LEGA e news su come condiziona il governo B.
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«Chiacchiere in tempi di propaganda»
di Felicia Masocco
«Non so dove il ministro abbia sentito i lavoratori pubblici vergognarsi di dire il proprio mestiere. Mi piacerebbe però sapere da lui quanti dei suoi colleghi politici si vergognano di dire ai figli perché sono inquisiti o indagati. Ho l’impressione che, in percentuale, siano un po’ di più dei lavoratori pubblici. Prima di parlare della dignità di chi lavora, il ministro farebbe bene a occuparsi del ceto politico di cui fa parte».
Carlo Podda, segretario generale di Fp-Cgil, non ci gira intorno. E sulle continue esternazioni del ministro Renato Brunetta ha un’idea precisa.
Quale?
«Dietro i roboanti annunci che si susseguono dal suo insediamento, c’è una pubblica amministrazione nelle stesse condizioni di prima se non peggiori a causa dei tagli alla spesa, dei pensionati non rimpiazzati, dei precari mandati a casa alla scadenza del contratto.
Il ministro continua a pensare che lo stato delle cose possa essere coperto da annunci sempre più iperbolici».
Fumo negli occhi. Anche quando dice che la Cgil è il “nemico”? Se la Cgil dicesse che Brunetta è il nemico scoppierebbe il finimondo.
«Mi pare faccia una certa fatica a contenersi dal punto di vista verbale: si è scusato con la Cgil dopo aver detto chisse ne frega se c’è; ha avuto un piccolo incidente persino con il Vaticano entrando in polemica su chi ha più o meno precari nei suoi uffici; prima ancora aveva tirato fuori lo slogan “colpirne uno per educarne cento”, parole di un’epoca infelice. Non mi stupisce che non si faccia nessuno scrupolo a indicarci come nemici e non come avversari, antagonisti, come gente che semplicemente la pensa diversamente da lui».
Del resto, se gli dite sempre no...
«Non è poi vero:quando lui ha parlato di lotta ai lavoratori infedeli o fannulloni come li chiama, noi abbiamo detto che l’obbiettivo era condivisibile. Ma non possiamo condividere che subisca una trattenuta chi assiste un figlio diversamente abile, chi va a fare una donazione di sangue o di midollo osseo. Il ministro ha riconosciuto che c’erano degli eccessi, con gran clamore mediatico si era recato a casa di una persona colpita dalle misure, aveva promesso correzioni che nessuno ha visto».
Oltre alle chiacchiere non c’è niente?
«Io credo che le chiacchiere del ministro rivelino una fase di difficoltà. La verità è che da fine gennaio le retribuzioni pubbliche diminuiranno come la Cgil aveva denunciato, motivo per cui non abbiamo sottoscritto gli accordi di Palazzo Chigi e nemmeno i contratti. E finirà la propaganda, come è già successo con l’indennità di vacanza contrattuale che per settimane il ministro ha sostenuto sarebbe stata di 160 euro, mentre noi abbiamo diffuso le buste paga dalle quali si vedeva che era di 80 euro lordi. A luglio poi, quasi 70mila precari verranno messi per strada, diverranno 120mila il prossimo anno. Mi pare che il ministro si stia preoccupando di destrutturare la pubblica amministrazione, non di ristrutturarla o riformarla. Per questo avversiamo le sue politiche».
fmasocco@unita.it
12 gennaio 2009
da unita.it
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Maestri e veline
di Oreste Pivetta
Una volta Berlusconi a una ragazzo che lamentava le difficoltà economiche della famiglia rispose che se la doveva prendere con il padre: un fannullone, se non guadagnava abbastanza per far contenti i familiari. Fu il varo di una nuova cultura di governo, sulle cui tracce si animò più avanti il ministro Brunetta, che alla teoria del fancazzismo nella pubblica amministrazione ha dedicato ampi stralci della propria elaborazione. Ieri ha ripreso fotocopia della sentenza berlusconiana e, riassunti a sottospecie umana i suoi dipendenti, ha annunciato che i figli si vergognano dei padri statali, trasformando una categoria del lavoro e dello spirito un tempo ammirata e invidiata in una specie di bolgia tra usurai, ruffiani e traditori dei benefattori, tipo Brunetta. Il quale ministro ha il vizio di sparare, senza riflettere che il male è trasversale e senza ragionare sulle responsabilità di tale epidemia.
