News dal PAESE che il PD deve fare MIGLIORE.

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E' crisi nera

IN CALO ANCHE LE SEGHE

Il popolarissimo prodotto è sceso del 50%

BERLUSCONI MINIMIZZA: "L'italiani cianno bone mani!"



Ci sono de’ segnali, nella vita, che voglian dire tutto. Se presempio Berlusconi si mette la prolunga all’uccello, vor di’ che ci vole andà ner culo anche più di prima! Se Vertroni e Dipietro seguitano a dissi stronzolo e cacchina, è segno che ‘r travaglio ideològio dell’opposizzione è propio nella merda! Se la Carfagna e la Germini e la Prestigiacomo sono doventate ministre, ‘un c’è dubbio che cor culo si pole fare perdavvero tutto, ner senzo beninteso di fortuna. Se la Lega seguita a di’ che lei vole mette’ i bimbi straomunitari nelle crassi a parte perché que’ figlioli ni piaciano perdavvero tanto, si pol’esse’ siuri che ni piacerebbero anche dipiù gratinati ar forno. Se ‘r papa giura sulla testa de’ su’ figlioli - quelli spirituali, beninteso - che i quattrini li fabbria ‘r demonio, è segno che prima o poi ‘r Vatiano comprerà anche quella zecca lì.

E anche su’ segni della solita vita di noiartri, ‘un c’è da scervellassi tanto! Se presempio ‘r bottegaio dice alla criente «cara signora mi dispiace ma io ‘un ni posso più segnà», è chiaro che la signora si deve preparà a fanni vedé ‘r pelo! Se la tu’ moglie ‘un te la dà più, vor di’ che s’è rotta ‘ ‘oglioni a fa’ finta sempre di godecci tanto! Se la tu’ bimba ti ritorna a casa colla pancia piena, di siùro ha smesso di volé fa’ la dieta! Se la tu’ socera ti guarda all’improvviso tutta sorridente, è segno che o ci vedi male te o ci vede male lei!

E così via e via, perché quando certi segnali sono chiari ‘un ci si pole dicerto ‘mpappinà!

È co’ segnali delle seghe, ‘nvece, che ‘un ci si ‘apisce più nulla! Che te prima bastava tu ni guardassi ar tu’ figliolo l’occhiaie o ‘ calli nelle mani, e capivi a volo! O sennò uno ti diceva son disoccupato, e quelle erano seghe di siuro! Che ‘un c’è artro ar mondo come i disoccupati, per la produzzione di seghe a tutt’andà!

Tantevvero  che ora, con questa popò di grisi econòmia a giro, con tutte veste fabbrione e fabbriette che chiudano bottega e si son messe a licenzià a tuttospiano, ci s’aspettava tutti che cor cresce’ de’ disoccupati aomentassino anche le seghe a rondemà!

E ‘nvece no, calano anche quelle! Meno atumobili, meno elettrodomestici, meno mobili, meno prodotti di tutta l’industria manifatturieta, e anche meno seghe! Che più manifatturiere di quelle ‘un ci pol’esse’ artro, le seghe o te le fai a mano o è roba fasulla di siuro!

E sai, un crollo spaventoso, der cinquanta percento addirittura! Una recessione che ha corpito un po’ tutto ‘r mondo, a dire ‘r vero, ma  l’Italia speciarmente! «Le seghe nostrane – ha detto difatti l’Ístatte – questo popolarissimo prodotto italiano, è sprofondato di guasi la metà!»

Derresto dé, basta guardà la Borza! Un c’è un’Azzione der Cazzo che ‘un sii andata giù! Le Cazzi Generali sono scese a meno trenta, L’Uccelli Privilegiati a meno venti, le Fave Conzolidate a meno venticinque, i Pipi di Famiglia addirittura a meno trentacinque!

