News dal PAESE che il PD deve fare MIGLIORE.

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Chiamparino presenta un documento congressuale: bene Marino ma io non mi schiero.

Il Pd è malato di correntismo

"Apriamo il partito a chi sta fuori ripartiamo dall'esperienza dell'Ulivo"


di PAOLO GRISERI

 

TORINO - Abbandonare il vecchio Pd. Uno slogan provocatorio per un partito nato due anni fa: "Ma un esercizio necessario, soprattutto se quella nascita è stata viziata da una grave malattia genetica". Parla così Sergio Chiamparino, sindaco e candidato mancato alla segreteria nazionale del partito.

Chiamparino, qual è la malattia genetica del Pd?
"Il correntismo esasperato".

Un virus nuovo nella politica italiana?
"Non è nuovo ma ha contagiato anche noi. Si ricorda il comitato dei 45 che avrebbe dovuto dare vita al partito? Ogni correntina aveva il suo uomo. C'erano Agazio Loiero, Luciana Sbarbati. C'era addirittura Lamberto Dini".

Perché ce l'ha con Dini?
"Mah, era così convinto di fondare il nuovo partito che adesso sta con Berlusconi".

Nel comitato dei 45 lei non c'era. È ancora arrabbiato?
"Non mi arrabbiai per me ma per il fatto che quell'organismo fosse frutto di un manuale Cencelli".

Dopo due anni non possiamo considerarla acqua passata?
"Lo farei volentieri. Ma il problema è proprio questo, che continuiamo a galleggiare nella stessa acqua".

Il nuovo congresso figlio del vecchio Pd?
"Vedo questo rischio ed è per questa ragione che ero contrario a tenerlo prima delle regionali dell'anno prossimo".

Fa parte del vecchio Pd anche la polemica D'Alema-Fassino?
"È uno scontro che certamente provoca sofferenze personali a tutti e due. Ma a chi parla quel confronto? Quale parte della società italiana può appassionarsi a quella discussione?".

Come sarebbe, invece, il congresso di un partito nuovo, di un nuovo Pd?
"Proverò a rispondere con un documento congressuale in tre punti. Il primo è la capacità del partito di raccogliere le indicazioni dei territori e della società".

Cioè?
"Se una parte della società è garantita e una parte non lo è, un governo di centrosinistra dovrebbe spostare risorse verso chi è meno garantito per realizzare una maggiore giustizia sociale".

Chi ci perde e chi ci guadagna?
"Beh, forse ci perderebbero i dipendenti pubblici e magari ci guadagnerebbero i lavoratori dell'industria. O vogliamo lasciare questa bandiera a Brunetta?".

Gli altri punti del suo documento?
"La laicità è molto importante. Questo è uno dei motivi per i quali apprezzo la candidatura di Ignazio Marino".

Starà con Marino?
"Non penso che mi schiererò. Però la candidatura di Marino ha il pregio di rompere gli schemi del vecchio Pd".

Come dovrà discutere il nuovo Pd?
"Questo è il terzo punto del documento. Dovrà essere un partito che ha sempre uno spazio vuoto al suo interno per accogliere chi vuole aggregarsi e oggi sta fuori. Un partito permeabile, in grado di attirare".

Dovrà attirare più a destra o a sinistra?
"A destra e a sinistra. L'importante è che arrivino forze nuove dall'esterno. Solo così si superano le incrostazioni e si curano le malattie genetiche".

Tutti insieme da Vendola , ai Verdi, alla Binetti?
"Penso a un partito che raccoglie tutta l'esperienza dell'Ulivo".

Dalla coalizione a un'unica forza politica?
"Penso che sia possibile lavorare in quella direzione".

Altrimenti?
"Altrimenti rischiamo l'asfissia".

