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Mario Adinolfi

In difesa di Beppe Grillo

Ieri 17 gennaio 2008, 18.24.00


Nella marea di fango e monnezza che ci travolge, con una classe politica che fa quadrato e si difende, una magistratura che attacca come sa e come può raccontandoci la favoletta di una Sandra Lonardo concussore di un Antonio Bassolino concusso (come se non si sapesse che ogni singolo posto pubblico è spartito politicamente, secondo le logiche giustamente contestate all'ex ministro Clemente Mastella che ora fa la stessa chiamata di correità, alla napoletana e con aggiunta di lacrime, che fece Craxi a un Parlamento attonito quindici anni fa), un sistema mediatico che fa semplicemente paura per la commistione di colossali interessi economici con il fondamentale ruolo del dare le notizie, c'è chi pensa bene che sia l'ora di prendersela con i blogger.

Anzi, con un blogger: con il povero Beppe Grillo.

Ho assistito attonito (e l'ho scritto sul mio blog su la7) a una performance di Antonello Piroso che ha affilato l'ascia e annunciato che non farà pronunciare più ai suoi giornalisti qualsiasi notizia su Beppe Grillo, reo di non aver rilasciato un'intervista allo splendido Sandro Gilioli, caporedattore dell'Espresso e blogger di fama anch'egli.

Grillo non si fida dell'informazione italiana, ci sta costruendo sopra un V-Day fissato per il prossimo 25 aprile e in questi giorni di fango e monnezza non so come si possa indicare in Grillo un obiettivo da colpire con il silenziamento. Solo un'informazione stranamente afflitta da sindrome di coda di paglia può pensare che sia il momento di prendersela con uno che utilizza un blog con maestria, che suscita consapevolezza e interrogativi in una fascia davvero ampia di persone che all'informazione italiana intossicata dagli interessi degli editori impuri, proprio non riesce più a credere.

Ci sarebbe da interrogarsi sul perché. Da interrogarsi sul perché decine di milioni di italiani, semplicemente, non accendono più la televisione e non leggono più i giornali. Sul perché Nielsen ci annuncia il sorpasso del web sulla tv e non a causa di una generazione di smanettoni, ma per via di quella casalinga di Voghera che se deve informarsi sulle qualità di un prodotto, si fida più dei commenti dei blogger rispetto alle valutazioni dei mass media inquinati da pubblicità e interessi vari.

Non lo so, non mi pare davvero il momento di prendersela con Grillo. Mi pare invece intelligente pretendere, davanti alla classe dirigente peggiore del mondo occidentale, un'informazione che sappia essere libera e che racconti, prima che esplodano, i bubboni purulenti di questo sempre più insopportabile paese.

Tra un frizzo e un lazzo, un blogger come Grillo lo fa. L'informazione italiana, no: è sempre di rincorsa, racconta sempre il dopo e, con pochissime eccezioni ben marginalizzate, priva di qualsiasi condizione di vera libertà. E' un'informazione al laccio: i cani da guardia della democrazia si sono trasformati nei cagnolini da passeggio del potere.

Il nodo del tracollo italiano è tutto qua. E io al V-Day di Grillo contro l'informazione serva, il 25 aprile, mi sa proprio che ci vado. E anche se dovesse davvero essere attuata la minaccia di Piroso e la televisione e i giornali tutti provassero di nuovo a giocare la carta del silenziamento dei blogger, ho paura che ancora una volta tra tre mesi si sveglieranno con la sensazione di essere drammaticamente in ritardo e di non aver capito un cazzo.

da marioadinolfi.ilcannocchiale.it

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Mario Adinolfi

Pilato e Benedetto

Ieri 20 gennaio 2008, 15.37.00


No, non ci sono andato a piazza San Pietro. Troppi farisei e pure troppi scribi. Non ci sarei andato da fedele, non da pecora del gregge, che lo so che "morrò pecora nera", ma da romano ferito. In questa città non si nega parola a nessuno, che sia papa o re, coladirienzo o ciceruacchio, pazzo o madonna, carbonaro o chierichetto, imperatore o pezzente, albertosordi o nannimoretti. Qui hanno sempre parlato tutti, in un contesto di bonomia reciproca intelligente e cinica, negare la parola è un atto non da romani, non da Roma.

Perché a Benedetto la parola è stata, proprio a Roma, negata? Perché, quando se l'è voluta riprendere, lo ha fatto trovando sotto le finestre di San Pietro praticamente tutta la città?

