PRODI
Admin:
Intercettazioni: la legge e l’ottovolante
Gian Carlo Caselli
Torniamo a parlare di intercettazioni. Le tante, interminabili polemiche che ciclicamente si accendono sono favorite dal fatto che la disciplina vigente, invece di avere un andamento lineare, sembra piuttosto un ottovolante. In sintesi: gli atti (intercettazioni comprese) portati a conoscenza dell’interessato mediante deposito non sono più segreti. In quanto non più segreti sono legittimamente conoscibili da chiunque, a partire dai giornalisti. Ma del contenuto di questi atti non più segreti e conoscibili è vietata la pubblicazione, vale a dire che i giornalisti non li possono usare. Se però li pubblicano lo stesso, commettono sì un reato, ma il reato si estingue con l’oblazione, cioè pagando una somma modesta (massimo 125 euro). Neppure Pirandello avrebbe saputo inventarsi qualcosa di più sfuggente, rispetto a questo continuo “palleggio” (fra segreti caduti, divieti di pubblicazione del non più segreto e vanificazione del divieto violato) che è lo specchio di una realtà bizantina, fonte di confusioni e incertezze che rendono quasi impossibile - ai non addetti ai lavori - raccapezzarsi quando si parla di “fughe di notizie” che magari non sono per nulla tali.
La confusione, poi, offre a certi settori della politica il destro per essere indulgenti verso sé medesimi, lamentando appunto presunte “fughe di notizie”, per mostrare invece animosità verso media e magistrati. Ecco le accuse di circuito vizioso fra gli uni e gli altri, anticamera per la prospettazione di oscuri complotti. Ecco, in generale, una certa insofferenza verso i controlli, e quindi una diffusa tendenza a imboccare strade che preferiscono sovrapporre ai fatti verità virtuali ma vantaggiose. Cresce, in questo modo, il rischio che la crisi della politica si accentui, indebolendo quel primato della politica che è struttura portante della democrazia. Nel senso che il governo della società e il motore del “vivere giusto” possono stare soltanto in azioni politiche , cioè spettano esclusivamente alla politica, non alla Chiesa o alla Confindustria e meno che mai alla magistratura. Ma per esercitare questo suo primato la politica deve anche essere capace di umiltà e di ascolto. Ciò che in passato è avvenuto assai raramente, se si pensa quanto siano stati trascurati o disattesi gli indicatori di concrete esigenze di cambiamento (in termini di nuove leggi, più incisivi controlli, pretesa di più rigorose condotte) che le tante inchieste in tema di corruzione o di collusioni con la mafia hanno copiosamente fornito. Per contro, la politica ha preferito (e la tendenza sembra oggi riaffiorare) avvitarsi su se stessa, lungo percorsi di perenne autoassoluzione. Invece di accendere la speranza del rinnovamento, traendo spunto anche dalle risultanze delle inchieste giudiziarie, spesso ci si è consolati accusando la magistratura di straripamento (così rivelando di preferire i magistrati inerti e dimenticando che la democrazia esige verità e trasparenza).
Tornando alle intercettazioni, l’irrazionale “otto volante” di cui si è detto rende necessaria una nuova disciplina della materia. Il disegno di legge Mastella contiene alcune novità positive. Esso infatti prevede barriere molteplici e rigorose (oggi non esistenti) in grado di assicurare che siano depositate e poi acquisite al processo esclusivamente le intercettazioni rilevanti, cioè quelle che in base a specifica motivazione risultano strettamente pertinenti al tema delle indagini (accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato). Le altre dapprima sono conservate in un “archivio riservato”, poi vengono distrutte. Dalla trascrizione devono in ogni caso essere espunte le parti riguardanti fatti, circostanze e nomi estranei alle indagini. A questo punto, però, diventa inaccettabile il divieto - previsto dalla nuova legge - di pubblicare il contenuto delle intercettazioni depositate (non più segrete) fino alla conclusione delle indagini o fino alla sentenza di appello in caso di apertura del dibattimento. Inaccettabile perché illogico e soprattutto perché comprime in modo certamente eccessivo il diritto dei media di informare e dei cittadini di essere informati su vicende di pubblico interesse. Diritto che una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (ricorso 1914/02 contro la Francia) ha considerato prevalente su ogni altro, soprattutto quando si tratta di fatti scottanti che coinvolgono politici (di questa sentenza, del 7 giugno scorso, si dovrà ovviamente tener conto in sede di discussione del disegno di legge Mastella).
