News dal PAESE che il PD deve fare MIGLIORE.

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Terra Patria


12 settembre 2008   Dalla scuola estiva


 “Dobbiamo ripensare lo sviluppo, la nozione di crescita in funzione del criterio fondamentale: il miglioramento della condizione umana. Il meglio non è per forza il più, in alcuni casi lo è il poco, sostituiamo la qualità alla quantità”.
Non è un’utopia ma il fil rouge della conferenza tenuta dal sociologo francese Edgar Morin nella giornata di inaugurazione della scuola politica del PD, Globale Locale.
In un italiano a tratti incerto e sostituito da un meltin-pot linguistico italo-franco-inglese Morin ha analizzato smontato e riassemblato il significato di globalizzazione, indicando per l’umanità un obiettivo suggestivo: una nazione dell’umanità estesa su tutto il globo, la terra patria.
Riallaccia la storia da Colombo e Magellano agli anni ’90. “Oggi ci sono tutte le informazioni, ma abbiamo difficoltà a a raggiungerle. C’è stata una nuova tappa della storia, la globalizzazione. Cosa intendiamo quando parliamo di globalizzazione? Soprattutto lo sviluppo di due fenomeni”. Il primo è l’affermarsi di un mercato capitalistico mondiale a fronte dell’implosione sovietica che ci ha portati a passare dalla contrapposizione politico – economica all’unificazione globale; il secondo lo sviluppo delle comunicazioni che ha portato a una platea mondiale unificata.

3 paradossi per un modello in crisi. Primo paradosso: dall’unificazione economica e tecnologica si è arrivati alla “balcanizzazione in Yugoslavia, nella Cecoslovacchia e nel resto del mondo, con tendenze alla chiusura etnica e religiosa.
Secondo paradosso: dalle due ultime decadi del ventesimo secolo è iniziata la dissoluzione della fede nel progresso. “La legge irresistibile della storia ha mosso uno sviluppo inesorabile a partire da una società industriale avanzata, che voleva ridurre le diseguaglianze in nome di un domani migliore. Era così in Europa dopo la rivoluzione francese, negli USA e nell’Urss che parlava di un avvenire radioso. Poi c’è stata la generale disillusione del progresso, con il montare di incertezze ed ambiguità. Questo perché la scienza è progresso della conoscenza, certamente, anche della conoscenza delle armi di distruzione di massa come gli ordigni nucleari, della manipolazione genetica, è l’ambivalenza della scienza che migliora il peggio - è il primo dei giochi linguistici con cui per quasi due ore l’ottagenuario sociologo avvincerà il pubblico seduto nell’anfiteatro della rocca di Castiglione del Lago - il benessere crea angoscia e malessere morale, perché è privo di amore.
Terzo paradossola crisi del progresso è la crisi del futuro. Morin ci descrive un percorso ciclico, scelto da noi: “Se il presente è un presente di miseria, angoscia, paura del futuro non può indurci che a ritornare al passato, a radici etniche o religiose, a un mondo unificato con conflitti tra religione e sviluppo”.

3 globalizzazioni, una terra. Il sociologo francese descrive tre globalizzaizoni, di intensità diverse. C’è quella economica che è evidente, c’è quella della democrazia, in America latina e in Africa. E poi la globalizzazione culturale. “Già Marx capiva le potenzialità del capitalismo di fare una cultura universale, ma si tratta di una globalizzazione ambivalente, ambigua, così nella letteratura e nel cinema possiamo trovare prodotit da tutto il mondo, ma c’è una tendenza omologante – ha spiegato Morin – ma poi alcuni valori culturali importanti vi hanno torvato soccorso. A me piace il flamenco, ma questa musica andalusa stava scomparendo. L’industria discografica ha messo sul mercato delle antologie e oggi non solo è vitale ma dà vita a delle simbiosi culturali, come il flamenco rock! Vi sono diverse globalizzazioni, non possiamo dimenticarlo e dobbiamo affrontare assieme alcuni pericoli”. Sono i temi anticipati nella prima parte della lezione: la diffusione del nucleare, la degradazione della biosfera dovuta allo sviluppo tecnico economico, i conflitti ideologico/religiosi. “E cosa sono? Sono problemi di vita e morte che fanno di noi una comunità di destini umani,la Terra patria, che non abbandona gli stati nazione ma vede una patria collettiva. L’umanità è fatta di diversità ma il suo tesoro è l’unità umana. Abbiamo tutti la stessa anatomia e la stessa genetica, non la cultura. ci sono le culture, le musiche e non la musica, le lingue e non il linguaggio, ma ogni cultura è diversa, perché diverso è l’apprendimento".

