UMBERTO ECO.

<< < (8/38) > >>

Admin:
Umberto Eco.


Mumble mumble crash


Il bello dell'onomatopea del fumetto è che non solo evoca il rumore originario col suono del termine o pseudo termine linguistico, ma ne rappresenta graficamente l'intensità  Arf arf bang crack blam buzz cai spot ciaf ciaf clamp splash crackle crackle crunch deleng gosh grunt honk honk cai meow mumble pant plop pwutt roaaar dring rumble blomp sbam buizz schranchete slam puff puff slurp smack sob gulp sprank blomp squit swoom bum thump plack clang tomp smash trac uaaaagh vrooom ..

Credo di appartenere alla prima generazione per cui questo linguaggio è stato familiare, spontaneo, immediato. Le onomatopee dei fumetti non c'erano nelle vignette del 'Corriere dei piccoli' su cui erano cresciuti i nostri genitori, appaiono con i fumetti americani de 'L'avventuroso' e poi col fumetto all'italiana. Abbiamo giocato gridando bang bang e zip zip, e abbiamo pronunciato suoni che ci evocavano certamente un rumore, un evento, senza sapere che in inglese erano anche parole, come mumble, clap, splash, slurp o rumble. Ci stupiva, e se ne discuteva, che le carabine facessero crack crack solo nei fumetti di Cino e Franco (altrove facevano bang o altri suoni) e non ci rendevamo conto che anche il quel caso il suono, in sé abbastanza iconico, era pur sempre una parola che poteva stare per schiocco o colpo.

L'idea che l'onomatopea oltre che immagine aurale di un suono potesse essere anche suggerimento lessicale è apparsa in Italia, se non sbaglio, solo con Jacovitti, che ha decisamente italianizzato il gioco e iniziato a scrivere 'schiaff schiaff'. Il bello dell'onomatopea del fumetto è che non solo evoca il rumore originario col suono del termine o pseudo termine linguistico, ma ne rappresenta graficamente l'intensità, come a dire che c'è una enorme differenza tra un semplice 'bum', un 'BUM' scritto a grandi caratteri e un 'boOOM', dove le lettere diventano via via sempre più visibili e carnose (e in tal caso l'esplosione è apocalittica).

Ho sempre amato le onomatopee dei fumetti e una volta ne ho raccolto circa 150 e le ho passate a Eugenio Carmi e a Cathy Berberian. Ne è uscito un libro-disco dove Carmi aveva dato delle onomatopee una rappresentazione visiva, quasi a renderne evidenti il timbro e le vibrazioni, e Cathy aveva elaborato quel pezzo prodigioso, poi eseguito dappertutto e ancora oggi oggetto di culto, noto come 'Stripsody', dove la musica era fatta solo dai suoni dei fumetti (ovvero dalla sua voce incredibile che li rendeva cantabili). Ma si giocava ancora su un numero limitato di onomatopee - e già credevo di averne individuate molte.

Ora Roman Gubern e Luis Gasca pubblicano un monumentale 'Diccionario de onomatopyas del cómic' (Madrid, Cattedra), più di 400 pagine in buona parte a colori, dove le onomatopee riprodotte e commentate sono più di mille. Anche questa rassegna sarebbe insufficiente, se si considera che Jacovitti vi appare solo tre volte e per tre modestissimi e prevedibili bang, un tompt e un hug, mentre avrebbe avuto ben altro da offrire, tanto per citare, blomp, prà (per un colpo di pistola secco), pamt, ponfete, slappete, cianft, svòff, ciunft, badabanghete, sdenghete, flup e (capolavoro) PÚgno.

Ma, Jacovitti a parte, nel libro di rumori ce ne sono abbastanza per giustificare il titolo dell'introduzione, 'De la onomatopeya como una bella arte'. I due autori non esitano a radicare la loro ricerca in una tradizione antichissima e più che rispettabile, il 'Cratilo' di Platone, dove come si sa viene iniziata la millenaria diatriba se le parole siano in qualche modo prodotte a imitazione delle cose che designano. Gasca e Gubern non riescono a evitare di citare Rimbaud con le sue vocali colorate, faccenda che col cratilismo non ha nulla a che vedere ma rinvia soltanto agli splendidi meccanismi allucinatori di quello spiritato ragazzo. Ma per il resto, benché a volo d'uccello, l'analisi dell'onomatopea fumettistica è fatta con acume, e il volume considera e registra anche fenomeni grafici come i 'sensogrammi', per esempio il ronfare del dormiente rappresentato dal tronco segato, o i casi che direi di onomatopea termica, come quando la nuvoletta stessa cola in stalattiti per suggerire il gelo, equivalendo così visivamente al suono 'brrrrivido'. Per non dire degli usi dell'onomatopea fatti da Roy Lichtenstein.

