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Autore Discussione: LORENZO MONDO  (Letto 69708 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Agosto 02, 2009, 04:03:14 pm »

2/8/2009 - PANE AL PANE
 
Tokyo Roma 1-0
 
LORENZO MONDO
 

Due esemplari umani che si fronteggiano e, senza essere per fortuna rappresentativi di una intera società, rivelano inclinazioni e comportamenti diffusi, capaci di imprimerle un marchio vizioso o virtuoso. Una coppia di turisti giapponesi ha denunciato un ristoratore romano che gli ha fatto pagare un conto spropositato per una cena che valeva meno di un terzo. È soltanto una delle molte circostanze in cui si esprime la vocazione nazionale a un ladrocinio che esorbita largamente dal campo considerato.

Il ministro Brambilla ha preso fuoco, preoccupata dall’immagine negativa dell’Italia divulgata dai giornali giapponesi: lasciando correre (una indulgenza che dovrebbe affliggerci più delle rampogne) sulla pur incomprensibile sporcizia disseminata per ogni dove, non sembrano rassegnarsi davanti alla frode. La signora dalla rossa chioma ha dunque invitato i giapponesi truffati a tornare in Italia come ospiti del governo. I due hanno apprezzato il gesto ma hanno rifiutato l’invito, per evitare una spesa «fatta con le tasse del popolo italiano». Ha un bel dire il ministro che a pagare sarebbero gli operatori turistici, e magari (campa cavallo) il proprietario del famigerato ristorante contro il quale ha avviato una causa. Resta la bruciante lezione di civismo e, c’è da temere, la perfidia di chi sa come da noi si sprechino i soldi degli onesti contribuenti. Eppure, il Giappone continua in altri casi a stravedere per l’Italia. Lo dimostra l’esposizione, aperta in questi giorni a Tokyo, di 150 pezzi provenienti dal Museo Egizio di Torino che, presa d’assalto da migliaia di visitatori, raggiungerà nel corso di un anno altri capoluoghi delle isole giapponesi. Qui l’Italia è interessata per procura, per i forti legami che Torino intrattiene con la civiltà dei Faraoni.

Resta l’ammirazione che i giapponesi nutrono per l’arte creata e depositata lungo i secoli nel nostro Paese, ad onta dei suoi figli immemori e degeneri. Venezia, Firenze, Roma sono i capisaldi di una offerta turistica senza eguali che potrebbe ramificarsi lungo l’intera penisola.

Ma è stolto, oltreché indecente, approfittare in modo losco di questi beni ereditati. Fino a quando Michelangelo e Raffaello, con l’ausilio di Tutankhamon, continueranno a essere le foglie di fico delle nostre vergogne?
 
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« Risposta #16 inserito:: Agosto 30, 2009, 08:52:13 am »

30/8/2009


Sotto il cielo di Capri
   
LORENZO MONDO


Mentre il presidente Napolitano, ospite delle Dolomiti, si concedeva una alata celebrazione del «patrimonio di storia e bellezza che fa grande la nostra Italia», a Capri veniva chiuso l’accesso alla Grotta Azzurra: per sospetto inquinamento, dovuto a una schiuma biancastra che aveva provocato bruciori agli occhi e alla gola di alcuni battellieri. Il divieto è presto rientrato, l’acqua agli esami di laboratorio non si è rivelata pericolosa e i turisti hanno ripreso ad affollare la grotta più famosa del mondo. Tutto è bene quel che finisce bene, ma resta il passaggio non chiarito di quella schiuma, e soprattutto il fastidio per le reazioni scomposte al legittimo provvedimento delle autorità marittime in difesa della salute pubblica. Un giorno di mancati profitti è bastato a promuovere inedite alleanze. Lasciamo stare Bassolino che, notorio esperto di rifiuti, ha giudicato affrettata la chiusura. Ma il ministro Prestigiacomo ha evocato la mano della camorra, mentre albergatori e cantori dell’incontaminata bellezza caprese, hanno parlato di sabotaggio, di sfregio deliberato. Poco è mancato che si chiamassero in causa biechi emissari della Padania.

Eppure, nel solo mese di agosto, si erano ripetuti a danno della Grotta altri vergognosi episodi. Due addetti allo svuotamento dei pozzi neri dell’isola erano stati sorpresi a versare liquami nelle sue prossimità. Il proprietario di un noto albergo si è liberato delle bottiglie vuote scaricandole in quelle acque (e si spera che l’esercizio chiuda per qualche tempo i battenti). Là si trattava, senz’ombra di camorra o di altre fantasmatiche presenze, di napoletani e capresi veraci, d’una stupida forma di autolesionismo. Neanche Capri allora, con tutti gli occhi addosso, riesce a stornare una inclinazione allo scempio e diventa la testimone eccellente di un degrado ambientale che non concede requie alll’intera Penisola. Insieme al malfare colpiscono tuttavia la miope avidità e la diffusa propensione a piangersi addosso, ad attribuire cioè ad altri delle responsabilità che appartengono a ogni cittadino. Finiamola una buona volta, almeno a Capri. Sarebbe dura essere defraudati di quello spicchio di azzurro che avvolge le residue speranze di un paese più pulito e civile.