L’abc di una società è dato da pochi elementi, che non perde occasione di ricordare per confutare le sue parole: “Una società necessita di un territorio con comunicazione, un’economia che si c’è, ma senza la regolazione statale, da una coscienza comune e da una struttur apolitica. Queste ultime due non le abbiamo ancora”. Quando si fa ormai buoi Morin scarta e offre alla platea il quarto paradosso: “è il progresso a impedire la concretizzazione di Terra – Patria. La nave spaziale terra ha come motore la tecnica, la scienza il profitto e l’economia. Tutto questo, che chiamiamo sviluppo va verso la catastrofe! Si producono armi, si degrada l’ambiente e crescono i conflitti etncio-religiosi. Ripensiamo questo processo perché lo sviluppo può dare vantaggi importanti, ma lasciato a sé stesso produce la catastrofe”.

Crisi e soluzione. "Stiamo correndo lasciandoci alle spalle un complesso di crisi: la crisi della civilizzazione tradizionale, l’occidente ipermodernizzato produce più problemi che soluzioni, c’è la crisi delle relazioni, quella delle diseguaglianza. E rinasce la miseria, la popolaizone cacciata dai campi finisce nelle bidonville, nelle favelas, in condizioni illegali. Cos’è più importante? Gli aspetti negativi sono considerati più importanti di quelli positivi, come ad esempio accade nella Cindia, dove viene prodotta miseria. È la proletarizzazione totale e non la povertà, che può essere vissuta con dignita. lo sviluppo disintegra la solidarietà tradizionale e sviluppa egoismo, individualismo, egocentrismo. e produce corruzione”.
Nel giorno dell’ottavo anniversario dell’11 settembre quando lo scenario sembra quello più fosco, delinea la soluzione: “Dobbiamo ripensare lo sviluppo, il concetto di crescita, non per abbandonare tutto in nome della decrescita ma per lasciare la visione binaria e adottarne una più complessa. Ripensiamo tutto in nome del criterio fondamentale”. Ci sono lunghi secondi di causa prima che l’ottantasettenne pensatore cominci a scandire: “il miglioramento delle condizioni di vita, dimenticato nelle visioni della globalizzazione. Il meglio e non il più, in alcuni casi il poco è meglio. Sostituiamo la qualità alla quantità è la soluzione. Meglio e non di più, prima di tutto la qualità della vita. La qualità della vita è diventata un problema politico centrale. Lo sviluppo ci ha portato addirittura ad un uso spasmodico di ansiolitici per questa vita”.

Occorre cambiare l’idea dello sviluppo anche e soprattutto verso i paesi in via di sviluppo, rispettando le peculiarità locali (che sono diversità), nella cultura come nella medicina tradizionale, perché ogni cultura ha i suoi difetti e le sue ricchezze. “La politica dell’umanità deve integrare le diversità. Certo è difficile cambiare, ma questa è la scommessa. Come ? in 7 settori”.

L’interdisciplinarietà che lo ha reso celebre, rendendo difficile agli accademici inserirlo tra i sociologi o tra i filosofi si spiega con questo approcio: lucido, provocatorio, ambizioso, a volte romantico. Proviamo a sintetizzare la politica del cambiamento di Morin.