(10 luglio 2009)
da repubblica.it

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Il segretario alla manifestazione organizzata da Fassino a Roma promette un Pd laico

L'ex presidente del Senato: "La componente della Rosa è una ricchezza"

Franceschini: "Vincerò senza sconfitti"

Marini: sì all'ingresso dei Radicali

di GIOVANNA CASADIO

 
ROMA - "Un po' d'orgoglio, santodio".
Dario Franceschini scalda la platea più eterogenea mai riunita in vista della sfida per la leadership del Pd. Chiamati da Piero Fassino per parlare delle cose da fare, ci sono ex Ds ma anche molti "amici personali di Piero", gente che ancora non si schiera. Umberto Veronesi, lo scienziato e testimonial delle battaglie laiche, è in prima fila ("Sono indipendente, ma sono un estimatore di Fassino"); poco più in là la teodem Paola Binetti ("Inaccettabili molte delle cose che sento"); Furio Colombo ("Non ho scelto, ho visto anche Marino"), Sergio Cofferati ("A disagio con Dario? Assolutamente no") Beppe Fioroni, il leader popolare, che invece non è per niente a suo agio, e rutelliani in ordine sparso.

Ma Franceschini - segretario in carica e ricandidato contro Pierluigi Bersani e Ignazio Marino - punta a svelenire il clima dopo le polemiche delle settimane passate: "Noi vinceremo questo congresso senza sconfiggere nessuno, ma per far vincere un'idea di Pd, Non dobbiamo temere il congresso, da lì uscirà un leader stabile". E questa volta non parla tanto di innovazione, quanto di laicità e alleanze. L'assist sulla laicità glielo dà Fassino: "Dario ha tenuta ferma la barra della laicità", dice l'ultimo segretario ds, e ricorda la lettera dei cattolicidemocratici nel momento più critico del rapporto tra il governo Prodi e il Vaticano sui Dico, la legge sulle unioni civili. E Franceschini: "La laicità è un principio indispensabile e sacro, si ascoltano tutte le voci, anche quella della Chiesa, ma poi si decide secondo il principio sacro della laicità dello Stato. E deve essere uno dei valori costituenti del Pd". Né il partito che deve avere paura "di decidere a maggioranza anche sui temi più difficili come quelli bioetici". Ricordando il caso di Eluana Englaro: "È insopportabile uno Stato e un Parlamento che fa una legge di notte per impedire che una ragazza, una famiglia prenda una decisione in coscienza".

All'insegna del pluralismo e della laicità anche l'apertura di Franco Marini ai Radicali. L'ex presidente del Senato è in prima fila allo Spazio Etoile di San Lorenzo in Lucina nella manifestazione organizzata da Fassino. Poco prima, in una conversazione a Radioradicale con Marco Pannella e Massimo Bordin, rilancia: "Io dentro questo partito, nel Pd, ci vedo a pieno titolo anche la componente radicale. Quando mi attaccano "tu, popolare che vai d'accordo con i radicali", io mi incazzo subito: questi sono una ricchezza".

Quindi, il tema delle alleanze. Bersani, alla festa dei giovani democratici a Sarzana, ribadisce che bisogna creare dei "rapporti di alleanze senza escludere nessuno e che il Pd deve pertanto avere la forza di mettere in moto un'organizzazione di centrosinistra". Dal canto suo Massimo D'Alema, che lo appoggia, insiste: "Quello delle alleanze è l'unico cammino da percorrere, negli ultimi quindici anni quando ci siamo presentati da soli ha vinto Berlusconi". Rispondono Fassino e Franceschini: "Nessuna autosufficienza solitaria", però mai più un'accozzaglia di alleati come fu l'Unione bensì un forte baricentro rappresentato dal Pd e dal suo programma. Le primarie, inoltre. Una scelta salutare che non significa però rinunciare a un partito radicato, di circoli: "Penso al Pd come un partito di militanti aperto agli elettori delle primarie. E i circoli non siano solo uno strumento per conte congressuali". Lodi di Dario a Piero per "l'intelligenza politica e il coraggio". Il 16 kermesse di Franceschini in Toscana.

A raccogliere molti consensi nella società civile è intanto il terzo candidato, Ignazio Marino, chirurgo e senatore, in prima linea nelle battaglie bioetiche: "Vinco io. Alle primarie gli italiani sceglieranno me come candidato più innovativo".