Debbo invece precisare un profilo del mio precedente intervento su questo giornale. Nel labirinto di bis, ter e quater, nel groviglio di commi, alinea, rimandi e richiami che caratterizza il progetto di riforma, mi son perso il punto che - in materia di proroga delle intercettazioni - tiene ferma la vigente disciplina quando si tratta di criminalità organizzata. Va però detto che l’impossibilità di prorogare le intercettazioni oltre i 90 o 45 giorni (a seconda che siano telefoniche o ambientali) se non quando emergano nuovi elementi investigativi, riguarda - tra l’altro - le indagini in materia di reati contro la pubblica amministrazione, di esercizio abusivo di attività finanziarie e di violazione delle regole concernenti la trasparenza del mercato finanziario. Cioè materie per le quali occorrono tanta pazienza ed inesauribile tenacia - esattamente come per la mafia - se si vogliono conseguire risultati significativi. Essere costretti a bloccare tutto se dopo un breve periodo non sono ancora emerse novità (pur risultando tutt’ora promettente la pista d’indagine aperta con l’intercettazione) può essere rovinoso.
Pubblicato il: 23.06.07
Modificato il: 23.06.07 alle ore 15.16
© l'Unità.
Admin:
Il presidente del Senato Franco Marini bacchetta i sindacati
Pensioni: insostenibile il no ad aumento età «Un rigido no, rifiutando il discorso su un parziale, attento e contrattato aumento dell’età, non può essere sostenuto»
LEVICO TERME (Trento) - Il presidente del Senato, Franco Marini, interviene sul tema del momento, la riforma delle pensioni: e lo fa per richiamare i sindacati a un atteggiamento meno ostinato. «Un rigido no, rifiutando il discorso su un parziale, attento e contrattato aumento dell’età (pensionabile, ndr), non può essere sostenuto», ha detto Marini, che è intervenuto alla Festa nazionale della Cisl a Levico Terme, in provincia di Trento. Una critica ancora più pesante se si pensa che Marini è stato a lungo, prima di Sergio D'Antoni, al vertice del sindacato cattolico.
TRATTATIVA DURA - «Spero - ha aggiunto Marini - che si arrivi a una conclusione positiva di questa faticosa e dura trattativa». E replicando a Guglielmo Epifani, che ieri aveva detto che una trattativa non poteva essere condotta con la calcolatrice, il presidente del Senato ha sottolineato, che «la previdenza deve ovviamente tenere conto anche dei conti pubblici» e che «non c' è una fonte inesauribile se si guarda alle pensioni dei giovani di oggi». Come a dire: il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa ha tutte le ragioni del mondo a usare la calcolatrice nella trattativa sulla riforma delle pensioni. A Padoa-Schioppa, «tutto gli si può dire meno che non si deve portare la calcolatrice - ha detto Marini - Caro Epifani, tutte le critiche gli si possono fare tranne che questa».
DILIBERTO: NON C'E' NEL PROGRAMMA - L'aumento dell'età pensionabile? Non è nel programma. Oliviero Diliberto, segretario del Pdci, subito pronuncia un secco altolà al richiamo di Franco Marini: «Occorre che tutti rispettiamo il patto implicito siglato con gli elettori attraverso il programma del centrosinistra nel quale non vi era alcun accenno all'aumento dell'età pensionabile». E Diliberto rincara la dose, chiamando in causa anche Walter Veltroni, in predicato di divenire coordinatore del nuovo Partito democratico: «D'altro canto come spero appaia chiaro a tutti, il governo deve recuperare consenso e non perderne drammaticamente altro. Ma forse qualcuno punta proprio questo. Sarei curioso di conoscere , sul punto, l'opinione del prossimo segretario del Partito democratico...». Veltroni, per l'appunto.
