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Autore Discussione: BRUTTE e tristi STORIE...  (Letto 165825 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Luglio 10, 2007, 10:07:16 pm »

 2007-07-10

POLLARI: PARLERO' SE IL PREMIER MI AUTORIZZA

 ROMA - "Rispetto il segreto di Stato. Ma se il presidente del Consiglio riterrà di svincolarmi da questo segreto state tranquilli che sarò estremamente esaustivo. Ma solo se il premier mi autorizzerà". Lo ha detto l'ex capo del Sismi, Niccolò Pollari parlando con i giornalisti prima della colazione in un ristorante romano con il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga.

SISMI: DE GREGORIO, "POLLARI SEMPRE AUTORIZZATO"
"Le dichiarazioni di Pollari non rappresentano assolutamente un ricatto: quest'uomo si è chiuso in un silenzio di tomba, e quando si è visto raccontare come un eversore ha riflettuto con serenità e ha ritenuto che la cosa migliore da fare fosse quella di raccontare al Parlamento e al Paese tutta la verità, in modo da rivelare che mai il Sismi, sotto la sua direzione, si è mosso senza l'autorizzazione del Governo". Lo ha affermato il senatore Sergio De Gregorio, presidente della Commissione Difesa del Senato e leader del movimento politico Italiani nel Mondo, nel corso della trasmissione "Radio anch'io", condotta da Stefano Mensurati. "Pollari si è visto indicato - ha proseguito De Gregorio - come a capo di una cosca di eversori che ha tramato contro le istituzioni: uno scenario da incubo, che un funzionario dello Stato non può sopportare, avendo servito il Paese in questi anni e avendo consentito all'Italia di non contare le proprie vittime del terrorismo islamico, rafforzando inoltre il ruolo guida dell'intelligence nello scenario mediorientale. Ma evidentemente - ha concluso De Gregorio - a questo Governo non basta avvicendare alti uomini dello Stato, ma si avverte la necessità di ricoprirli di fango, come dimostra anche il caso Speciale".

DE GREGORIO, ITALIA SABOTO' MEDIAZIONE SISMI SOLDATI ISRAELE

Il governo italiano, attraverso il Sismi, tentò di mediare per la liberazione dei soldati israeliani catturati dagli Hezbollah in Libano, ma poi qualcuno dall'Italia fece saltare quella trattativa che portò allo scoppio della guerra del Libano: ad affermarlo è Sergio De Gregorio, presidente della commissione Difesa del Senato e leader del movimento Italiani nel Mondo, in diverse interviste, una alla trasmissione radiofonica "Radio anch'io", una al quotidiano "L'Opinione" e l'altra al quotidiano israeliano "Maariv".

 "Il servizio di sicurezza italiano - dice De Gregorio alla radio - è stato capace di intrecciare relazioni straordinarie e di proteggere il paese dalle terribili minacce a cui è stata sottoposta l'Europa. All'epoca del governo Berlusconi, i servizi non solo hanno liberato ostaggi italiani dalle mani dei fondamentalisti, ma hanno operato persino per la liberazione di sequestrati di altre nazionalità, a testimonianza che la nostra rete di intelligence ha contatti fortissimi". "Nel corso di una missione istituzionale a Beirut - prosegue - io e il presidente della commissione Esteri Lamberto Dini venimmo a sapere dal presidente del Parlamento libanese che l'Italia era a un passo dalla liberazione dei prigionieri israeliani, il cui rapimento fu la causa scatenante del conflitto. Ci furono raccontati particolari, ci fu detto che erano già pronti gli elicotteri per la loro liberazione e per i prigionieri rilasciati dagli israeliani in cambio". Questo, conclude a 'Radio anch'iò, non accadde e per De Gregorio "la verità sul perché si sia interrotto questo circuito virtuoso appartiene a Pollari e al presidente del Consiglio Romano Prodi".

"E' vero - dice poi a 'l'Opinione' - che la guerra in Libano contro gli Hezbollah scoppio anche perché all'ultimo momento qualcuno dall'Italia fece saltare la trattativa condotta dal Sismi per la liberazione dei soldati Ehud Goldwasser ed Eldad Regev rapiti in territorio isrealiano il 28 giugno 2006? Purtroppo sì". De Gregorio accusa non precisati ambienti italiani di aver sostanzialmente sabotato una intesa che era ad un passo. Nell'intervista a 'L'Opinione', sempre a proposito della vicenda dei soldati israeliani, aggiunge infatti: "Pollari potrebbe raccontare come naufragò il tentativo congiunto con l'intelligence israeliana per avere indietro i due soldati rapiti in Libano dagli Hezbollah e come un contrordine politico giunto dall'Italia abbia mandato tutto all'aria all'ultimo momento, facendo precipitare la situazione". Insomma - chiede il giornale - la politica del governo italiano attuale ha fatto scoppiare la guerra tra Libano e Israele? "Fu quella - risponde De Gregorio - la conseguenza di quel mancato accordo con gli Hezbollah, come è sotto gli occhi di tutti. Pollari potrebbe raccontare chi veramente aveva a cuore la pace e chi curava solo interessi personali e strumentali".

JANNUZZI, 'SPIAI' IO, DA POMPA SOLO RITAGLI
Lino Jannuzzi, giornalista e senatore di Forza Italia, scrive per il prossimo numero di 'Panorama' la sua 'testimonianza' sulla provenienza delle carte circa il presunto "spionaggio" ai danni di magistrati trovate nell' ufficio di Pio Pompa al Sismi. "Confesso che ho spiato", scrive Jannuzzi, raccontando del suo articolo di 6 anni fa per 'Panorama' su un incontro (poi smentito dai magistrati citati nel pezzo, che vinsero anche la causa intentata per diffamazione) tra quattro magistrati a Lugano (Ilda Boccassini, Carla Del Ponte, Elena Paciotti e Carlos Castresana) che avrebbero "concertato" la "comune azione giudiziaria contro Berlusconi". Secondo Jannuzzi, è di quell'articolo e della eco che ebbe sul resto dei media che si è trovata traccia nel "presunto archivio" di Pompa al Sismi: solo "ritagli di giornali o file di Internet". 