Le negazione è negazione della Verità. Non c'è niente da fare, siamo tutti un po' Pilato quando ci mettono sotto il naso lo scandalo della Verità (che non è di questo mondo). Siamo tutti aggrappati a quel "quid est veritas?" indifeso e sottilmente screanzato del governatore della Giudea, un Bassolino di due millenni fa. Se c'è uno che ci indica una strada, non sappiamo più indicarne un'altra, sappiamo solo negarla. E' la radice del nichilismo, che non è mai kantiano, che Immanuel diceva che c'è distinzione sì tra noumeno e fenomeno, ma il noumeno non è che non esiste, al limite è inconoscibile, "non esperibile". E' dal nichilismo che nasce la contestazione dei quattro smandrappati della Sapienza, mentre dalla sfida a Kant nasce la grandezza di Benedetto.

Il papa ci dice che il noumeno (la cosa-in-sé, la Verità insomma) non solo esiste, ma è conoscibile, esperibile e si chiama Gesù di Nazareth (il libro ratzingeriano così intitolato è semplicemente splendido). Da questo derivano una serie di precetti morali che, in Italia in particolare, assumono anche i contorni della battaglia politica: la grande novità di Ratzinger, diverso in questo da tutti i suoi recenti predecessori, che si sono attestati sulla linea di Gesù e a quell'agnostico "quid est veritas" di tutti i Pilato del mondo hanno risposto con il cristiano e rassegnato silenzio, è nella sua sfida al Governatore, alla politica. Dice il papa: "Voi con la vostra ragione priva di fede non andate da nessuna parte, girate a vuoto, pestate l'acqua nel mortaio, non sapete più dire cosa sia giusto e cosa ingiusto, cosa legittimo e cosa illegittimo, cosa vero e cosa falso". La sfida allo scetticismo di Pilato è la sfida alla politica che non crede più a niente e si fa inevitabilmente mera gestione del potere.

Si può tranquillamente affermare che la sfida di Benedetto a Pilato sia destinata alla sconfitta?

Io non lo credo e sono terribilmente preoccupato. Ancora una volta, da romano. Da cittadino che percepisce la crisi dell'idea stessa di cittadinanza e il conseguente inevitabile fascino dell'appartenenza a un'idea di Fede, anche a prescindere da come la si pensi in fatto di trascendenza, Paradisi e Inferni. E' ovvio che si ingrossino le fila dell'ateismo devoto, in un contesto siffatto: tutta la politica che ha perso l'Idea, finisce per subire la fascinazione della Fede.

Ma se la Fede entra nella sfera della decisione politica, i rischi di trascinamento in un terreno integralista a sfondo teocratico sono oggettivi. Cosa fare? A differenza di Pilato, abbiamo in mano la risposta, abbiamo la possibilità di opporre alla Fede che avanza nel deserto delle idee, l'Idea più bella generata dall'uomo negli ultimi due secoli: la Democrazia come valore-in-sé. Cos'è giusto e cosa ingiusto? Quello che è democraticamente deciso come legittimo, è legittimo. Quel che è illegittimo per decisione democratica, resti illegittimo.

Se la Democrazia è il nostro reagire, non potrà mai esserlo il far tacere una voce. Che Benedetto parli e ci proponga la sua affascinante Verità immutabile, noi ascoltiamolo e rispondiamo con la nostra idea di Verità democratica che deriva dalla decisione di ognuno che diventa la decisione di tutti. Perché l'unica replica credibile a chi testimonia la forza del Dio-persona, è quella di chi sostiene che ogni persona è Dio, quando non resta solo.


da marioadinolfi.ilcannocchiale.it


Nota dell'admin: Nella filosofia di Platone, il noumeno (da nooúmenon in greco, "ciò che viene pensato") rappresenta una specie intellegibile o idea e indica tutto ciò che non può essere percepito nel mondo tangibile ma a cui si può arrivare solo tramite il ragionamento. Il noumeno, come concetto, fonda l'idea di metafisica in Platone.

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Mario Adinolfi

Ieri 1 febbraio 2008, 19.08.03

Live blogging from the commission


Siamo in pausa, un quarto degli emendamenti è stato votato, il nostro per primo. Intervento appassionato a difesa della democrazia diretta, sonora bocciatura. Bocciati tutti gli emendamenti proposti fuori da un accordo raggiunto tra veltroniani, dalemiani, lettiani e ex popolari. I bindiani hanno giocato a fare la minoranza, poi quando la questione si faceva politicamente dura (ad esempio sull'emendamento che voleva togliere l'automatismo tra segreteria del Pd e candidatura a premier) hanno preferito ritirare gli emendamenti contestati: ci son pur sempre le liste da fare per le candidature a parlamentare, tra poco, e dicono che Veltroni sia permaloso.

Le figure che vedete all'inizio di questo filmato in piedi sono Goffredo Bettini e Nicodemo Oliverio, generali di corpo d'armata rispettivamente per Veltroni e per Marini, dopo un conciliabolo che conferma l'accordo tra i due gruppi più forti della commissione.