BONANNI APRE AGLI SCALINI - Nell'intervento mattutino alla Festa della Cisl, il segretario del sindacato, Raffaele Bonanni, aveva minacciato «mobilitazioni» se non si fosse raggiunto un accordo sulle pensioni. Ma aveva anche aperto all'introduzione degli «scalini» per evitare lo scalone, ovvero il brusco innalzamento di tre anni (da 57 a 60 anni) dell'età pensionabile, con 35 anni di contributi. Una misura contenuta nella riforma Maroni sulla previdenza e che dovrebbe essere effettiva dal 2008.
SPESA E DPEF - Sulla riforma della pensioni è intervenuto anche Francesco Rutelli: «Sulle pensioni non si può scherzare - ha detto il vicepresidente del Consiglio e presidente della Margherita - ne va del futuro dei nostri figli. Dalla concertazione con le parti sociali e dal confronto politico - ha concluso Rutelli - deve uscire un accordo responsabile, ma la spesa previdenziale deve essere sostenibile per i decenni a venire». Insomma, sembrano isolati i ministri «ribelli» che venerdì avevano spedito una lettera al premier Romano Prodi, accusando Padoa-Schioppa di gestire in modo discutibile sia la trattativa sulle pensioni sia l'elaborazione del Dpef. «Così non va» avevano scritto Mussi, Pecoraro Scanio, Ferrero e Bianchi, chiedendo un immediato «cambio di rotta» al governo.
23 giugno 2007
Admin:
Attualità
CENTROSINISTRA ALLA PROVA / I PROGETTI DEL PROFESSORE
Fortino palazzo Chigi
di Edmondo Berselli
Crollo dei consensi. Leader intercettati. Il governo sotto assedio prova a reagire. Così Prodi punta sul Dpef e sul Partito democratico
Un assedio. La coalizione di centrosinistra con i leader ammaccati dalle intercettazioni e dai verbali degli interrogatori di Stefano Ricucci. Il sospetto serpeggiante anche nella famiglia diessina che Piero Fassino e Massimo D'Alema fossero iscritti in un 'concerto' che spartiva pezzi di economia fra sinistra e destra, Bnl da una parte e Antonveneta dall'altra, con sullo sfondo la possibile 'finlandizzazione', cioè una neutralizzazione spartitoria, del 'Corriere della Sera'. E il governo Prodi protagonista involontario della più colossale caduta di consenso che si sia mai vista nella storia della Repubblica. Il premier fischiato in ogni occasione, anche dalla platea che si immaginava non ostile della Confesercenti. Le regioni del Nord che alle amministrative consegnano il foglio di via al centrosinistra, indicando percentuali intorno al 30 per cento. È la fine di una stagione? Per capirlo si può tentare di penetrare nel quartier generale del governo, sentire gli umori, raccogliere le valutazioni delle persone più vicine al premier. Ascoltare un grido di dolore silenzioso.
Guardiamo alle condizioni di scenario, dicono le voci di Palazzo Chigi. I politologi sostengono che il governo è impopolare perché al Nord si aspettavano libertà e hanno avuto tasse, mentre al Sud si attendevano trasferimenti pubblici che non sono arrivati. Il governo vittima delle aspettative asimmetriche. Ma ci sono anche ragioni più strettamente politiche. I Ds sono in condizioni preoccupanti. La scissione di Fabio Mussi a sinistra. E nel partito il diffondersi di un cattivo pensiero, l'idea o l'esorcismo di un complotto che viene da lontano, ossia che tutto vada fatto risalire alle esternazioni di Arturo Parisi due anni fa, quando l'attuale ministro della Difesa accennò al possibile riemergere di una "questione morale" a sinistra.
