PRODI

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Stefano Folli

  stefano.folli@ilsole24ore.com
 
 
Il premier resta in sella, ma è cominciato un lento dopo-Prodi

13 giugno 2007
 
La sensazione diffusa, all'indomani delle amministrative e del nuovo ciclone scandalistico legato alle intercettazioni, è che il dopo-Prodi sia cominciato.
Tuttavia questo non significa che una crisi di governo sia imminente. Il paradosso è tutto qui. Da un lato si ci si proietta idealmente in una nuova fase politica, ancora del tutto indefinita, dall'altra si resta ancorati all'esistente, sia pure con un sentimento di crescente sfiducia.

Nei fatti il centro-sinistra tende a divaricarsi. Ci sono i Ds sotto assedio, un partito che deve difendersi su più fronti. Poi ci sono i partner della Margherita: dovrebbero essere del tutto solidali con la Quercia, visto che insieme si apprestano a costituire il Partito Democratico. Ma non è così: Rutelli sembra seguire un suo percorso, al termine del quale c'è sì, il Partito Democratico, ma con una forte connotazione liberal-moderata e i diessini subordinati. La speranza è di recuperare il voto dei produttori e del ceto medio deluso, ma la strada è in salita. Infine c'è la sinistra radicale che chiede di affrontare in via prioritaria la «questione sociale»: lo ha ripetuto ancora ieri sera il presidente della Camera, Bertinotti. Si smentisce che Rifondazione voglia uscire dal governo, ma il solo fatto che se ne parli indica il malessere crescente di una forza che voleva essere la voce dei "movimenti" e da questi ultimi viene oggi abbandonata.

Due mondi, due ipotesi strategiche che è sempre più difficile far coesistere. Fassino parla della necessità di uno «scatto in avanti». In realtà se ne parla da mesi. Chi non ricorda il vertice di Caserta, all'inizio di gennaio, già allora dedicato alla fantomatica «fase due» del governo? Lo scatto manca per due ragioni: per la debolezza della leadership e per le contraddizioni presenti all'interno della coalizione.

È chiaro che oggi si aggiunge un problema spinoso e cruciale: la condizione politica dei Ds, partito-chiave delle alleanze di governo oggi e domani. Nelle intercettazioni Unipol non c'è, a quanto si sa, nulla di rilevante dal punto di vista giudiziario. Eppure in quella che Giuliano Amato definisce «una follia italiana» si intravede un'immagine desolante della politica quotidiana. Nessuna questione morale risorgente, ma il senso di una politica debole e sfilacciata, priva di trasparenza e di autonomia. Non è tema che riguardi i tribunali, ma senz'altro tocca il rapporto tra una grande forza di sinistra e l'opinione pubblica in un momento di scarsa o nulla credibilità della politica.

Qui forse è il punto nodale della crisi. Occorrerebbe un rinnovamento della politica e delle istituzioni che nessuna forza presente in Parlamento è in grado di assicurare. In fondo lo "scatto" vagheggiato da Fassino riguarda un programma ordinario di governo (pensioni, alta velocità, infrastrutture, eccetera). Invece dovrebbe investire la rigenerazione della vita pubblica e una chiara riforma istituzionale. Il che non appartiene al novero delle ipotesi realistiche.

In forme più prosaiche, l'ennesimo scandalo va a intrecciarsi con il destino di Prodi. E con gli interrogativi sul dopo.

Non si può non dar ragione a Luigi La Spina che scriveva ieri sulla "Stampa": «Tutti gli scenari che si aprirebbero dopo una sua eventuale caduta (del governo Prodi) sembrano far perno sulla figura di D'Alema. Ecco perchè può essere utile, da una parte, non escludere il suo apporto alla soluzione alternativa; dall'altra, condizionare il suo potere, quello del suo partito e dei suoi alleati... agli sviluppi di uno scandalo».

da ilsole24ore.com


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«C'è ancora dibattito sull'abolizione del Pra e questo è molto triste»

«Su liberalizzazioni si sta andando indietro»

Montezemolo: «Si perdono troppi pezzi, manca cultura di mercato in molti esponenti del governo»


 
ROMA - Ancora una dura critica al governo. Sulle liberalizzazioni «si sta andando indietro e si perdono troppi pezzi». A lanciare l’allarme è il presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo a margine dell’assemblea dell’Unione petrolifera. Montezemolo per questo si dice d’accordo con il presidente dell’Autorità antitrust Antonio Catricalà che martedì ha sottolineato come sulle liberalizzazioni si siano fatti passi indietro. Mercoledì la Camera ha approvato - pur con qualche importante passo indietro - il ddl Bersani sulla «terza lenzuolata» di liberalizzazioni, che ora passerà al Senato.