(10 luglio 2009)
da repubblica.it

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LA NEWSLETTER NAZIONALE DEGLI ULIVISTI


A tutti gli Ulivisti


Roma, 13 luglio 2009

La presente é per inviarti un documento contenente alcune riflessioni e proposte avanzate in vista dell'avvio del percorso congressuale che si va in questi giorni aprendo.

Il documento é stato inviato ai Democratici che hanno in questi giorni manifestato, anche se non ancora compiutamente formalizzato, l'intenzione di candidarsi alla guida del Partito Democratico come segretario nazionale.

Come potrai rilevare il documento auspica il rispetto di alcune precondizioni al fine di consentire al partito di trarre la massima utilità dal passaggio che ci attende attraverso il rafforzamento della natura politica del confronto, e il contenimento del rischio che la scelta alla quale siamo chiamati sia troppo segnata da contrasti personalistici.

Il documento é stato da me predisposto con l'aiuto di alcuni amici parlamentari e in particolare di Mario Barbi, Antonio La Forgia, Fausto Recchia, Albertina Soliani e Sandra Zampa, che assieme a me si sono fatti carico di interpretare le attese e le preoccupazioni di un più largo gruppo di democratici che, nel corso degli ultimi quindici anni, hanno condiviso con noi esperienze e scelte.

Ti sono grato per l'attenzione che vorrai dedicare alle questioni sollevate nel documento; e qualora condividessi le proposte in esso avanzate, ti sarò grato se vorrai manifestare pubblicamente la tua opinione al riguardo ed eventualmente la tua disponibilità a partecipare a conseguenti iniziative comuni.

Ti saluto intanto con la più viva amicizia


Arturo Parisi





Un partito aperto per difendere la sovranità dei cittadini
Precondizioni per una scelta
11 Luglio 2009
Il contesto nel quale il percorso congressuale del Partito Democratico prende il via, reso drammatico dalla crisi internazionale, ci ricorda che molte sono le questioni che attendono una risposta. Innanzitutto una proposta che si faccia carico dei problemi di lungo termine che sfidano il nostro Paese.

Di questa proposta noi sappiamo al momento due cose. La prima é che se i problemi a noi di fronte sono di lungo termine, di lungo termine deve essere la risposta: un progetto per il cambiamento della società non un semplice programma di governo di legislatura e meno che mai un insieme di singoli atti di governo. L’Italia è immersa in una notte profonda: le sue strutture sociali, economiche e istituzionali sono logorate. Il Paese è demoralizzato, il senso della sua civiltà è minacciato. Non saranno la speranza di consumare di più, o la maschera grottesca di un premier a trarci da una crisi che ci attraversa e ci supera per dimensione e profondità. La seconda condizione é che questo progetto deve far conto su istituzioni forti perché fortificate dall'esercizio della sovranità dei cittadini attraverso la moltiplicazione e soprattutto la valorizzazione delle occasioni di partecipazione, contrastando l'allontanamento dalla politica e la sfiducia verso le istituzioni che va diffondendosi nella società.

Per questo motivo rispetto ad ogni proposta riteniamo discriminante la difesa dell'assetto bipolare fondato su un sistema maggioritario che dia al cittadino il potere di scegliere il governo del Paese prima delle elezioni sulla base di una proposta programmatica avanzata da una alleanza politica omogenea.

Per questo motivo abbiamo scommesso sulla valorizzazione della forma partito, superando il movimentismo e lo spontaneismo che aveva segnato alcuni passaggi dell'ultimo ventennio, e, tuttavia non su un partito chiuso in sé stesso, ma un partito aperto ai cittadini che rafforzasse la sovranità dei cittadini.

Per questo chiediamo che il Partito democratico sappia rendere vero il suo nome.

Solo un partito può camminare su quel ponte che lega il passato col futuro che é rappresentato dalle istituzioni della Repubblica. Solo un partito può essere canale per la elaborazione di un progetto di lunga durata che vada oltre le legislature e i governanti di turno.

Per questo motivo abbiamo affidato la scelta del nostro futuro agli elettori demandando a loro la più importante delle scelte in un partito: la designazione del segretario politico, e allo stesso tempo una assemblea nazionale che dotata della stessa legittimazione e rappresentatività possa bilanciare il potere del segretario, evitando i rischi di un esercizio del potere isolato.