Gasca e Gubern osservano inoltre che l'uso inglese di legare il semantico col fonosimbolico ha portato i fumettisti d'oltreoceano a usare anche come suggerimento di suoni parole che di fatto non hanno alcuna somiglianza col rumore che nominano. Così noi ormai sentiamo come onomatopeico il chuckle chuckle, che significa sogghignare sotto i baffi. Aggiungerei anche il celebre mumble mumble che è bofonchiare o borbottare ma che, per virtù di Paperon dei Paperoni, è diventato il tipico rumore che fa chi rimugina tra sé e sé. Fanno rumore i pensieri? Nel fumetto sì.

(28 novembre 2008)
da espresso.repubblica.it

Admin:
Umberto Eco.

Chiedere scusa


Siamo in un periodo di facce di bronzo, in cui individui sotto inchiesta per azioni truffaldine si mostrano tranquillamente nei locali più famosi o in tv e rilasciano autografi  Avete mai provato a cercare su Internet la voce 'chiede scusa'? Sono un milione e 590 mila voci (di scusa) e tra le prime trovo: la chiesa chiede scusa per i preti pedofili, Gwyneth Paltrow chiede scusa agli animalisti, Giampiero Mughini chiede scusa ad Alex Del Piero, la chiesa anglicana chiede scusa a Darwin, la Virginia chiede scusa per il dramma della schiavitù, Ronaldo chiede scusa ma assicura di non essere gay, Kaladze ritratta e chiede scusa, la Warner Bros chiede scusa ai fan di Harry Potter, Apple chiede scusa per i disservizi (come Trenitalia), uno dei giovani aggressori di Tong Hong-shen, l'operaio tessile cinese picchiato a Tor Bella Monaca, si è recato in visita da Gianni Alemanno a chiedere scusa, il governo canadese ha chiesto ufficialmente scusa agli indiani Inuit per le violenze di cui sono stati vittima almeno 150 mila bambini indigeni, il sindaco di Zagabria chiede scusa a Udine, a nome dello Stato Matilde Pugliaro ha chiesto scusa per quello che è successo nella caserma di Bolzaneto nei giorni del G8, Rahm Emanuel, futuro capo di staff di Barack Obama, ha chiesto scusa per alcuni commenti anti-arabi fatti dal padre Benjamin, Schifani chiede scusa a Veltroni, la Fiat chiede scusa a Pechino per la pubblicità della Delta, il governo australiano ha chiesto scusa agli aborigeni.

Siccome in questo milione e mezzo di richieste di scusa Internet annota anche quelle degli anni scorsi, ricordiamoci che Berlusconi aveva chiesto scusa a Veronica, Benedetto XVI aveva chiesto scusa a Maometto, Giovanni Paolo II aveva chiesto scusa a Galileo (al che la terra si era gaiamente rimessa a girare intorno al sole).

Ma la notizia più fresca è questa: in un'intervista alla rete televisiva Abc, Bush ha chiesto scusa al popolo americano per avere intrapreso senza alcuna ragione la campagna in Iraq (dove sono morti più di 4 mila soldati americani, alcune centinaia di alleati, alcune centinaia di migliaia di iracheni e civili vari, e via, senza contare i feriti). Ha chiesto scusa di questo massacro perché si è reso conto che i terroristi non abitavano lì e che Saddam non preparava armi atomiche. Era colpa della 'intelligence' (da non tradurre come 'intelligenza').

Non ho capito se questa voga del chiedere scusa segnali una ventata di umiltà cristiana o non piuttosto di sfacciataggine: tu fai qualcosa che non dovresti fare, poi chiedi scusa e te ne lavi le mani. Viene in mente la vecchia barzelletta del cowboy che cavalca nella prateria, sente una voce dal cielo che gli impone di andare ad Abilene, arriva e la voce gli dice di entrare nel saloon, poi di puntare tutto il suo denaro alla roulette sul numero cinque, sia pure titubando, sedotto dalla voce celeste, il cowboy obbedisce, esce il 18 e la voce sussurra: "Mi spiace, abbiamo perso".