1. Economia. Serve una forma di regolazione dell’economia mondializzata e serve un’economia plurale, che non ruoti solo intorno alle grandi multinazionali, all’agricoltura intensiva, ma cresca con l’artigianato, le cooperative, le medie imprese, lo sviluppo della produzione biologica e di qualità, la reumanizzazione delle città, la rivitalizzazione delle campagne. Le politiche economiche devono essere orientate a questa pluralità.
2. Politica. Vanno ritrovate le tre fonti della sinistra: la fonte libertaria (attenzione ai problemi delle libertà fondamentali, all’autonomia personale), la fonte socialista (la relazione tra individuo e società), la fonte comunista (relazioni di comunità non anonime e separata). L’aspirazione umana all’armonia di vita è unmovimento trans-storico, forse soddisfatta nelle società antiche prima dell’esperienza statuale, ricomparsa nel ’68. dice Morin: “è l’ispirazione che viene da più lontano. Dal passato ma è anche l’ispirazione del futuro”.
3. Riforma del pensiero. Va superata l’idea dei compartimenti stagni che impedisce di vedere e affrontare i problemi globali e le relazioni delle situazioni particolari in un unico globale. Ciò ci impedisce di affrontare i problemi globali come i problemi personali individuali. Riforma del pensiero è anche una riforma dell’educazione. E lancia un monito. “Il PD riformi l’educazione”.
4. Riforma della vita: aspirazione ad un’altra vita, alla poesia della vita, fatta di amore, comunione, partecipazione. Bisogna lottare per l’evasione, ritrovare un sentimento della solidarietà e della comunanza, superare la vita prosaica.
5. Riforma etica. Ha due fonti : solidarietà e responsabilità. Due dimensioni connesse che si alimentano e si completano. Oggi è distrutta ogni forma di solidarietà personale (in famiglia, sul lavoro, nel proprio paese) . Oggi c’è una nuova solidarietà burocratizzata che però non viene incontro alla persona e ai suoi problemi. Che fare? Morin ricorda due proposte da lui fatte in Francia: “Costruire in ogni città una casa della solidarietà, un luogo dove le persone sono disponibili per gli altri. E un servizio civico di solidarietà internazionale, in modo che i giovani possano partire e soccorrere i loro fratelli in difficoltà in altri paesi Le ultime due riforme riguardano l’ecologia e il lavoro, strettamente connesse per garantire uno sviluppo sostenibile e una nuova centralità umana".

“Il problema è cominciare”. Lo dice così: secco, lapidario. Poi riparte: “tutto nasce dal piccolo, tutti gli inizi sono devianti e così siamo noi. Il cristianesimo è nato da gesù con 12 apostoli e un uomo di nome Paolo. L’islam da un uomo che deve fuggire, il socialismo dall’anarchia di Bakunin. È necessario operare una connessione permanente tra le diverse dimensioni di riforma per produrre una nuova cultura politica. La questione è una rigenerazione della politica, senza la quale si produce una degenerazione inesorabile della stessa. Il Pd deve seminare, fare workshop, formaizone permanente, e inziare una nuova cultura politica. Dove ‘è il pericolo, la coscienza del pericolo fa trovare la coscienza e le possibilità della salvezza”.

Probabilità e l’improbabile che si avvera. Si ricorre alla storia per dimostrare ciò che sembra più arduo. E così fa Morin: “ Le probabilità sono contro di noi, ma spesso nei momenti cruciali l’improbabile si avvera. La piccola Atene ha battuto due volte l’impero persiano e 50 anni più tardi nascevano la democrazia e la filosofia. Nel 1941 ero un ragazzo, e il dominio nazista era inevitabile. Ho vissuto con l’esercito nazista alle porte di Mosca, l’esercita nazista in Francia. Ma l’inverno fu duro e precoce finendo per congelare il nazismo! I nazisti dovettero correre in aiuto degli italiani in Grecia. Mussolini non riusicva a sconfiggere i greci, e i tedeschi s’impantanano in Yugoslavia, dove impiegano un mese a piegare la resistenza serba. Infine Stalin è avvisato da alcune spie del fatto che il Giappone non attaccherà la Siberia, e deicde di concentrare le sue forze nella difesa di Mosca. Quando i giapponesi attaccheranno Pearl Harbour anche gli USA entreranno in guerra. Tutto ciò che era improbabili si è avverato e ha reso improbabile la vittoria nazista”.

