News dal PAESE che il PD deve fare MIGLIORE.

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8/6/2009 (21:45) - PERSONAGGIO

La Serracchiani batte Berlusconi: "E' la Rete che mi ha dato slancio"
 
La giovane candidata Pd fa il pieno di preferenze nel Nord-Est, meglio del Cavaliere.

"E' un dato esaltante"

ROMA


«Mi sveglio, un occhio ai dati e ... in Friuli Venezia Giulia Debora batte "papi" 73.910 a 64.286». Debora ce l'ha fatta, sfruttando la forza del web: non c’è dubbio, infatti, che nell’elezione di Debora Serracchiani al Parlamento europeo per il Pd nella circoscrizione del Nordest un ruolo fondamentale l’abbia svolto proprio la rete.

Fu infatti un intervento della giovane avvocato udinese - nata a Roma 39 anni fa, ma friulana d’adozione - all’assemblea dei circoli del Pd la primavera scorsa e pubblicato sul web a lanciare la ragazza alla ribalta della politica nazionale. Le sue critiche alla leadership del partito, le sue invettive contro i ’solonì del Pd ebbero una rapidissima diffusione. E sul web scoppiò la ’deboramanià. In pochi giorni il suo clip venne visto e ascoltato da centinaia di migliaia di giovani e meno giovani. Tanto che il segretario del Pd, Dario Franceschini, dovette prenderne atto e candidare Debora alle europee.

Poi, quella che all’inizio era "solamente" una giovane avvocato, piccola e timida, si è via via trasformata in cigno. Un cigno straordinario, capace, in Friuli Venezia Giulia, di battere nelle preferenze addirittura Silvio Berluscioni (73.910 preferenze contro 64.286 del premier) e di volare letteralmente a Strasburgo con oltre centomila preferenze. Politicamente Serracchiani ’nascè nel 2006 quando arriva al consiglio provinciale di Udine, eletta nei Ds. Diventa capogruppo e dall’opposizione si fa notare per interventi precisi e decisi. Poi la ’battaglià con la collega Maria Teresa Burtolo per la guida del Pd a Udine e, infine, la sua partecipazione all’assemblea dei circoli.

«Sono felicissima di aver battuto Berlusconi - ha commentato oggi - e questa giornata valeva la pena di essere vissuta se non altro per questo.
Ma devo ringraziare Franceschini che ha sempre creduto in me, fin dal primo momento. Nonostante le mie dure critiche. E poi il partito. Ha lavorato tanto e bene sul territorio. Ma non c’è dubbio - ha concluso Debora - che è stata la rete a darmi quello slancio necessario a raggiungere questo risultato eclatante».

da lastampa.it

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9/6/2009 (7:34) - IL VOTO. IL CENTROSINISTRA

Pd verso match Franceschini-Bersani
 
Ma ora i giovani puntano su un candidato di rottura

FABIO MARTINI

A mezzogiorno meno cinque Dario il «descamisado» si è rimesso la giacca, ha indossato una cravatta rossa ma non troppo e si è alfine presentato nella sala stampa del Pd per depositare gli slogan e i «sonori» da far diffondere attraverso tg, agenzie, giornali, Televideo. Primo messaggio di Dario Franceschini: «Il voto ha fatto svanire il mito dell’invincibilità di Berlusconi», «la maggioranza nel suo complesso non ha superato il 50% e dunque è minoranza nel Paese». Il Pd? «Ha centrato l’obiettivo di radicarsi e di continuare il rinnovamento della propria forza». E quanto alla parola sconfitta, Franceschini si è guardato bene dal pronunciarla e semmai l’ha declinata come verbo: «Gli avvoltoi che per mesi ci hanno girato attorno nel tentativo di mostrare che questo voto avrebbe rappresentato la fine del Pd, sono stati sconfitti». Franceschini ha esternato due ore prima che iniziasse l’insidioso spoglio delle elezioni provinciali e comunali e ha dunque preferito «surfare» sul controverso risultato ottenuto alle Europee.