Comunque c'è di peggio, ci sono coloro con la faccia di bronzo che non domandano neppure scusa. Siamo in un periodo di facce di bronzo, in cui individui sotto inchiesta per azioni truffaldine si mostrano tranquillamente nei locali più famosi o in tv e rilasciano autografi, chi ha messo sul lastrico padri di famiglia e madri vedove continua a circolare imperterrito sull'aereo personale, chi è stato eletto con un colpo di mano a una funzione dove nessuno lo vuole continua a non alzare il sedere dalla sedia duramente conquistata e si fa persino la barba ogni giorno per mostrare la faccia in tv.

E ci sono gli impuniti storici. Forse vi ricorderete che quando Bush ha iniziato l'attacco all'Iraq molti hanno protestato, e addirittura i francesi si sono dissociati. A quel punto (non dico in America dove tutti erano ancora scossi per l'11 settembre, e reagivano cambiando nome nei ristoranti alle patate fritte che là si chiamavano French Fries), ma qui da noi voci virtuosissime si sono levate trattando da terroristi e quinte colonne di Bin Laden tutti coloro che vedevano con preoccupazione l'attacco americano.

Non solo, ma quando tempo dopo Bush ha trionfalmente annunciato che la guerra in Iraq era finita e vinta (altra patetica menzogna, e tra l'altro evidente a ogni persona di buon senso) i suoi sostenitori italiani hanno scritto articoli ironici rivolgendosi ai dubbiosi di un tempo e dicendo: "Vedete che avevamo ragione noi?". Argomento del tutto delirante perché, anche ammesso che una guerra la si sia vinta, ciò non significa affatto che si avevano buone ragioni per farla. All'inizio Hitler vinceva sempre, eppure aveva torto. Ora amerei sapere e vedere come reagiranno le facce di bronzo di casa nostra nel momento in cui Bush chiede scusa per i suoi errori.

(12 dicembre 2008)
da espresso.repubblica.it

Admin:
Umberto Eco.


Pensieri virtuosi per Natale


La scorsa Bustina parlavo del vezzo ormai troppo diffuso di 'chiedere scusa', prendendo a pretesto la richiesta di scuse per l'Iraq da parte di Bush pentito. Fare una cosa che non si dovrebbe e poi limitarsi a chiedere scusa non è sufficiente. Bisogna, tanto per cominciare, promettere di non farlo più. Bush non invaderà l'Iraq una seconda volta perché gli americani lo hanno gentilmente sollevato dall'incarico, ma forse se potesse lo farebbe ancora. Molti, che gettano il sasso e nascondono la mano, chiedono scusa proprio per continuare come prima. È che chiedere scusa non costa niente.

Un poco come la storia dei pentiti. Una volta chi si pentiva delle sue malefatte anzitutto riparava in qualche modo, poi si dedicava a una vita di penitenza, si rifugiava nella Tebaide a percuotersi il petto con sassi appuntiti, andava a curare i lebbrosi nell'Africa Nera. Oggi il pentito si limita a denunciare i suoi ex compagni, poi o gode di particolari cure con nuova identità in confortevoli appartamenti riservati, o esce in anticipo dal carcere e scrive libri, concede interviste, incontra capi di Stato e riceve lettere appassionate da fanciulle romantiche.

Sappiate che su 'http://www.sms-pronti.com/sms_scuse_3.htm ' trovate un sito dedicato alle 'Frasi per chiedere scusa'. La più lapidaria è 'S.C.U.S.A. Sono Chiaramente Uno Stronzo Ameno'. Su http://news2000.libero.it/noi2000/nc63.html, intitolato 'L'arte di chiedere scusa' (in effetti dedicato solo alle scuse per tradimento amoroso) si legge: "La regola più importante, quella universale, è di non sentirsi mai perdenti quando si chiede scusa. Chiedere perdono non è sinonimo di debolezza, ma di controllo e di forza, vuol dire tornare subito dalla parte della ragione, spiazzando il partner che si trova così costretto ad ascoltare. Ammettere i propri errori è anche un gesto liberatorio: aiuta a portare all'esterno le emozioni senza reprimerle e a viverle più intensamente". Come volevasi dimostrare: chiedere scusa è prender forza per ricominciare da capo.