La speranza e la volontà
Oggi l’incapacità del sistema è evidente. Non è più in grado di affrontare i problemi fondamentali, ma la crisi è pericolo e allo stesso tempo possibilità di soluzioni nuove. Spiega Morin: “O si arriva alla degenerazione o si arriva ad un sistema nuovo, una metamorfosi verso un metasistema. Enormi sono le possibilità creatrici umane e ognuno di noi ha possibilità creatrici dormienti. Come nell’embrione le cellule hanno possibilità rigenerative nella società ognuno di noi può svegliare queste possibilità e portare alla metamorfosi. Una metamorfosi che parte dall’autodistruzione del sé e va verso l’autocreazione del nuovo, come il bruco che nella crisalide diventa farfalla.
La metamorfosi è propria della società, è già accaduto nel passaggio dalla società rurale alle società storiche. Anche oggi questa possibilità è presente, possiamo cambiare l’umanità, la vita umana. Come uomini e come politici abbiamo il dovere di far sopravvivere l’umanità e di metamorfosizzarla. attraverso una politica lungimirante, che guarda ai problemi quotidiani, senza dimenticare l’urgenza dei problemi fondamentali. Questa è la via per cambiare vita”.
Non ci sono commenti, solo un applauso, I 1000 iscritti in piedi a battere le mani, in minuti lunghissimi.

Marco Laudonio

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Adesione alla manifestazione dell’11 ottobre 2008

Sinistra Democratica in piazza per fermare Berlusconi
 

L’11 ottobre Sinistra Democratica sarà in piazza e invita tutti a partecipare. Fermare oggi Berlusconi è un dovere democratico.
Se la destra al governo, in pochi mesi, ha già fatto molti danni in materia di scuola, lavoro, convivenza civile, ambiente e cultura democratica, è perché non ha trovato finora chi la contrastasse sufficientemente.

Dare vita a una opposizione al governo Berlusconi che sia forte ed efficace è oggi una priorità assoluta. I tanti e le tante che non condividono questo indirizzo politico avverso alla scuola pubblica, punitivo verso lavoratori e pensionati, tollerante verso la xenofobia, compiacente con gli interessi di pochi potenti, debbono poter trovare nella manifestazione dell’11 ottobre un luogo dove ritrovarsi e avere voce.

Un luogo che dialoghi con chi nei sindacati, nei luoghi di lavoro, sul territorio, nelle scuole già si sta attivando per fermare l’onda della destra.
Avremmo voluto una sola manifestazione di tutte le opposizioni. Poiché non si è potuto ottenere questo risultato occorre che quella dell’11 ottobre sia una giornata e una manifestazione  aperta a tutti coloro che non condividono le politiche aggressive della destra. Non ultima quella di strozzare con una nuova legge elettorale la possibilità di una rappresentanza al parlamento europeo scelta democraticamente.

Dare forza insieme all’opposizione non confonde i diversi progetti politici: SD, ad esempio, ritiene che senza una sinistra del cambiamento sarà difficile creare una alternativa alla destra e per questo lavoriamo concretamente con molti altri alla Costituente della sinistra. Alla fine, per battere la destra, occorre  una politica convincente.


da sinistra-democratica.it

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24/9/2008
 
Addio Abdul già dimenticato al funerale
 
 
PIPPO DELBONO
 
Questa mattina mi sono svegliato presto e mi sono vestito elegante per andare a Cernusco sul Naviglio al funerale di Abdul Graibe detto Abba, nero, morto ucciso a Milano. Per un piccolo furto, rincorso e bastonato a morte.