Non gliel'hanno mai perdonata, a Parisi, come se quella fosse la prova di una grande macchinazione e la dimostrazione implicita che a ordirlo fossero stati loro, gli ulivisti fondamentalisti, i prodiani, l'école parisienne. Ma non ci sono difficoltà soltanto sul fronte diessino: non passa giorno senza che Francesco Rutelli attacchi pesantemente la politica economica e fiscale del governo, e questo alimenta dubbi sul futuro. A quanto si capisce, se cade Prodi potrebbe esserci un governo di transizione più o meno lunga: che cosa succede del Partito democratico in questo caso? Bisogna chiedersi che cosa accadrebbe se crollasse il governo: rischierebbe di cadere anche il bipolarismo? In questo caso i Ds porterebbero a casa solo guai, mentre per le frange centriste della coalizione si creerebbero delle opportunità. A pensar male si fa peccato, ma si va vicini alla verità.
Naturalmente, ironizzano i Chigi-ultras, non c'è nessun complotto prodiano o parisiano. C'è un clima di rifiuto della politica, che ha avuto un detonatore nel libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, 'La casta', e c'è la crisi di credibilità del governo. Tuttavia bisognerebbe fare un modesto ragionamento ed elencare qualche dato fattuale: allora, abbiamo una crescita del Pil al 2,3 per cento; l'inflazione è la più bassa d'Europa, mezzo punto sotto la zona euro; i conti pubblici sono sotto controllo; la disoccupazione è la più bassa da quindici anni; abbiamo dato alle imprese il taglio del cuneo fiscale; siamo usciti elegantemente dall'Iraq; siamo al comando di una forza di pace in Libano che ha rappresentato anche simbolicamente una discontinuità netta rispetto all'unilateralismo americano e al conformismo americanista della destra italiana.
E allora, dice la voce profonda di Palazzo Chigi, qualcuno dovrebbe provare a spiegare come fa una somma di elementi positivi a trasformarsi, nella percezione pubblica, in un disastro. Tanti dati buoni che danno come somma una catastrofe. Se questi risultati li avesse fatti Berlusconi, avrebbe inneggiato a se stesso e ai suoi miracoli. Noi, invece, è chiaro che agli occhi del mondo siamo gente di qualità mediocre: abbiamo risanato sì, ma dal lato delle entrate, come dice il governatore Draghi, cioè con le tasse; e il risanamento c'è, ma è congiunturale, dice la Confindustria: un saldo di bilancio, non una messa in efficienza dei comportamenti statali.
Certo, insistono i prodiani, non possiamo rispondere alla crisi di rigetto del paese dicendo che non sappiamo comunicare. Ci sono ragioni più serie. Se guardiamo alle elezioni amministrative di fine maggio, ci accorgiamo che avevamo il territorio e non l'abbiamo più: cominciano a diventare contendibili anche aree di insediamento politico che prima erano indiscusse, in Liguria, Emilia, in Toscana, in Umbria. Il fatto è che noi ulivisti per dieci anni abbiamo coperto la malattia dei Ds, con l'Ulivo: ora che l'Ulivo non funziona più ce la faremo con il Partito democratico? È l'ultima chance.
In ogni caso, nessuno grida alla cospirazione delle lobby economiche e dei potentati mediatico-finanziari; ma c'è da considerare quella che Giulio Santagata, ministro per l'Attuazione del programma, ha definito "la debolezza dei poteri forti": i quali poteri per ovviare alla loro fragilità hanno interesse a puntare sull'indebolimento della politica. Con effetti anche clamorosi, perché Gianfranco Fini che riceve gli applausi dei giovani industriali quando difende il Pra dalle liberalizzazioni di Bersani dà un segno di che cosa significa il corporativismo.