Quando scenderà a patti con la necessità di concretezza, di strategie e persino di cultura, facendo il mestiere che si è scelto: quello di ministro che deve organizzare per consentire a tutti di lavorare. Brunetta un merito ce l’ha, però: senza accorgersene indica una delle mutazioni antropologiche di cui ha sofferto il nostro paese. Non solo Pasolini...
Nella caduta dei valori, nell’esaltazione di un solo mito che è il denaro (come insegna il maestro Berlusconi) è evidente che la responsabilità civile di un dipendente pubblico (impiegato o insegnante) mal pagato e per questo mal considerato va a farsi benedire. Onore al meccanico, al suo conto con o senza fattura, onore alla velina, onore all’hostess che scalerà l’isola dei famosi, onore al tronista, onore a Berlusconi.
Ma è quest’Italia che è sbagliata: in un paese giusto un maestro di scuola elementare (pubblica) starebbe al primo posto nella classifica del rispetto nazionale.
opivetta@unita.it
12 gennaio 2009
da unita.it
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L'inganno nordista
di Bianca Di Giovanni
È il cavallo di battaglia della Lega, che sul federalismo ha puntato tutto, persino la sua permanenza al governo.
Il testo redatto da Roberto Calderoli è all’esame di tre commissioni del Senato: Affari Costituzionali, Finanze e Bilancio. Un comitato ristretto sta approntando possibili modifiche, per arrivare a un testo condiviso. Martedì si comincia a votare, il 20 gennaio il testo arriverà in Aula a Palazzo Madama. Anche il Pd ha presentato un suo testo. Si punta a una mediazione tra le due proposte. L’opposizione ha già ottenuto tempi più lunghi (il Carroccio avrebbe voluto chiudere tutto entro il 2008).
L’opposizione ha anche ottenuto che una commissione parlamentare faccia da filtro ai decreti delegati. Altro risultato ottenuto finora: una migliore definizione della fase transitoria. Il primo decreto delegato entro 12 mesi, tutto entro 24 mesi.
Da quel punto in poi decorreranno i 5 anni di transizione previsti dal testo. Ancora molte le questioni aperte, come quello sul passaggio dalla spesa storica ai costi standard. Il Pd propone che la convergenza tra Nord e Sud si misuri su obiettivi di servizi erogati. Molto è ancora da giocare.
Intanto la Lega continua il suo pressing, promettendo più ricchezza e meno tasse a Nord. Un binomio impossibile, a meno che a pagare non sia il Sud.
O magari il bilancio pubblico, con più debito. Per ora, comunque, l’unico testo disponibile è quello del ministro della Semplificazione: noi lo prendiamo sul serio parola per parola.
Ecco le trappole che nasconde.
Un rischio pesante si nasconde dietro la proposta sul federalismo fiscale targata Calderoli: gli italiani non saranno più tutti uguali di fronte allo Stato. È l’accusa più forte contenuta in un dossier redatto dal Nens (Nuova economia, nuova società) sulla proposta depositata nell’autunno scorso dal ministro leghista. L’associazione fondata da Vincenzo Visco e Pier Luigi Bersani analizza punto per punto il testo, fornisce dati sulle entrate e le spese delle singole regioni, fa un parallelo con altri Stati federali. E alla fine, giunge a questa inquietante conclusione: si rischia la balcanizzazione dell’Irpef.
INCOSTITUZIONALE L’imposta che garantisce la progressività (ognuno paga in base alla sua capacità contributiva) e l’eguaglianza, cioè l’equità orizzontale (un ricco del nord è uguale a un ricco del sud) verrebbe completamente stravolta. La proposta del governo, infatti, «fa riferimento alla territorialità del prelievo - scrivono gli esperti del Nens - che non ha nulla a che vedere con la capacità contributiva, crea numerosi casi di disparità di trattamento ingiustificati e colpisce gravemente il principio di progressività».
Tale principio può essere assicurato soltanto dallo Stato centrale. Insomma, l’Irpef deve rimanere il cardine attorno a cui si tiene insieme la «casa Italia». «La scelta di Calderoli, al contrario - continua il dossier - con l’introduzione della riserva d’aliquota (l’addizionale locale, ndr) e della possibilità di introdurre deduzioni, detrazioni, variazioni di aliquote e quant’altro, crea le premesse per un processo che porterà alla frammentazione del più importante prelievo tributario del paese». Come dire: dietro l’asserita responsabilizzazione dei poteri locali si nasconde un forte spirito secessionista nella proposta, che così finisce per risultare a rischio incostituzionalità.
