio di Sicurezza, il Professore rivedrà il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon e avrà alcuni bilaterali (con il presidente della Somalia Yusuf e forse con il sudafricano Thabo Mbeki) per poi ripartire in serata verso l'Italia. Gli scatoloni a Palazzo Chigi sono ancora tutti da preparare.
 
da ansa.it

Navigazione

[0] Indice dei messaggi

[#] Pagina successiva

[*] Pagina precedente