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« Risposta #17 inserito:: Settembre 13, 2009, 12:19:42 pm »

13/9/2009 - PANE AL PANE


Ma la Sindone conserva intatti i suoi misteri
   
LORENZO MONDO


Sta avendo un grande successo, anche di natura polemica, il libro di Barbara Frale intitolato I Templari e la Sindone di Cristo (Il Mulino, pp. 251, e16). L’autrice non è un’emula di Dan Brown e del fantasioso Codice da Vinci. Lavora all’Archivio segreto vaticano ed è una apprezzata storica del Medioevo. Adesso sostiene la tesi secondo cui la Sindone di Torino sarebbe entrata in possesso dell’ordine monastico e cavalleresco dei Templari, dopo lo sciagurato saccheggio di Costantinopoli del 1204 a opera dei Crociati. Il punto di forza della sua riscostruzione, condotta su una quantità di documenti archivistici e pittorici, sembra la circostanza che Geoffroy de Charny, il quale accompagnò al rogo l’ultimo gran maestro Jacques de Molay, apparteneva alla famiglia nelle cui mani pervenne inoppugnabilmente, nel 1353, il sacro lenzuolo. Ha fatto però sensazione un altro argomento. Nell’infame processo intentato contro di loro nel 1307 da Filippo il Bello, i Templari vennero accusati di adorare segretamente un idolo che, secondo Barbara Frale, deve essere identificato con la Sindone. La storia non è piaciuta a La voce del popolo, il settimanale della diocesi torinese, che in un articolo non firmato giudica «modeste» le prove addotte, adombrando un’accusa di sensazionalismo.

Paradossalmente, uno dei pretesti dello sterminio sarebbe stata dunque l’adorazione delle «vera icona» di Cristo, che l’autrice riconosce nelle deposizioni di tre testimoni (pochi invero rispetto ai tanti che furono coinvolti nel processo). Ma prevalsero altri che, sottoposti a tortura, designarono l’idolo con nomi riconducibili all’esecrato Maometto (fino al demoniaco Bafometto che ha nutrito la fantasia degli esoteristi). La tenue e malcerta apparizione della Sindone nella vicenda viene spiegata col fatto che era custodita e fatta oggetto di un culto segreto dai capi dei Templari, con esclusione degli stessi adepti. Barbara Frale parla di «un drammatico errore» nel tenere celata una verità che sarebbe bastata a sfatare la «leggenda nera» del Bafometto, demolendo le accuse di eresia e empietà. Ma perché chi era a conoscenza del sacro deposito non se ne giovò per scagionarsi ed evitare il rogo? Troppi interrogativi restano senza risposta nella pur suggestiva, «romanzesca» inchiesta di Barbara Frale. E la Sindone conserva per buona parte intatti i suoi misteri.

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« Risposta #18 inserito:: Settembre 20, 2009, 06:27:54 pm »

20/9/2009 - PANE AL PANE

Se l'Imam detta legge
   
LORENZO MONDO


Diamo per scontati l’orrore e la pietà davanti allo scempio di Sanaa, la bella ragazza marocchina sgozzata dal padre. Ma restano ineludibili alcune riflessioni sul modo in cui si è cercato di spiegare l’accaduto. Osservano i sociologi che qui non siamo lontani dal delitto d’onore praticato fino a cinquant’anni fa nel nostro Meridione. Prendiamola per buona, anche se nel delitto di Pordenone assistiamo a una sommatoria di motivi, in cui riveste un peso non indifferente il fattore religioso. In ogni caso, il rilievo sembra viziato da una certa rassegnazione e da una sorta di ottimismo storico, come se bastasse dare tempo al tempo per mettere le cose a posto. Mentre cola il sangue, dobbiamo invece respingere con forza, per i nuovi venuti, una integrazione à rébours, non accettare passivamente che essi ripercorrano i momenti meno esaltanti della nostra storia. Come sembra esemplificare l’assassino che, va ricordato, risiedeva e lavorava in Italia da undici anni.

L’imam di Pordenone, deprecando l’omicidio, esibisce come prova a discarico il fatto che si tratta del primo caso verificatosi nella sua comunità (ma è anche il primo caso, probabilmente, in cui una donna ha osato uscire dai ranghi). Afferma poi che il padre di Sanaa non frequentava la moschea, era dunque un miscredente, a differenza della madre, che lui apprezzava per la sua devozione. Ma si tratta della stessa donna che non ha esitato a perdonare e a giustificare il marito. In seguito all’«errore» della figlia, era ridotto a uno straccio: «Non dormiva più, non mangiava, fumava in continuazione, dava pugni contro il muro» e, vien da concludere, doveva per forza mettere mano al coltello.