Questa designazione già anticipata nella esperienza delle primarie che in passato si sono svolte a livello di coalizione e di partito, si prospetta per la prima volta come una scelta vera e non semplicemente come la conferma e la validazione di scelte sostanzialmente già predefinite. Noi sappiamo che le parole e le regole non bastano. La nostra stessa esperienza ci ha insegnato che alle parole e alle regole non onorate dai fatti sarebbe spesso preferibile il silenzio. E tuttavia sappiamo che non ci si mette in viaggio senza una meta definita dalle parole e senza regole che guidino il cammino.

Anche se affidato per ora alle parole riteniamo perciò che la scelta alla quale ci apprestiamo sia un risultato di grande rilievo del quale il partito deve essere orgoglioso. In un tempo in cui il nostro paese patisce un restringimento degli spazi della democrazia fino alla sottrazione ai cittadini del diritto di scegliere i propri rappresentanti come ora accade a causa della sciagurata legge lettorale vigente per il parlamento nazionale, affidare direttamente ai cittadini la scelta della guida e del massimo organo nazionale del partito é una scelta che da sola dà testimonianza della radicale diversità della nostra idea di democrazia rispetto a quella che domina il campo a noi avverso. E' una scelta della quale é orgoglioso in particolare chi ha sperimentato direttamente le difficoltà, gli ostacoli, e le legittime incertezze che hanno segnato il percorso per arrivare fin qua.

Come abbiamo detto, nonostante la scelta diretta da parte dei cittadini, di candidati alla guida di amministrazioni locali e regionali e alla stessa guida di organi di partito sia andata moltiplicandosi, e nonostante a livello nazionale già in passato una larga partecipazione abbia dato prova dell'esistenza di una domanda di politica e di democrazia di gran lunga superiore a quella finora raccolta dagli strumenti tradizionali, questa può essere considerata una prima volta.

Questo capita grazie all'avanzamento rappresentato dalla adozione di uno statuto che interpreta e regolamenta l'orientamento verso una democrazia dei cittadini che il partito democratico ha assunto come tratto qualificante fin dalla sua nascita. Questo é tuttavia possibile anche perché, dopo il primo biennio fondativo pur segnato da contraddizioni e ritardi che abbiamo più volte denunciato, anche grazie alla ridefinizione delle appartenenze partitiche precedenti, la scelta é resa ora possibile dalla esistenza di candidature capaci ognuna di rivolgersi all'intero partito e non più solo ad una parte di esso. Anche questo, lungi dall'essere un approdo scontato, é il risultato prezioso di una serie di fattori oggettivi e soggettivi, tra i quali certamente non ultima la generosità, di chi, alzando la mano in risposta alla domanda di rischio e di responsabilità che é all'origine di ogni candidatura, ci chiedono e ci consentono per la prima volta una scelta.

La stessa possibilità di una scelta rappresenta per molti già da solo un risultato e, ripetiamo, certamente lo é. Tuttavia sarebbe un errore, e certamente una occasione perduta se, trattenuti dalla prudenza nell'avanzare o tentati dal ritorno al passato, la scelta si risolvesse in una scelta tra persone.

Noi riteniamo, infatti, che la scelta tra persone per la guida del partito trovi il suo vero significato solo se essa evoca, consente, e sostiene una scelta tra diverse linee di azione politica. Solo questo assicura la pienezza dell'esercizio della cittadinanza, e allo stesso tempo consente di mettere a frutto il percorso che ci attende nei prossimi mesi. Solo questo consente al partito di definire finalmente, nel rispetto della democrazia, un’identità corrispondente al comune progetto di dare vita ad un partito nuovo in modo nuovo.

Ridotto a scelta tra persone, il confronto, pensato per l'utilità del partito e della Repubblica, si potrebbe tradurre all'opposto in uno scontro tra persone e tra gruppi che lascerebbe alle sue spalle ulteriori macerie dando una idea del partito che ognuno di noi rifiuta. Invece di interpretare questo passaggio come un’occasione di avanzamento, ci potremmo trovare alla fine in una posizione ancora più arretrata di quella di partenza.