E se ‘n tutto questo patatràcche di cazzi ci metti anche ’r crollo delle seghe, me la saluti te l’economia! Che sulle seghe ci s’è sempre fondata, come prodotto fra i più popolari! Che te colle seghe principi da piccino, e ‘un ismetti più per tutta la tu’ vita! E mia seghe così tanto per di’! Seghe artistie, tutte fatte ner segno della meglio tradizzione manuale italiana, da quelle barocche der Secento fin a quelle della poparte d’oggi!

Una produzzione così originale che difatti l’Italia ha chiesto all’Unione Uropea di stioccacci perfino ‘r bollino “Made in Itali” sulle nostre seghe, anche per distinguelle da quelle cinesi che già sono tutte gialle, eppoi loro se le fanno coll’occhi strinti e colli stecchini ‘nfilati ‘nculo!

Ma te lo sbatti, ora ‘r bollino, in questo mosciume generale! Che se la gente ‘un cià più nemmeno la forza di fassi le seghe, dimmi te con che coraggio si pole sperà che magari i disoccupati sappino cosa fa’, nella loro condizzione di segaioli colla fava moscia ‘n mano!

L’ùnia è sperà come sempre in Berlusconi, che quando n’hanno detto der calo anche delle seghe ha rassiurato tutti:
«L’italiani cianno bone mani» ha diarato con tutta la su’ acceante dentiera sorridente «e sapranno ritornà alle seghe anche più di prima! E in onni caso» ha precisato con Tremonti accanto che barbottava tanto poi ci penzo io a rincarà le tasse «lo Stato farà la su’ parte come l’ha fatta con le banche. A loro ‘r sostegno de’ milliardi per ‘un falle fallì, ai disoccupati l’incoraggiamento de’ calendari della Carfagna per ‘un falli sta’ colle mani ‘n tasca!»


Mario Cardinali hhh 
da www.vernacoliere.com

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Avvocato di strada, pronto soccorso per chi finisce nei guai

di Davide Madeddu


È una sorta di pronto soccorso giudiziario per chi non ha neppure un tetto sotto cui dormire. L’ultima ancora per poter difendere i propri diritti o farsi difendere in nome della legge. Un punto di riferimento diventato ora anche più prezioso per chi non ha più né una casa né altre persone cui chiedere aiuto e sostegno. Si chiama Avvocato di strada, ed è l’associazione che, fondata a Bologna nel 2001 dall’avvocato Antonio Mumolo ora assicura assistenza legale ai senza dimora, nella maggior parte italiani, in una quindicina di città d’Italia.

Solo a Bologna, nell’ultimo anno sono stati mille coloro che hanno chiesto e ottenuto aiuto e assistenza. «Qualcuno bussa e chiede aiuto e assistenza perché ha subito una violenza, qualche altro perché, dopo un intervento chirurgico che gli ha salvato la vita in extremis si è visto recapitare dall’ospedale il conto di duemila euro con i carabinieri - racconta Jacopo Fiorentini, portavoce dell’associazione - qualche altro ancora perché cerca di ricostruire la sua vita e non sa come muoversi tra tribunali e uffici giudiziari e una pioggia di multe che, continuano ad arrivare senza sosta».

Storie di vita, molto spesso distrutta e disperata che sono diventate quasi l’ordinarietà. «L'esperienza nasceva dalla necessità, sentita da più parti, di poter garantire un apporto giuridico qualificato a quei cittadini oggettivamente privati dei loro diritti fondamentali - spiega il presidente Antonio Mumolo -. Gli sportelli legali di Avvocato di strada sono legati dall'Associazione Avvocato di strada Onlus per cercare di favorire una crescita comune delle esperienze, condividere, attraverso il confronto di esperienze, un’idea comune sugli obiettivi e le modalità di intervento del progetto».