Questo è l'elenco dei mille dolori. Adesso si tratta di vedere quali sono gli strumenti per cercare di uscire dall'impasse. Le 'cartucce' da sparare, come dicono nell'entourage prodiano, cioè la dimostrazione che il governo è in grado di decidere e decide. La prima cartuccia è la Tav, che sembra giunta a una soluzione onorevole. Consideriamo anche che il governo è dovuto intervenire su problemi lasciati marcire da Berlusconi, e quindi difficili da trattare: il Mose a Venezia, ripreso dopo che era stato messo in abbandono, i rifiuti a Napoli. Però pensiamoci, abbiamo chiuso la Maddalena in ottimo ordine, siamo alla guida di 13 mila uomini in Libano, siamo venuti via dall'Iraq in modo perfetto, come ha riconosciuto anche Bush: E allora, spiegateci il mistero: Zapatero esce traumaticamente dalla guerra ed è un eroe, noi usciamo con un passo di danza, con tutti i crismi e il rispetto dell'alleanza e siamo delle caccole. Bene così, ma c'è qualcosa che non si spiega.
La seconda cartuccia consiste nel chiudere bene i tavoli della concertazione. Che significa due questioni principali: pensioni e ammortizzatori sociali. Sulle pensioni si deve sapere che l'abolizione dello scalone costa circa 9 miliardi, e quindi serve a poco fare la voce grossa, come ha fatto il segretario della Cgil Epifani in apertura di trattativa. Occorre una soluzione. Nel frattempo però si interverrà sulle pensioni minime, per far tirare un respiro ai pensionati da meno di 500 euro al mese: con l'extragettito si aumenteranno le pensioni minime di una trentina di euro, e il primo anno arriveranno tutti in una tranche, 350-400 euro in un colpo solo, sicché anche loro si accorgeranno che non facciamo promesse a vuoto. Quanto agli ammortizzatori sociali, si lavora sulla 'totalizzazione', cioè sulla possibilità da parte dei lavoratori precari di ricongiungere periodi di contribuzione anche saltuari.
Dopo di che, l'appuntamento principale è il prossimo Dpef, che rappresenta un momento centrale perché mostrerà che l'azione del governo ha dato i suoi frutti. Potrà portare a una finanziaria senza manovre e senza la minaccia di tagli e amputazioni, e potrà anche mostrare l'intenzione di tagliare le tasse a chi le paga. Adesso a Palazzo Chigi aspettano con un certo ottimismo i dati sull'autotassazione, che sembrano promettenti e in grado di sostenere una politica seria di riduzione del peso fiscale. Nel frattempo, anche pochi ringraziano, si taglia l'Irap del 26 per cento: "Questo governo di incapaci opera un intervento fortissimo sulla tassazione alle imprese".
Altra cartuccia, l'intervento sui costi della politica: che era uno dei punti di attacco della politica prodiana, e che in questo clima diventa una manovra quasi soltanto difensiva. Comunque, c'è in atto un coordinamento fra cinque ministeri, per riuscire ad armonizzare misure di trasparenza e di sfoltimento degli organismi politici e parapolitici. Ma quanto ai costi della politica, dicono i Chigi-pasdaran, sarebbe il caso di non dimenticare che i liberista Berlusconi ha fatto due contratti del settore pubblico con un aumento di oltre il 5 per cento. Fra le curiosità, all'ultimo G8 si è scoperto che non avevamo saldato tutte le rate del Global Forum sull'Aids, che era stato voluto da Berlusconi in persona.
Ma la cartuccia vera, e qui i Prodi boys traggono un sospiro fra la speranza e la rassegnazione, è il Partito democratico. Adesso, dopo che Michele Salvati aveva auspicato un atto di coraggio da parte del premier, Prodi lo ha preso alla lettera e ha dato via libera all'elezione diretta del leader. Se lo ha fatto, vuol dire che si è reso conto che si era sviluppata una battaglia potenzialmente letale fra due partiti, uno ufficiale, i 'bipolaristi', e uno clandestino, gli 'inciucisti'. La decisione di accelerare sul Partito democratico nasce evidentemente dal timore che il partito inciucista potesse approfittare delle more in cui si trovava il Pd per tentare altri giochi, altre manovre. Senza rendersi conto, dicono i bipolaristi purissimi di Palazzo Chigi, che progettare e realizzare governi di larghe intese con Berlusconi significa consegnargli l'atout per scegliere il momento del ritiro della fiducia e andare alle elezioni alle sue condizioni.