Per questo motivo, pur riconoscendo gli aspetti comunque positivi presenti in questo passaggio, pensiamo che lungo questo cammino non possiamo stare fermi. Ancora una volta non progredire equivale ad arretrare.

Diciamo questo guidati dalla convinzione che da sempre abbiamo avuto nella necessità del Pd. Lo diciamo sulla base della esperienza di questi anni in gran parte sprecati. Lo diciamo tuttavia anche allarmati dai primi segnali che dentro il cammino che inizia vanno manifestandosi. Se non si interviene tempestivamente e con decisione, la prospettiva sembra nell'immediato quella di una competizione tra aggregati di spezzoni del passato ognuno diviso dall'altro a partire da vicende particolari, e allo stesso tempo privi di una riconoscibile ragione politica comune declinata al futuro.

Il chi, precede di troppo il perché. Comprensibilmente, anche se non correttamente, l’attenzione finisce per concentrarsi sul chi-sta-con-chi piuttosto che sul che-fare. Anche a causa della legge elettorale che, spogliando gli elettori delle proprie prerogative, ha conferito alle segreterie un potere di nomina, il confronto, invece di orientarsi verso una libera scelta espressa a conclusione di una valutazione, sulla base di un giudizio comparativo di natura politica, tende a configurarsi come il posizionamento all'interno di alleanze precostituite, definite in genere sulla base di appartenenze passate, con la preoccupazione di garantire e proteggere chi contribuisce alla vittoria, a prescindere dalla condivisione o meno di una linea politica. Urge mettere al centro del confronto la politica. Non possiamo permetterci di sprecare tre mesi preziosi esaurendoci in un confronto ossessionato dal potere interno che appare estraneo e incomprensibile alle ansie dei cittadini. Ancora più urgente é volgere questo confronto al futuro.

Il riorientamento della nostra attenzione verso il futuro sarà tuttavia possibile solo a partire da un giudizio condiviso sulla nostra passata esperienza di governo attraverso una analisi guidata da uno spirito di verità. La nostra credibilità come partito di governo per il futuro non é infatti compatibile con una superficiale liquidazione della nostra azione passata.

Questo non esclude il riconoscimento del concorso di cause oggettive e di errori soggettivi all'origine del nesso tutt'altro che virtuoso che, con responsabilità di tutti, si stabilì tra costituzione del Pd e esercizio della responsabilità di governo nel quadro di una coalizione già di per sé difficile e complessa.

Per questo motivo, mentre difendiamo nell'interesse degli iscritti e degli elettori, e quindi del partito, il nostro diritto di poter scegliere a ragion veduta, ci permettiamo di rivolgerci a tutti i candidati perché aiutino questa scelta chiedendo se e in che misura condividano alcune convinzioni per noi di fondo, e, nel caso, svolgano dentro lo stesso percorso congressuale la loro azione in coerenza con questa preoccupazione. Queste le condizioni per fare del percorso che ci attende una occasione di crescita:

1. Indirizzare e pensare fin dal primo momento il confronto tra le diverse proposte politiche avanti agli elettori, riconoscendo come protagonisti e primi destinatari della nostra proposta quelli che sono comunque decisori finali: i cittadini, nostri elettori, difendendo e confermando con chiarezza la scelta per il modello di partito aperto attraverso il loro stabile coinvolgimento in elezioni primarie. Solo l’assicurazione che il voto al quale li chiamiamo ad ottobre non sarà l’ultimo può costituire il presupposto di una larga partecipazione. La condizione che la proposta e la candidatura avanzate dispongano tra gli iscritti del sostegno previsto dallo statuto deve essere considerata come la certificazione indispensabile del radicamento della proposta nella esperienza del partito e del sicuro riconoscimento del candidato da parte della comunità dei militanti. Il confronto tra le proposte deve tuttavia rivolgersi e competere per il consenso dei cittadini piuttosto che per l'ultimo tesserato e spesso per l'ultima tessera.