E qui il problema si sposta.

Prescindiamo dall’imam in questione, magari sfortunato o malaccorto. Ma sul fanatismo che sembra inquinare in modo sotterraneo le comunità musulmane, dove non mancano ovviamente le persone laboriose e civili, occorre tenere conto delle veementi parole di Dounia Ettaib, presidente dell’associazione Donne arabe d’Italia.
Rammentando anche l’analogo assassinio della pachistana Hina, avvenuto a Brescia tre anni fa, denuncia il nefasto «indottrinamento di sedicenti e autoproclamatisi imam che dettano legge». Cosa aspetta lo Stato italiano - si chiede e chiediamo con lei - a esercitare un più severo controllo sulla loro predicazione?

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« Risposta #19 inserito:: Ottobre 11, 2009, 10:23:38 am »

11/10/2009

L'amico che salvò il partigiano Johnny
   
LORENZO MONDO


Approfitto di questo spazio per rendere un commosso e doveroso tributo, non solo di amicizia, a Felice Campanello, morto di questi giorni quasi ottantenne. È stato un valente e colto giornalista che, esperto di problemi agroalimentari, ha lasciato anche un asciutto libro di racconti (L’albero che diventò un’aquila). Da tempo viveva appartato, ma con lui se ne va uno degli ultimi, importanti testimoni della vita di Beppe Fenoglio. Fu tra i giovani che ad Alba, nel primo dopoguerra, indussero lo scrittore ritroso, su cui aleggiava una piccola leggenda, a scoprirsi (Beppe non aveva ancora pubblicato nulla.)

Avrebbe dovuto partecipare con qualcosa di suo alle serate culturali del Circolo Sociale, che si voleva sottrarre all’andazzo dei balli, delle feste paesane, del mazzo di carte. E Fenoglio dette prova della sua perizia di traduttore dall’inglese, offrendo alla pubblica lettura testi, divenuti memorabili, di Hopkins, Eliot, Coleridge. Ma Campanello, oltre a frequentarlo assiduamente, nel tirar tardi al ristorante Savona e in crocchi di amici irrequieti, nelle discussioni di letteratura e politica, gli fu devoto per tutta la vita. Fenoglio era gravemente malato, quando Felice mi diede un suo atto unico che pubblicai con il titolo Solitudine, accompagnato da un disegno di Mauro Chessa, sulla terza pagina della Gazzetta del Popolo. Era il 10 febbraio 1963 e il 18 Beppe cessava di vivere (mi illudo di avergli dato allora un piccolo conforto). Non venne meno nel tempo la sua fervorosa sollecitudine per mantenere viva la memoria dell’amico.

Trafficò fra le sue carte e mi fornì i capitoli di Una questione privata, che feci uscire nella stessa primavera da Garzanti e, più avanti, le pagine aggrovigliate del romanzo che pubblicai da Einaudi intitolandolo Il partigiano Johnny. Si deve a lui, in altre parole, una prima spinta al rilancio dello scrittore, destinato a essere conosciuto in buona parte postumo: operando nel silenzio, nel più puro disinteresse, a vantaggio dell’amico che aveva segnato profondamente la sua esistenza, facendogli scoprire il bene della letteratura. Tanto basta, oltre alla copia di notizie fornite ai biografi, per rendere merito a Felice Campanello, alfiere del «partigiano Johnny» diventato scrittore di prima grandezza.

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« Risposta #20 inserito:: Novembre 02, 2009, 10:34:43 am »

2/11/2009 - PANE AL PANE

Napoli, battaglia quotidiana
   
LORENZO MONDO


La moglie: «Hanno ucciso mio marito? Ditemi qual è il problema». La figlia tredicenne: «E’ toccata a lui, sono cose che succedono». Si riferiscono entrambe a Mariano Bacioterracino, ammazzato nel maggio scorso a Napoli da un sicario a volto scoperto. Ora è stato riconosciuto grazie alla diffusione, da parte della polizia, di un video che documenta la scena del delitto. Un video agghiacciante, che ha suscitato indignazione: per il comportamento dei passanti che scavalcano il cadavere senza manifestare un moto di pietà, come se facesse parte di uno squallido arredo urbano, uno scalino, una pianta malata, una merda di cane. Ma questa apparenza di normalità raggiunge il culmine nelle dichiarazioni dei familiari, che rivelano una rassegnazione senza più lacrime. E’ un fatalismo assoluto che cala come una pietra tombale, non soltanto sul caduto, ma sulla città vesuviana. E non bastano a scongiurarlo i pur importanti, occasionali successi delle forze di polizia.