Il lavoro è tanto, si andrà avanti fino a notte e poi domani mattina si ricomincia. Le danze, come dicevamo, le abbiamo avviate noi: emendamento sulla democrazia diretta, parere contrario del presidente, un episodio che mi ha fatto piacere, uno che mi ha fatto dispiacere. Mi ha fatto piacere il voto a favore di Ivan Scalfarotto (hai visto mai che con iMille si possa ricominciare a far le cose insieme, prima o poi si toglieranno il broncio), mi è dispiaciuto ascoltare l'intervento del bindiano Roberto Zaccaria che ha detto: "Adinolfi, se la gente non sa cos'è l'articolo 49 della Costituzione, la colpa è della gente". Noi apriamo il nostro statuto, articolo 1 comma 1, con una frase che per il 99,5% degli italiani è incomprensibile. E solo a noi direttisti, questo, è sembrato un problema.

Fa niente. Domani alle 8.15 del mattino, tanto per non farmi mancare niente, vado a parlare della situazione complessiva a Omnibus su la7.

E' tutta una faticaccia boia. Se potete, non lasciatemi solo. E ricordatevi che la decisione sul come votare sullo statuto del Pd la prendiamo insieme, dunque fatemi sapere voi cosa fareste.

da marioadinolfi.ilcannocchiale.it

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Mario Adinolfi

Ieri 2 febbraio 2008, 14.21.08

Tre contributi alla battaglia

In una sola giornata mi sono ritrovato a dover dare tre miei piccoli contributi alla battaglia disperata e incombente per evitare che Berlusconi torni al governo di questo paese. Stamattina a la7, stretto nella tenaglia tra Tajani e Mussolini, certo non con l'aiuto del comunista Mantovani, ho difeso anche il governo Prodi.

Poi un taxi mi ha portato in commissione statuto del Pd per la seconda giornata di lavoro, dove si è votato una infinità di emendamenti che non hanno cambiato la sostanza di un testo adatto ad un partito novecentesco, con qualche verniciatura e qualche elemento di novità interessante, insufficienti però per portarmi a un voto positivo. Ma poiché siamo ormai in battaglia, come secondo contributo alla battaglia ho voluto salvaguardare l'unità del partito e sono uscito dalla commissione non esprimendo così il voto contrario al testo finale, sperando che l'assemblea costituente che verrà convocata a breve corregga quel che si può correggere.

Sono andato via dalla commissione portando sotto il braccio la copia di Europa su cui era stampato il mio terzo contributo del giorno, per un Pd che apra davvero una nuova stagione, se ne sarà finalmente capace. Un articolo che mi provocherà qualche nuovo amico, immagino.



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IL VIZIO PASSATISTA E DA NOI MAI UN OBAMA

di Mario Adinolfi per Europa


Da Prodi a Marini
Lo avete notato? Siamo appena usciti dal governo guidato dal nostro campione, che era lo stesso campione di dodici anni fa, che stiamo provando a rientrare in gioco con un governo guidato da una persona a cui io voglio un mondo di bene, ma che ricordo ancora agli albori della mia pre-adolescenziale passione politica contendere il posto da segretario della Democrazia cristiana al collega di commissione statuto del Partito democratico, Ciriaco De Mita (congresso Dc, Roma, 1984). Stiamo parlando di un quarto di secolo fa. E quindici anni fa un giovane Francesco Rutelli si affacciava a rappresentare la novità nelle elezioni comunali di Roma del 1993, quelle della svolta. Davvero, nel 2008, per trovare un candidato sindaco capace di vincere non possiamo far altro che guardare al glorioso passato? O quello del passatismo, vera e propria ideologia delle classi dirigenti del centrosinistra in generale e del Partito democratico in particolare, è un vizio di cui non si riesce a fare a meno?

Il luogo dove lanciare la sfida
Dobbiamo regalarci un’analisi sui motivi per cui a sinistra, anche in questa fase in cui il Partito democratico dovrebbe caratterizzarsi come generatore di novità e di futuro, non si riesce a cambiare. Insomma, dobbiamo ragionare sul perché un Obama da noi non è pensabile. Vedete, non mi meraviglia il fatto che Berlusconi si prepari per la quinta volta a correre come candidato alla presidenza del Consiglio, che Fini abbia oltrepassato il ventennio (il suo subconscio ne sarà oltremodo orgoglioso) alla guida assoluta del suo partito, che Bossi resti capo della Lega un quarto di secolo dopo la sua fondazione e nella palese incapacità di guidarla operativamente, che persino Casini sia arrivato a quindici anni ininterrotti di leadership del suo partito a geometrie e simboli variabili. Insomma, non mi meraviglia che il campo dei conservatori conservi, che Pannella faccia il guru da mezzo secolo e Mastella il feudatario da vent’anni. Mi meraviglia che tutte queste durate da era geologica che raccontano l’immobilismo della politica italiana (Clinton è durato otto anni, Blair e Aznar dieci, ora scrivono libri e tengono conferenze) non vengano colte dal Pd come il vero luogo dove lanciare la sfida.