Il problema è che, se chi ha fatto qualcosa di male è ancora vivente, chiede scusa di persona. Ma se è morto? Quando Giovanni Paolo II ha chiesto scusa per il processo a Galileo ha indicato la strada. Anche se l'errore l'aveva commesso un suo predecessore (o il cardinal Bellarmino), le scuse le chiede il legittimo erede. Ma non sempre è chiaro chi erede legittimo sia. Per esempio, chi deve chiedere scusa per la strage degli innocenti? Il colpevole è stato Erode, che governava a Gerusalemme: quindi l'unico suo legittimo erede è il governo israeliano. Invece, contrariamente a quanto ha finito col farci credere san Paolo, i veri e diretti responsabili della morte di Gesù non sono gli infami giudei, bensì il governo romano, e ai piedi della croce c'erano i centurioni e non i farisei. Scomparso un Sacro Romano Impero, unico erede rimasto del governo romano è lo Stato italiano, e pertanto sarà Napolitano a dover chiedere scusa per la crocifissione.

Chi chiede scusa per il Vietnam? È incerto se il prossimo presidente degli Stati Uniti o qualcuno della famiglia Kennedy, magari la simpatica Kerry. Per la rivoluzione russa e l'assassinio dei Romanov non ci sono dubbi perché l'unico vero fedele e legittimo erede del leninismo e dello stalinismo è Putin. E per la strage di San Bartolomeo? È la Repubblica francese in quanto erede della monarchia, ma siccome all'epoca la mente di tutta la faccenda era stata una regina, Caterina de' Medici, oggi il compito di chiedere scusa toccherebbe a Carla Bruni.

Ci sarebbero poi casi imbarazzanti. Chi chiede scusa per i guai combinati da Tolomeo, vero ispiratore della condanna di Galileo? Se, come si dice, è nato a Tolemaide che è in Cirenaica, lo scusante dovrebbe essere Gheddafi, ma se è nato ad Alessandria dovrebbe essere il governo egiziano. Chi chiede scusa per i campi di sterminio? Gli unici eredi viventi del nazismo sono i vari movimenti naziskin e questi non hanno proprio l'aria di volersi scusare, anzi, se potessero lo rifarebbero di nuovo.

E chi chiede scusa per l'assassinio di Matteotti e dei fratelli Rosselli? Il problema è chi siano oggi i 'veri' eredi del fascismo, e confesso che la questione m'imbarazza.

(24 dicembre 2008)
da espresso.repubblica.it

Admin:
Umberto Eco.

Reliquie per l'anno nuovo


Conservarle non è un vezzo cristiano ma è stato tipico di ogni religione e cultura. Ecco quel che ho trovato navigando su Internet. Dal capo di San Giovanni Battista al Prepuzio di Gesù  Armando Torno, sul 'Corriere della sera' del 3 gennaio scorso, si intratteneva non solo sulle reliquie sacre ma anche su quelle laiche, dalla testa di Cartesio al cervello di Gorkij. Quello di conservar reliquie non è, come si crede comunemente, un vezzo cristiano, ma è stato tipico di ogni religione e cultura. Gioca nel culto delle reliquie una sorta di pulsione che definirei mito-materialistica, per cui si può ritrovare qualcosa del potere di un grande o di un santo toccando pezzi del suo corpo, dall'altro un normale gusto antiquario (per cui il collezionista è disposto a spendere capitali non solo per avere la prima copia edita di un libro famoso, ma anche quella appartenuta a una persona importante) e infine (come accade sempre più spesso nelle aste americane) i 'memorabilia' che possono essere sia i guanti (veri) di Jacqueline Kennedy sia quelli (falsi) indossati da Rita Hayworth in 'Gilda'. Infine c'è il fattore economico: il possesso di una reliquia famosa era nel Medioevo una preziosa risorsa turistica perché attraeva flussi di pellegrini, così come oggi una discoteca nell'entroterra riminese attrae turiste tedesche e russe. D'altra parte ho visto molti turisti a Nashville, Tennessee, venuti per ammirare la Cadillac di Elvis Presley. E dire che non era l'unica, perche ne cambiava una ogni sei mesi.

Forse preso da quello spirito natalizio di cui dicevo nella scorsa Bustina, all'Epifania, invece di andare (come tutti) su Internet per intercettare filmini porno, essendo di spirito umorale e bizzarro ho deciso di navigarvi alla ricerca di reliquie famose.

