PRODI
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Il nervosismo di Prodi: non parteciperò a nessuna festa di partito
La giornata orribile di Palazzo Chigi
Pensioni, Dpef, rischi in Senato.
De Mita: governo morto, manca il medico legale
ROMA — Per tutta la giornata ha gestito l'aula di palazzo Madama, con una maggioranza a corto di numeri e l'opposizione che dai e dai alla fine è riuscita a mandar sotto il governo sull'Iva. «Fossero questi i problemi» ha commentato Marini con un amico di partito al termine della seduta: «Sono le pensioni il vero nodo e lì temo che...». Il presidente del Senato non ha concluso la frase, non ce n'era bisogno: tutti sanno ciò che lui ha capito dopo averne parlato con Bertinotti nei giorni scorsi. Marini scorge l'ombra che cala su Palazzo Chigi da Montecitorio, dove il presidente della Camera attende gli esiti della trattativa sulla previdenza, ma con l'intenzione di non condividere un eventuale compromesso «a danno dei lavoratori »: «Le pensioni non sono l'Afghanistan. Sulle pensioni non si possono proporre mediazioni estranee al programma di governo ». Il suo ruolo istituzionale gli impone un certo grado di riservatezza, ma ha avuto modo di far sapere che considera «inaccettabile il tentativo di scatenare un conflitto tra generazioni, mettendo i giovani contro gli anziani».
Bertinotti l'ha spiegato al sottosegretario alla presidenza Enrico Letta e ai ministri Bersani e Damiano: non c'è alcuna intenzione di mettere in crisi il governo, ma non c'è nemmeno l'intenzione di piegarsi dinanzi a una «battaglia ideologica». Se non l'ha detto personalmente a Prodi è perché negli ultimi tempi si sono diradati i contatti. È già accaduto che tra il premier e il presidente della Camera ci fossero momenti di distacco. Questo è uno di quei momenti, che coincide con una giornata orribile per Palazzo Chigi: con il Fondo monetario internazionale che bacchetta il governo sul Dpef; con l'opposizione che si ricompatta presentando un'altra mozione contro Visco; con il voto sull'Iva al Senato, dove Andreotti si trasforma nel salvatore dell'Unione; e con Di Pietro che dichiara guerra alla riforma dell'ordinamento giudiziario. De Mita a volte sa essere conciso: «Il governo è morto. Manca solo un medico legale che lo certifichi ».
Raccontano di un Prodi molto nervoso, per nulla disposto a fare concessioni e nemmeno a concedersi di qui in avanti: «Questa estate non parteciperò a nessuna festa di partito». Somiglia tanto a una dichiarazione di guerra preventiva, a fronte degli inviti che gli giungono. Mastella voleva bissare l'offerta di Telese, la Margherita era pronta ad aprirgli le porte della kermesse in Salento. Niente da fare, «niente dibattiti». Al contrario di Berlusconi, che dopo aver dato buca a Rutelli l'anno scorso, avrebbe gradito stavolta esser presente. Quest'anno le parti si sono rovesciate. Eppoi non è nemmeno certo che la festa della Margherita si faccia. D'altronde, cosa ci sarebbe da festeggiare? «La situazione è drammatica», ammette il leader dello Sdi Boselli: «E meno male che Veltroni sostiene di lavorare perché il governo arrivi al 2011. In realtà gli sta accorciando la vita. A settembre temo si arriverà allo scontro tra Prodi e il sindaco di Roma». È inutile tuttavia parlare del futuro se il presente riserva un'incognita difficile da decifrare: la riforma delle pensioni. Sul resto ci sono margini per evitare il naufragio. Sull'ordinamento giudiziario, per esempio, Di Pietro è pronto a votare la fiducia se il governo la porrà. Nelle settimane scorse l'ex pm era tentato di uscire dal governo per dare solo «l'appoggio esterno a Prodi». Al momento però non intende esporsi, sebbene continuino i suoi contatti con l'opposizione e si sia scambiato dei segnali — anche se non per via diretta — con lo stesso Berlusconi.