D’altronde, quasi a farsi beffa degli inquirenti, i camorristi gli hanno buttato tra i piedi, nello stesso giorno del video, un altro morto. Gli hanno sparato da una vettura, tra la folla. Questo Salvatore Caianello aveva trascorso 18 anni in carcere perché aveva ucciso il nipote sedicenne che, intollerabile affronto per un boss, aveva litigato con suo figlio. Non basta voltare schifati la testa, pensando che lui e quell’altro non erano stinchi di santo. La guerra intestina è diretta infatti a ottenere la supremazia in una guerra condotta contro lo Stato, contro il vivere civile. Subdola, ramificata, recluta i suoi effettivi nei gangli di una società spesso sconfortata, impaurita, complice. Come può essere combattuta efficacemente da uno Stato che si mostra perfino incapace di far rispettare regole elementari, non affliggenti, come l’obbligo del casco per i motociclisti? Non si può neanche parlare di emergenza, come accade per l’immondizia inanimata, dal momento che l’emergenza - prodigio dell’inventiva criminale - a Napoli è diventata consuetudine. Eppure non bisogna dargliela vinta, occorre persuadersi una buona volta che vincere tanto degrado è questione primaria di ogni governo. Senza dimenticare che, a giorni alterni, voltata la pagina napoletana, si manifestano altri duri fronti, quelli imposti da ‘Ndrangheta e Mafia. Tanto ci è dato, e bisogna prenderne atto, con triste ma non arresa coscienza.

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« Risposta #21 inserito:: Novembre 08, 2009, 10:21:01 am »

8/11/2009

La selva di croci sopra Strasburgo
   
LORENZO MONDO


Mi sembra distratta, avventata, e nella sostanza ingiusta (summum ius, summa iniuria) la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ritiene illegittima l’esposizione del Crocifisso nelle scuole italiane. Nella dottrina e nella pratica corrente quell’icona non provoca conseguenze discriminatorie e persecutorie, come dimostra tra l’altro il fatto che sotto le sue braccia accoglienti sono cresciuti fior di anticlericali e laici catafratti. Sono note le parole espresse a suo tempo, in un analogo contenzioso, dal presidente Ciampi a difesa del Crocifisso «come simbolo di valori che stanno alla base della nostra identità italiana»; e il caldo affetto manifestato da Natalia Ginzburg per «l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini, fino allora assente». Sono opinioni ragguardevoli, ma conta di più nella presente circostanza la volontà di genitori, scuole, comunità locali, a cui dovrebbe spettare sulla materia l’ultima parola. I diritti della maggioranza, quando non siano affliggenti per nessuno dotato di raziocinio, non possono essere mortificati da altre convinzioni, oltreché dalle ubbìe e dai sofismi di dubbia caratura.

Ma qualche parola di comprensione va pure spesa per la famiglia che ha fatto ricorso alla Corte europea, in particolare per il giovane Sami Albertin che si sentiva ossessionato dagli occhi del Crocifisso inchiodato sul muro della sua classe. Qualunque sia l’esito definitivo del ricorso e controricorso, dovrà infatti continuare a vedersela, occhi a parte, con una pubblica, e apprensiva, foresta di simboli. Come eludere le croci che svettano sulle mille chiese d’Italia? Come evitare l’incontro non banale con i Crocifissi di Cimabue, Giotto, Masaccio? Dovrà ritrarsi schifato, e magari rinunciare a ogni soccorso, davanti ai furgoni della Croce Rossa? Sarà dura inoltre per lui staccare i fogli di un calendario, sostituendo mentalmente, alla data che ricorda la nascita di Cristo, quella di un presentabile nume dell’ateismo. A meno che mamma e papà non vogliano muovere guerra, di slancio, a tutte queste tormentose presenze. Chissà se a simili, eventuali istanze saprebbero rispondere, a norma di codicilli, i giudici di Strasburgo.

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« Risposta #22 inserito:: Novembre 22, 2009, 10:38:30 am »

22/11/2009

Mostri veri e immaginari
   
LORENZO MONDO


Brutto avvio per la vicenda giudiziaria che ha per oggetto i fatti di Rignano Flaminio, il paese nei pressi di Tivoli assurto a involontaria notorietà per una storia orrenda. Tre maestre della scuola materna «Olga Rovere» e il marito di una di esse, più una bidella, sono accusati di avere praticato abusi sessuali su una ventina di bambini. Rignano, spaccato tra innocentisti e colpevolisti, non ha più trovato pace. Ora, presentandosi all’udienza preliminare davanti al giudice, la maestra Patrizia Del Meglio e suo marito, il regista televisivo Gianfranco Scancarello, sono stati accolti con improperi e sputi da un gruppo di genitori, tanto da richiedere l’intervento dei carabinieri. La comprensibile rabbia di chi crede d’avere subito un gravissimo torto non giustifica l’aggressione contro chi, fino a prova contraria, deve essere considerato innocente. Anche perché un occhio spassionato scopre, nella ricostruzione della trama perversa, fitte zone d’ombra.