Non vado mai ai funerali delle vittime famose, ai funerali degli artisti importanti, dei caduti per difendere la patria, non sono andato alla passerella di lutto dei morti della ThyssenKrupp. Ma questa mattina ho deciso di andare. A Cernusco sul Naviglio, un paesino nell’hinterland milanese. In una giornata di pioggia. Arrivato lì, vedo con sorpresa che c’è poca gente. Per la maggior parte neri. Vicino alla bara di Abdul i parenti, gli amici, qualche bianco. Alcuni piangevano, altri guardavano con gli occhi vuoti il feretro. Ho cercato le corone di fiori. Erano quattro, o forse cinque. Piccole. Una di un gruppo di donne, una della Provincia di Milano. Basta. Non c’era nessun’altra corona. Di Comune, Stato, Chiese, Sindacati, Comunisti.

La sala che ospitava il feretro, una sala auditorium quasi vuota. Litanie come lamenti, cantati con discrezione, forse per non irritare i laboriosi vicini milanesi. Un uomo, che poi ho capito che era il padre di Abdul, accoglieva le persone, sorridente. E ringraziava. Un altro uomo vicino a lui, più giovane, il viso disperato dove si vedeva la rabbia. C’era qualcosa di antico, di poetico, di unico, di straordinario in quel commiato delicato che non voleva fare troppo rumore. Non ho visto nessun politico importante, nessun prelato importante, nessun artista importante, nessun giornalista importante.

Qualcosa come una rabbia mischiata al pianto mi è salita nell’assistere al funerale di quel martire negro, diverso da quelli bianchi onorati e rimborsati vicino ai quali i nostri fantocci politici si fanno volentieri vedere con gli occhi rossi. Quelle poche persone presenti salutavano e abbracciavano la famiglia come se stessero entrando nella loro casa. C’era in quell’atto di commiato funebre una bellezza, una poesia, una sacralità che è ormai impossibile vedere nel mio Paese. Volgare, fascista, razzista. Mascherato da finto cattolicesimo, finto comunismo, finto pietismo. All’uscita su un piccolo quaderno ognuno scriveva il proprio nome, o un saluto a questo uomo ucciso dalla volgarità e dimenticato.

«Ciao Abdul e scusami per questo paese di m.», gli ho scritto io. A poco a poco l’esiguo corteo si è avvicinato in silenzio alla bara.
Il padre di Abdul restava lì fermo con gli occhi lucidi e il viso sorridente, portando una dignità più forte del suo dolore. E prima di salire su una macchina, quasi come un ultimo regalo sublime di civiltà, libertà e saggezza a quei pochi presenti, con un dolce sorriso ci ha detto: «Grazie a tutti, l’affetto che mi dimostrate in questo momento serva a una giustizia vera».

Grazie al papà di Abdul, grazie a Abdul, che mi avete regalato in questa giornata grigia, triste, drammatica, scandalosa di inizio autunno, uno squarcio di luce.
 
da lastampa.it

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23 settembre 2008, 19.08.37

L'eredita' di Peppino Impastato


Peppino Impastato è un giovane siciliano ucciso dalla mafia. Questa scarna informazione sarebbe più che sufficiente per rendere doverosa oggi la memoria di una vita, di un impegno, di un terribile delitto.