È la previdenza il vero spartiacque, «è lì io temo», ragiona Marini. Nell'Unione è opinione comune che se il premier riuscisse a trovare una soluzione, avrebbe garantito almeno un altro anno a Palazzo Chigi. Ma come sarà possibile conciliare gli opposti? Già Dini sul versante moderato dell'Unione, e i vari Giannini Rossi e Turigliatto sul fronte massimalista, si sono disposti sulle barricate. Sono tutti senatori, e al Senato il centrosinistra non ha margini numerici. Il nodo poi è politico, ed è difficile trovare un punto di mediazione tra chi — come il ministro diellino Fioroni — dice che «la riforma va fatta perché non possiamo tradire i nostri figli e i nostri nipoti», e chi — come il capogruppo del Prc Russo Spena — spiega che «non esistono difficoltà di equilibrio economico», accusa l'Unione europea «di aver scatenato una battaglia che riguarda solo 128 mila persone », e definisce «terroristica l'azione del Centro studi di Confindustria, che numeri alla mano sposta al 2015 le eventuali difficoltà del sistema».
Divisi e distanti. Il Pd da una parte e la sinistra radicale dall'altra. Per un Bertinotti che cita le pagine del programma come fossero un vangelo, c'è un D'Alema che si fa interprete dello «strappo» di Serravalle Pistoiese, e avvisa sindacati e alleati: «Non ci sono i soldi per togliere lo scalone». Ecco il punto su cui l'Unione rischia la rottura, ecco perché la giornata di ieri — per quanto orribile — non incide sulle sorti del governo. Prodi lo sa dove, quando e con chi si giocherà tutto. L'ha confidato a Boselli, sottoforma di battuta il giorno in cui Veltroni si è candidato alla guida del Pd: «Anche tu, Enrico, sei tra quelli che vogliono sostituirmi?».
Francesco Verderami
04 luglio 2007
da corriere.it
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POLITICA
Il governo: nessuna discriminazione. Corteo a Roma per "salvare i cristiani".
Centinaia di persone, anche Fini e Berlusconi
'Famiglia cristiana' attacca Prodi "Poco impegno per padre Bossi"
Il vicepresidente della Comunità ebraica: "Ovunque libertà di fede"
Berlusconi: dal Vaticano ebbi imput a mediare per la libertà religiosa"
di MARCO POLITI
ROMA - Famiglia Cristiana punta l'indice contro Palazzo Chigi. Per padre Giancarlo Bossi - scrive - la mobilitazione governativa è scarsa. Immediata la replica del Governo: è insensato parlare di "discriminazioni" nell'impegno per la liberazione di un cittadino italiano.
Il settimanale accusa che muoversi per un "prete" non sia importante per il Governo e parla di "silenzio totale" sulla vicenda del missionario. Una certa Italia, insiste la rivista, si sarebbe "appassionata ad altri sequestri". "Non c'è stata alcuna riunione del Governo per padre Giancarlo", scrive l'editoriale "e non c'è stato un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che ha convocato un vertice segreto". Come per le due Simone o per Giuliana Sgrena, la giornalista del Manifesto. Non si è mossa nemmeno la Croce Rossa - incalza Famiglia Cristiana - né Scelli né Gino Strada.
La conclusione è ruvida: "Quel Giancarlo Bossi è un prete. Quasi che la Chiesa sia abituata alle persecuzioni. Diventano martiri, vanno in paradiso. Perché mobilitare servizi segreti e spendere denaro per ottenere la loro liberazione?".
Sorpresa e amareggiata la reazione di Palazzo Chigi, che sottolinea in una nota che la vicenda di padre Bossi è stata sistematicamente seguita dal Governo e dalla Farnesina come avviene per tutti i cittadini italiani: "Non si fanno ovviamente distinzioni di sorta tra ruoli, luoghi o valutazioni geopolitiche". Se poi il sequestro ha avuto un impatto mediatico diverso da altri casi non è certo colpa del Governo. Con irritazione Palazzo Chigi definisce "grave" l'insinuazione strumentale che nel caso di padre Bossi "la tonaca rappresenti un discrimine negativo" nelle scelte e nelle azioni governative.
Una forte pressione per la liberazione del missionario è venuta anche dalla manifestazione "Salviamo i cristiani", promossa da un comitato guidato dallo scrittore Magdi Allam per denunciare la persecuzione e la discriminazione dei cristiani nel mondo. Nutrita la partecipazione dei politici del centro-destra (da Berlusconi a Fini, a Castelli, Formigoni, Pezzotta, Pera, Buttiglione, Vernetti), mentre scarsa è stata la folla. Qualche migliaio di persone, piazza Santi Apostoli piena a metà. Tra i presenti le bandiere di Azione Giovani e qualche cartello sulle "Radici cristiane" e l'appello "Cristiani, mai più nelle catacombe".
