UMBERTO ECO.
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Umberto Eco
Indietro a tutta forza!
Stiamo assistendo a un interessante regresso tecnologico. Ora il progresso può anche significare fare due passi indietro, come tornare all'energia eolica invece del petrolio In una vecchia Bustina avevo avvertito che stiamo assistendo a un interessante regresso tecnologico. Si era anzitutto messa sotto controllo l'influenza disturbante del televisore grazie al telecomando, con cui lo spettatore poteva lavorare di zapping, entrando così in una fase di libertà creativa, detta 'fase di Blob'. La liberazione definitiva dalla televisione si era avuta col videoregistratore, con cui si realizzava l'evoluzione verso il Cinematografo. Inoltre col telecomando si poteva azzerare l'audio tornando ai fasti del film muto. Intanto Internet, imponendo una comunicazione eminentemente alfabetica, aveva liquidato la temuta Civiltà delle Immagini. A questo punto si potevano eliminare addirittura le immagini, inventando una sorta di scatola che emettesse solo suoni, e che non richiedesse neppure il telecomando. Io allora credevo di scherzare immaginando la scoperta della radio, ma (evidentemente ispirato da un Nume) vaticinavo l'avvento dell'I-Pod.
Infine l'ultimo stadio era stato raggiunto quando alle trasmissioni via etere, con le pay-tv, si era dato inizio alla nuova era della trasmissione via cavo telefonico, passando dalla telegrafia senza fili alla telefonia con i fili, fase completamente realizzata da Internet, superando Marconi e tornando a Meucci.
Avevo ripreso questa mia teoria della marcia all'incontrario nel mio libro 'A passo di gambero' dove applicavo questi principi anche alla vita politica (e d'altra parte in una Bustina recente ho notato che stiamo tornando alle notti del 1944, con pattuglie militari per le strade, e bambini e maestre in divisa). Ma è avvenuto di più.
Chiunque ha dovuto comperare recentemente un nuovo computer (diventano obsoleti in tre anni) si è reso conto che poteva trovare solo quelli con già installato Windows Vista. Ora basta leggere sui vari blog in Internet cosa gli utenti pensano di Vista (non mi azzardo a riferirlo per non finire in tribunale), e cosa ti dicono gli amici caduti in quella trappola, per fare il proposito (magari errato, ma fermissimo) di non comperare un computer con Vista. Ma se volete una macchina aggiornata di ragionevoli proporzioni, dovete sorbirvi Vista. Oppure ripiegate su un clone grande come un Tir, assemblato da un venditore volonteroso, che installa ancora Windows XP e precedenti. Così la vostra scrivania sembra un laboratorio Olivetti con l'Elea 1959.
Io credo che i produttori di computer si siano accorti che le vendite diminuiscono sensibilmente perché l'utente, pur di non avere Vista, rinuncia a rinnovare il computer. E allora cos'è successo? Per capirlo dovete andare su Internet e cercare 'Vista Downgrading' o simili. Lì vi si spiega che, se avete comperato un nuovo computer con Vista, pagandolo quel che vale, sborsando una somma additiva (e non così facilmente, ma passando attraverso una procedura che mi sono rifiutato di capire), dopo molte avventure, potreste avere di nuovo la possibilità di fruire di Windows XP o precedenti.
Chi usa i computer sa cosa è l'upgrading, è una cosa che ti consente di aggiornare il tuo programma sino all'ultimo perfezionamento. Di conseguenza il downgrading è la possibilità di riportare il tuo computer, avanzatissimo, alla felice condizione dei programmi più vecchi. Pagando. Prima che su Internet si inventasse questo bellissimo neologismo, su un normale dizionario Inglese-Italiano si trovava che 'downgrade' come sostantivo significa declino e ribasso, o versione ridotta, mentre come verbo vuole dire retrocedere, degradare, ridimensionare e svilire. Quindi ci viene offerta la possibilità, previo molto lavoro e una certa somma, di svilire e degradare qualcosa che avevamo pagato una certa somma per avere. La cosa sarebbe incredibile se non fosse vera (ne ha anche parlato spiritosamente Giampaolo Proni sulla rivista online 'Golem-L'indispensabile' - http://www.golemindispensabile.it/), e in linea si trovano centinaia di poveretti che stanno lavorando come pazzi e pagando quel che si deve per degradare il loro programma. Quando arriveremo allo stadio che, per una somma ragionevole, il loro computer sarà cambiato in un quaderno con calamaio e penna con pennino Perry?