LUOGHI COMUNI Il testo del Nens scardina anche altri tasselli della proposta leghista, capovolgendo molti luoghi comuni di cui si nutre la vulgata federalista. Per esempio che «Roma ladrona» (cioè lo Stato centrale) assorba gran parte delle risorse fiscali. In realtà oltre un quinto (il 21,9%) delle entrate totali è già gestito dalle amministrazioni decentrate. Il decentramento dei tributi in Italia ha avuto un’espansione esplosiva negli ultimi 15 anni, passando dall’8,2% sul totale dei tributi del 1990 al 21,9% del 2006. Una quota di gran lunga superiore a quella che si registra in Paesi molto più «federali» dell’Italia. In Germania il fisco locale raggiunge l’11,8%, in Austria il 14,1, in Spagna l’11,9 e la Gran Bretagna, uno Stato unitario ma con regioni dotate di autonomia amministrativa, la quota si ferma al 5,4%. Come dire: una buona fetta di federalismo fiscale già esiste. Non c’è nulla da introdurre ex novo. Semmai c’è da perfezionare, rendendola più efficiente, una macchina già partita. In un bilancio locale, oltre il 40% delle entrate è costituito da tributi. Tutti i livelli delle amministrazioni decentrate hanno già tributi propri: dall’Ici (oggi sulle seconde case) e l’imposta sulle affissioni dei Comuni, a quella sulla circolazione delle Province, all’Irap delle Regioni.
LE SPESE Se le entrate locali sono quasi il 22% del totale, le spese locali superano il 33%. Si tratta di un livello molto alto. In tutti gli stati, anche quelli federali, si sostengono le spese locali con i trasferimenti dallo Stato centrale. In nessun caso i servizi locali vengono completamente finanziati da tributi locali.
bdigiovanni@unita.it
09 gennaio 2009
da unita.it
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Federalismo, il Pd si astiene.
La Lega pronta a correre da sola alle amministrative
di Roberto Rossi
Prove di dialogo tra Pd e Lega al Senato. Il Partito democratico si è astenuto sul voto del disegno di legge sul federalismo. La decisione, presa dall’assemblea del gruppo, è stata comunicata dal segretario, Walter Veltroni: «Una decisione giusta di una forza che assume la responsabilità» del dialogo «e che ha cambiato il testo originario facendo passare molte proposte». La scelta del Pd è stata molto apprezzata dalla Lega in particolare da Umberto Bossi. «Con la sinistra – ha detto il leader del Carroccio nonché ministro delle Riforme – è stato fatto un lavoro importante. Se non fosse per la sinistra eravamo ancora in Commissione».
L’inattesa sintonia tra i due schieramenti potrebbe portare anche a risvolti clamorosi. Uno di questi potrebbe essere la rottura dell’alleanza della Lega con il Pdl nelle elezioni amministrative che si svolgeranno in primavera. «In alcune specifiche realtà – ci spiega un deputato del Pd del Nord in contatto con il partito di Bossi – la Lega potrebbe decidere di correre da sola. Se questo avvenisse è chiaro che le carte per il centro sinistra sarebbero più incisive».
Il cammino, ci dice ancora la nostra fonte, è piuttosto lungo. Da qui alle elezionui ci sono circa quattro mesi. «E’ chiaro che bisogna ancora lavorare sull’argomento. Ma la strada è ben avviata». D’altronde anche l’astensione del Pd al Senato ha una chiara logica. «Sarebbe stato impossibile spiegare a molti elettori della parte più dinamica del paese un nostro voto. Il partito non deve essere identificato – continua il parlamentare – come quella forza politica che si oppone al cambiamento e all’innovazione. Il gruppo al Senato ha fatto un ottimo lavoro migliorando il testo iniziale e facendo emergere in modo chiaro che vi sono punti aperti non risolti a cominciare dall’apertura finanziaria e accompagnare alla riforma del federalismo fiscale».
Quella del partito di Bossi non è solo riconoscenza. La Lega con il caso Malpensa o Expo ha perso parte del suo appeal tra le piccole e medie industrie lombarde. Quando Silvio Berlusconi dice che con la Lega non ci sono problemi - «no, quando mai» - in parte ha ragione. Però per la Lega rimanere incatenata a un all’alleanza statica con il Pdl potrebbe portare a una lenta ma significativa erosione dei voti. Cosa che Bossi non vuole. Per il partito di Veltroni una “astensione” leghista alle amministrative potrebbe portare a risultati insperati. D’altronde l’elezione del presidente della Provincia di Milano Filippo Penati, cinque anni fa, avvenne proprio grazie all’astensione leghista. Oggi la storia può ripetersi.