MANCANZA DI CULTURA DI MERCATO - «Questo - ha aggiunto Montezemolo - dimostra la mancanza di cultura di mercato in molti esponenti del governo e dell’opposizione. Le liberalizzazioni servono soprattutto per dare ai cittadini servizi più competitivi e quindi meno cari». «Credo che il ministro Bersani abbia fatto il possibile e questo l’ho sempre detto dopo un anno di liberalizzazioni zero. Quando leggo - ha concluso Montezemolo - che c’è ancora un dibattito sul Pra, stiamo parlando del Medio Evo e questo è molto triste».

PENSIONI - Montezemolo è poi intervenuto sulla questione pensioni. «Io credo che la spesa sociale in Italia sia bassa e continuo a sostenere che il problema numero uno del nostro Paese sono i costi del debito pubblico, che non ci permette di avere denaro da investire, e la spesa corrente». Se si pensa alle pensioni minime, aggiunge Montezemolo, «credo che il Paese si debba far carico dei problemi di chi sta peggio, questo lo trovo condivisibile. Però bisogna anche reperire le risorse per crescere». Secondo il presidente di Confindustria la crescita infatti «crea ricchezza e può essere distribuita. Però - spiega ancora Montezemolo - non facciamo l'errore di redistribuire quello che non c'è, fermo restando quello che ho detto sulle pensioni». La vera missione dunque, secondo il presidente di Confindustria, è quella della crescita.

Ciò vuol dire, conclude Montezemolo, «creare ricchezza e avere la possibilità di fare investimenti per il futuro».

13 giugno 2007
 
da corriere.it

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Mercoledì, 13 Giugno 2007
 

Il presidente dell’Ascom patavina: «Puntiamo a 50mila adesioni e a estendere l’iniziativa».

Domani Prodi atteso all’assemblea di Confartigianato 

Studi di settore, Padova e Treviso in piazza 

Nella città del Santo raccolte mille firme in poche ore contro l’inasprimento del fisco. Nella Marca pronta la proposta da inviare a Roma
 
Padova
Oltre mille firme raccolte in una mattinata. La mobilitazione organizzata ieri dall'Ascom di Padova contro la revisione degli studi di settore prevista dal governo Prodi sembra proprio avere colto nel segno.

«Abbiamo avuto un successo davvero grande - dice accanto al gazebo aperto in piazza Garibaldi il presidente Ascom, Fernando Zilio - che ha coinvolto non solo i commercianti, ma tutti i cittadini: dagli studenti ai pensionati. Il nostro obiettivo è quello di arrivare a 50mila adesioni. Per questo vorremmo che la raccolta firme cominciata a Padova venisse estesa alle altre nostre sedi nazionali». Per far quindi giungere il malessere e la protesta direttamente a Roma, al presidente del Consiglio, Romano Prodi. «Chi governa oggi - ricorda Zilio - ha vinto le elezioni per 24mila voti. Noi porteremo 50mila firme contro questa assurda revisione degli studi di settore. Le conclusioni le lasciamo trarre a loro. Sia ben chiaro che non chiediamo di non pagare le tasse, ma solo di essere trattati equamente come invece ora non avviene. E comunque, se necessario, torneremo a Roma anche con 20-30 pullman per manifestare civilmente, pagandoci interamente tutto il viaggio, la nostra protesta».

Accanto ai rappresentanti dell'Ascom anche quelli della Confesercenti e della Cna di Padova, nonché molti esponenti del centrodestra cittadino, tra cui il presidente della Provincia, Vittorio Casarin. «Questo governo - va giù pesante Casarin - vuole fare morire il Veneto perché è una regione di centrodestra. Con i piani di settore siamo ormai fuori da ogni grazia di Dio, e sono solo l'ultimo esempio di una Finanziaria che ha proposto una tassazione al di là del bene e del male. La sinistra, a parole, paventa una sensibilità che con i fatti smentisce andando a punire i piccoli commercianti e gli artigiani, ovvero l'ossatura dell'economia del nostro territorio».

«Ma poi - affonda definitivamente il presidente della Provincia - se oltre a questo ci penalizzano non costruendo nemmeno le infrastrutture di cui abbiamo bisogno, allora anch'io divento leghista fino in fondo e sono pronto alla "rivoluzione civile" per andare con l'Austria. Persino Di Pietro è venuto a Padova affermando che la tangenziale di Mestre l'ha fatta lui. Ma se è nato ieri! Da Roma non vogliono più darci soldi? Va bene almeno però ci mettano nelle condizioni di poter lavorare. E se Prodi venerdì arriverà qui, se ne avrò l'occasione manifesterò pure io contro di lui, perché così non si può continuare».