Ma dopo l’altalenante nottata domenicale, ieri mattina il Pd si è risvegliato più magro - e questo si era capito subito - ma anche più «bianco». E questa è la vera novità. Un Pd più bianco perché la quota di voto di sinistra si è ulteriormente abbassata dopo che il Pdl è diventato il primo partito in due regioni rosse, come Umbria e Marche. Più bianco perché dei 22 europarlamentari eletti, soltanto la metà sono ex ds, con un recordman delle preferenze, David Sassoli, fortemente voluto da Dario Franceschini. Più bianco, perché per dirla con Pierluigi Castagnetti «le difficoltà dei partiti socialisti europei hanno chiuso la prospettiva socialdemocratica e hanno intrecciato i nostri destini». Ma anche un Pd più magro, molto più magro: secondo quanto rilevato dall’Istituto Cattaneo di Bologna, il Partito democratico ha perso 2 milioni di voti rispetto alle Europee del 2004 e oltre 4 milioni rispetto alle Politiche del 2008.

E così, da ieri si è ufficiosamente aperta la stagione congressuale, in vista della resa dei conti genericamente fissata per ottobre. Per il momento il gioco delle parti ha proposto un auto-candidato, l’ex ds Pierluigi Bersani, che non ha mai ritirato la sua disponibilità; e un segretario in carica, Dario Franceschini, che ha sempre detto che lui avrebbe traghettato il partito sino al congresso e poi si sarebbe messo da parte. Andranno fino in fondo entrambi, l’uno candidandosi e l’altro ritirandosi? Chi lo conosce bene, assicura che Franceschini, accetterà la nomination soltanto se glielo chiederanno, perché non ha intenzione di lanciarsi in un «corpo a corpo» contro Bersani. Vero? Verosimile? Una cosa è certa. A 48 ore dal voto europeo, nessuno dei notabili ha ringraziato Franceschini, anche se il suo sodale Beppe Fioroni spinge per la ricandidatura: «A ottobre Dario termina e poi riparte». E quanto a Bersani conferma che lui sarà in gara, quando dice che «il Pd è al mondo, ma non va bene così», che il partito deve andare «oltre l’esperienza socialdemocratica». E Massimo D’Alema? Sosterrà il suo amico e compagno Pierluigi in una battaglia interna di contrapposizione? «Aspettiamo...», dice un dalemiano doc come Nicola Latorre. Ma se Bersani tenesse duro, nella coalizione che sostiene Franceschini, c’è chi vagheggia altre soluzioni.

Due giorni fa, chi attraversava il «piano nobile» di largo Nazareno, ha carpito una battuta scherzosa di Walter Verini, braccio destro di Veltroni: «A me interessa soltanto il risultato della Serracchiani!». Certo, una battuta, ma intanto Veltroni è salito sino in Friuli per fare un comizio assieme a Debora. E la Serracchiani ha dietro di sé anche un drappello di accaniti innovatori, i «piombini» guidati dal prodiano Sandro Gozi e dalla veltroniana Paola Concia e che si sono già dati appuntamento al Lingotto per fine giugno. Dice la Concia: «Con il Pd competente e chiaro incarnato dalla Serracchiani, Berlusconi si può battere».

Ma non c’è solo Debora. Se davvero Franceschini dovesse gettare la spugna, ma pochi ci credono, dal suo fronte potrebbero uscire diverse ipotesi. A cominciare dal recordman David Sassoli e dal sindaco di Torino Sergio Chiamparino. «Noi del Pd siamo al bivio: dobbiamo scegliere tra Idv e Udc»: così Marco Follini, senatore del Partito democratico, ha analizzato l’esito del voto. «La difficoltà più grande è quella di Berlusconi - ha affermato Follini, ospite di Red Tv - che aveva indicato il 40% come facile obbiettivo per il Pdl. Solitamente indiceva i referendum e li vinceva. Stavolta l’ha indetto e ha perso». «L’Italia - ha proseguito - non è un paese bipolare: la somma dei due partiti maggiori comincia a scendere. Il centro non è l’ago della bilancia: dev’essere ciò che unisce il paese e non ciò che lo divide. Noi del Pd siamo al bivio che ha spiegato l’Osservatore Romano: dobbiamo scegliere tra Idv e Udc».