Lasciamo stare l’integrità fisica delle presunte vittime, l’assenza di tracce inoppugnabili sui luoghi del misfatto. Ma devono spiegarci - senza la necessità di scomodare psicologi e Ris - come sia stato possibile alle maestre allontanarsi in orario scolastico, e con più bambini, per compiere le loro porcherie. Nessuno si è accorto, all’andata e al ritorno, delle loro spedizioni? Erano tutti così incredibilmente distratti o addirittura complici in quella benedetta scuola? Spettava soltanto ai discorsi di bambini, raccolti e divulgati da genitori furenti, scoperchiare la putrida olla? Aspetto risposte che nessun resoconto giornalistico ha dato. Mi viene però in mente, quasi forzatamente, un bel romanzo di Simonetta Agnello-Hornby, Vento scomposto, basato sull’esperienza dell’autrice, che si occupa come avvocato della tutela dei minori: dove si racconta di un padre accusato ingiustamente di abusi commessi sulla figlioletta, messo in croce per il concorso di incompetenze, pregiudizi ideologici, fissazioni maniacali.

E’ un libro che vale a metterci in guardia dai pericoli immaginari oltreché da quelli reali. Il processo di Rignano, che si occupa non di uno solo, ma di un’accolita di «mostri», provvederà, si spera, a fare chiarezza, a distribuire torti e ragioni, sottraendosi alle «scomposte» e contrapposte passioni.

da lastampa.it
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« Risposta #23 inserito:: Novembre 24, 2009, 06:18:12 pm »

24/11/2009

Una carezza del pontefice alla cultura
   
LORENZO MONDO


La sera prima dell’udienza papale nella Cappella Sistina, Ferdinando Camon, che si trovava in vena di ombrosità teologiche, mi trascinò con un gruppo di amici a parlare di crisi della cristianità, della difficoltà che prova spesso la Chiesa a farsi comprendere dagli stessi credenti, si tratti di Trinità o di giudizio finale. Di qui, il suggerimento di un auspicabile incontro con il Papa, seguito da un convegno di intellettuali di area cristiana, per dibattere intra moenia su certi problemi. Era una chiacchierata nei Musei Vaticani, davanti a due tartine e un calice di vino. Troppo poco per lasciar presumere - come ha fatto Camon in un suo articolo - la contrarietà mia e di altri a quello che sarebbe occorso l’indomani; per segnalare in particolare una avversione all’invito rivolto da Benedetto XVI (tramite monsignor Ravasi) ad agnostici e cultori di altre fedi religiose. Non si possono davvero confondere tempi, contesti e discorsi diversi.

Per quanto mi riguarda, sono invece profondamente grato per essere stato accolto tra tante persone di talento in quella Cappella Sistina che - come ha rimarcato Alain Elkann - è «patrimonio comune dell’umanità al di sopra di qualsiasi razza o religione». Ed ho apprezzato il discorso del Papa, limpido ed elevato, tale da mettere in imbarazzo molti suoi critici. Benedetto XVI ha voluto esprimere, con tratti di affettuosa gentilezza, l’amicizia della Chiesa - testimoniata da una storia millenaria e dal possente Giudizio michelangiolesco - per chi si applica a creare e scandagliare la bellezza. E questa, al di là di ogni superficiale appagamento o estetistica bellurie, deve essere intesa nella sua proiezione verticale, come finestra aperta sull’assoluto, sul mistero dell’uomo, sulla sua originaria nobiltà. Ed era suggestiva l’analogia che, appoggiandosi ai nomi di Simone Weil, Dostoevskij, Hermann Hesse, Von Balthasar, ha saputo istituire tra l’ispirazione artistica e quella religiosa: «Una funzione essenziale della vera bellezza, già evidenziata da Platone, consiste nel comunicare all’uomo una salutare “scossa”, che lo fa uscire da se stesso, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano, lo fa anche soffrire, come un dardo che lo ferisce, ma proprio in questo modo lo “risveglia”...". Come ha detto con epigrafica efficacia il regista Tornatore, si è avvertita, in quelle parole, rivolte senza esclusione a tutti i presenti, “una carezza del Papa alla cultura”».

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« Ultima modifica: Novembre 24, 2009, 06:21:34 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #24 inserito:: Novembre 29, 2009, 03:00:27 pm »

29/11/2009

Quattro cicche per un delitto
   
LORENZO MONDO


Si è sempre sostenuta l’importanza del controllo sociale - possibile tuttora nei minori centri abitati - sulla devianza malavitosa e sui comportamenti incivili. Le cronache recenti ci inducono però a riflettere sull’uso, dissimile e contraddittorio, di questa opportunità. A Ugento, in provincia di Lecce, due bambini hanno fatto arrestare, con la loro testimonianza, gli autori di uno spietato omicidio: avevano visto, richiamati dagli urli alla finestra, due uomini che si accanivano a coltellate su un vicino di casa.