Intanto la valanga di firme contro gli studi di settore travolge anche lavoratori autonomi e piccoli imprenditori della Marca. L'Unascom Confcommercio trevigiana è pronta a riversarla sul ministero dell'Economia: nel giro di qualche giorno i 9mila soci dell'organizzazione riceveranno la proposta di revisione del provvedimento (promossa a livello nazionale), da sottoscrivere e da inviare poi a Roma. Non solo: verranno invitati ad aderire anche i partner delle imprese del terziario dotati di partita Iva. L'anno scorso la gran parte delle aziende trevigiane della categoria era risultata in regola. Ora, quelle stesse ditte rischiano di non rispettare i nuovi parametri. «Nel commercio basta la chiusura di una strada o l'apertura di un centro commerciale per cambiare completamente la situazione reddituale dei singoli - ribadisce il presidente Renato Salvadori - E' ora che il Fisco capisca questo concetto. E' giusto pagare, ma in maniera equa, su redditi effettivi e non presunti».

E mentre i commercianti raccolgono firme, anche la Confartigianato medita di scendere in piazza. Se dall'assemblea nazionale, in programma domani a Roma (annunciata anche la presenza del premier Prodi), non arriveranno concrete garanzie, gli artigiani della Marca sono risoluti ad occupare, il 23 giugno, piazza dei Signori, il "salotto" di Treviso, con bandiere e striscioni.
 
 
da gazzettino.quinordest.it

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POLITICA

L'allarme del premier oggi al comitato del Pd. Ieri ad Assisi col Papa: "Pregare per l'Italia? Non basta una novena"

"Ora basta giochi al massacro" Prodi dà la scossa all'Unione

di MARCO MAROZZI

 

ROMA - Cupio dissolvi. E' questa la sindrome su cui Romano Prodi cerca di giocare una battaglia che potrebbe essere decisiva. L'ultima secondo tutti quelli che lo avversano e persino tanti che ne sono sempre più riottosi alleati. Contro la cupio dissolvi il premier scende in campo, fin da oggi, alla riunione dei 45 chiamati a costruire il Partito democratico.

"Non è possibile che il governo Berlusconi abbia prodotto i disastri, ci abbia lasciato tutti i pozzi avvelenati. Conti nel baratro, guerra in Iraq, pensioni... E adesso la stessa gente sia capace di presentarsi come i salvatori dell'Italia. Ed essere presa sul serio. Mentre noi che stiamo davvero facendo risalire la china al Paese, ottenendo già dopo un anno dei risultati, veniamo bollati come la rovina del Paese. io mi assumo le mie responsabilità. Ma lo stesso dobbiamo fare tutti quanti. Almeno noi finirla di dare l'idea di non credere in quello che facciamo. Non ci massacriamo noi, massacriamo l'Italia, il futuro dei nostri figli".

Il ragionamento del presidente del Consiglio è allargato a tutta la sua maggioranza. "Un clima deve cambiare". Il suo futuro Prodi se lo gioca su questa sfida. Infernale.

Per preparare l'incontro di oggi in Piazza Santi Apostoli, il premier ieri è subito volato a Roma dopo l'incontro ad Assisi con il Papa. Un faccia a faccia pubblico e privato raccontato come profondo, affettuoso. "Sarà una giornata di preghiera per l'Italia" lo aveva salutato, nella città di San Francesco, il vescovo Domenico Sorrentino. "Non basterebbe una novena" ha risposto il presidente del Consiglio, Riso, amaro.

Il richiamo fatto sul Po, sabato, all'"aria irrespirabile" in Italia è un attacco scontato all'opposizione scatenata ma anche - e forse soprattutto - un richiamo ad una maggioranza sempre più sconcertata, con momenti che danno l'idea di rotta. Prodi, pur stanco, solo, amareggiato, non ci sta ad accettare il baratro, anche se nessuno è in grado di definirne fine, alternative, successori. "Non è possibile che Berlusconi non produca nulla e venda tutto. Mentre noi, che pur produciamo, non sembriamo capaci di vendere nulla" commentano i prodiani.

Mentre sul Sole 24 ore un sondaggio urla: "Il 73 delle imprese boccia il Governo Prodi". A febbraio 2006 il no di un mondo pur non amico si "fermava" al 60%. Segni di un clima, dilatato ben oltre gli imprenditori.
Problemi, non solo comunicativi, di raccontare quel che si fa con risorse scarsissime. Soprattutto di approccio a un'Italia di anime diversissime, segnata dal governo e dallo strapotere di Berlusconi e dalle divisioni, le incapacità del centrosinistra di trovare un raccordo positivo.