da lastampa.it

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EUROPEE

L'antivelina che ha battuto "Papi" sulle preferenze

Simona Caselli 47 anni, in lista per il Pd alle Europee ha raccolto più "gradimenti" di Berlusconi nella Parma governata dal centro destra e nel Parmense


di Marco Severo

 Ora tutti la cercano. Televisioni, giornali, radio. Il suo telefonino, a un certo punto, cede di schianto e per mezz’ora non dà più segni di vita: “Chiedo scusa – dice lei riaffiorando dal blackout – ma da stamattina il mio cellulare non ha mai smesso di squillare”.

E pensare che fino a ieri quasi nessuno conosceva Simona Caselli - 47enne parmigiana, dirigente del Consorzio cooperativo di Reggio Emilia e candidata Pd per le europee nel nordest - la donna che a Parma ha battuto Papi Berlusconi. Nientedimeno. E adesso invece eccola qua, sulle home dei siti internet, contesa dagli intervistatori che già parlano di “rivincita nostrana sulla politica delle veline”. Di politica fatta per strada, tra la gente. Mica a villa Certosa tra le miss senza veli. L’unico spoglio che interessa, alla Caselli, è infatti quello delle schede per le europee. E da stamattina la sua performance è da urlo: 5635 preferenze in città contro i 5174 voti di Silvio. Allargando lo zoom all’intera provincia, invece, è Papi che ancora conduce 10973 a 10286.

“Ma mancano ancora i risultati di Fidenza – precisa la Caselli – dove mi dicono che posso contare su altri 300 voti”. A questi, alla fine della fiera, andranno aggiunti i circa 2500 già quasi impacchettati a Reggio Emilia, i 2000 del Friuli e altrettante preferenze in arrivo da Forlì. “Non è escluso che, con il conteggio definitivo, riusciamo a toccare quota 20mila”. E però calma, piedi ben piantati a terra. “Figuriamoci – sorride Simona – non sono certo il tipo da farmi prendere la mano. Fino a pochi giorni fa nessun giornale era disposto a darmi spazio. Sono abituata ad essere realista”.

Di sicuro, comunque, si può dire che un risultato del genere era inatteso: “Vero – conferma l’antiPapi - non speravo in tanto, anche se parecchi segnali di apprezzamento mi erano venuti durante la campagna elettorale”. Ecco, la campagna elettorale. “E’ stata una faticaccia, partita appena un mese e mezzo fa e costata un enorme sforzo ai miei collaboratori, tutti volontari”. In pochi giorni s’è dovuto pensare a un ufficio stampa, allestire un comitato elettore, stilare un programma per i comizi. 
“Tuttavia è stata un’esperienza fantastica, costruita giorno dopo giorno con il dialogo con la gente, con l’ascolto, con il contatto più autentico”. La politica del porta a porta contro quella dei salotti e dei maggiordomi televisivi: “Sì – ride la Caselli – credo proprio che la mia vicenda, caratterizzata dall’assoluta povertà di mezzi mediatici, dimostri come ancora sia possibile fare politica in maniera tradizionale”.

E vincere. Grazie anche a un programma semplice e chiarissimo: “ Punto primo, serve più rigore finanziario in Europa. Basta con la deregulation dei mercati. E poi stop ai compensi a brevissimo giro per i manager. D’ora in poi a Strasburgo occorrerà più attenzione ai programmi di lungo respiro, che sappiano cioè guardare al futuro in maniera organica”. Volando un poco più in alto di villa Certosa. Anche senza aerei di Stato.