Ma la faccenda non è solo paradossale. Ci sono progressi tecnologici oltre i quali non si può andare. Non si può inventare un cucchiaio meccanico, quello di 2 mila anni fa va ancora bene così. Si è abbandonato il Concorde, che pure faceva Parigi-New York in tre ore. Non sono sicuro che abbiano fatto bene, ma il progresso può anche significare fare due passi indietro, come tornare all'energia eolica invece del petrolio e cose del genere. Siate tesi al futuro! Indietro a tutta forza!
(19 settembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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Umberto Eco
Abbasso l'Itaglia
Per rovinare il Paese pensavamo ci volesse un secolo. Invece ci si è arrivati molto prima. E con il consenso della maggioranza degli italiani Delle celebrazioni papaline a Porta Pia si è già detto abbastanza e basterebbe l'articolo di Scalfari su questa stessa pagina la settimana scorsa. Noto solo che il monumento al bersagliere lo aveva fatto erigere Mussolini nel 1932. Alemanno, Alemanno, non c'è più religione. Comunque sono indotto a tornare sull'episodio perché esso si inserisce in una serie di fenomeni di regresso storico di cui in alcune mie Bustine, come l'invenzione del 'downgrading' e il fatto che ci pare di essere tornati al 1944, con le pattuglie di soldati per le strade e maestri e alunni in divisa. Nel caso del XX Settembre invece di tornare a Windows XP si è tornati a Pio IX.
In una bustina di circa un anno fa rilevavo l'infittirsi su Internet di siti antirisorgimentali e filo borbonici. Ora appare sui giornali che un terzo degli italiani è favorevole alla pena di morte. Stiamo tornando al livello degli americani (fuck you Beccaria), dei cinesi e degli iraniani. Altro commovente ritorno al passato è il bisogno sempre più urgente di riaprire la case di tolleranza, non dei locali moderni adatti al caso ma 'quelle' case di una volta, con gli indimenticabili pisciatoi all'ingresso e la maîtresse che gridava "ragazzi in camera, non facciamo flanella!". Certo che se tutto potesse avvenire con l'oscuramento e magari il coprifuoco sarebbe più gustoso. A proposito, il concorso per le veline non fa pensare al sogno ricorrente delle ballerine di fila dell'indimenticabile avanspettacolo?
Nei primi anni Cinquanta, Roberto Leydi e io avevamo deciso di fondare una società antipatriottica. Era un modo di scherzare sull'educazione che avevamo ricevuto durante l'infausta dittatura, che la Patria ce l'aveva condita in tutte le salse, sino alla nausea. Inoltre stavano risorgendo gruppi neofascisti, e infine la televisione aveva un solo canale in bianco e nero e bisognava pure trovare un modo di passare le serate.
La società antipatriottica assumeva come proprio inno la marcia di Radetzky e si proponeva ovviamente di rivalutare la figura morale di quella limpida figura di antirisorgimentale; si auspicavano referendum per la restituzione del Lombardo Veneto all'Austria, di Napoli ai Borboni e naturalmente di Roma al papa, la cessione del Piemonte alla Francia e della Sicilia a Malta; si sarebbero dovuti abbattere nelle varie piazze d'Italia i monumenti a Garibaldi e cancellare i nomi delle vie intitolate sia a Cavour che a martiri e irredentisti vari; nei libri scolastici si dovevano insinuare fieri dubbi sulla moralità di Carlo Pisacane e di Enrico Toti. E via discorrendo. La società si era sciolta di fronte a una scoperta sconvolgente. Per essere veramente antipatriottici e volere la rovina d'Italia sarebbe stato necessario rivalutare il Duce, e cioè chi l'Italia l'aveva rovinata davvero, e dunque avremmo dovuto diventare neofascisti. Ripugnandoci questa scelta, avevamo abbandonato il progetto.