Peppino Impastato esprime, ancora dopo trenta anni, in modo emblematico le tragedie della Sicilia, le tragedie di tanti giovani uccisi anche – e non solo – fisicamente dalla mafia. Peppino, giovane e siciliano, ha trovato la forza di rompere, in anni di paura e di convivenza, la palude del silenzio e la rete di complicità dei propri coetanei, così come dei suoi stessi familiari. Peppino è stato prima deriso, poi emarginato, infine ucciso: secondo una sequela tragicamente ricorrente nella strategia mafiosa. Deridere, emarginare, uccidere. E, poi, depistare. La mafia (il sistema di potere politico affaristico mafioso) non si ferma davanti al corpo inanimato delle proprie vittime. Con complicità attive e silenzi compiacenti di organi dello Stato, della politica, dell’informazione si è tentato di far apparire Peppino come un sovversivo, un terrorista vittima dello scoppio accidentale di una bomba che dallo stesso sarebbe stata preparata per compiere un attentato lungo la linea ferroviaria.

Con complicità attive e silenzi compiacenti si è sottoposta la verità ad una colossale operazione di depistaggio, sottoponendo - con pretesti infamanti - a sequestri e perquisizioni la sede della piccola radio e la abitazione di Peppino. Quelle complicità attive e quei silenzi compiacenti hanno utilizzato anche il clamore del ritrovamento del cadavere dell’On. Aldo Moro per nascondere e depistare le vere ragioni della uccisione di Peppino, consumata nello stesso giorno del ritrovamento del corpo dello statista democristiano. Quelle complicità e quei silenzi sono stati da anni e per anni oggetto di denuncia da parte dei compagni così come della madre e del fratello di Peppino che hanno sfidato a viso aperto Gaetano Badalamenti e tanti altri mafiosi, senza curarsi né di rapporti di parentela né di rapporti di pericoloso vicinato.

Quelle complicità e quei silenzi hanno per anni avuto la meglio su verità e giustizia. Quelle complicità e quei silenzi sono stati per la prima volta formalmente indicati, in atti giudiziari, dall’indimenticabile Consigliere istruttore Antonino Caponnetto. Quelle complicità e quei silenzi sono stati resi noti nello splendido film “Cento passi” ancor più e prima che potesse formalmente del tutto concludersi in via definitiva il processo degli assassini di Peppino. Un film diffuso in tutto il mondo, più tempestivo di un troppo lungo processo penale, così come la piccola Radio di Peppino - diffusa in un piccolo territorio della provincia siciliana – colpiva criminali che le istituzioni non volevano o non sapevano colpire.

Legalità e informazione: due parole, una drammatica emergenza ieri come oggi. I criminali mafiosi uccidono con le armi da fuoco esseri umani, giovani coraggiosi; le complicità e i silenzi uccidono libertà, verità, giustizia. E’ questa la terribile miscela che impedisce nel nostro paese una democrazia compiuta. Non potrò mai dimenticare, a conferma e testimonianza di questa micidiale miscela, un comizio in piazza a Cinisi nel maggio 1978, all’indomani dell’uccisione di Aldo Moro e di Peppino Impastato.

Piersanti Mattarella, che ad Aldo Moro era come tanti di noi fortemente legato, si recò a Cinisi per gridare speranza e progetto di rinnovamento della politica. Piersanti venne aspramente contestato dai compagni di Peppino che vedevano in quel giovane Presidente della Regione appena eletto il simbolo di una democrazia cristiana che, per colpa di taluni suoi potenti esponenti, era e appariva compromessa con la mafia. Piersanti tenne egualmente e terminò il suo comizio e, a me, che lo accompagnavo, a voce bassa, quasi con pudore ma con determinazione, sussurrò: “Non sanno, i compagni di Peppino, che siamo nella stessa barca, combattiamo la stessa battaglia, corriamo gli stessi rischi”! Mi sono ricordato di quelle parole quando nell’Epifania del 1980 mi sono trovato davanti al corpo senza vita di Piersanti ucciso da mafiosi che avevano nel suo stesso partito consiglieri e complici.