(08 giugno 2009)
da repubblica.it

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La sinistra svanita nel profondo Nord

Formigoni ha messo le mani avanti con la sua ricandidatura, ma la Lega ora è al 22,7


Pavia, vinta. Cremona, vinta. Lecco, vinta… Nel primo pomeriggio la Lombardia del voto è tutta da una parte, Popolo della Libertà e Lega si prendono Comuni e nuove Province, nei territori dell'impresa diffusa ritorna il profondo Nord e si ammainano le bandiere del centrosinistra. Si fa prima a contare quel resta del Partito democratico in una Regione trafitta dai simboli del centrodestra, perché cadono in rapida sequenza città e giunte storiche, da Bergamo a Brescia, a Sondrio l'impennata della Lega trascina l'alleanza verso uno storico en plein. Se non ci fosse il caso Milano, con l'insperato ballottaggio in Provincia conquistato dal presidente uscente Filippo Penati, nell’analisi del voto a sinistra ci sarebbe soltanto il bilancio di un disastro annunciato. Al di là delle percentuali bulgare raggiunte dalla Lega nelle enclave da sempre fedeli, c'è l'andamento stabile del Popolo della Libertà che mantiene il suo 33 per cento dei voti e conferma un primato difficile da insidiare. A questo punto la prossima partita si giocherà in casa, nella scelta del futuro presidente della Regione. Roberto Formigoni mette le mani avanti con la sua ricandidatura: l'alleato leghista adesso è un vero competitor, con il 22,7 per cento dei voti il Carroccio diventa secondo partito, davanti anche al Pd: il futuro, per la sinistra in Lombardia, è tutto da ricostruire.

Nemmeno la crisi di Malpensa e le baruffe sull'Expo hanno inciso sull'esito di un voto che non è mai stato in discussione. Non c'è mai stata incertezza: neppure per la nuova provincia di Monza, incamerata al primo turno dal presidente Dario Allevi. Era nell'aria il boom del Carroccio, l’hanno costruito con la battaglia sui clandestini e l’hanno cercato con pazienza centinaia di militanti che non disdegnano di passare la domenica davanti ai banchetti disseminati nelle piazze delle città e dei paesi. Sotto le bandiere biancoverdi dove si raccolgono firme e si annunciano impegni, si chiedono anche i voti per rafforzare la sicurezza e allontanare gli irregolari. Soffia un vento di paura nella Lombardia dove aumentano le rapine, gli anziani si sentono indifesi e la droga alimenta l'esercito delle piccole illegalità. Si vince anche con parole chiare: la Lega, il Pdl, le trovano; la sinistra no. Nel controllo capillare del territorio la nuova generazione di politici leghisti occupa lo spazio lasciato vuoto dall'organizzazione del vecchio Pci. Il voto premia anche la presenza. C'è da riflettere nell'area progressista sull'eccesso di politica virtuale e sulle piazze lasciate agli avversari: ma pesa anche la scomparsa di una classe dirigente. Può aiutare l'analisi della sconfitta il risultato strappato dal presidente uscente della Provincia, Filippo Penati, un ex sindaco che calpesta il marciapiede e in campagna elettorale si è mosso come un militante leghista, svincolandosi dai criteri dell’appartenenza, appoggiando la linea dura sui clandestini e anche le ronde. Per un pugno di voti Guido Podestà, il candidato del Popolo della Libertà, non è passato al primo turno.

Il Partito democratico ha due settimane per l’ultimo appello, ma lo schiaffo del Nord è un avvertimento pesante: avanti così, si perde.

Giangiacono Schiavi
09 giugno 2009
da corriere.it

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8/7/2009 (6:15) - IL VERTICE

Hillary Clinton: così batteremo la fame
 
L'ho deciso con Obama: basta con aiuti d'emergenza, è l'ora dell'economia sostenibile


Questa mattina un miliardo di persone nel mondo si sono svegliate affamate. Questa sera andranno a letto senza cena. Oggi, in un villaggio del Niger, una donna dovrà camminare per chilometri in cerca di acqua potabile per la sua famiglia. Oggi, ad Haiti, la frutta prodotta in eccedenza da un agricoltore finirà per marcire perché non ha i mezzi per conservarla e portarla poi al mercato.