Noi allora facevamo per ridere ma quasi tutto quello che avevamo allora immaginato sta realizzandosi - anche se non ci era neppure passato per testa di voler fare con la bandiera nazionale quello che poi Bossi ha annunciato di voler fare, e non ci era venuta in mente l'idea veramente sublime di celebrare coloro che avevano ammazzato i bersaglieri a Porta Pia. A quei tempi c'erano i democristiani al governo che si occupavano di tenere la chiesa a freno per proteggere la laicità dello Stato, e il massimo di neo-clericalismo era stato l'appoggio dato da Togliatti al famigerato articolo 7 della Costituzione che riconosceva i patti lateranensi.
Già da un po' di anni si era sciolto il movimento dell'Uomo Qualunque che aveva sollecitato per un certo periodo sentimenti antiunitari, diffidenze verso una Roma corrotta e ladrona, o contro una burocrazia statale di fannulloni che succhiavano il sangue della brava gente e laboriosa. Non ci passava neppure per l'anticamera del cervello che atteggiamenti del genere sarebbero stati un giorno quelli dei ministri della Repubblica. Non avevamo avuto l'idea luminosa che per svuotare di ogni dignità e potere reale il parlamento bastava fare una legge per cui i deputati non venissero eletti dal popolo ma nominati prima delle elezioni dal capo. Ci pareva che auspicare un ritorno graduale alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni fosse idea troppo fantascientifica.
Volevamo disfare l'Italia, ma gradualmente, e pensavamo ci volesse almeno un secolo. Invece ci si è arrivati molto prima, e oltre all'Italia si sta persino disfacendo l'Alitalia. Ma la cosa più bella è stata che l'operazione non è dipesa dal colpo di Stato di una punta di diamante, dei pochi generosi idealisti che eravamo, ma si sta realizzando col consenso della maggioranza degli italiani.
(03 ottobre 2008)
da espresso.repubblica.it
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Umberto Eco.
Dei d'America
Prevale la tendenza a offrire i voti dei credenti a politici che, indifferenti ai valori religiosi, siano disposti a concedere il massimo alle richieste più rigide della chiesa che li sostiene Uno dei maggiori divertimenti del visitatore europeo negli Stati Uniti è sempre stato sintonizzarsi la domenica mattina sui canali tv dedicati alle trasmissioni religiose. Chi non ha mai visto queste assemblee di fedeli rapiti in estasi, di pastori che lanciano anatemi e di gruppi di femmine che assomigliano a Woopy Goldberg e danzano ritmicamente gridando 'Oh Jesus', ne ha avuto forse un'idea vedendo recentemente 'Borat', ma ha creduto che si trattasse di una invenzione satirica, così come lo era la rappresentazione del Kazakistan. No, quello di Sacha Baron Cohen era un caso di 'candid camera', egli aveva ripreso quello che stava davvero accadendo intorno a lui. Insomma una di queste cerimonie dei fondamentalisti americani fa apparire il rito della liquefazione del sangue di San Gennaro come una riunione di studiosi dell'Illuminismo.
Alla fine degli anni Sessanta avevo visitato in Oklahoma la Oral Roberts University (Oral Roberts era uno di questi telepredicatori carismatici) dominata da una torre con una piattaforma rotante: i fedeli mandavano donazioni e, a seconda della somma, la torre emetteva nell'etere le loro preghiere. Per essere assunto come insegnante nell'università si doveva rispondere anzitutto a un questionario in cui appariva anche questa domanda: 'Do you speak in tongues?' ovvero 'avete il dono delle lingue, come gli apostoli?'. Si diceva di un giovane professore che aveva gran bisogno di lavoro, aveva risposto 'not yet, non ancora', ed era stato assunto in prova.
Le chiese fondamentaliste erano antidarwiniane, antiabortiste, sostenevano la preghiera obbligatoria nelle scuole, all'occorrenza erano antisemite e anticattoliche, in molti stati segregazioniste, ma sino a pochi decenni fa rappresentavano in fondo un fenomeno abbastanza marginale, limitato all'America profonda della 'Bible belt'. Il volto ufficiale del paese era rappresentato da governi attenti a separare politica e religione, dalle università, da artisti e scrittori, da Hollywood.