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« Risposta #16 inserito:: Luglio 10, 2007, 10:07:58 pm »

E sul senatore De Gregorio: «Sono l'unico portavoce di me stesso»

Pollari: «Parlerò se Prodi mi autorizza»

L'ex capo del Sismi: «Rispetto il segreto di Stato.

Ma se il presidente del Consiglio riterrà di svincolarmi sarò esaustivo» 
 

ROMA - «Rispetto il segreto di Stato. Ma se il presidente del Consiglio riterrà di svincolarmi da questo segreto state tranquilli che sarò estremamente esaustivo. Ma solo se il premier mi autorizzerà». Lo ha detto l'ex capo del Sismi, Nicolò Pollari parlando con i giornalisti prima della colazione in un ristorante romano con il presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga. «Finché non sarò autorizzato rispetterò la legge, come ho sempre fatto in vita mia». ha aggiunto l'ex capo del Sismi,. Ma in che contesto intende parlare? «In tutti i contesti - ha risposto Pollari - in cui il premier mi autorizzerà a farlo».
«SONO L'UNICO PORTAVOCE ME STESSO» - «Io sono l'unico portavoce di me stesso», ha anche precisato Nicolò Pollari. Nei giorni scorsi era stato il presidente della commissione Difesa del Senato, Sergio De Gregorio, a rendere note alcune affermazioni di Pollari, secondo le quali l'ex capo del Sismi sarebbe stato intenzionato a dire tutto sui «misteri italiani».

10 luglio 2007
 
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« Risposta #17 inserito:: Luglio 10, 2007, 10:08:30 pm »

L’amico Pollari
Antonio Padellaro


Ho incontrato Nicolò Pollari, direttore del Sismi, dopo l’uccisione di Nicola Calipari e il ferimento di Giuliana Sgrena. Fui introdotto nel suo ufficio da Pio Pompa che certo non passava lì per caso. Pollari mi sembrò sinceramente amareggiato per il modo con cui gli americani cercavano di minimizzare le loro gravi responsabilità. Nell’occasione mi trovai d’accordo con lui ma non per questo, oggi, mi sentirei di dire, come Valentino Parlato ha fatto su il manifesto, che il caso dei dossier illegali è una gran buffonata.

Da uomo schietto, Parlato si dichiara amico di Pollari. Siamo convinti che ancora di più lo sarà (amico) della verità. E dunque prima di emettere sentenze liquidatorie sulla sinistra che ha «strumentalizzato la vicenda per attaccare l’opposizione» non sarebbe il caso di stare ai fatti? Vogliamo credere che l’archivio di via Nazionale fosse l’hobby privato di Pompa, una sorta di collezione di farfalle per sbalordire le ragazze? È casuale che la cacciata del predecessore di Pollari dal vertice dei Servizi, l’Ammiraglio Battelli, sia stata preceduta da un puntuale lavorio diffamatorio a cura della premiata ditta Pio&C.? Infine, al Csm sono tutti impazziti? Eventualità che, infatti, Parlato non prende in considerazione ammettendo che «ci sarà un motivo» se sono intervenuti così duramente e all’unanimità.

Domanda finale. Una volta trattasi del «fedele servitore dello Stato» generale Speciale. Un’altra dell’«amico» Pollari (entrambi rappresentati casualmente dall’autorevole ventriloquo De Gregorio). Ma perché mai alla fine, gira e rigira la colpa è sempre della sinistra?

Pubblicato il: 10.07.07
Modificato il: 10.07.07 alle ore 9.55   
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« Risposta #18 inserito:: Luglio 22, 2007, 11:29:00 am »

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Pazienza... che le leggiate, per ora, mi basta.

ciaoooooooooooooo

 
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« Risposta #19 inserito:: Luglio 29, 2007, 11:13:30 pm »

CRONACA

La rivelazione dopo una giorno di polemiche in seguito al ricovero per overdose della squillo che era nell'hotel

Volontè: "Chi si droga non può legiferare". Lui: "Mi dimetto dal partito"

Sesso e coca col parlamentare Mele (Udc): "Sono io ma niente droga"

Mercoledì l'Udc di Casini organizza il test antidroga, bocciato dall'aula, davanti a Montecitorio

Vietti: "Se facciamo il test a chi guida il bus della scuola, a maggior ragione a chi guida il bus della vita pubblica"

di CLAUDIA FUSANI

 
ROMA - Si chiama Cosimo Mele, ha 50 anni, pugliese, deputato, in questa legislatura è membro della commissione Ambiente e qualche anno fa, nel 1999, fu coinvolto in una brutta storia di tangenti e corruzione. Alle 20 e 38 di stasera, dopo trentasei ore di atroci dubbi e cristiane sofferenze fa outing con l'agenzia di stampa Ansa "per evitare - dice - speculazioni politiche a danno del partito": " Quel parlamentare sono io, ma droga non ne ho vista e la signora mi era stata presentata quella sera a cena da amici". La "signora" è la squillo che è finita in overdose all'ospedale San Giacomo sabato mattina dopo una notte a luci rosse in compagnia di un parlamentare - e di un'altra squillo - all'hotel Flora, un luogo e un mito della "Dolce Vita" di Fellini, dove Mastroianni accompagnava Anita Ekberg e faceva a cazzotti con i paparazzi.

L'autodenuncia arriva dopo una giornata segnata da un tam tam senza tregua. Una "caccia" sulle basse frequenze dei telefonini, "allora, chi è?", "tu lo sai?", "ah è lui, e perché non lo dicono?". Telecamere e microfoni in cerca di indiscrezioni in una via Veneto quasi deserta mentre la direzione dell'hotel non rilascia dichiarazioni. Arriva in una domenica di fine luglio, la prima delle lunghe vacanze estive, in cui la ricerca del nome del parlamentare ha tenuto banco tra le top five della giornata, in buon piazzamento tra il dibattito politico sul welfare, gli incidenti stradali, le elezioni giapponesi e l'appello del Papa che chiede il disarmo del nucleare.