22 gennaio 2009
da unita.it
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2009-01-25 14:25
LAMPEDUSA, SINDACO ACCUSA. TENSIONE A COMIZIO DELLA LEGA
LAMPEDUSA (AGRIGENTO) - "Dove era ieri la polizia che presidia l'isola? La verità è che sono stati gli agenti a far uscire i migranti dal Cpa. Nessuno, né i cittadini né io abbiamo istigato gli extracomunitari. Si vergognino questi che dovrebbero essere uomini di legge". Così il sindaco di Lampedusa Dino De Rubeis, ha risposto a chi lo accusa di avere istigato l'allontanamento dal Centro permanente di accoglienza di un migliaio di migranti avvenuto ieri. "Berlusconi dice che gli extracomunitari non sono prigionieri e che possono venire in paese a bere una birra - afferma - Maroni sostiene che devono rimanere nel Cpa. Mi pare che nel governo centrale ci sia molta confusione".
De Rubeis ha annunciato che per martedì è stato indetto un nuovo sciopero generale contro la decisione del Viminale di aprire, sulla maggiore delle Pelagie, un centro di identificazione ed espulsione dei migranti. Per protestare contro la nuova struttura la popolazione è scesa in piazza ed ha scioperato già la scorsa settimana. Sempre martedì dovrebbe essere organizzata una manifestazione a cui - ha detto il sindaco - "parteciperanno parlamentari nazionali e il presidente della Regione Sicilia Raffaele Lombardo".
TENSIONE A COMIZIO DELLA MARAVENTANO (LEGA)
Ci sono stati momenti di tensione tra la popolazione durante il comizio della senatrice della Lega Angela Maraventano, ex vicesindaco. La politica è stata duramente contestata dalla popolazione che le ha gridato: "Bastarda, ci hai tradito". Alcuni cittadini hanno cercato di avvicinarsi al palco, improvvisato nella piazza del municipio, dove la senatrice ha cercato di spiegare le ragioni del governo che intende aprire a Lampedusa un centro di identificazione e di espulsione dei migranti. Sono intervenuti i carabinieri per bloccare il gruppo di persone che si stava dirigendo verso la Maraventano, ma a riportare la calma sono stati gli stessi cittadini presenti.
"Il ministro Maroni mi ha assicurato che entro martedì circa 1.200 migranti, ospiti del Cpa di Lampedusa, saranno trasferiti o rimpatriati e lasceranno l'isola. Il governo ha tutto sotto controllo". Aveva detto in precedenza la Maraventano.
"Il governo - aveva aggiunto - ha pagato alla Libia cinque miliardi di euro per fermare il fenomeno dell'immigrazione clandestina. Ora si tratta di fare rispettare a Gheddafi gli accordi presi".
La senatrice poi aveva preannunciato parte del suo discorso: "Ai lampedusani dirò e dimostrerò che sono stati portati a sbagliare, che sono stati istigati dal sindaco, che per questo sarà denunciato, e che io non sono una traditrice o una persona venduta".
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E' trascorsa tranquilla la notte nel Centro di prima accoglienza (Cpa) di Lampedusa che, nonostante abbia una capienza massima di 850 posti, ospita attualmente 1.300 migranti. Gli oltre 1.000 extracomunitari, che ieri si erano allontanati dalla struttura di accoglienza ed erano scesi in piazza per chiedere il trasferimento in centri di permanenza temporanea di altre Regioni, sono rientrati. Fino a tarda sera gli abitanti dell'isola li hanno rintracciati e 'scortati' al centro.
E da questa mattina due camionette della polizia, ferme a 500 metri dal Centro di accoglienza di Lampedusa, bloccano l'accesso alla strada che porta alla struttura. La misura è stata adottata, per motivi di sicurezza, dopo i fatti di ieri. E' stata anche rafforzata la presenza delle forze dell'ordine sull'isola.
Continua, intanto, la mobilitazione dei cittadini dell'isola che si oppongono all'apertura del centro di identificazione e espulsione voluta dal ministro dell'Interno, Roberto Maroni. La popolazione è sostenuta da tutta l'amministrazione comunale.
da ansa.it
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