Nel 1980 Furio Colombo aveva dedicato ai movimenti fondamentalisti il suo 'Il Dio d'America', ma il libro era stato visto da molti più come una profezia pessimistica che non come il rapporto su una realtà preoccupantemente in crescita. Ora Colombo ha ripubblicato il libro (allegato alla 'Unità' di qualche settimana fa) con una nuova introduzione che questa volta nessuno potrà scambiare per una profezia. Secondo Colombo la religione ha fatto il suo ingresso nella politica americana nel 1979 nel corso della campagna che opponeva Carter a Reagan. Carter era un buon liberale ma era cristiano fervente, di quelli detti 'born again', rinati alla fede. Reagan era un conservatore, ma ex uomo di spettacolo, gioviale, mondano, e religioso solo perché andava in chiesa alla domenica. Ora era accaduto che l'insieme delle sette fondamentaliste si fosse schierato con Reagan, e Reagan aveva ripagato accentuando le sue posizioni religiose, per esempio nominando alla corte suprema giudici contrari all'aborto.
Ma del pari i fondamentalisti avevano iniziato a sostenere tutte le posizioni della destra, avevano sostenuto la lobby delle armi, si erano opposti alla assistenza medica e, attraverso i loro predicatori più fanatici, avevano sostenuto una politica bellicista, presentando persino la prospettiva di un olocausto atomico come necessario per sconfiggere il regno del male. Oggi la decisione di McCain, di scegliere una donna nota per le sue tendenze dogmatiche come vice presidente, e il fatto che almeno all'inizio i sondaggi abbiano premiato la sua decisione, va proprio in questa direzione.
Colombo fa però osservare che, mentre in passato i fondamentalisti si opponevano ai cattolici, ora i cattolici, e non solo in America, vanno sempre più avvicinandosi alle posizioni dei fondamentalisti (si veda per esempio il curioso ritorno all'antidarwinismo quando ormai la Chiesa aveva per così dire firmato un ampio armistizio con le teorie evoluzionistiche). E in effetti che la chiesa italiana si sia schierata non con il cattolico praticante Prodi, ma con un laico divorziato e gaudente, lascia pensare che anche in Italia predomini la tendenza a offrire i voti dei credenti a politici che, indifferenti ai valori religiosi, siano disposti a concedere il massimo alle richieste dogmaticamente più rigide della chiesa che li sostiene.
Viene da riflettere su un discorso del carismatico Pat Robertson nel 1986: "Voglio che voi pensiate a un sistema di scuole in cui l'insegnamento umanistico sarà completamente bandito, una società in cui la chiesa fondamentalista avrà assunto il controllo delle forze che determinano la vita sociale".
(17 ottobre 2008)
da espresso.repubblica.it
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Umberto Eco
Voglia di morte
La storia è stata ed è piena di persone che per religione, ideologia, o qualche altro motivo sono state pronte a morire per ammazzare, o più verosimilmente ad ammazzare per morire Circa tre anni fa in una di queste bustine accennavo al libro di Robert Pape, 'Dying to win. The strategy and logic of suicide terrorism'. Da un lato vi si diceva che il terrorismo suicida nasce solo in territori occupati e come reazione all'occupazione (il terrorismo suicida si sarebbe arrestato, per esempio in Libano, appena terminata l'occupazione) ma dall'altro vi si ricordava che non è fenomeno solo musulmano - e Pape citava le Tigri Tamil dello Sri Lanka, e ventisette terroristi suicidi in Libano, tutti non islamici, laici e comunisti o socialisti.
D'altra parte gli anarchici italo-americani avevano pagato a Bresci, che andava a uccidere Umberto I, un biglietto di sola andata; nei primi secoli del cristianesimo c'erano i Circoncellioni, che assalivano i viandanti per avere il privilegio del martirio, e più tardi i Catari praticavano quel suicidio rituale che si chiamava 'endura'. Per arrivare infine alle varie sette dei giorni nostri (tutte del mondo occidentale), sulle quali ogni tanto si legge di intere comunità che scelgono il suicidio di massa. La storia è stata ed è piena di persone che per religione, ideologia, o qualche altro motivo sono state pronte a morire per ammazzare, o più verosimilmente ad ammazzare per morire. Visto che l'istinto di conservazione ce l'hanno tutti, e per superare questo istinto non basta l'odio per il nemico, non è così facile capire la personalità del kamikaze potenziale.