Soprattutto, l'outing di Mele arriva perchè preteso dal suo stesso partito. Dopo che in serata Luca Volontè, stato maggiore dell'Udc, quando probabilmente i sussurri sul parlamentare coinvolto nel festino sono diventati insopportabili, dichiara: "Chi si droga non può legiferare, chi è complice dello sfruttamento della prostituzione non può parlare di famiglia, figli e diritti umani. Un deputato al droga party con prostitute? Si faccia avanti. La vita privata è sacra ma per chi si occupa di rappresentare il popolo e legiferare per il bene comune, è lecito chiedere una condotta più consona e non drogarsi".

La ragazza-squillo che è finita all'ospedale sta bene. E questa è la cosa più importante. La sua collega non ha avuto problemi. Il parlamentare si era, fino a stasera, dileguato. La polizia, che è intervenuta, ha messo tutto per iscritto, ha ricostruito la dinamica della serata con nomi, cognomi e tipo di sostanze con presunte dosi utilizzate. Il verdetto finale è: "Nulla di penalmente rilevante". Fatti privati, dunque. Storia chiusa.

Un po' difficile, che si chiusa, visto che tra i protagonisti c'è un parlamentare della Repubblica, che l'uso di droghe e relativo dosaggio è oggetto di dibattito - e scontro - parlamentare dall'inizio della legislatura (il ministro Ferrero deve portare in Consiglio dei ministri il nuovo disegno di legge che riscrive la Fini-Giovanardi) e che proprio in questi giorni è stata bocciata la proposta del presidente dell'Udc Pierferdinando Casini di sottoporre i parlamentari al test antidroga. L'Udc però non si ferma. E mercoledì mattina organizza il test in piazza di Montecitorio. Spiega Michele Vietti (Udc), prima però di sapere che il responsabile è un suo compagno di partito: "Un parlamentare deve essere trasparente e coerente. Se io faccio il test all'autista che guida il pullmino della scuola, a maggior ragione lo devo fare a chi guida il pullman della vita pubblica". Giustissimo.

Mele è uscito allo scoperto spinto dalle polemiche della giornata. La senatrice azzurra Mariella Burani Procaccini aveva preteso che si sapesse "il nome del parlamentare che accompagnava le due signorine, una delle quali ricoverata in overdose: la gente deve sapere chi è costui. In queste situazioni non c'entra la privacy a cui comunque un parlamentare in parte rinuncia nel momento in cui è eletto, riceve la fiducia dei suoi elettori da cui viene anche stipendiato". Si era fatto sotto anche Francesco Storace, transfuga da An e diventato leader di un nuovo partito, "La destra": "E' scandaloso che un parlamentare debba essere protetto perché fa uso di droga".

Fin dal pomeriggio le indiscrezioni avevano stretto il cerchio intorno all'Udc che - amarissima ironia del destino - proprio per mercoledì ha organizzato il test antidroga per i parlamentari. Franco Grillini, sinistra democratica, era contrario a pubblicizzare il nome prima e lo è ancora di più adesso: "Sul piano umano il collega Mele ha tutta la mia solidarietà, la caccia al nome è sbagliata. All'Udc invece mi permetto di ricordare che è caratteristica degli uomini avere vizi privati e pubbliche virtù. Il partito di Casini quindi moderi l'estremismo: vedi cosa succede nel partito che fa della sessuofobia e del probizionismo la sua ragion d'essere...".

Volontè promette che "il deputato coinvolto mercoledì non sarà presente al test antidroga" e che "difficilmente voterà la legge a settembre". Significa che dimissioni di Mele saranno accettate? Eppure venerdì l'aula ha lavorato dalla dieci alle due della mattina dopo, duecento votazioni per approvare la riforma dell'ordinamento giudiziario. L'Udc ha votato contro. Ma Mele era già a cena con l'amica. "Appunto - insiste Volontè - il deputato non solo ha preferito un coca-fiesta al suo dovere ma ha pure infangato l'onore di tutti i colleghi". Mele insiste: "Un fatto privato, l'avventuretta di una sera...". Si dispera: "La cosa più difficile è stato dirlo a mia moglie...". Certo, pensare che è un deputato dell'Udc che fa del proibizionismo una bandiera e della lotta allo sfruttamento della prostituzione un obiettivo di governo, c'è da mettersi le mani nei capelli.

(29 luglio 2007) 

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« Risposta #20 inserito:: Luglio 30, 2007, 05:03:31 pm »

Il protagonista «Una debolezza, ma non sono fuggito»

«Non ho il coraggio di dirlo ai miei figli»   
 

ROMA — «Ho sbagliato (silenzio) sono pentito (silenzio). Sono stato sfigato perché se la ragazza non si fosse sentita male non sarebbe successo nulla. Ma sono anche orgoglioso». Orgoglioso? «Sì, orgoglioso di me stesso. Quando ho avvertito la reception e poi chiesto di chiamare un'ambulanza ho capito che il mio nome poteva uscire. Molti altri se la sarebbero data a gambe».
Solo che Cosimo Mele — deputato dell'Udc, 50 anni, sposato, tre figli — la parola orgoglioso la pronuncia come un sussurro, con la voce tremante di chi si sente «cadere il mondo addosso».

Cosa è successo venerdì sera? «Sono uscito dalla Camera intorno alle nove, sono andato a cena con degli amici, non politici, al Camponeschi, un ristorante di Piazza Farnese. Dopo un po' è arrivata questa ragazza, che io non avevo mai visto prima, ma che conosceva i miei amici. È stata lei che ha cominciato a parlarmi...».

Sta dicendo che è stato adescato? «Adescato? Io non sono esperto di queste cose ma non avevo capito che fosse una prostituta».

E cosa pensava? «Pensavo fosse la ragazza che cercava un'avventura. Ho capito solo quando siamo arrivati all'Hotel Flora».

L'ha pagata? «Pagata... non proprio. Le ho fatto un regalo, una somma in denaro, niente di esagerato però. Poi siamo saliti su, siamo stati insieme, e dopo io mi sono addormentato».

Avevate preso cocaina? «Io non ho preso cocaina né altri tipi di droga. Non ho visto se quella ragazza l'ha presa oppure no. Forse sì, ma magari prima di incontrarmi oppure mentre dormivo».

Lei ha firmato la proposta di legge sul test antidroga per i parlamentari. «Francamente non ricordo, ma il test sono pronto a farlo anche subito».