Per esempio, ora sappiamo che il capo di San Giovanni Battista è conservato nella Chiesa di San Silvestro in Capite a Roma, ma una tradizione precedente lo voleva nella cattedrale d'Amiens. Comunque il capo custodito a Roma sarebbe senza la mandibola, conservata nella cattedrale di San Lorenzo a Viterbo. Il piatto che ha accolto la testa del Battista è a Genova, nel tesoro della cattedrale di San Lorenzo, assieme alle ceneri del Santo, ma parte di queste ceneri sono anche conservate nella antica Chiesa del Monastero delle Benedettine di Loano, mentre un dito si troverebbe nel Museo dell'Opera del Duomo di Firenze, un braccio nella cattedrale di Siena, la mandibola a San Lorenzo in Viterbo. Dei denti uno sta nella cattedrale di Ragusa e un altro, insieme ad una ciocca di capelli, a Monza. Nessuna notizia degli altri trenta. Un'antica leggenda voleva che in qualche cattedrale fosse conservata la testa del Battista all'età di dodici anni, ma non mi risulta esista alcun documento ufficiale che confermi la diceria.

La Vera Croce è stata trovata a Gerusalemme da Sant'Elena, madre di Costantino. Sottratta dai Persiani nel VII secolo, recuperata dall'imperatore bizantino Eraclio, è stata poi portata dai Crociati sul campo di battaglia contro il Saladino. Malauguratamente ha vinto il Saladino, e della croce si sono perse le tracce per sempre. Tuttavia ne erano già stati prelevati vari frammenti. Dei chiodi, uno sarebbe conservato nella chiesa di Santa Croce in Gerusalemme a Roma. La corona di spine, a lungo conservata a Costantinopoli, è stata suddivisa nell'intento di donare almeno una spina a chiese e santuari diversi. La Sacra Lancia, già appartenuta a Carlo Magno e ai suoi successori, oggi si trova a Vienna. Il Prepuzio di Gesù era esposto a Calcata (Viterbo) fino a che nel 1970 il parroco ne ha comunicato il furto.

Ma hanno rivendicato il possesso della stessa reliquia Roma, Santiago di Compostela, Chartres, Besançon, Metz, Hildesheim, Charroux, Conques, Langres, Anversa, Fécamp, Puy-en-Velay, Auvergne. Il sangue scaturito dalla ferita al costato, raccolto da Longino, sarebbe stato portato a Mantova, ma altro sangue è conservato nella Basilica del Sacro Sangue a Bruges. La Sacra Culla è a Santa Maria Maggiore (Roma), mentre come è noto la Sacra Sindone è a Torino. Le fasce del bambino Gesù sono ad Aquisgrana. La tovaglia usata da Cristo per la lavanda dei piedi degli Apostoli è sia nella chiesa romana di San Giovanni in Laterano sia in Germania, ad Acqs, ma non è escluso che Gesù abbia usato due tovaglie o abbia lavato i piedi due volte. In molte chiese sono conservati i capelli o il latte di Maria, l'anello delle nozze con Giuseppe sarebbe a Perugia, ma quello di fidanzamento è a Notre-Dame di Parigi.

A Milano si conservavano le spoglie dei Re Magi, ma nel XII secolo Federico Barbarossa le ha prese come bottino di guerra e portate a Colonia. Modestamente, ho raccontato questa storia nel mio romanzo 'Baudolino', ma non pretendo di far credere chi non crede.

(09 gennaio 2009)
da espresso.repubblica.it

Admin:
Umberto Eco.

Le contraddizioni dell'antisemita


Se l'ebreo sta di passaggio a casa sua gli dà noia, se sta fermo a casa propria gli dà noia lo stesso. E quel posto non è stato conquistato con la violenza bensì nel corso di lente migrazioni  Daniel BarenboïmDaniel Barenboïm ha chiesto a un gran numero di intellettuali di tutto il mondo di firmare un appello sulla tragedia che si sta consumando in Palestina. L'appello a prima vista è quasi ovvio, e chiede in fondo che si solleciti con tutti i mezzi possibili una mediazione energica. Ma è significativo che parta da un grande artista israeliano: segno che anche le menti più lucide e pensose di Israele chiedono che si rinunci a chiedersi da che parte stanno la ragione o il torto, e si dia vita alla convivenza di due popoli. Se è così, si potrebbero capire manifestazioni di protesta politica contro il governo israeliano, se non fosse che esse vanno di solito sotto il segno dell'antisemitismo. Se non sono i partecipanti stessi a fare professione esplicita di antisemitismo sono ormai i giornali su cui leggo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, 'manifestazione antisemita ad Amsterdam' e cose del genere. La cosa sembra ormai così normale che pare anormale trovarla anormale. Però domandiamoci se definiremmo antiariana una manifestazione politica contro il governo Merkel, o antilatina una manifestazione contro il governo Berlusconi.