Quindi? Resistere, resistere, resistere. Sapendo che ogni giorno può portare l'incidente fatale. E che il risentimento diffuso contro il governo è altissimo. Ma con l'idea che si può ancora risalire la china. A testa bassa, con la classica ostinazione di Prodi. Perché molti non capiscono, dice l'ultimo dei resistenti, che se cade il governo Prodi non c'è un'alternativa e non c'è lieto fine. È il fallimento del centrosinistra, dell'Unione, di tutta una classe dirigente: e allora ne riparleremmo fra vent'anni.
da espressonline.it
Admin:
26/6/2007
Con la testa alle urne
FEDERICO GERMANICCA
E’probabile che, nonostante l’esigua maggioranza al Senato, il referendum elettorale all’orizzonte e le fibrillazioni nella coalizione, il voto anticipato non sia dietro l’angolo.
E’ un fatto, però, che nell’ultima decina di giorni l’Unione ha risistemato alcune cose in maniera tale che se si dovesse invece precipitare verso uno showdown elettorale assai anticipato rispetto alla scadenza prevista, ecco, a quell’appuntamento il centrosinistra ora potrebbe arrivarci con qualche cartuccia in più. C’è anche questo, a ben vedere, dietro le scelte definite ieri dal governo in materia di politica economica: dopo i tagli, i sacrifici e le decisioni impopolari dei primi dodici mesi, arriva il tempo dell’aumento delle pensioni minime, della riduzione delle tasse (l’impegno sull’Ici) e di una politica - insomma - più di investimento che di risanamento. E’ un cambio di rotta non da poco: che sommato alla scelta di giocare sin da subito la carta-Veltroni (oggi candidato alla guida del Pd, domani a quella del governo) trasmette agli osservatori la sensazione che il centrosinistra riorganizzi linea e squadra come se le elezioni potessero davvero essere più vicine di quel che oggi si possa immaginare.
E’ possibile si tratti semplicemente della risultante oggettiva di decisioni non più rinviabili, e che hanno logiche e obiettivi del tutto distinti e autonomi l’una dall’altra. Ed è proprio in questa chiave, naturalmente, che Romano Prodi e Tommaso Padoa-Schioppa ieri hanno motivato e illustrato ai leader della maggioranza la nuova linea in materia di economia: persino sorprendendo ministri e capigruppo della sinistra radicale, arrivati alla lunga serie di riunioni di ieri con la pistola - come si dice - carica e in mano. Tps in particolare si è subito scansato dalla possibile linea del fuoco, senza nemmeno attendere l’avvio dell’ostilità. Spiegherà poi Anna Finocchiaro: «Mi pare di poter dire che il ministro è orientato a non essere così rigoroso rispetto alle indicazioni per il piano di rientro nel rapporto deficit/pil». Ora, considerando il rilievo che Tommaso Padoa-Schioppa ha sempre attribuito al riequilibrio di quel parametro ed al giudizio degli organi internazionali, la svolta non è da poco. Così come è assai significativo il ragionamento all’interno del quale Romano Prodi ha inserito le novità dell’aumento di due milioni di pensioni minime e la riduzione dell’Ici.
Raccontano, infatti, che il premier si sia prima preso qualche soddisfazione («Ho detto più volte che bisogna giudicare il governo in una logica di legislatura, e che dopo i sacrifici sarebbero arrivati i benefici») e poi abbia spiegato, con qualche rapidità, la novità che permette al governo di metter mano al portafogli: «Immaginavamo che occorressero due anni per il risanamento, ma sia le misure messe in campo con la Finanziaria sia l’extragettito fiscale ci permettono di aprire subito una fase di investimento, sviluppo e sostegno alle famiglie». Che tutto questo - sia il minor rilievo attribuibile al parametro deficit/pil, sia la possibilità di avviare una politica di spesa - che tutto questo, dicevamo, sia stato scoperto nel giro di una settimana, può magari destare qualche sospetto ma è certo stato accolto con grande soddisfazione da tutta la maggioranza di governo.