Non c'era con voi un'altra ragazza? «Quando siamo saliti no. Quando mi sono svegliato ho sentito che, nel salottino della stanza, la mia accompagnatrice stava parlando con un'altra ragazza, straniera. Credo una sua amica, l'aveva chiamata lei».

E la sua accompagnatrice quando si è sentita male? «Poco dopo, ormai era quasi mattina. Delirava».

Agli infermieri del San Giacomo ha detto di essere stata costretta a prendere pasticche. «Se è per questo diceva anche che io l'avevo rapita, che non volevo chiamare l'ambulanza. Ma era in evidente stato di allucinazione. Per questo ho deciso di non accompagnarla in ospedale. Anche se tramite i miei amici, che la conoscevano, mi sono subito informato sulle sue condizioni».

Crede che la sua carriera politica sia finita qui? «Deciderà il mio partito. Ma non mi sento di aver tradito niente e nessuno, se non la mia famiglia».

Lei fa parte di un partito, l'Udc, che della difesa della famiglia ha fatto una bandiera. «Lo so, e per questo ho deciso di dare le dimissioni dall'Udc. Ma non vedo perché dovrei dimettermi da deputato, anche io sono un uomo con le mie virtù e le mie debolezze».

Una debolezza considerata grave a giudicare dalle sue dimissioni. «Guardi, credo che nella politica italiana ci sia una grande ipocrisia. Adesso mi spareranno addosso quelli di Forza Italia, come se loro fossero tutti santarelli. Per non parlare di quelli della sinistra, che anche loro, quando serve, si fanno gli affari loro. E invece noi politici siamo uomini come gli altri: anche a noi capita di sbagliare».

Era la prima volta, onorevole? «Non mi succedeva da tantissimi anni. Sono stato ragazzo anche io».

Come si sente adesso? «Mi sento il mondo cadere addosso. Lo so, è una frase fatta, ma è proprio quello che sento».

Cosa le ha detto sua moglie? L'ha perdonata? «Perdonato... Macché, piange tutto il giorno. Non so come andrà a finire».

E con i suoi figli ha parlato? «No, non ancora. Non ho il coraggio».

Lorenzo Salvia
30 luglio 2007
 
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« Risposta #21 inserito:: Luglio 30, 2007, 05:05:59 pm »

CRONACA

L'Udc accoglie le dimissioni di Cosimo Mele: "Non è compatibile con il partito"

"Droga? Non ne so niente. Io dormivo".

Mercoledì test antidroga davanti a Montecitorio

Notte hard del parlamentare

La procura apre un'inchiesta

 
ROMA - La Procura della Repubblica di Roma aprirà un fascicolo sulla vicenda a luci rosse che ha coinvolto il deputato dell'Udc Cosimo Mele. L'indagine prenderà l'avvio non appena all'ufficio del pubblico ministero la polizia presenterà un rapporto sui fatti accaduti all'hotel Flora, dove il parlamentare si era incontrato con due donne, una delle quali è stata ricoverata per aver assunto droga.

Alla relazione della polizia sarà anche allegato il referto dal quale sarebbe emerso che nel sangue di F. Z. sono state trovate tracce di cocaina. Il magistrato che riceverà il fascicolo, intestato "atti relativi", dovrà valutare se ci siano fatti penalmente rilevanti e valutare la posizione dei protagonisti della vicenda.

"Poco importa - hanno spiegato a palazzo di giustizia - che la ragazza non abbia presentato una denuncia contro il parlamentare o che non siano stati individuati estremi di reato da parte di chi ha verbalizzato il suo racconto. Questa è una valutazione che faremo noi".

Accolte le dimissioni dall'Udc. Intanto il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa, in una conferenza stampa alla Camera, ha annunciato di aver accolto le dimissioni presentate da Mele: "Sono profondamente amareggiato per quello che è accaduto", ha esordito il segretario dell'Udc, ma poi ha aggiunto: "Ieri mi ha correttamente informato dell'accaduto e ha riconosciuto di aver sbagliato. Ma il suo comportamento non è compatibile con il partito. L'unica cosa positiva è stato rassegnare le dimissioni dall'Udc che io ho immediatamente accettato.".

Test antidroga ai parlamentari. Confermato dunque l'appuntamento organizzato dall'Udc mercoledì mattina davanti a Montecitorio per il test antidroga ai parlamentari. E per i deputati del partito, l'esito dell'esame sarà pubblico: "Noi continueremo le nostre battaglia testa alta", ha detto Lorenzo Cesa.

Mele: "Droga? Non ne so niente". Ma il parlamentare si difende dall'accusa di uso di stupefacenti e, pur ammettendo di aver trascorso la notte con una donna, giura: "La droga neppure l'ho vista": "Quella signora - afferma il deputato - l'ho conosciuta a cena, presentata da amici". Hanno trascorso la serata insieme in una suite all'hotel Flora in via Veneto ma dopo, assicura Mele, "ognuno è andato a dormire in stanze diverse della suite". Di cocaina l'onorevole dice non solo di non averne fatto uso, ma nemmeno di averla vista: "Forse quella donna ha preso delle pasticche. Che ne so: io dormivo". Mele insiste anche sul fatto che lui era in compagnia di una sola ragazza; la seconda, dice, l'ha chiamata l'altra: "A un certo punto poi se n'è andata e non so più niente".

(30 luglio 2007) 

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« Risposta #22 inserito:: Agosto 07, 2007, 11:28:34 pm »

5/8/2007 (14:16)

L’italiana che tifa per Bin Laden
 
La moglie dell'imam di Carmagnola apre un sito Internet

MASSIMO NUMA
TORINO


Magdi Allam? Un «cialtrone». Dadullah, il capo Talebano ucciso dalle forze Isaf, colui che ha fatto sgozzare l’autista-interprete di Mastrogiacomo? «Un martire» a cui dedicare una poesia. L’Afghanistan? È L’Emirato Islamico «occupato» dagli Usa. Poi: attacchi contro il governo «reo» di cacciare dall’Italia gli islamici solo per «le chiacchiere della stampa»; la lettera di Fatimah, prigioniera di Abou Graib che inneggia al «martirio»; l’appello di Khadija, moglie di Kassim Britel, detenuto in Marocco per terrorismo. Citazioni illustri: «InshaAllah, la fine dell’America è imminente e questa fine non dipende dal povero schiavo. Che Usama muoia o resti, il risveglio è giunto». Firmato: shaykh Usama bin Ladin. Sono solo alcuni dei proclami, messaggi di sostegno per gli estremisti arabi impegnati nel Jihad, lanciati da un’italiana, musulmana convertita. È la milanese Barbara ‘Aisha Farina, 36 anni, moglie dell’ex Imam di Carmagnola, lo shaykh Abdelkader Fadl’Allah Mamour (espulso dal Viminale nel 2003 e ritornato in Senegal, dove ha fondato il Partito Islamico Senegalese, roccaforte dell’integralismo più intransigente). Ormai, ‘Aisha non nasconde più di essere un’aperta fiancheggiatrice di Al Qaeda, dei Taliban dell’Afghanistan e di tutto il sistema jihadista mondiale, dalle Filippine all’Europa.