Un’attività nata in maniera quasi pionieristica con poche persone disposte a sacrificare buona parte del proprio tempo libero per dedicarsi agli altri. «E garantire i diritti degli altri, anche dei più deboli - chiarisce Antonio Mumolo - Abbiamo iniziato nel 2001 come costola dell’associazione Piazza Grande ed eravamo in due, io che sono giuslavorista e un’avvocatessa che si occupava del penale aprendo uno sportello di assistenza». Subito poi si è aggiunta una seconda fase, quella di andare a dare assistenza cercando le persone. «Dopo l’attivazione dello sportello siamo andati a cercare le persone nei dormitori - prosegue l’avvocato - Oggi solo a Bologna siamo 50, in tutta Italia a prestare servizio gratuito per Avvocato di strada ci sono 500 avvocati». Legali che cercano di dare assistenza e aiuto al mezzo milione di persone che, senza un tetto e una casa vive sotto i ponti o nelle stazioni ferroviarie. «La nostra attività, che è bene precisarlo è gratuita sempre, è finalizzata a far garantire i diritti di chi non ha la forza e gli strumenti per difendersi, noi seguiamo solo chi è senza casa - spiega Mumolo - quando si vince una causa ogni avvocato che fa parte dell’associazione versa il suo compenso allo sportello di appartenenza. Ossia alla struttura che ha avviato la procedura di assistenza per la persona senzatetto».

Non c’è solo l’attività giudiziaria che molto spesso «vede i senza casa parte lesa in processi penali perché vittime di pestaggi, aggressioni» ma anche quella che viene definita la seconda possibilità. Ossia i programmi perché chi è finito in strada possa ricostruirsi una nuova esistenza. «Oggi è molto facile finire in strada - aggiunge Mumolo - basta che un matrimonio naufraghi o che chi, magari vive solo, perda il lavoro e il passo per trovarsi poi in mezzo alla strada è breve». Anche perché «l’essere poveri viene vissuto quasi come una colpa e una vergogna e quindi crea una condizione psicologica che alla fine fa precipitare chi si trova in questa situazione».

Per questo motivo, e far sì che la tutela dei diritti venga garantita sempre l’associazione Avvocato di strada ha deciso di estendere la sua attività in altri centri d’Italia. «Si opera con associazioni tanto laiche quanto religiose che già esistono - aggiunge ancora il presidente- perché l’obiettivo è quello di far rispettare i diritti delle persone. Non è una questione di favore ma di diritti che tutti hanno. Anche chi è povero e non ha la forza di gridare».

     
© 2008 L'Unità.it Nuova Iniziativa Editoriale Spa

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L'Intervista

«Non è omicidio né eutanasia. Vorrei che la Chiesa si esprimesse con più prudenza»

Per il teologo Vito Mancuso la materia «è nuova e ricca di zone grigie». «E' l'interruzione di un trattamento inefficace»


ROMA — «Quando ci sarà il testamento biologico io disporrò di essere mantenuto in vita finché possibile, perché anche un filo d'erba rende lode al Creatore. Ma non posso volerlo per altri e sono convinto che nel caso di Eluana l'interruzione del trattamento non sia omicidio né eutanasia. Vorrei che le autorità della Chiesa cattolica — alla quale appartengo — si esprimessero con prudenza in una materia che è nuova e ricca di zone grigie»: è l'opinione del teologo Vito Mancuso che insegna all'università San Raffaele di Milano.


Professore perché non si tratterrebbe di eutanasia?

«Non è eutanasia attiva, in quanto non ci sarà un farmaco che provocherà la morte. Ma neanche passiva: se l'alimentazione tramite sondino non è "terapia", non è cioè assimilabile a un farmaco, la sua cessazione non può essere detta eutanasia passiva».

Che cos'è allora? Un abbandono alla morte per fame e sete?

«È l'interruzione di un trattamento di rianimazione risultato inefficace, deliberata in conformità a un orientamento espresso a voce dall'interessata in anni precedenti l'incidente».

Possiamo giurare su una battuta detta in famiglia, non attestata per iscritto?

«Purtroppo no, non possiamo tirarne una conclusione sicura. Ma quelle parole di Eluana sono tutto ciò di cui disponiamo per cogliere la sua intenzione e possiamo fare credito ai genitori che le attestano — e che tanto l'amano — e ai magistrati che hanno vagliato la loro attestazione».