E’ possibile, in fondo, che il tandem Prodi-Tps si sia reso conto negli ultimi giorni dell’impossibilità di reggere l’urto contemporaneo delle pressioni sia dell’ala radicale che dell’ala riformista della coalizione. Perché se è vero che la lettera critica di Pecoraro Scanio, Mussi, Ferrero e Bianchi aveva riaperto un pericoloso fronte polemico con la sinistra radicale, è altrettanto vero che, su queste materie, la pressione di Ds e Margherita sull’esecutivo non s’era mai allentata. E’ dall’autunno scorso che Piero Fassino si sgola nel chiedere un «cambio di passo» all’esecutivo; e sono ormai mesi che Francesco Rutelli insiste sulla riduzione dell’Ici (senza contare gli appelli di ministri come Bindi e Mastella per una politica di sostegno alle famiglie). Il deludente risultato elettorale delle amministrative di un mese fa, ha fatto scattare l’allarme rosso nel centrosinistra, aumentare la richiesta di un cambio di rotta del governo e probabilmente convinto Prodi e Padoa-Schioppa che era giunta l’ora, se non proprio di aprire, almeno di schiudere il portafogli.
Magari non c’entra niente: però, per tornare all’inizio, l’effetto congiunto della discesa in campo di Veltroni e della svolta in economia è quello di rendere meno vulnerabile la maggioranza di governo sui due terreni di maggior sofferenza. Che sono, appunto, il cosiddetto «discredito della politica» (per l’assoluta assenza di rinnovo della classe dirigente) ed una politica economica che ha fatto del governo Prodi - secondo la vulgata dell’opposizione - semplicemente il «governo delle tasse». E’ possibile che le due mosse aiutino l’Unione a ritrovare un po’ del consenso perso nel Paese. Ed è certo che la mettono in condizioni meno traballanti di fronte all’eventualità di un incontrollato precipitare verso le elezioni. Se poi saranno anche in grado di far davvero «ripartire il Paese», lo si vedrà. E non occorrerà davvero aspettare molto...
da lastampa.it
Admin:
La sfida dell’erede
Gianfranco Pasquino
La fiducia nel governo Prodi è scesa, almeno secondo i sondaggi dell’Atlante politico di Ilvo Diamanti e dei suoi ottimi collaboratori, a livelli davvero bassi. Per intenderci, sarebbe piombata persino al di sotto di quella degli americani per l’Amministrazione Bush. Distribuzione del tesoretto, ridefinizione dello scalone, contenuti del Dpef, conflitto Visco-Speciale sono tutte tematiche sulle quali il governo oscilla e barcolla.
È difficile sostenere, alla luce della composizione della coalizione di centro-sinistra, se con un già completato e attrezzato Partito Democratico la situazione sarebbe diversa e migliore. Quello che è certo è che la transizione al Partito Democratico e alla sua nuova leadership sta complicando, nonostante la comprovata lealtà di Walter Veltroni nei confronti di Romano Prodi, la vita grama del governo. L’affermazione di Veltroni «se cade il governo Prodi fallisce il progetto» rischia di rivelarsi pericolosa. Da un lato, infatti, incoraggia tutti coloro che sono contrari al Partito Democratico a dare una piccola, ma decisiva, spintarella per una crisi di governo; dall’altro, lega un ambizioso progetto di lungo termine per la ristrutturazione del sistema partitico italiano alla durata del governo. Soltanto se Veltroni e Prodi sapranno operare come un vero team, l’esito positivo avrà qualche chance di realizzazione.