La propaganda esplicita per Bin Laden e i suoi seguaci avviene attraverso il sito (in italiano) http://ummusama.splinder.com/. Tra le tante esternazioni, ‘Aisha, famosa a Carmagnola per il burka, i veli e i guanti neri, punta l’attenzione sul libro I soldati di luce della «meravigliosa sorella Malika Oum Obeyda, che Allah la protegga, vedova del fratello Shahîd Dahmane Abdessatar, che Allah abbia misericordia di lui», caduto in Afghanistan «sotto il piombo dei Crociati». Come pretesto, la recensione dal giornalista francese Jean Francois Mayer. Scrive ‘Aisha: «Anche un kâfir (infedele, ndr) che combatte contro l’Islam non può non dimostrare rispetto e stima per una sorella talmente coraggiosa, e deve ammettere che la verità riguardo all’Afghanistan, ai Talibani, ad Al-Qa’idah, e lo shaykh Usama, forse è lontana dalle menzogne degli occidentali. Il campo del bene e il campo del male si scambiano i posti, agli antipodi di ciò che ci va ripetendo il discorso della “guerra contro il terrorismo”». Nella recensione, Mayer riporta alcuni frammenti del libro, che ricostruiscono il percorso di una giovane belga di origine marocchina, che si trasforma (da laica, cioè «miscredente») in una combattente «fiera di essere moglie di combattente, amica di combattenti. Come potevo comprendere a 17 anni che il silenzio di mio padre dinanzi al mio abbigliamento svergognato e il fatto che egli mi seguisse silenziosamente con lo sguardo, nascondesse un vero grido di dolore davanti all’annientamento dei suoi valori e al suo stesso fallimento?». Poi, sulle sue radici occidentali: «Sono molto seria quando dico che sono Belga, e me ne vanto, io che non mi sono mai sentita marocchina, al punto tale da detestare il metter piede in questo paese che non ho mai considerato il mio». Ricorda le conversazioni con il marito ucciso in combattimento: «Il suo argomento preferito era parlare della gente musulmana oppressa nel mondo. Non aveva che l’imbarazzo della scelta.


Aveva paura di morire senza aver fatto il supremo sforzo nella Via di Allah. Il Jihad; e sentiva che era a lui, in particolare che Usama (bin Ladin) rivolgeva un messaggio. Lui, uomo musulmano in tutta la sua pienezza, si sentiva umiliato dinanzi alla propria impotenza, quella di vedere le donne della sua comunità farsi malmenare, violentare, fare a pezzi, come se l’insieme degli uomini del mondo musulmano fossero un solo uomo il cui onore fosse stato infangato, e lui, Abdessatar, fosse quest’uomo». Poi la «sorella» di Barbara Farina viene catturata dall’Alleanza del Nord e liberata dai Talebani. Che accettano - a malincuore - di lasciarla tornare in Belgio. Si chiude sui versi dedicati a Dadullah: «...Non compiangere un principe che è stato il signore della lotta!/Non compiangere un guerriero, un campione, un cavaliere!/Compiangi te stesso finché non romperai le tue catene/Compiangi te stesso finché non ti unirai alla battaglia/Ma non compiangere Dadullah!/Non era obbligato, eppure come uomo libero ha combattuto un impero/Dadullah, cammina con la tua sola gamba in Paradiso, era questo il tuo desiderio...».

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« Risposta #23 inserito:: Agosto 07, 2007, 11:32:56 pm »

CRONACA

I giudici condannano il quotidiano di Paolo Berlusconi

"Un atto rivolto contro un esercito straniero occupante"

Cassazione: "Via Rasella fu atto di guerra"

Il Giornale condannato per diffamazione

Il gappista Bentivegna: "E' la quarta sentenza che ci dà ragione"


 ROMA - Nel 1996 Il Giornale scatenò una vera e propria campagna contro i partigiani che compirono l'azione di via Rasella. Quell'attacco che provocò 33 morti e scatenò la rappresaglia delle Ss alle Fosse Ardeatine. Articoli che, in pratica, tendevano a "scaricare" sul gruppo dei gappisti guidato da Rosario Bentivegna, le responsabilità della strage che provocò 335 morti. Ora, però, la Cassazione, confermando la condanna al risarcimento per diffamazione (45 mila euro) a beneficio dei gappisti e di Rosario Bentivegna che li guidava, boccia quella campagna di stampa, ne sottolinea le falsità e condanna il quotidiano di Paolo Berlusconi.

La Cassazione parte da un dato di fatto: l'attentato contro i tedeschi del battaglione 'Ss Bozen', fu un "legittimo atto di guerra rivolto contro un esercito straniero occupante e diretto a colpire unicamente dei militari". Militari che non erano, come aveva sostenuto Il Giornale "vecchi militari disarmati", ma "soggetti pienamente atti alle armi, tra i 26 e i 43 anni, dotati di sei bombe e pistole".

Ed ancora. Non è vero che il 'Bozen' "era formato interamente da cittadini italiani" in quanto, continuano gli ermellini, "facendo parte dell'esercito tedesco, i suoi componenti erano sicuramente altoatesini che avevano optato per la cittadinanza germanica".