Ha pesato certamente il fatto che alcuni dei promotori siano stati tra i corifei più accesi dell'invasione dell'Iraq, che ha distrutto una società laica, alimentando quel fondamentalismo e quel terrorismo che stanno mettendo in gravi difficoltà anche i cristiani. Ma sono intervenuti anche esponenti del centro-sinistra come Ranieri (Ds), Castagnetti (Dl), il socialista Villetti, lo scrittore Khaled Fouad Allam. Presenti, inoltre, il rabbino di Roma Di Segni, il direttore dell'Anti Defamation League Abraham Foxman, il presidente dell'Alleanza evangelica italiana Mazzeschi, Jesus Carrascosa di Cl, il direttore di Avvenire Boffo.
Preoccupati gli interventi. Per Pacifici, vicepresidente della Comunità ebraica, la manifestazione non è un attacco ai musulmani, ma la rivendicazione di libertà per tutti. Don Cervellera, direttore di Asia News, ha sottolineato la necessità di una conferenza di pace in Medio Oriente, ma anche la libertà religiosa in Cina. A Repubblica Souad Sbai, dell'associazione donne marocchine, ricorda che nel mondo islamico "donne, cristiani e veri musulmani sono tutti nella stessa barca, chiedendo democrazia e la fine dell'odio". Acceso l'intervento di Magdi Allam: "Assistere in silenzio alla persecuzione dei cristiani, sarebbe stato farsi complici".
Tra i presenti l'ex premier Berlusconi ha commentato: "Quando i cristiani non possono manifestare la propria fede, il mondo civile deve denunciare questa barbarie". E ha ricordato il suo impegno in tal senso. "In tutti i colloqui che abbiamo avuto quando ero al governo abbiamo agito sempre per garantire libertà religiosa. L'ho fatto in Cina, in Arabia Saudita e in tutti i paesi del Nordafrica dove abbiamo concordato con la Santa Sede l'intervento dopo aver ricevuto un input preciso".
(5 luglio 2007)
da repubblica.it
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IL RETROSCENA
Tonino e Clemente, parte la «corsa» ai contatti con Silvio
Unione nella bufera.
Il ministro delle Infrastrutture: perché è legittimo solo se lo fanno quelli del Pd? Il 30 agosto il Cavaliere a Telese
ROMA — Siccome ieri pomeriggio Mastella e Di Pietro avevano siglato un armistizio sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, l’Unione ha voluto comunque garantirsi la rissa di giornata: c’è riuscita accapigliandosi sulla riforma della legge elettorale. «La fibrillazione è una condizione cronica per questo governo», dice il capogruppo del Prc alla Camera, Migliore. Ed ha ragione. D’altronde è da un anno che Prodi convive con il bradisismo e ci si è abituato. Un politico di lungo corso come Maccanico, che osserva le mosse di palazzo Chigi dal Senato, lo definisce «il governo delle forze di inerzia»: «Non funziona, ma va avanti grazie a Berlusconi, che al contrario di Casini e Fini vuole impedire l’avvento di un altro esecutivo».
Da tempo il leghista Calderoli ne è convinto, e ora giura di aver le prove a sostegno della tesi: «L’altra sera ho chiamato il Cavaliere e l’ho avvisato, "Silvio, il governo è cotto". Mi ha risposto: "Bene, allora bisogna accelerare". Poi è andato all’ambasciata israeliana e ha sputtanato tutto, annunciando che ci sono dei senatori della maggioranza pronti a passare con noi. È come se avesse gridato "al lupo, al lupo", quando il lupo è lui. La verità è che pensa di andare alle elezioni con l’attuale governo, perché è convinto che basti e avanzi per la nostra campagna elettorale. Al contrario di Bossi e Fini non si è ancora rassegnato all’idea che il centrosinistra non ci manderà mai alle urne con Prodi ancora in sella».