Di afferrare i molti fili del Paese e tramutarli in qualcosa di unico, comune, condiviso. E' su questo terreno scivoloso e franoso che Prodi conta di chiamare i suoi. Tutto da vedere quanto sarà ascoltato, fra "veleni" che circolano, Margherita, centro che spingono in un senso, estrema sinistra nell'altro, i Ds tesissimi per le intercettazioni di Ricucci ("uno che si difende e tira in ballo tutto per salvarsi"), gli attacchi a D'Alema e insieme le voci - "guidate, spazzatura che si aggiunge a spazzatura" - di contatti ombra con Berlusconi.

In mezzo il premier sotto assedio, con la sua maggioranza - come la scarsa settimana i parlamentari davanti al ministro Santagata - che ribolle impaurita. Prodi pubblicamente chiama a speranza e mobilitazione. "La situazione è difficile, molto. - ha raccontato ad Assisi, nel pranzo delle autorità - ma ci vuole pazienza e capacità di avanzare comunque tranquilli. Il recupero può avvenire quanto si renderà chiaro nella vita quotidiana degli italiani l'effetto dei nostri provvedimenti. E intanto dobbiamo svelenire un clima, anche fra noi". La speranza è un Dpef, poi una Finanziaria che dovrebbe essere non di cassa ma di redistribuzione. "E' la prima volta che succede dal '92" dice Giulio Santagata.

Poi i provvedimenti con cui si promette un abbassamento delle tasse. E gli aiuti per le famiglie, di cui Prodi ha molto parlato con Benedetto XVI. "Io ho una famiglia di 107 persone" ha raccontato Prodi al Papa.

E il Partito democratico. "E' necessario che nasca con la dovuta energia e passione" è il leit motiv di Prodi. "E' determinante - ha aggiunto -poi può finire bene o male".


(18 giugno 2007) 

da repubblica.it

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Lettera al premier: sott'accusa Padoa-Schioppa Dpef, i ministri a Prodi: «Così non va» Pecoraro Scanio, Mussi, Ferrero e Bianchi chiedono un cambio di rotta al governo.

La replica del governo: fiducia nei ministri 
 

ROMA - I quattro ministri dell'ala radicale dell'Unione hanno scritto al premier Romano Prodi per dire che la trattativa con le parti sociali sul Dpef non va, serve «un cambio di rotta». È quanto chiedono i ministri Alfonso Pecoraro Scanio, Fabio Mussi, Paolo Ferrero e Alessandro Bianchi al presidente del Consiglio, in una lettera scritta venerdì mattina e inviata al premier, secondo quanto si apprende da fonti di maggioranza.

LA REPLICA DEL GOVERNO- La risposta è affidata al portavoce Sircana: «Prodi - dice - ha piena fiducia nell'operato dei suoi ministri. Le critiche sono lecite, ma devono essere fatte nel rispetto delle proprie deleghe».

LA LETTERA - «Caro Romano - si legge nella lettera dei quattro ministri - scriviamo innanzitutto per segnalarti la nostra forte preoccupazione relativamente al modo in cui viene condotta la trattativa con le parti sociali. Non condividiamo la posizione con cui il governo, e segnatamente il ministro dell'Economia, affronta questa trattativa. Da un lato, le risorse messe a disposizione per affrontare i temi sul tappeto sono troppo limitate e, dall'altro, il balletto delle cifre determina un quadro francamente incomprensibile per il Paese tutto». Dopo aver ricordato la «drammatica emergenza sociale ereditata» e le «sciagurate politiche del governo Berlusconi», nella lettera si chiede che «le questioni siano affrontate di petto: a partire dalla lotta alla precarietà attraverso il superamento della Legge 30, dalla definizione di un serio intervento di edilizia pubblica, dal rilancio della ricerca scientifica alla abolizione dell'iniquo scalone sulle pensione». «La questione sicurezza che attraversa il Paese - proseguono i ministri - deve essere affrontata prima di tutto con la ricostruzione di un sistema di sicurezza sociale e ambientale».

RISORSE - «La redistribuzione delle risorse recuperate dalla lotta all'evasione fiscale - puntualizzano i quattro ministri nella lettera al premier - deve essere netto e inequivoco, non acconsentendo a quelle richieste di riduzione del debito a tappe forzate che provocherebbero solo danni al paese, sia sul piano sociale che economico». «Ti chiediamo quindi di imprimere al confronto con le parti sociali la necessaria svolta capace di rispondere positivamente alle ragioni che ci hanno portato a vincere la sfida elettorale dell'anno scorso». Pecoraro Scanio, Mussi, Ferrero e Bianchi concludono avvertendo che sono nettamente contrari ad una «frettolosa ratifica» del Dpef, e chiedono a Prodi che gli venga mandato il testo un «congruo numero» di giorni prima della data prevista per la sua approvazione.

22 giugno 2007
 
da corriere.it

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