Poi la Cassazione si dedica alla contabilità delle vittime civili dell'attentato. Secondo Il Giornale erano sette. Ma non è così: "Ora nessuno più mette in discussione che le vittime civili furono due". Così come non era vero che dopo l'attentato erano stati affissi manifesti che invitavano gli attentatori a consegnarsi per evitare rappresaglie". Un punto, questo, portato avanti da una certa storiografia revisionista. Per smentire, la Cassazione parte dai fatti. "L'asserzione trova puntuale smentita nel fatto che la rappresaglia delle Fosse Ardeatine era iniziata circa 21 ore dopo l'attentato - dicono i giudici - , e soprattutto nella direttiva del Minculpop la quale disponeva che si tenesse nascosta la notizia di Via Rasella, che venne effettivamente data a rappresaglia già avvenuta".

Ad avviso dei supremi giudici, tutti questi fatti "non rispondenti al vero non possono essere considerati di carattere marginale". E anche se la Corte di Appello di Milano ha riconosciuto che si sarebbero potute esprimere "dure critiche sulla scelta dell'attentato, l'organizzazione, i suoi scopi", questo non basta per mettere in piedi un castello di inesattezze e falsità.

Per questo è da ritenersi "lesiva dell'onorabilità politica e personale" di Bentivegna "la non rispondenza a verità di circostanze non marginali come l'ulteriore parificazione tra partigiani e nazisti con riferimento all'attentato di via Rasella e l'assimilazione tra Erich Priebke e Bentivegna". Un parallelo che Vittorio Feltri, allora direttore del quotidiano, aveva azzardato in un editoriale.

Soddisfatto il commento di Bentivegna: "E' la quarta sentenza di un'alta corte italiana, militare penale o civile che ci dà ragione con le stesse motivazioni, ma il il mondo è pieno o di imbecilli o di faziosi ancora disposti a sostenere il contrario. C'è poco da fare..".

(7 agosto 2007) 

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« Risposta #24 inserito:: Agosto 08, 2007, 05:08:49 pm »

Una brutta storia

Vittorio Emiliani


Ogni volta che in Italia qualcosa non funziona, si grida al sabotaggio (in economia) o al complotto (in politica).

È puntualmente successo col maxi-ingorgo dei bagagli all’aeroporto di Fiumicino. Ma una rapida inchiesta ha accertato che di sabotaggio non c’è stata neppure l’ombra: si è trattato di un disservizio bello e buono. E adesso? Adesso il presidente dell’Enac, Vito Riggio, che aveva evocato quello spettro inquietante a Gr Parlamento, e quanti l’hanno assecondato si ritrovano con una pessima figura in più di fronte a tutto il mondo, in primis di fronte ai poveri utenti, in tal caso bastonati due volte. L’emergenza-bagagli non è stata immane soltanto nel primo scalo aeroportuale italiano.

Quella stessa emergenza si è verificata anche anche nel primo scalo aeroportuale d’Europa, il londinese Heatrow (68 milioni di passeggeri contro i 30,3 milioni di Fiumicino). Tuttavia la concomitanza consola poco noi tutti, a partire dagli utenti aeroportuali. A Londra il più duro di tutti è stato, al solito, il polemico sindaco Livingstone. Ken il Rosso ha detto senza mezzi toni: «È una vergogna». Anche se gli addetti di Heatrow si sono trovati a maneggiare i nuovi sistemi del Terminal 5, per i quali sono risultati pochi e poco preparati. La sola British Airways ha dovuto rincorrere almeno 22.000 colli da smistare in tutto il mondo.

Ma là, almeno, nessuno ha gridato, improvvisamente, al sabotaggio (e di chi poi? Di qualche milanese infiltrato per screditare gli scali romani?). A Fiumicino il sistema di handling ha bisogno di investimenti e il personale addetto di potenziamenti. Troppi stagionali - ha spiegato lo stesso presidente dell’Enac, Riggio - «spremuti da carichi di lavoro il più delle volte eccessivi». Se così stanno le cose, perché si è aspettato il picco estivo delle vacanze agostane per fare qualcosa di utile, prima che il primo aeroporto italiano finisse in ginocchio sommerso dai bagagli?

Una volta era facile prendersela con la gestione pubblica di questi servizi. Era una sorta di tiro al piccione rappresentato dall’ente pubblico. Ma, adesso, i servizi di handling vengono svolti a Fiumicino da tre gestori privati, oltre che da Alitalia. Il primo è Flightcare Italia (ex Aeroporti di Roma Handling) con un terzo dei passeggeri assistiti, entrato a far parte - ci informa puntualmente Il Sole 24 Ore - del gruppo spagnolo Fcc, del quale azionista principale risulta «la nobildonna Esther Kaplovitz, sorella maggiore di Alicia, protagonista della finanza iberica e tra le donne più ricche del mondo». Gli altri due gestori privati sono l’Eas del gruppo Toto (cioè Air One) e i belgi di Aviapartner. Insomma, la pluralità dei soggetti c’è, e però non basta a curare il disservizio: mancano personale e infrastrutture.

Pare anche che le due sorelle Kaplovitz avessero litigato e che ora si stiano riconciliando. Caduta l’ipotesi-Riggio del sabotaggio, non ci resta che sperare, per il futuro, nella ritrovata intesa familiare fra le due principesse? Sempre meglio che gridare (senza uno straccio di prova) al sabotatore cercando così alibi un po’ penosi. Fra l’altro, non si può neppure dare la colpa al gran caldo: sulla costa di Fiumicino la massima è stata sui 32 gradi; soffiano venti abbastanza freschi, da Nord.

Pubblicato il: 08.08.07
Modificato il: 08.08.07 alle ore 9.48   
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« Risposta #25 inserito:: Settembre 02, 2007, 12:03:58 am »

AVVISO AI NAVIGANTI
Ambasciatore porta pena

di Massimo Riva


L'ambasciatore americano in Italia, Ronald Spogli, critica la politica estera ed economica del nostro Paese.

Piovono critiche per la sua sovraesposizione mediatica.

Commenta  Ronald Spogli, ambasciatore Usa, con il ministro degli Esteri Massimo D'Alema

L'ambasciatore degli Stati Uniti in Italia ha avviato un'assidua strategia di comunicazione diretta con l'opinione pubblica nazionale. Su molti temi caldi interviene con lettere ai giornali per rappresentare il punto di vista americano su atti e fatti della nostra politica. Si è così pubblicamente espresso sull'impegno militare in Afghanistan come sul mancato ingresso di AT&T in Telecom. Nei giorni scorsi ha detto la sua sul 'Corriere della Sera' a proposito delle aperture italiane a Hamas e, in un'intervista al 'Sole-24 Ore' al meeting di Rimini, ha indicato le cause della scarsa attrazione di capitali esteri da parte del nostro paese.