Tuttavia non ogni fenomeno terroristico ha comportato il suicidio. Non certo i terrorismi 'nazionalisti' (vedi irlandesi e baschi) dove, sia pure mettendo in conto l'eventualità di morire nel corso di un'azione, l'intento è di nuocere al nemico quanto più possibile senza mettere a rischio la propria vita. E pareva non ci fosse impulso suicida nel terrorismo italiano - anzi, a dirla tutta, gran parte di coloro ha poi cercato di salvare la pelle e di diminuire la propria pena denunciando i compagni. Non solo ma, tranne l'operazione di guerriglia vera e propria compiuta con il rapimento di Moro, l'azione del terrorista era sempre abbastanza sicura visto che si trattava di sparare a qualcuno privo di scorta mentre usciva di casa o saliva in macchina.
Se non c'era stata una pulsione suicida che cosa aveva allora spinto qualcuno a darsi alla clandestinità e a praticare l'omicidio politico? Si badi bene che ogni spiegazione ideologica tiene poco perché non solo oggi, col senno di poi, ma già allora qualsiasi persona di buon senso poteva capire che nessuna azione terroristica avrebbe potuto battere quello che i terroristi eleggevano a loro nemico principale, lo Stato delle multinazionali.
'Il vento dell'odio' di Roberto Cotroneo (Mondadori, euro 18) sembra puntare a un'altra lettura - e naturalmente in forma di romanzo perché non può appoggiarsi a documenti ma solo ipotizzare delle storie di famiglia. Cotroneo immagina due storie di famiglia abbastanza eccezionali, visto che uno dei suoi eroi negativi è figlio di un ex fascista diventato spia dei servizi segreti e l'altra di un militante di sinistra ambiguamente compromesso con traffici non limpidissimi con l'Est. Ma credo che la sua spiegazione della scelta terroristica come dovuta a impulsi autodistruttivi e a una reazione a problemi familiari si possa anche applicare a storie di famiglie ben più piatte e normali - anzi, meglio ancora.
Questa è la lettura a cui inizialmente il romanzo invita, almeno per le prime ottanta pagine, salvo che dopo compie un salto. Si passa dalla psicoanalisi alla dietrologia e inizia una storia paranoide e mozzafiato che vede dietro ai terroristi una immensa ragnatela di servizi variamente deviati in cui poco conta la connotazione ideologica e l'appartenenza nazionale, il tutto che si dipana tra Argentina e Parigi ma con un sottofondo amaro e continuo che è (terzo tema del romanzo) la permanenza di un eterno fascismo italiano.
Onestamente credo che sia il tema numero due quello che affascinerà maggiormente il lettore, ma chi come me attendeva un altro svolgimento troverà in vari momenti riconfermato quello che il romanzo gli suggeriva sin dall'inizio: che anche nel terrorismo nostrano funzionasse (sotterraneo ma potentissimo) un impulso suicida, "un'attrazione irresistibile verso la morte, quella data agli altri e quella che poteva capitare anche a noi". E quando uno dei protagonisti guarda morire un poliziotto a cui sparava l'ultimo colpo alla nuca, si dice: "Non lo facevamo perché volevamo un mondo migliore ma perché eravamo noi che volevamo morire, perché in quegli occhi ho visto me stesso, ho visto la mia ansia, la mia paura, il mio stare dentro quel vuoto, quell'odio di un paese irrisolto".
(31 ottobre 2008)
da espresso.repubblica.it
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Umberto Eco.
''Rasista mi? Ma se l'è lü che l'è negher!''
Dire che Obama è 'un nero' è una palese verità, dire che 'è nero' è già un'allusione al colore della pelle, dire che è abbronzato è una maligna presa in giro Barack ObamaSi saranno forse calmate le discussioni a livello nazionale ma non a livello internazionale. Da amici di vari paesi accade di ricevere ancora e-mail in cui ci chiedono come mai il presidente Berlusconi abbia potuto commettere la storica gaffe, quando ha scherzato sul fatto che il nuovo presidente degli Stati Uniti, oltre che giovane e prestante, era anche abbronzato. Numerose persone si sono sforzate di dare una spiegazione per l'espressione usata da Berlusconi. Per i malevoli si andava dall'interpretazione catastrofica (Berlusconi voleva insultare il neo presidente) a quella formato 'trash': Berlusconi sapeva benissimo di fare una gaffe ma sapeva anche che il suo elettorato è quello che adora queste gaffe e lo trova simpatico proprio per questo. Quanto alle interpretazioni benevole andavano da quelle ridicolmente assolutorie (Berlusconi, devoto delle lampade abbronzanti, voleva lodare Obama), a quelle appena indulgenti (ha fatto una battuta innocente, non esageriamo).