Il primo ad averlo capito è il Professore. A sentire il resoconto che Mastella ha fatto ai suoi, dopo aver parlato con il premier nelle pause della Conferenza sull’Afghanistan, «Romano è fuori dalla grazia di dio, è incattivito con tutti gli alleati. A iniziare da Veltroni. Lui dice che si sbagliano a darlo per morto e che se ne accorgeranno». Non è una minaccia, è una promessa, che in queste ore si accompagna alle voci più disparate. Rimpasto è la parola che si sente sussurrare nella maggioranza, che corre incontrollata di bocca in bocca, che si alimenta per le tensioni. Il rimpasto sarebbe la mossa che il premier ha in mente per rafforzarsi. C’è chi parla di Fassino pronto a essere imbarcato, chi assicura che Padoa-Schioppa sarebbe con le valigie in mano, destinazione Fondo monetario. Ma proprio ieri il ministro dell’Economia ha assicurato la sua presenza alla festa di Telese, per il 27 agosto. Prodi non ci sarà, in compenso ci andrà Berlusconi il 30 agosto. Previsti fuochi d’artificio.
E visto che gli inviti di Mastella non sono mai casuali, s’intuisce il traffico che c’è al centro. «Inciuciano tutti, pure quelli del Partito democratico, e non posso inciuciare io?», commenta il capo dell’Udeur. E come dargli torto. Anzi, per una volta lui e Di Pietro non solo la pensano allo stesso modo. Si muovono allo stesso modo. C’è traccia dappertutto dei contatti tra Forza Italia e l’Italia dei Valori, e l’ex pm l’ha fatto capire ai suoi: «Dovete spiegarmi perché è legittimo se sono i dirigenti del Pd a non escludere la rottura con la sinistra radicale e a ipotizzare un’alleanza con le forze di centro, mentre se lo fanno altri no. E che sono loro, la Cassazione? Semmai il problema politico per me è un altro. Ha un nome e un cognome». Silvio Berlusconi. Difficile in effetti immaginarli insieme, altrimenti Di Pietro avrebbe già rotto gli indugi.
Così scorre il tempo nel governo Prodi, che convive da un anno con il bradisismo, marischia di crollare per effetto di una scossa di terremoto. La riforma delle pensioni è un vulcano pronto a eruttare: nell’Ulivo c’è chi teme avvenga già a luglio, nel Prc c’è chi prevede che si arriverà fino a fine anno, «magari quando Prodi ci proverà con un decreto. Un altro decreto di San Valentino». Non è chiaro se l’accostamento di Prodi a Craxi sia un complimento oppure no. È certo che al momento la trattativa sulla previdenza è aria fritta. Bastava sentire ieri il senatore dei Dl, Polito: «Il segretario della Uil mi ha raccontato che la mediazione avanzata dal ministro Damiano è quella già bruciata la scorsa settimana dal governo, quando sembrava che fossero a un passo dall’accordo con il sindacato. Angeletti mi ha detto che era già tutto pronto, ma che dopo cena Prodi ha chiamato nella sala della riunione un dirigente della Ragioneria generale dello Stato e gli ha dato la parola. Quello ha spiegato che l’intesa era economicamente insostenibile, ed è saltato tutto. Allora, di che stiamo parlando?».
Infatti Bertinotti non vuole sentir parlare di accordi. Lui non va oltre, ci pensa il capogruppo del Prc al Senato Russo Spena, a dar voce ai sospetti che circolano nel suo partito: «Con Berlusconi nei panni di alleato di Prodi, D’Alema si è messo a lavorare contemporaneamente contro il premier, per arrivare a un altro governo, e contro Veltroni, per sparigliargli le carte, altrimenti è fuori gioco. Questa è la sua fase destruens. Lui crede di poter poi passare alla fase construens, che come al solito non gli riuscirà». E meno male che sono alleati.
Francesco Verderami
05 luglio 2007
da corriere.it
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«Doveroso abolire lo scalone» Prodi rilancia sulle pensioni
Sindacati soddisfatti, Dini meno
Prodi concorda con quanti, come il vicepremier Massimo D'Alema, segnalano le difficoltà derivanti dalla mancanza di risorse, ma nello stesso tempo spiega: «Sì, non ci sono, e le dobbiamo accumulare, perché abolire lo scalone è doveroso, perché non si può fare questo gioco per cui in un minuto solo vanno in pensione tre classi di età insieme, non è mica giusto, ma i soldi noi li troviamo risparmiando sulle spese della pubblica amministrazione».
E alla domanda se non tema un indebolimento dell'esecutivo proprio a causa dei contrasti all'interno della maggioranza sulla riforma del sistema previdenziale, Prodi avverte: «Io ho consultato tutti, continuerò finendo queste consultazioni. Le diversità ci sono, poi però come è accaduto in passato, come governo prendo una decisione e a quella si sta, io non ho paura del futuro».