Questa inusitata sovraesposizione mediatica fa correre inevitabilmente a Ronald Spogli qualche rischio. Per esempio, nel caso della missiva sul tema Hamas, suona non poco paradossale che sia un esponente dell'amministrazione Bush a mettere in guardia sui pericoli dell'unilateralismo nell'affrontare la partita politica medio-orientale. E così anche le sue critiche alle troppe chiusure della nostra economia, sebbene in qualche misura condivisibili, finiscono per attirare l'attenzione più su quello che l'ambasciatore non dice che su ciò che egli dice: soprattutto alla luce delle turbolenze in corso sui mercati del mondo intero.

Sull'argomento, Joseph Stiglitz - un signore che ha lavorato per la Casa Bianca e ha pure vinto un Premio Nobel per l'economia - non ha usato mezzi termini per descrivere le cause del dramma innescato dai mutui 'subprime'. A suo avviso, tutto nasce dal fatto che la politica di Bush ha spinto gli americani a vivere ancora di più al di sopra dei propri mezzi. Dopo di che le cartolarizzazioni dei crediti immobiliari sono servite per ridistribuire il rischio nel mondo. Insomma - è la sua tesi - l'America, avendo un tasso di risparmio sceso sotto zero, "ha spostato l'onere dei crediti in sofferenza sugli altri". Da mr. Smith al sig. Rossi.

Per l'autorevolezza della fonte si tratta di giudizi sulla strategia finanziaria degli Usa che risultano francamente inquietanti. Tanto più perché sono anni che anche su altri fronti fondamentali - il forte deficit nei conti con l'estero e il disavanzo del bilancio federale - Washington mostra di seguire una politica tutta intesa a finanziare la cosiddetta 'american way of life' drenando risorse liquide un po' dappertutto nel mondo. Per giunta, in proporzioni tali da far dire perfino al nostro ministro dell'Economia che oggi il maggior fattore di allarme per la tenuta dei mercati internazionali ruota proprio attorno alla sorte dei pesanti squilibri nei conti americani.

Sempre secondo il Nobel Stiglitz, il giorno della resa di questi conti sarebbe ormai arrivato. Ecco perché poteva essere interessante (e lo sarebbe ancora) conoscere l'opinione dell'ambasciatore Spogli su simili questioni. Infatti, i suoi consigli sul da farsi per migliorare l'economia italiana possono essere molto utili, ma sarebbero più credibili se accompagnati da qualche opportuno chiarimento su ciò che anche gli Usa devono fare per stabilizzare il mercato mondiale. Direbbe John F. Kennedy: prima di chiedere che cosa possono fare gli altri per te, chiediti che cosa puoi fare tu per gli altri.

(31 agosto 2007)

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« Risposta #26 inserito:: Settembre 03, 2007, 06:43:20 pm »

LA CITTà a luci rosse

Una studentessa si confessa «Anch’io ho fatto la squillo»

Daniele Loss

«Volevo un altro tipo di vita e i soldi non mi bastavano più: ho preso casa in centro senza l’aiuto di papà» 


TRENTO. A Trento le prostitute sono circa 500: l’inchiesta giudiziaria che nei giorni scorsi ha portato in carcere tre protettori ha sollevato il velo su un fenomeno sommerso. Ma non tutte esercitano il mestiere più antico del mondo perché costrette.

Nello scorso mese di dicembre il periodico universitario «Studiare a Trento» svelò che anche nella nostra città esistevano le studentesse dalla «doppia vita», ovvero che si prostituivano per pagarsi gli studi o per avere un tenore di vita più alto.

Sul giornalino dell’ateneo una di loro si raccontava e spiegava il perché di questa sua scelta.

Ebbene, la protagonista di quell’intervista, ovviamente rimasta anonima, non era l’unica in città. Per un periodo anche Carla, la chiameremo con questo nome di fantasia, ha fatto «la vita». Una «vita» per nulla squallida, non sicuramente paragonabile a quella delle «lucciole» costrette a «battere» da sfruttatori senza scrupoli.

Adesso Carla ha terminato gli studi, è tornata nella sua regione e iniziato un percorso lavorativo. E ci racconta i suoi 4-5 mesi da prostituta «d’alto bordo».

Carla, la prima domanda è anche la più banale: perché?
«Perché volevo un altro tipo di vita e i soldi non mi bastavano. Non avevo alcun legame sentimentale e... l’ho fatto punto e basta. Ho guadagnato quanto bastava, poi ho deciso di smettere e da quel momento, diciamo, non ho più esercitato».

Ma i soldi le servivano per vivere oppure per concedersi qualche lusso in più?
«Entrambe le cose. Ho cambiato casa e sono andata ad abitare da sola (in una centralissima via cittadina, ndr) e poi sicuramente non dovevo fare i conti a fine mese e “tirare” su ogni singolo euro. Ai miei genitori non ho chiesto niente in più e ho deciso d’arrangiarmi».

Come funzionava, praticamente, la cosa? Come si procurava i clienti?
«Fondamentalmente con un passaparola. L’amico parlava all’amico e poi quello parlava con quell’altro. Mi contattavano tramite un numero di telefono che mi ero fatta apposta, e che poi ho disattivato, e ci si metteva d’accordo sull’ora e sul prezzo».

Si può dire quanto costava un rapporto con lei?
«100 euro».

Con qualche surplus in caso di prestazioni, per così dire, “particolari”?
«No, niente di particolare. Diciamo rapporto tradizionale, senza cose strane o estreme».

I clienti erano tutti studenti universitari o c’era anche qualche “extra”?
«Principalmente studenti o amici di studenti, ma non andavo mica con tutti. È capitato in un paio d’occasioni di dire “no” perché, onestamente, di fronte mi trovavo dei “mostri”».