E hanno disubbidito al divieto omertoso di tacere su quella notte di sangue. Perché in paese molti sapevano ma nessuno, nel corso di un anno, aveva sentito il dovere di una denuncia, sia pure attraverso una lettera anonima. D’altronde la loro viltà sembra essere trascurata da un consigliere regionale, compiaciuto piuttosto per la serenità e l’immacolatezza ritrovata da Ugento, «che ha sempre lottato per far conoscere la bellezza del proprio mare e la generosità della propria terra». Auguri ai piccoli, che qualcuno non abbia in avvenire il coraggio di considerarli infami.

A Cocquio Trevisago, in quel di Varese, è andata diversamente. C’era da risolvere il caso della povera vecchia privata delle mani dopo essere stata crudelmente uccisa. Fra le tracce lasciate nell’appartamento, figurava un posaceneri con quattro mozziconi di sigarette appartenenti a marche diverse. La signora non fumava e si trattava dunque di falsi indizi lasciati dall’assassino per sviare le indagini. Ma qui entra in gioco la titolare di un bar, un personaggio da romanzo di cui ameremmo conoscere i tratti.

Aveva visto un uomo, noto in paese per essere un cattivo soggetto, impadronirsi stranamente di alcune cicche e riporle con cura. La donna sapeva del reperto trovato dai carabinieri e, accoppiando la femminile avvedutezza con il fiuto di un Maigret, ha messo insieme le due circostanze e indirizzato sulla buona strada gli inquirenti. I filmati delle videocamere situate all’esterno del locale, esaminati con maggior cura, avrebbero confermato i suoi sospetti e fornito una prova essenziale per inchiodare l’assassino. Sia lode a questa donna dalla vispa intelligenza. Ci aiuta, insieme ai due piccoli leccesi, a non disperare dell’umanità, a respingere il timore che le nostre vite diventino ostaggio dei bruti e degli ignavi.

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« Risposta #25 inserito:: Dicembre 07, 2009, 11:21:44 am »

7/12/2009 - PANE AL PANE

L'ultima freccia di Bertolaso
   
LORENZO MONDO


Guido Bertolaso non demorde.
Il capo della Protezione civile ha proposto al ministro dell’Interno di rimuovere nove sindaci di Comuni compresi tra Napoli e Caserta per «gravi e reiterate inadempienze nelle attività di competenza per la raccolta dei rifiuti». L’apertura delle discariche e del termovalorizzatore di Acerra ha allontanato infatti l’emergenza ma non ha posto termine a un endemico stato di crisi, favorito dall’«inerzia» di troppi pubblici amministratori.

L’intervento di Bertolaso appare tanto più significativo, in quanto dal primo gennaio egli andrà in pensione, lasciando un incarico al quale ha conferito un inusitato prestigio. Ha manifestato tra l’altro l’intenzione di tornare a fare il medico nel Terzo mondo, in Sudan, anche se difficilmente l’amico Gianni Letta, con il quale ha lavorato di conserva, vorrà privarsi della sua competenza e abnegazione. Ma, come il solerte capufficio che riordina le sue carte prima dello sgombero, ha voluto definire l’ultima pratica: con la denuncia delle persistenti collusioni e inadempienze che rendono così travagliato il recupero del Napoletano a una vita civile. Si è mosso, così, in qualche sintonia con il governatore di Bankitalia Mario Draghi, secondo il quale la crisi del Mezzogiorno, che è soprattutto politica e morale, può essere risolta soltanto dai diretti interessati, a partire da un ricambio della classe dirigente. Bertolaso, prima di imbarcarsi per altri lidi, ha scagliato per così dire la sua freccia del Parto, lasciando ad altri il compito di nuove offensive.

Erano attese ovviamente le proteste dei sindaci chiamati in causa, che esprimono stupore, rabbia, sconforto. Ma non possono intaccare la credibilità da lui maturata nell’ultima stagione dei dissesti italiani: l’efficienza dimostrata nel liberare dall’immondizia le strade di Napoli, nel restituire a tempo di record un confortevole ricetto ai terremotati d’Abruzzo. Ma valgono anche il disinteresse e il rigore di chi ha voluto presentarsi in ogni circostanza come un uomo delle istituzioni, un servitore dello Stato insensibile ai diversivi della politica e dell’ideologia. Bertolaso è uno dei volti migliori apparsi in questa Italia disastrata. Teniamocelo caro, se vorrà ancora dare una mano al Paese che ha mostrato di amare.

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« Risposta #26 inserito:: Dicembre 13, 2009, 10:09:55 am »

13/12/2009

Memorandum per Brunetta
   
LORENZO MONDO


Se gli è capitato di seguire una di queste sere alla tv «Striscia la notizia», il ministro Brunetta avrà avuto un sobbalzo. Perché il pungente «giornale» di Antonio Ricci, dedicato alle nostre magagne quotidiane, deve toccarlo sul vivo, mostrando quanto sia difficile (forse perdente?) la sua battaglia contro gli assenteisti e i profittatori che allignano nel pubblico impiego. Il cronista d’assalto Valerio Staffelli ha documentato infatti ciò che avviene in molti ospedali italiani, senza esclusione geografica, anche se il fenomeno raggiunge punte più elevate nel Centro-Sud.