2. Fare di questa occasione un passaggio fondamentale che consenta agli iscritti ed elettori di rimescolarsi a partire dalle diverse idee politiche che legittimamente si contendono il campo, superando così le precedenti provenienze partitiche.

3. Per consentire ai votanti una scelta consapevole, ogni candidato assicuri la riconoscibilità della sua proposta politica, evitando di associare alla sua candidatura una pluralità di proposte, e una pluralità di proponenti, spesso ispirati a linee politiche tra loro disomogenee. Si concentri l'attenzione e il confronto dei cittadini sulla sintesi proposta dal candidato segretario invece di alimentare la competizione e la conta oltre che tra i candidati tra le diverse e contrastanti posizioni dei suoi sostenitori. Si presenti pertanto per ogni candidato una sola lista, e si eviti altresì di riproporre ticket in qualsiasi modalità essi vengano proposti.

4. Rispettare l'autonomia delle regioni. Domande diverse chiedono risposte diverse. I congressi regionali non sono la fase regionale di quello nazionale. Anche se lo statuto prevede la contemporaneità dei congressi regionali con quello nazionale, solo una nitida e coerente contrapposizione di concezioni del partito giustificherebbe la coartazione della autonomia delle singole regioni attraverso il trasferimenti meccanico delle divisioni nazionali in sede regionale.

5. Impegnare il partito attorno all'obiettivo della riforma della legge elettorale assunto come priorità assoluto. Le prossime elezioni politiche non possono avere ancora una volta come risultato un parlamento di nominati.

I punti ora esposti toccano evidentemente solo in parte la gamma di temi che la proposta dei candidati non può non affrontare. La loro natura li propone tuttavia, distintamente e nel loro complesso, come un fondamentale criterio per la valutazione della proposta dei singoli candidati.
 

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16/7/2009 (7:52) - LA CORSA VERSO LE PRIMARIE

Parisi: "Il Pd? Invecchiato precocemente"

Arturo Parisi, ulivista della prima ora e inventore delle primarie

«Lo dico con amarezza, è finita una stagione»

FABIO MARTINI
ROMA

L’uomo delle eresie si è stancato. Da 15 anni Arturo Parisi lancia e rilancia provocazioni alla sinistra italiana, finendo per dettarne la linea, ma per lui è arrivato il momento dei consuntivi: «Lo dico con sofferenza: una stagione si è conclusa. Fra poco saranno vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino e da quando alla Bolognina Occhetto riconobbe che una fase della storia era finita. Un ventennio, lo stesso termine che usavamo da ragazzi per il periodo fascista. E noi siamo ancora a segnare il passo più o meno sulla stessa mattonella, in attesa che qualcuno ci dia l'avanti marsch! E' per questo che il Pd non è credibile: siamo innanzitutto noi che non crediamo più a noi stessi».

Sono le 10 della sera e nel silenzio del suo studio a piazza Santi Apostoli, la piazza dove nel 1996 si festeggiò la prima vittoria dei progressisti nella storia della Repubblica, Parisi ripesca passaggi dimenticati: «Me lo ricordo ancora Veltroni, quando nel 2000 gli proposi di allungare il passo e scioglierci assieme in quel soggetto nuovo che già allora chiamavamo Pd. Tra gli applausi del congresso ci rispose che se volevamo, non avevamo che da accomodarci nella grande casa dei Ds. Ci costrinse così ad attendere per altri 7 anni il futuro, inventandoci la Margherita. E, così, dopo altri 10 anni sprecati, siamo ancora là...». Dottor Stranamore per i detrattori, profeta disarmato per i fans, da anni Parisi contribuisce a trascinare la politica italiana su lidi inediti. Regista dei referendum che affondarono Dc e proporzionale, inventore dell’Ulivo e delle Primarie, da 2 anni è l’unico oppositore dentro il Pd.

Il congresso Pd è partito tra le beffe di Grillo, un partito ritratto su se stesso, l’assenza di un'idea di Italia...
«Dobbiamo riconoscerlo: per la prima volta sembra profilarsi una scelta vera, e non la celebrazione di una scelta già presa. Peccato che appaia ancora scelta tra persone e non tra diversi progetti per il Paese. Ma lei pensa che la forza di Obama derivi solo dal fatto di sentirsi scelto dai suoi concittadini? E non anche invece dal sapere il perché lo hanno scelto?».