Non sarà nello spazio di una Bustina che si potrà trattare il millenario problema dell'antisemitismo, delle sue risorgenze per così dire stagionali, delle sue varie radici. Un atteggiamento che sopravvive per duemila anni ha qualcosa della fede religiosa, del credo fondamentalista, lo si potrebbe definire una delle tante forme di fanatismo che hanno ammorbato il nostro pianeta nel corso dei secoli. Se tanti credono nell'esistenza del diavolo che complotta per indurci a dannazione, perché non si dovrebbe credere al complotto ebraico per la conquista del mondo?

Ma mi piacerebbe fare un rilievo sul fatto che l'antisemitismo, come tutti gli atteggiamenti irrazionali e ciecamente fideistici, vive di contraddizioni, non le avverte, ma anzi se ne nutre senza imbarazzo. Per esempio nei classici dell'antisemitismo ottocentesco circolavano due luoghi comuni, entrambi usati a seconda dei casi: uno che l'ebreo, per il fatto di vivere in luoghi stretti e oscuri, era più sensibile dei cristiani a infezioni e malattie (e dunque pericoloso), l'altro che per misteriose ragioni si dimostrava più resistente a pestilenze e altre epidemie, oltre a essere sensualissimo e spaventosamente fecondo, e quindi era pericoloso come invasore del mondo cristiano.

C'era un altro luogo comune che veniva ampiamente trattato sia da destra che da sinistra, e prendo a modelli sia un classico dell'antisemitismo socialista (Toussenel, 'Les Juifs rois de l'époque' del 1847) che un classico dell'antisemitismo cattolico legittimista (Gougenot de Mousseaux, 'Le Juif, le judaïsme et la judaïsation des peuples chrétiens' del 1869). In entrambi si nota che gli ebrei non si sono mai dati all'agricoltura, rimanendo quindi avulsi dalla vita produttiva dello stato in cui soggiornavano; in compenso si erano completamente dedicati alla finanza e cioè al possesso dell'oro perché, essendo nomadi per natura, e pronti ad abbandonare lo stato che li ospitava, trascinati dalle loro speranze messianiche, potevano facilmente trasportare con sé ogni loro ricchezza.

Passeremo sotto silenzio che altri testi antisemiti dell'epoca, sino ai famigerati Protocolli, li accusavano di attentare alla proprietà fondiaria per impadronirsi dei campi - abbiamo detto che l'antisemitismo non teme le contraddizioni. Ma sta di fatto che una caratteristica saliente degli ebrei israeliani è che hanno coltivato le loro terre di Palestina con metodi modernissimi costruendo fattorie modello e che se si battono è proprio per difendere un territorio su cui vivono stanzialmente. Ed è proprio questo che se non altro l'antisemitismo arabo rimprovera loro, tanto è vero che si pone come progetto principale quello di distruggere lo stato di Israele.

Insomma per l'antisemita se l'ebreo sta di passaggio a casa sua gli dà noia, se sta fermo a casa propria gli dà noia lo stesso. So benissimo naturalmente quale è l'obiezione: quel posto dove sta Israele era territorio palestinese. Ma non è stato conquistato con la violenza e la decimazione degli autoctoni, come l'America del Nord, o addirittura con la distruzione di alcuni Stati retti da un loro legittimo monarca, come l'America del Sud, bensì nel corso di lente migrazioni e installazioni a cui nessuno si era opposto.

In ogni caso, se dà noia l'ebreo che, ogni volta che critichi la politica di Israele, ti accusa di antisemitismo, una sensazione ben più inquietante fanno coloro che traducono immediatamente ogni critica alla politica israeliana in termini di antisemitismo.

(23 gennaio 2009)
da espresso.repubblica.it

Navigazione

[0] Indice dei messaggi

[#] Pagina successiva

[*] Pagina precedente