Le sue telecamere hanno ripreso vari dipendenti che rivelavano una straordinaria solerzia nel timbrare il cartellino d’ingresso, salvo allontanarsi subito dopo per dedicarsi a personali faccende. Donne che accompagnavano il figlio a scuola, che facevano la spesa tra i banchi del mercato e, non contente d’aver già preso una robusta boccata d’aria, si trattenevano a far quattro chiacchiere con le amiche. In un ospedale si sono verificate ben sette timbrature fasulle e una dipendente ha fatto registrare un’assenza di due ore dal posto di lavoro. Non si capisce, o forse sì, come nessun collega, nessun dirigente abbia rilevato questo comportamento, addebitabile all’inveterata furbizia italiota. E’ augurabile che non si trattasse di personale infermieristico, stante la delicatezza di quelle mansioni.

Magari erano impiegate amministrative o segretarie, resta comunque il fatto che gettano ombre su tanti lavoratori per bene, che non si sognano di «marinare» l’ufficio. E non si parli di peccati veniali, tirando in ballo le esigenze familiari. Sono in molti a tenere famiglia. Il rispetto delle regole e dell’altrui fatica deve valere per tutti. Senza contare le conseguenze anche più gravi di un malcostume che accentua la cattiva opinione, e sia pure il pregiudizio, della gente sui dipendenti pubblici. Se è possibile defilarsi a cuor leggero dal posto di lavoro, non sarà che esiste comunque una copertura, garantita dall’esuberanza di personale? Che in certi posti non si ammazzano di lavoro? Prima ancora che al ministro Brunetta, tocca agli impiegati scrupolosi e onesti dissipare queste domande moleste, impedire - vietandosi una tolleranza e una solidarietà mal riposte - di essere confusi nel mucchio.

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« Risposta #27 inserito:: Dicembre 20, 2009, 10:18:35 am »

20/12/2009 - PANE AL PANE
 
Divieto di boccaccia
 
 
LORENZO MONDO
 
Giustizia è fatta. Un agricoltore marchigiano è stato condannato dalla Corte di Cassazione perché ha mostrato la lingua a un vicino.
Intendiamoci, il fatto punito dai giudici è stato il punto d’arrivo di rapporti contrassegnati da frequenti litigi.

Alla fine, il reo si è introdotto nel campo del rivale e lo ha colpito, non con un tridente o un badile come si sarebbe potuto temere in una feroce faida contadina, e neanche con insulti veementi, ma vibrandogli addosso la lingua. Non che i magistrati abbiano preso alla lettera l’adagio secondo cui ne uccide più la lingua che la spada.

Hanno tuttavia rilevato che il gesto non era ispirato, come spesso suole, da un intendimento giocoso o buffonesco, ma dalla volontà di offendere con il dileggio e il disprezzo.
Quella «tensione volitiva», per dirla con il loro linguaggio, risultava evidente dalla fotografia che, scattata dalla vittima al momento del confronto, è servita di base alla sua denuncia del misfatto. Doveva trattarsi di una ripresa fatta a regola d’arte, per consentire l’interpretazione di un animus che, a onor del vero, si poteva desumere dai trascorsi non idilliaci tra i due contendenti.

Fatto sta che l’intemperante personaggio è stato condannato dalla Suprema Corte (dopo una prima pronuncia del giudice di pace) a risarcire il danno e a sborsare 1300 euro per le spese processuali. E buon per lui che sia stato assolto dal reato di «ingresso abusivo in altrui fondo».

L’opinione pubblica ha buoni motivi per lamentarsi della giustizia. Le si addebitano, insieme agli sconti praticati con soverchia disponibilità a fior di delinquenti, l’eccessiva lentezza dei processi, le insufficienze degli strumenti di indagine, le verbose cavillosità.
Sembra troppo spesso annaspare nel vuoto, con e senza Ris, identificare con difficoltà un sicuro colpevole. Con esiti diversi, ne danno testimonianza certi processi (come quello di Garlasco) resi famosi dal rimbombo mediatico.