L'unica cosa che conta sembra essere «chi sta con chi»...
«Più che dalle diverse opzioni in campo, molti sembrano essere ossessionati dall’idea di schierarsi con chi vince. Dopo tanto parlare di vocazioni maggioritarie, il congresso del Pd si sta svolgendo secondo le regole del Porcellum: ci sono due coalizioni tipo-Unione. Schierandosi, in qualche modo è possibile “comprarsi” la prenotazione ad un seggio futuro».

Per tutti i notabili, la colpa è sempre dell’altro...
«A Veltroni chiedemmo le ragioni delle sue dimissioni, ma non rispose. Sul piano umano mi costò doverglielo contestare. Per la situazione nella quale si era cacciato mi sembrava di sparare sulla Croce rossa. Tuttavia il mancato riconoscimento delle cause del disastro è uno dei fattori principali di debolezza. Spero sia giunto il momento dell’autocritica. Da parte di Franceschini, ma anche per i troppi che, pur avendo condiviso due anni di gestione unitaria, danno ad intendere di aver vissuto altrove. E’ anche questo che ci costringe a vivere nella reticenza: la paura di vedersi contestata l’accusa di corresponsabilità».

Nell’inno alla «Giovinezza» di Franceschini, le pare più sorprendente l'oblio dei patron o quel giovanilismo che ha echi in culture autoritarie?
«Questo blablare che confonde i giovani del partito col futuro del'Italia è la spia più sicura della nostra crisi, un aspetto nel quale il Pd è purtroppo in totale sintonia con l'invecchiamento del Paese. E' una crisi che accomuna tutti gli schieramenti interni. Ma stia tranquillo: è un blablare che non ha nulla a che fare con "Giovinezza". Qua non sono i giovani ufficiali che vengono dalle trincee a picchiare sulla porta delle istituzioni, ma troppi maschi già sfioriti che giustamente si lamentano dei tempi di avanzamento della loro carriera. L’Italia ci chiede uomini nuovi, un progetto, una speranza, uno sguardo nuovo».

Lo spirito della bocciofila evocato da Bersani?
«Quando l'ho letto è come se l’avessi sentito di persona. Quel bell'accento emiliano che nelle mie orecchie di sardo è da 40 anni la colonna sonora della mia vita. Lo stesso accento che ha addomesticato la ferocia dello stalinismo e ha aiutato a dimenticare il sangue che ha bagnato questa pacifica terra. Io avrei evocato la durezza delle assemblee di condominio ma ognuno è fatto a modo suo».

C'è un logoramento di tutta la classe dirigente?
«Sì e mi ci metto dentro anche io, che sono in Parlamento da meno di 10 anni. E una delle origini della crisi sta in quello che con leggerezza chiamiamo nuovismo. Quel fuggire dal passato, senza farci i conti, l’inseguire qualsiasi novità appaia all'orizzonte, cogliendone solo l’apparenza, inseguendo nomi e parole ogni volta applaudite come salvatrici. E’ così che siamo finiti in America. Con la fantasia».

Lei di parole nuove ne ha immesse tante: si sente in colpa?
«Dica piuttosto beffato. Pensi alle Primarie. Prima il muro. Poi tutti a gareggiare nell’impadronirsene perché percepivano nella parola una illusoria via di salvezza. Ed ora troppo impegnati con tutta la propria energia a disinnescarle nei fatti».

da lastampa.it

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David Ragazzoni*

Sognare ogni giorno l’Italia del domani


Estratti dalla relazione tenuta per la costituzione del Circolo PD “Giovane Europa” (Scuola Normale di Pisa e Scuola Sant’Anna) – Pisa, 3 luglio 2009