Lei è favorevole al testamento biologico?

«Lo vedo come uno strumento di libertà di fronte allo sviluppo delle tecnologie mediche».

Ma la vita non è un valore indisponibile?

«Concordo sull'indisponibilità della vita, ma reputo che vada rispettata la libertà di chi rifiuta per sé un trattamento che lo mantiene in una condizione di vita che egli reputa non-vita. La vita si dice in tanti modi. Il principio primo non è quello della vita fisica da protrarre il più a lungo ma è quello della dignità della vita e questa si compie nella libertà personale».

Con il testamento biologico uno dovrebbe poter scegliere di non essere alimentato se venisse a trovarsi in stato vegetativo?

«Ritengo che vi debba essere questa possibilità. Per me non la sceglierei, ma non sono sicuro riguardo a ciò che vorrei per i miei figli: c'è sempre divario nell'accettazione della propria sofferenza e di quella dei figli».

Lei contraddice alcune affermazioni dell'arcivescovo Fisichella e del cardinale Bagnasco: che la Corte apra all'eutanasia e che l'alimentazione sia sempre dovuta...

«Auspico una maggiore saggezza nella parola degli uomini di Chiesa. Come si può tenere per certo che l'alimentazione tramite sondino non sia una terapia se gran parte della scienza medica la considera tale? E perché definire eutanasia qualcosa che formalmente non lo è? Non sarà alzando il tono della voce che si difende la vita».

Luigi Accattoli
16 novembre 2008

da corriere.it

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27/11/2008
 
La memoria contro l'intolleranza
 
GIOVANNI MARIA FLICK*

 
La letteratura - quando dà il meglio di se stessa - rende partecipi del destino di altri, diversi e lontani».

Sono parole di David Grossman al Festival Internazionale di Berlino dello scorso anno; a ricordarle, in presenza dello stesso scrittore israeliano, è stato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, due giorni fa a Gerusalemme. Della letteratura ebbe bisogno il chimico Primo Levi, perché l’indicibile fosse detto, e mai più dimenticato. A causa delle leggi razziali, lui ne fu testimone.

Non a caso, le prime intolleranze dei regimi dittatoriali si rivolgono alla libera circolazione dei pensieri e delle idee, e alla scienza. Per impedirne l’esercizio, o almeno per asservirli. E il dubbio salutare sprofonda nel sonno della ragione. Il quale genera mostri. Venticinque anni fa, nel Dialogo di impareggiabile bellezza e profondità con quello straordinario scienziato che è Tullio Regge, Primo Levi definì «congiura gentiliana» un’autentica mostruosità generata da quel sonno: l’attribuire valore formativo alle materie letterarie e solo valore informativo a quelle scientifiche. (...) Fu sempre quel sonno a partorire, con la crudeltà delle leggi razziali, anche una stupidità assai rivelatrice: il divieto di svolgere tesi di laurea sperimentali e di frequentare, a questo scopo, gli istituti universitari. (...) Quanti devono nascondere la realtà, per manipolare il consenso e conculcare la verità dei fatti, hanno bisogno di una scienza sottomessa, incapace di fornire interpretazioni del reale. Per dirla con Nietzsche, «la scienza non pensa», e se il potere illiberale e violento se ne impossessa, diventa storia di pregiudizi e dogmi, sostenuti con tenacia, combinati con l’intolleranza e il fanatismo.

Le leggi razziali del 1938 rappresentano il momento più buio di questa intolleranza ideologica. Esse discriminarono, infatti, su un doppio versante: oltre a quello scientifico, creando l’ulteriore enclave fondata sulla razza, sull’azzeramento della dignità umana attraverso l’apologia della diversità di razza. Occorre far memoria di questa notte. Ben più, bisogna ricordare (ri-ex corde, riportare al cuore), interpretare gli eventi del passato con la ragione e l’intelligenza arricchite dall’emozione e dal sentimento. La stessa emozione che provo oggi al cospetto di una vittima dell’ideologia aguzzina di quelle leggi, emanate giusto settant’anni fa. A Rita Levi-Montalcini vanno la riconoscenza e la gratitudine di tutti gli italiani e delle Istituzioni - in particolare della Corte Costituzionale che qui rappresento - delle quali anch’ella, senatore a vita, è autorevole e meritevole esponente.