In memoria di Peppino Impastato, vi invitiamo a partecipare all'evento che si terrà a Pieve Emanuele (Milano), il prossimo 3 ottobre alle ore 17:00, presso la piazza a lui dedicata.

da italiadeivalori.antoniodipietro.com

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Gianrico Carofiglio: «Questo è un governo neoautoritario»

Federica Fantozzi


Senatore Gianrico Carofiglio, lei sarà al Circo Massimo?
«Sì. È un’iniziativa che, al di là dei dettagli tattici, giudico positivamente».

Quali sono le ragioni della manifestazione? Resta opportuna nonostante la crisi finanziaria?
«Su questo tema serve un approccio laico. È opportuno praticare forme di aggregazione democratica come una piazza civile ma ferma dove una forza di opposizione trova le sue ragioni per stare insieme. Al di là di motivi speciali per protestare contro qualcosa o qualcuno».

Significa che non sarà un corteo «contro»?
«L’obiettivo non sarà criticare la riforma della scuola piuttosto che le leggi vergogna o qualche altro provvedimento. Almeno non solo. Si tratta di ribadire in modo forte la contrarietà collettiva alla deriva che questa destra sta imponendo al Paese. Un disegno neoautoritario che passa approfittando dell’indifferenza».

Se il governo agisce nell’indifferenza, non è anche responsabilità dell’opposizione e dell’opinione pubblica?
«Infatti bisogna spezzare l’indifferenza. Ritrovare in modo festoso i valori in cui si riconosce l’identità collettiva della sinistra. Ecco perché apprezzo la giornata di sabato. Il Pd ha un problema di individuare i propri valori e le parole con cui chiamarli e comunicarli».

Non è un problema piccolo.
«Certo, non è cosa da poco, e la manifestazione rappresenta un punto di partenza e non la soluzione. Poi serviranno elaborazione e riflessione. Ma la politica è soprattutto capacità di produrre emozioni, non manipolatorie come nel centrodestra, intorno a valori».

Veltroni in campagna elettorale ha prodotto emozioni. Non sono bastate.
«Devono viaggiare su un doppio binario. È necessario individuare una costellazione di valori e saperli narrare a chi è smarrito».

Quali, per esempio?
«Noi vogliamo una società aperta e loro chiusa. Aperta ad altri mondi e paesi, ai giovani e alle generazioni che verranno, a cultura e idee. Il governo pratica la politica del chiavistello: cacciare o emarginare gli immigrati con misure dagli echi vagamente razzisti, rendere la scuola un luogo di normalizzazione e anziché di trasformazione della società, contrapporre il diritto dei poveracci, durissimo, a quello dei privilegiati».

Veltroni ha ufficializzato la rottura con Di Pietro, ma IdV sarà in piazza. Avrete problemi di convivenza?
«Non credo. Non esiste un problema di coabitazione ma di impostazione strategica e valoriale dell’opposizione».

Dall’interno, come valuta lo stato del Pd? Da Parisi a Rutelli a D’Alema non mancano critiche, e c’è chi ritiene che l’esperimento non sia riuscito.
«Mi sembra un giudizio forse un po’ affrettato che non condivido. In mezzo c’è stata la tempesta legata al voto ed è impossibile valutare. È sano che esistano punti di vista diversi e confronto anche aspro. Non c’è democrazia dove non si polemizza. Mi preoccupano i partiti dove regna il pensiero unico».

Dove è il limite tra critica costruttiva e separati in casa?
«Bisogna evitare che la dialettica diventi fattore di implosione. Questo è affidato alla responsabilità dei dirigenti e alla capacità di ritrovare la bussola dei valori. La politica basata su analisi razionale non basta: a lungo è stato il limite della sinistra. Ricerche mostrano che la razionalità convince gli elettori per il 4%, il resto sono emozioni».

In sintesi come definirebbe la visione del mondo del Pd?
«L’idea di una società aperta il cui cardine è l’uguaglianza autentica tra esseri umani».

Pubblicato il: 24.10.08
Modificato il: 24.10.08 alle ore 9.33   
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