Il Presidente non aveva finito di parlare che sono arrivate, a valanga, le reazioni, da destra e da sinistra. Queste ultime positive, quelle altre arrabbiate. Dini dice “se è così cade il governo”, mentre Bonanni, leader della Cisl, si augura che “adesso riparta la trattativa”, e Migliore, di Rifondazione, applaude.
Di fronte al profluvio di commenti, Palazzo Chigi si sente in dover di fare una puntigliosa precisazione. I due punti base attraverso cui si costruisce il percorso per la riforma delle pensioni, precisano fonti di Palazzo Chigi, sono scritti a pagina 171 del programma.
Il primo passaggio recita: «Puntiamo a eliminare l'inaccettabile gradino e la riduzione del numero di finestre che innalzano bruscamente e in modo del tutto iniquo l'età pensionabile, come prevede per il 2008 la legge approvata dalla maggioranza di centrodestra».
Il secondo passaggio precisa: «Con la tendenza all'aumento della vita media all'interno di una modifica complessiva del rapporto tra tempo di vita e tempo di lavoro, l'allungamento graduale della carriera lavorativa, tenendo conto del diverso grado di usura provocato dal lavoro, dovrebbe diventare un fatto fisiologico. Il processo va incentivato in modo efficace, con misure incisive, che non mettano a rischio l'adeguatezza della pensione»
Pubblicato il: 05.07.07
Modificato il: 05.07.07 alle ore 21.39
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7/7/2007 - CONTO ALLA ROVESCIA
Il virus galoppa, si pensa alle urne
Grandi manovre tra i poli. Mastella: «Prodi è finito, ma io non faccio la crisi»
AUGUSTO MINZOLINI
ROMA
Qualche giorno fa Gianfranco Fini, spiegando le dinamiche politiche dei prossimi mesi al deputato azzurro Guido Crosetto, era sicuro solo dell’epilogo: «Caro Guido, tieniti pronto. Si voterà nella primavera del prossimo anno. Anche Veltroni ne è convinto. Anzi, secondo me, vuole le elezioni al più presto». Debbono essere state delle parole soppesate visto che in questi anni il presidente di An ha sempre avuto buoni rapporti con il sindaco di Roma. E in fondo fotografano esattamente la situazione: quello che più dà l’idea dell’«ineluttabilità» del ritorno alle urne, infatti, è l’atteggiamento di tutti i protagonisti del Palazzo. Tutti sono nervosi. Tutti coltivano più gli interessi del proprio elettorato che non la strada maestra della mediazione. Tutti si guardano intorno per tentare di individuare l’impresario che può regalargli un altro giro in Parlamento.
C’è il contagio. L’aria elettorale ha cominciato a condizionare il Palazzo e quelli che a prima vista possono sembrare degli atteggiamenti assurdi in realtà appartengono all’extrema ratio del «si salvi chi può». Ad esempio, la rigidità di Lamberto Dini sulle pensioni nasce sicuramente da un contrasto programmatico con il governo ma contemporaneamente è enfatizzata dai propositi del personaggio: l’ex premier ha cominciato una traiettoria di distacco dal centro-sinistra perché, per come si sono messe le cose, l’Unione difficilmente potrà regalargli alle prossime elezioni un altro seggio in Parlamento, tantomeno una poltrona di ministro. Sull’altro versante Fausto Bertinotti sta tentando di tutto per arrivare a un accomodamento con Prodi, ma si pone un problema: se per caso fosse costretto ad accettare «scalone» o «scalini» e nel maggio del 2008 si andasse a votare, cosa racconterebbe ai suoi elettori? Un atteggiamento attento alle elezioni comune a molti: vale per Di Pietro sulla giustizia, ma anche per i riformisti del Pd sulla politica economica.