A causa del Manifesto della razza dovette abbandonare patria, famiglia, affetti, sicurezze e lavoro; l’ospedale presso cui lavorava. Tutto. E trovare rifugio in Belgio, attrezzando in cucina un piccolo laboratorio di fortuna. Poi, l’invasione nazista e la nuova fuga; il rifugio ancora in Italia, a Firenze; sulle colline di Asti e infine a Torino. La professoressa Levi-Montalcini fu tra quanti - con le parole di Primo Levi - «sperarono di sopravvivere per poter raccontare». Dopo alcuni decenni, conservata dalla saggezza che di tanto in tanto illumina e riscatta la Storia - o, per i credenti, protetta dalla Provvidenza più forte di qualsiasi malvagità umana - quella stupenda intelligenza, raminga per l’Europa e per l’Italia, ci ha raccontato una storia affascinante e sconosciuta, partita dalle ghiandole salivari di un topolino e dagli embrioni di pollo, per arrivare a spiegare la crescita dei neuroni dell’uomo, la differenziazione tra le nostre cellule nervose e simpatiche, come un gene sappia programmare la sintesi della relativa molecola proteica: un capitolo misterioso e fondamentale del nostro essere uomini, pensanti e razionali; nonostante l’intero mondo circostante e la storia recente testimoniassero il contrario.



*Presidente della Corte Costituzionale.

Dall’intervento che pronuncerà oggi a Roma al convegno dell’Accademia Nazionale delle Scienze sulle leggi antiebraiche del 1938 e la comunità scientifica italiana, dedicato al Premio Nobel Rita Levi-Montalcini.
 
da lastampa.it

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Elio e le Storie tese rifiutano l'Ambrogino: avete respinto Biagi e Saviano


Chi meglio di loro può capire cos’è demenziale e cosa no? Elio e le su storie tese ci hanno ragionato su un momento, e poi hanno deciso: il comune di Milano ha rifiutato di assegnare l’Ambrogino d’oro ad Enzo Biagi e la cittadinanza onoraria a Roberto Saviano? «Noi rifiutiamo l’attestato di benemerenza di cui Palazzo Marino ci vorrebbe gentilmente onorare». Il colpo di scena, neanche troppo inaspettato e in perfetto stile Elio, arriva cinque giorni prima della cerimonia ufficiale per la consegna degli Ambrogini, prevista, come ogni anno, il 7 dicembre, giorno di Sant’Ambrogio, patrono della città.

A invito ufficiale, la band ha risposto al comune con altrettanta ufficilalità, per mezzo lettera raccamondata: «Abbiamo ricevuto il vostro invito alla cerimonia per la consegna dell'attestato di Benemerenza civica in data 7 dicembre 2008 - scrivono Elio e le storie tese -. Desideriamo in primo luogo ringraziare chi ha proposto il nostro nome.

Vi comunichiamo altresì che non intendiamo accettare la Benemerenza, poichè siamo in disaccordo con la vostra decisione di non assegnare l'Ambrogino d'Oro a Enzo Biagi e la cittadinanza onoraria a Roberto Saviano, come riportato dai principali organi di stampa». «Come abbiamo fatto in questi vent'anni - aggiungono -, continueremo a rappresentare al meglio Milano, la città in cui siamo nati, viviamo e lavoriamo; che amiamo profondamente e che, proprio per questo, vorremmo vedere meglio trattata e rappresentata dalla sua amministrazione comunale».

Parole sensate nella terra dei kaki.

02 Dic 2008   
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