La sfida del Congresso di ottobre può essere davvero l’occasione giusta per riempire il Partito Democratico di progetti, di contenuti, di idee. Non deve essere un’occasione mancata: deve essere il segno che il PD è un partito democratico per davvero, che quanti a vario titolo hanno dato il loro contributo per la sua nascita e il suo cammino fino ad ora credono veramente – e sottolineo veramente – nel soggetto politico consegnato agli italiani. Non bisogna arenarci nello sterile scontro generazionale, invocando una nozione di giovane che è vuota, questa sì, di contenuto. Cosa vuol dire essere giovani per il Partito Democratico ed essere giovani nel Partito Democratico? Come è stato dimostrato dai risultati elettorali ai vari livelli in questi due anni circa di battaglie del PD, è necessario un rinnovamento delle categorie con le quali si legge la politica e la società italiana. Destra e sinistra non definiscono più, come già insegnava Bobbio, un universo onnicomprensivo, né lo definiscono le categorie di vecchio e giovane: la rivendicazione del ‘nuovo ad ogni costo’, il ‘nuovismo’, rischia di diventare nuovamente il facile slogan di una politica ‘contro’ e non di una politica ‘per’ come quella per la quale il Partito Democratico è nato.

Scriveva qualcuno nell’Ottocento che i popoli democratici hanno la caratteristica peculiare di saper guardare più in là e più in alto degli altri, di non fermarsi alla contingenza, di saper pensare il futuro. Io credo che il PD, e i giovani del PD, debbano dimostrare ogni giorno di avere la capacità di sognare l’Italia del domani. L’Italia del domani la si costruisce con le persone, essenziali in qualsiasi progetto politico che pretenda di essere credibile – persone responsabili e responsive, che abbiano scolpita nella mente un’idea fortissima di accountability e una concezione di politica intesa come contributo al nostro paese – e la si costruisce con le idee, con le battaglie su contenuti precisi. È la sfida più bella e più appassionante che la politica possa dare ai giovani di oggi, giovani per davvero: la sfida di trasformare ogni giorno le proprie idee e la propria visione di Italia in mattoncini concreti.
Io credo che su tre temi soprattutto il Partito Democratico, a partire da ottobre, abbia il dovere di elaborare contenuti forti, per poter essere percepito dagli elettori come un’alternativa reale e credibile alle forze di centro-destra: ampliare e riunificare il mondo del lavoro; promuovere una buona immigrazione; iniettare nel mondo della scuola e dell’università la triade di autonomia, merito e responsabilità.

Il Partito Democratico deve recuperare la credibilità su questi temi, sia nei progetti che propone, sia nelle persone che si fanno promotrici di un simile rinnovamento. Oltre alla leadership, infatti, che nella politica contemporanea è certamente un elemento decisivo, c’è il partito dei e nei territori: c’è la presenza fisica del partito là dove le persone vivono.

Le tradizionali cesure che ancora sopravvivono, con grande amarezza lo dico, nel Partito Democratico non appartengono a una generazione come la nostra che si è formata politicamente dopo l’89. Non abbiamo nel sangue, né vogliamo averla, la fissa dualistica che ancora continua a permeare l’azione politica del PD. Come giovani cittadini democratici ed europeisti, dobbiamo provare a restituire al Partito Democratico due elementi: slancio ideale ed elaborazione di programmi, che secondo noi sono due elementi imprescindibili per qualsiasi partito che sia vivo, che abbia una vocazione maggioritaria e che si proponga, nel tempo, di formare una nuova classe dirigente.

Io credo, noi crediamo che la cultura politica di un partito non sia soltanto quella racchiusa in un manifesto, ma sia un’elaborazione quotidiana, fondata sull’interazione tra esperienza, azione, idee condivise con gli elettori, formazione di una classe dirigente, memoria storica e politica. E più di ogni altro includo, tra gli elementi basilari di una cultura politica viva, la capacità di leggere realmente la società, di coglierne le trasformazioni, di saper parlare alla testa della gente, e non soltanto alla loro pancia, come oggi troppe volte una nozione semplicistica e degenere di politica pretende di fare. Il Partito Democratico deve tornare a parlare alla testa delle persone, ed è da questo compito che i giovani democratici devono ripartire.

*coordinatore Circolo PD Giovane Europa

da formazionepolitica.org

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