Quello che gli stranieri non capiscono è perché Berlusconi, invece di difendersi dicendo che è stato frainteso e voleva dire altro (che sarebbe poi la sua tecnica abituale), ha insistito nel rivendicare la liceità della sua espressione. Ora l'unica risposta vera è che Berlusconi era effettivamente in buona fede, pensava di avere detto una cosa normalissima, e non vede ancora adesso che cosa ci fosse di male. Ha detto (pensa lui) che Obama era nero; e non è forse nero, e nessuno lo nega? Viene in mente la battuta dell'affittacamere milanese che rifiutava di dare il monocamera a un africano: 'Rasista a mi? Ma se l'è lü che l'è negher!'. A parte le battute, Berlusconi sembra sottintendere: che Obama sia nero è evidente, tutti gli scrittori neri in America si sono detti felici perché un nero va alla Casa Bianca, da tempo i neri di America ripetono che 'black is beautiful', nero e abbronzato sono la stessa cosa e quindi si può dire che 'tanned is beautiful'. O no? No. Vi ricorderete che i bianchi americani chiamavano 'negro' (pronuncia 'nigro') gli originari dell'Africa, e quando volevano esprimere il loro disprezzo dicevano 'nigger'. Poi i neri hanno ottenuto di essere chiamati 'black'; ma ancora oggi dei neri possono dire, per provocazione o per scherzo, che sono 'nigger'. Salvo che possono dirlo loro, ma se lo dice un bianco gli rompono la faccia. Così come ci sono dei gay che per qualificarsi provocatoriamente usano espressioni ben più denigratorie, ma se le usa uno che gay non è, come minimo si offendono.
Ora, dire che un nero è andato alla Casa Bianca costituisce una constatazione e può essere detto sia con soddisfazione che con odio, ma può essere detto da chiunque. Definire invece un nero come abbronzato è un modo di dire e non dire, e cioè di suggerire una differenza, senza osare chiamarla col suo nome. Dire che Obama è 'un nero' è una palese verità, dire che 'è nero' è già una allusione al colore della pelle, dire che è abbronzato è una maligna presa in giro.
Certo che Berlusconi non voleva creare un incidente diplomatico con gli Stati Uniti. Ma ci sono dei modi di dire o di comportarsi che servono a distinguere persone di diverse estrazioni sociali o diverso livello culturale. Sarà snobismo, ma in certi ambienti una persona che dice 'manàgment' è immediatamente connotata in senso negativo, e così chi dice 'università di Harvard' senza sapere che Harvard non è un luogo (poi ci sono addirittura quelli che pronunciano 'Haruard'); e dagli ambienti più esclusivi viene bandito chi scriva 'Finnegan's Wake' con il genitivo sassone. Un pochino come un tempo si individuavano come persone di bassa estrazione coloro che alzavano il mignolo mentre sollevavano il calice, se gli si offriva un caffè dicevano "a buon rendere" e invece di dire "mia moglie" dicevano "la mia signora".
Talora il comportamento tradisce un ambiente di origine: ricordo di un personaggio pubblico noto per la sua austerità che, alla fine di un mio discorso all'apertura di una mostra, è venuto a stringermi cordialmente la mano dicendomi "professore, non sa quanto mi ha fatto godere". Gli astanti hanno sorriso imbarazzati ma quella brava persona, avendo sempre frequentato persone timorate di Dio, non sapeva che quella espressione ormai si usa solo in senso carnale. Per quanto riguarda lo spirito si dice "è stato veramente un godimento intellettuale". "E non è la stessa cosa?", direbbe Berlusconi. No, i modi di dire non sono mai la stessa cosa.
Semplicemente Berlusconi non frequenta certi ambienti dove si sa che si può nominare l'origine etnica ma non alludere alla tinta della pelle, così come non si deve mangiare il pesce con il coltello.
(14 novembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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