Le ragioni di una timidezza
Ci sono ragioni evidenti per questa timidezza e sono le ragioni chiare di un Pd che nasce all’incrocio tra un colpo d’ala e un tentativo di salvaguardarsi delle oligarchie. Ho vissuto molte trasformazioni, da militante e da cronista: dalla Dc al Ppi alla Margherita al Pd, ma anche dal Pci, al Pds, ai Ds al Pd. Quello che colpisce di questa evoluzione è che nessuno dei protagonisti di questa fase finale del percorso non fosse un politico importante già nella fase iniziale del percorso stesso. Viene, insomma, il sospetto che non di evoluzione politica si sia trattato, ma di tentativo delle classi dirigenti oligarchiche di salvaguardarsi di passaggio in passaggio.

Se non si cambia
Non si può vincere, non si può neanche convincere, se non si cambia davvero. Nessuno crederà al Pd come novità della politica italiana, se ogni passaggio sarà costruito tenendo conto dell’interesse dei perpetui a perpetuarsi. Contare su un loro gesto di ragionevolezza e generosità, è purtroppo impossibile. Allora toccherà a Veltroni cogliere questa necessità. Mi auguro che chi guarda con invidia a Obama, che definisce come “rappresentante del passato” la prima possibile presidente donna degli Stati Uniti, si renda conto che non ha altra strada che esserlo davvero.

da marioadinolfi.ilcannocchiale.it

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Mario Adinolfi

Ieri 11 febbraio 2008, 10.55.15

Due luoghi per (con)vincere: rete e tv pop


Due settimane fa ci siamo dilettati a indicare quattro possibili mosse per vincere le elezioni e mi fa piacere notare che il programma secco che partisse dai salari oltre che la coalizione snella e coesa sono punti presenti nella strategia veltroniana delineata nel discorso all'Italia di domenica (con questo dettaglio dei radicali, che io vorrei dentro e Walter vuole fuori, ma è un dettaglio, mica la questione universale che ci vogliono far credere Massimo Bordin e Adriano Sofri).

Ora, si pone la questione dei luoghi. Gli spin doctor di Veltroni sono convinti di questa strategia da bella cartolina-inquadratura inaugurata a Spello. Il cielo vero contro il cielo finto. la platea silenziosa di giovani, il borgo del buen retiro degregoriano e molti altri ingredienti che fanno tanto roma-bene-desinistra-cinquantenne. Ecco, io sono convinto come gli spin doctor che la questione dei luogi sia importante, ma a differenza loro eviterei l'aria pulita e l'ansia mulinobianchesca, che non ci portano un voto. Preferirei vedere la campagna elettorale del "Si può fare" concentrata in luoghi decisivi, dove si annida l'attenzione delle due fasce di votanti che possono portarci davvero a vincere il 14 aprile: giovani e donne.

La maggior parte dei giovani "veri" e delle donne "vere" hanno in comune una cosa: sono poco appassionati di politica. Non guardano i telegiornali e dunque non se ne fanno nulla della bella inquadratura umbra, non passano un minuto né su Porta a Porta né su Ballarò, per loro Otto e Mezzo è solo l'ora di cena. Come comunicare con loro, cioè con il segmento di elettorato mobile che può consegnarci il governo del Paese? Ma, soprattutto, dove farlo?

I luoghi sono due: internet per i giovani, la tv pop per le donne. Vanno dunque immaginate due campagne ad hoc: una sulla rete, che tenga presente la necessità di chi la frequenta di essere protagonista e non spettatore, generatori di contenuti e non ragazzo pon pon. Il nuovo sito del Pd, in questo senso, è concepito come strumento di propaganda e non di coinvolgimento. Forse con l'avvio dei forum tematici si farà un passo avanti, ma bisognerà saperli utilizzare senza timori.

La tv pop è terreno più delicato, per via delle rigide normative della par condicio, ma bisogna far irrompere la politica nei contenitori più seguiti del mattino e del pomeriggio: Aldo Grasso ha giustamente citato Unomattina e Domenica In come luoghi cruciali della partita, io ci inserirei anche la Vita in Diretta e l'Italia sul Due. In particolare il programma di Michele Cucuzza è seguito quotidianamente da una platea sterminata di milioni di signore curiose, a cui sarà bene spiegare che la vita è anche la politica o, meglio, che la politica può migliorarla. Se cambia davvero.

da marioadinolfi.ilcannocchiale.it

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