Purtroppo, quello che contribuisce alla destabilizzazione del governo Prodi sono le molte incertezze sul percorso del Partito Democratico e del ruolo della sua leadership. A tutt’oggi, abbiamo il discorso di Veltroni di accettazione della sua candidatura a capo del nascituro partito, ma non abbiamo neppure le regole per la presentazione delle candidature, per la formazione delle liste nei diversi collegi e per le modalità con le quali i cittadini “democratici” avranno la possibilità di partecipare in maniera influente alla elezione della Assemblea Costituente. Naturalmente, quanto più breve sarà il tempo a loro disposizione tanto minore sarà l’influenza politica dei cittadini democratici partecipanti e la palla rimarrà saldamente nelle mani dei politici di lungo e solo corso, con più o con meno di sessantacinque anni.
Sicuramente, questo insieme di effetti non è stato voluto da Veltroni, ma il suo discorso del Lingotto, apprezzato, che non è affatto un fenomeno negativo, anche da Luca Cordero di Montezemolo, si configura come una sorta di programma, se non alternativo, almeno aggiuntivo e correttivo delle famigerate 281 pagine siglate dagli Unionisti. È una specie di manifesto del leader, non necessariamente del tutto condivisibile, anche perché in alcuni punti, non soltanto quelli istituzionali, già criticati da Giovanni Sartori, alquanto vago, ma sicuramente inteso come la individuazione di una missione da compiere. Cosicché, ripeto, anche senza volerlo, la struttura della situazione, ovvero un candidato investito dall’alto e già, in gran parte, plebiscitato dal basso, dove i cittadini democratici non riescono a organizzarsi e non vedono candidature alternative (in attesa di un altro ticket, davvero previsto dai saggi promotori?, Bersani-Letta, e della discesa in campo di Arturo Parisi, che non potrà continuare a limitarsi a giuste e incisive critiche senza tradurle in pratiche politiche) e che ha stilato e declamato un manifesto per il cambiamento possibile, Veltroni inevitabilmente diventa lo sfidante di Prodi. Era prevedibile ed è stato previsto. La conseguenza è logica, nei fatti.
Un Prodi senza partito doveva rivendicare la presidenza automatica del Partito Democratico e scegliere lui stesso un segretario organizzativo, ovviamente non Veltroni. Adesso, ovvero dal 14 ottobre, ma sarà una lunga estate calda, di dichiarazioni, di rivelazioni e di sospetti, il Partito Democratico avrà un erede designato di Prodi poiché mi parrebbe assurdo fare altre primarie e poiché una eventuale crisi di governo, possibile in qualsiasi momento, potrebbe implicare un (quasi) immediato ritorno alle urne. Peraltro, l’estate potrebbe servire anche a portare chiarezza sul profilo del Partito Democratico, sulla sua capacità di agire, come ha detto Veltroni, da “regolatore” di un sistema politico, economico, sociale, che, con buona pace della caricatura che Michele Salvati continua a fare delle socialdemocrazie classiche (e, persino, contemporanee), è il compito che i partiti progressisti si propongono regolarmente e che, spesso, svolgono con successo. Garantire «economia di mercato, non società di mercato», questo è quanto deve fare, come ha scritto con ammirevole sintesi Giorgio Ruffolo, la politica dei progressisti. Se c’è una filosofia politica del Partito Democratico dovrebbe essere proprio questa. Ma, può il sindaco di Roma, candidato in dirittura d'arrivo vincente alla guida del Partito Democratico, articolare le sue posizioni, di breve e di lungo periodo, senza entrare in conflitto con il governo Prodi? Intravedo una sfida, nelle parole, nelle cose, nelle preferenze, nelle scelte, che non promette nulla di buono, a meno che non venga intelligentemente orientata a mobilitare un popolo democratico oggi del tutto sottoutilizzato, spesso messo ai margini e abbastanza perplesso sulle modalità e sull'esito di quello che dovrebbe essere un traguardo ambizioso: un partito grande, aperto, federato, progressista a sostegno, ma anche capace di assumere la guida di un governo dinamico, efficace, sostenuto dalla fiducia, non soltanto dei suoi elettori.
Pubblicato il: 02.07.07
Modificato il: 02.07.07 alle ore 11.24
© l'Unità.
Navigazione