Ma esistono, vivaddio, esempi di severa, oculata applicazione della legalità, di pronta riparazione del diritto offeso.
Valga tra tutte, per quanto segnalata sommessamente dalle cronache, la storia del contadino costretto a ringoiare nella chiostra dei denti la sua malefica lingua.

da lastampa.it
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« Risposta #28 inserito:: Dicembre 27, 2009, 09:49:57 am »

27/12/2009 - PANE AL PANE
 
I matti che sono tra noi
 
LORENZO MONDO
 
Nell’ultimo e ultimissimo scorcio di dicembre si sono verificate, con esiti diversi, due aggressioni contro eminenti personalità.
A Milano, la statuetta del Duomo scagliata sulla faccia di Berlusconi; a Roma la spinta che ha fatto cadere in San Pietro, per fortuna senza conseguenze, Benedetto XVI (gli ha fatto idealmente scudo il femore del cardinale Etchegaray). Diverse anche le presumibili motivazioni dei due gesti, o per lo meno il loro innesco. E sarebbe improprio, da ogni punto di vista, mettere sullo stesso piano i due uomini che sono stati oggetto di fisica contestazione. Anche se, va ripetuto con chiarezza, non esiste nessuna giustificazione, da parte di persone civili, per un atto di violenza, sia esso dovuto a un dissenso politico, ideologico e perfino, all’occorrenza, teologico.

Un dato accomuna tuttavia i due episodi, ed è la stupefacente mobilitazione del popolo dei bloggers. Sono intervenuti, nel primo caso a decine di migliaia, per esprimere la loro soddisfazione, per deplorare il fallimento degli attentati, per esaltare i nuovissimi eroi di una rabbia esercitata contro un qualsivoglia potere. Si dà il caso tuttavia che esista una qualche parentela tra Massimo Tartaglia e Susanna Maiolo. L’uomo che ha agito in odio a Berlusconi è uno psicolabile e la donna che se l’è presa confusamente con il Papa soffre di disturbi mentali. Vien da pensare, con beffardo riscontro, che la congerie di estremisti soliti a esprimersi attraverso la Rete siano ridotti alla frutta, se devono contentarsi di essere rappresentati da matti, di innalzare sulle loro bandiere i simboli di una clinica deficienza.

A meno che non si debba ricorrere a un’altra spiegazione, alla presenza cioè, non avvertibile diversamente in tali dimensioni, di troppa gente tocca che permea i gangli della nostra società. E’ un’ipotesi conturbante, che impegna la salute pubblica, e vogliamo scartarla, pensando semmai a una stupida ed emulatrice esuberanza verbale. Non sopporteremmo la preoccupazione di guardarci sospettosamente intorno, la paura di scambiare opinioni con persone non appartenenti alla cerchia familiare, di esprimere liberamente una convinzione politica o religiosa. E ci diciamo con esitante fiducia: coraggio, tanti matti sono tra noi, ma non vinceranno.

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« Risposta #29 inserito:: Dicembre 28, 2009, 05:34:44 pm »

27/12/2009 - PANE AL PANE
 
I matti che sono tra noi
 
LORENZO MONDO
 
Nell’ultimo e ultimissimo scorcio di dicembre si sono verificate, con esiti diversi, due aggressioni contro eminenti personalità.
A Milano, la statuetta del Duomo scagliata sulla faccia di Berlusconi; a Roma la spinta che ha fatto cadere in San Pietro, per fortuna senza conseguenze, Benedetto XVI (gli ha fatto idealmente scudo il femore del cardinale Etchegaray). Diverse anche le presumibili motivazioni dei due gesti, o per lo meno il loro innesco. E sarebbe improprio, da ogni punto di vista, mettere sullo stesso piano i due uomini che sono stati oggetto di fisica contestazione. Anche se, va ripetuto con chiarezza, non esiste nessuna giustificazione, da parte di persone civili, per un atto di violenza, sia esso dovuto a un dissenso politico, ideologico e perfino, all’occorrenza, teologico.

Un dato accomuna tuttavia i due episodi, ed è la stupefacente mobilitazione del popolo dei bloggers. Sono intervenuti, nel primo caso a decine di migliaia, per esprimere la loro soddisfazione, per deplorare il fallimento degli attentati, per esaltare i nuovissimi eroi di una rabbia esercitata contro un qualsivoglia potere. Si dà il caso tuttavia che esista una qualche parentela tra Massimo Tartaglia e Susanna Maiolo. L’uomo che ha agito in odio a Berlusconi è uno psicolabile e la donna che se l’è presa confusamente con il Papa soffre di disturbi mentali. Vien da pensare, con beffardo riscontro, che la congerie di estremisti soliti a esprimersi attraverso la Rete siano ridotti alla frutta, se devono contentarsi di essere rappresentati da matti, di innalzare sulle loro bandiere i simboli di una clinica deficienza.

A meno che non si debba ricorrere a un’altra spiegazione, alla presenza cioè, non avvertibile diversamente in tali dimensioni, di troppa gente tocca che permea i gangli della nostra società. E’ un’ipotesi conturbante, che impegna la salute pubblica, e vogliamo scartarla, pensando semmai a una stupida ed emulatrice esuberanza verbale. Non sopporteremmo la preoccupazione di guardarci sospettosamente intorno, la paura di scambiare opinioni con persone non appartenenti alla cerchia familiare, di esprimere liberamente una convinzione politica o religiosa. E ci diciamo con esitante fiducia: coraggio, tanti matti sono tra noi, ma non vinceranno.

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