Oggi, in Congo, una famiglia scapperà dalla guerra che ha lasciato la sua fattoria e suoi campi devastati. E oggi, in una scuola del Bangladesh, i bambini non riusciranno a seguire le lezioni perché deboli e malnutriti.

La fame non è soltanto una condizione fisica, è un freno alla crescita economica, una minaccia alla sicurezza globale, una barriera per la salute e l'educazione, una trappola per milioni di persone in tutto il mondo, che lavorano dall'alba al tramonto tutti i giorni ma riescono a malapena a produrre abbastanza cibo per se stessi e le loro famiglie.

La domanda non è se potremo eliminare la fame - possiamo -, ma se lo faremo. E' una sfida alla nostra comune umanità e determinazione. Gli Stati Uniti sono determinati a fornire la leadership necessaria allo sviluppo di un nuovo approccio globale per sconfiggere la fame. Per troppo tempo la nostra principale risposta è stata quella di mandare aiuti di emergenza quando una crisi era al suo culmine. Un modo per salvare vite umane, ma che non risolve le cause alla radice. E', tutt'al più, una soluzione a breve termine.

Per questo noi sosteniamo la creazione di una agricoltura efficace, sostenibile, nelle regioni dove i sistemi attuali non funzionano. Aiuteremo i Paesi a portare avanti strategie volte a soddisfare i loro bisogni specifici; per esempio, attraverso il Piano per lo sviluppo dell'agricoltura in Africa, che ha lanciato un processo di sviluppo guidato dalle nazioni africane, in collaborazione con tutti e senza esclusione di nessuno.

Abbiamo poi identificato sette principi sui quali basare una agricoltura sostenibile nelle aree rurali in tutto il mondo.
Primo: l'Amministrazione Obama cercherà di incrementare la produttività agricola allargando l'accesso a semi di alta qualità, a fertilizzanti, sistemi di irrigazione e linee di credito per procurarseli e imparare a usarli.

Secondo: lavoreremo per stimolare il settore privato a migliorare lo stoccaggio e la lavorazione del cibo, migliorare le strade nelle campagne e i mezzi di trasporto, in modo che i piccoli agricoltori possano vendere i loro prodotti sui mercati locali.

Terzo: siamo determinati a preservare le risorse naturali in modo che la terra possa essere coltivata dalla generazioni future. Ciò include anche aiuti per fronteggiare i cambiamenti climatici.

Quarto: espanderemo la conoscenza e l’addestramento appoggiando programmi specifici di ricerca e sviluppo e coltivando la prossima generazione di esperti di piante.

Quinto: cercheremo di aumentare il commercio mondiale in modo che i piccoli agricoltori possano vendere i loro prodotti anche su mercati lontani da loro.

Sesto: daremo il nostro sostegno alle politiche di riforma e corretta gestione. Abbiamo bisogno di politiche responsabili e di regole chiare per far prosperare l'agricoltura.

Settimo: aiuteremo le donne e le famiglie. Il settanta per cento dei contadini del mondo sono donne, ma la maggior parte dei programmi che offrono crediti e corsi di formazione agli agricoltori sono rivolti soprattutto agli uomini. Questo è ingiusto e poco pratico. Una agricoltura efficace deve prevedere incentivi per quelli che davvero lavorano, e deve tener conto dei bisogni particolari dei bambini.

Nessuna nazione, da sola, può fare tutto questo da sola. Lavorando insieme, credo che potremo mostrare la volontà necessaria a mettere fine alla fame nel mondo, ad aprire una nuova era di progresso e prosperità. E' il nostro obbiettivo. E' la nostra sfida.

da lastampa.it

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