Insomma, in molti si stanno facendo due conti sui tempi e i modi che porteranno al voto. Il primo è Clemente Mastella. Ben piantato sulla frontiera tra i due poli, il ministro della Giustizia gode di un ottimo punto di osservazione. «Cominciamo col dire - spiega - che un ciclo si è chiuso: Prodi non lo vuole più nessuno. Ma se si va a votare Berlusconi potrebbe vincere da solo e questo non sta bene neppure ai suoi alleati. Sicuramente a Casini che, infatti, continua a non volere le elezioni subito. Per questo Pierferdinando punta a una crisi ora per arrivare a un governo del Presidente che punti a scavalcare il 2008. Ma non può staccarsi da solo dal centro-destra, per cui è bloccato. Dini non può provocare da solo la crisi. Rifondazione non può far cadere Prodi dopo averlo già fatto nel ‘98. Per cui non credo a una crisi a breve sempreché Turigliatto e i pazzi della sinistra non decidano di votare contro insieme a Dini...».
Quindi, per Mastella il Professore è morto ma può andare avanti perché nessuno ne vuole certificare il decesso. Le rassicurazioni «paradossali» del Guardasigilli nei confronti di Prodi, però, finiscono qui. I progetti futuri di Mastella, infatti, faranno sicuramente fischiare le orecchie al premier: «Io non posso far cadere il governo sulle pensioni. Scomparirei. Farei la fine di Liotta, cioè del deputato che fece fuori il primo governo Prodi. Io faccio politica. E allora siamo chiari: io con la testa sono già dall’altra parte... Dopo che si sarà conclusa l’esperienza politica del governo Prodi posso anche passare con il centro-destra, però non posso assumermi ora la responsabilità della crisi. Magari più in là, di fronte a un fatto politico... Ad esempio se si arrivasse al referendum io farò la crisi e andrò al voto schierandomi con il centro-destra».
La tabella di marcia di Mastella, a ben vedere, quindi, coincide in linea di massima con quella del Cavaliere. Ieri con un amico Berlusconi è stato chiarissimo: «Dal punto di vista tattico la cosa migliore è arrivare alla crisi in autunno o in dicembre. Così si va dritti al voto nel 2008 senza governi del Presidente. E avremmo il vantaggio di votare con Prodi ancora a Palazzo Chigi. Poi, però, bisogna essere pratici: questo governo è talmente conciato male che la situazione può sfuggire di mano. E noi non faremo nulla per salvarlo. Sfrutteremo la prima occasione». Quindi l’unico pensiero del capo dell’opposizione è quello di puntellare la strada verso le elezioni, per renderla sicura. E gli argomenti per tirare a sé gli interlocutori che ha dall’altra parte non gli mancano con l’aria di urne che tira: con i sondaggi che girano il Cavaliere può fare le promesse che vuole perché ha dalla sua le percentuali.
Già, il «contagio elettorale» nel Palazzo si allarga e potrebbe far precipitare gli eventi da un momento all’altro. Ieri lo spettro del voto a primavera aleggiava anche nel vertice «ristretto» sulle pensioni. E il Professore ha di nuovo avuto i suoi guai. Tommaso Padoa-Schioppa, Massimo D’Alema e Francesco Rutelli gli hanno detto apertamente che non si può cedere a Rifondazione. «Facciamo ridere l’Europa», ha spiegato il primo. «Non ci sono i soldi - ha osservato il secondo - e in più è un’operazione sbagliata». «Perdiamo - ha rimarcato il terzo - la nostra credibilità». Ma in fondo il problema posto in quella riunione dai due vicepresidenti del Consiglio è stato essenzialmente politico: c’è il rischio che per salvare il governo si condanni alla sconfitta il Pd.
Il Professore ha accettato paure e critiche ma con riserva, visto che il personaggio ha un’unica priorità: la salvaguardia del suo esecutivo. Tant’è che subito dopo con il ministro Paolo Ferrero ha tirato le somme in questo modo: «Non cederò né con la sinistra né con i riformisti. Farò l’unica mediazione possibile». E’ probabile che alla fine il Professore scelga la proposta della Cgil. Gli altri allora, riformisti e massimalisti, tenteranno di tirarla per le lunghe, di inserire la riforma in Finanziaria e rinviare lo scontro finale a dicembre. Un’ipotesi che Prodi rifiuta, consapevole che se arrivasse con questa patata bollente in mano a Natale la sua sorte sarebbe segnata: a quel punto, infatti, Berlusconi darebbe l’ultima spallata; e Veltroni, già eletto segretario del Pd, sarebbe pronto a raccogliere la sfida. Ci sarebbe la crisi e la corsa verso il voto. E si avvererebbe la profezia del Cavaliere: «Prodi non mangerà il panettone a Palazzo Chigi: a meno che qualcun altro non lo inviti».
da lastampa.it
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