Disponibile 24 ore su 24?
«No. Solitamente dopo pranzo oppure prima di cena, anche perché la scheda non era sempre attiva. Non ero mica come quelle che si trovano sui giornali».

Quanti clienti, diciamo, mensilmente?
«Una media di uno al giorno».

Trenta clienti per 100 euro fanno 3 mila al mese. Mica male...
«Una buona cifra».

Pentita?
«Un po’ sì, però ormai è fatta e indietro non si torna».

E adesso?
«Mi sono laureata, sto lavorando, ho un fidanzato con cui sto da qualche mese e sto bene. Non lo rifarei, questo è certo».

(03 settembre 2007)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #27 inserito:: Settembre 10, 2007, 06:03:57 pm »

Bambini spariti

Un rapporto Fbi: «Angela, c'è un sospettato»

Trovato un «altarino» della bambina in casa di un uomo: «Viveva nel suo culto, forse l'ha uccisa».

La famiglia: speriamo ancora 
 
DAL NOSTRO INVIATO


VICO EQUENSE (NAPOLI) — Gli «americani » sono in cinque. Tre investigatori, più due assistenti legali. Entrano nella villa assieme ai carabinieri. I militari guardano in giro, aprono cassetti e sportelli, trovano delle riviste pornografiche, alcune videocassette. Sono i primi mesi del 2004, la casa si affaccia sul mare, dalle finestre si vede il Golfo di Napoli. Il primo detective che entra in camera da letto nota un ripostiglio, entra, alza improvvisamente la voce: «Venite qui subito». Gli altri si precipitano, sentono il sangue gelarsi nelle vene: sul retro della stanza c'è «un altarino alla vittima». La vittima è Angela Celentano, la bambina scomparsa undici anni fa, il 10 agosto 1996 durante un pic-nic sul Monte Faito. E il padrone di quella casa è il «principale sospettato» della sua sparizione.
La villa perquisita si trova proprio sul Faito. In un angolo nascosto, in penombra, sono allineate «immagini sacre, fotografie della bambina e un cappellino che somiglia molto » a quello che Angela indossava il giorno della scomparsa. Lo stesso che ha in testa nel video girato quella mattina, passato infinite volte in tv, con la piccola che sorride mentre gioca con altri bambini pochi minuti prima di essere inghiottita nel nulla.

AGENTI DELL'FBI - Gli «americani» sono agenti dell'Fbi. Per più di tre anni, a partire dal 2000, hanno collaborato con gli investigatori italiani nelle indagini sulla scomparsa. Nel luglio 2004 l'ufficio legale dell'ambasciata statunitense a Roma invia ai magistrati di Torre Annunziata una relazione con i dettagli e i risultati di quell'inchiesta. Tre pagine che contengono la «verità dell'Fbi» sul rapimento Celentano. L'ultima villa perquisita è dell'uomo intorno al quale gli ispettori speciali arrivati da Washington hanno stretto il cerchio.

LA VICENDA - Angela Celentano scompare una mattina d'estate. Era salita con i genitori sul monte, poco lontano dalla casa della famiglia, a Vico Equense. È la scampagnata annuale della Comunità evangelica, una cinquantina di persone, la madre Maria che chiede al marito: «Angela ha mangiato?». Lui si gira e non trova più la figlia, che era là intorno soltanto pochi minuti prima. Partono le ricerche. Per giorni viene setacciato ogni angolo della montagna. Cominciano indagini frenetiche, che si prolungano in anni di interrogatori, perquisizioni, intercettazioni. Si scava nel passato delle persone più o meno vicine alla famiglia. Si seguono tutte le piste: pedofilia, rapimento da parte degli zingari, un «padre biologico» che sarebbe andato a riprendersi la figlia. Finisce tutto nel nulla, mentre le segnalazioni si accavallano, fino a oggi. L'ultima è arrivata lo scorso aprile: Angela sarebbe in Bulgaria e si chiamerebbe Anna. Ipotesi verificata dall'Interpol, ennesima voce senza esito. Oggi Catello e Maria Celentano combattono con la fede e con la ragione, contro un'angoscia che non li abbandona: «Nostra figlia è finita nel circuito delle adozioni illegali», dicono. A volte, nella loro mente si affaccia il pensiero di una disgrazia: «Ma sentiamo che è viva ». E poi: «Se fosse morta, anche un cane senza coscienza manderebbe una segnalazione anonima per dire "il corpo è là, andate a recuperarlo". Non è possibile che dopo undici anni si tenga una famiglia in queste condizioni ».

LE INDAGINI - I fascicoli aperti dalla magistratura sono stati dieci. Ne rimane aperto solo uno, più che altro per poter permettere le ricerche in caso di nuove segnalazioni. La relazione dell'ambasciata Usa rivela però un filone di inchiesta che in questi anni è rimasto segreto. Nel 2000, a quattro anni dal rapimento, le autorità italiane hanno chiesto la collaborazione dell'Fbi.
Racconta un inquirente: «Negli Stati Uniti capitano molti più casi del genere, hanno più esperienza, per questo abbiamo cercato il loro aiuto».
Dopo la richiesta di «consulenza», la superpolizia americana invia tre fra gli uomini più esperti del Cirg/Ncavc, unità specializzata che interviene solo per delitti gravissimi come rapimenti di bambini o serial killer. Il gruppo si è messo al lavoro e ha riesaminato il caso di Angela secondo il metodo dei cold case, ai quali l'Fbi dedica da anni enormi risorse: investigatori esperti riprendono in mano le carte dei casi freddi e, anche dopo anni, scavano alla ricerca di particolari sfuggiti o piste non approfondite. Nella relazione inviata alla procura di Torre Annunziata, datata 30 luglio 2004, l'Fbi è convinta di avere in mano un colpevole e un'affidabile ricostruzione della vicenda. Gli investigatori hanno fornito «assistenza continua a partire dal marzo 2000», hanno riesaminato la scena del crimine, dato suggerimenti, partecipato a nuovi interrogatori. La prima conclusione è drammatica: gli uomini dell'Fbi ritengono «che lo scenario più probabile» sia la morte «accidentale della vittima nel giorno del picnic » e che «il corpo sia stato occultato». Secondo l'Fbi il responsabile sarebbe una uomo che quel giorno era sul monte Faito. Incrociando vecchi verbali e nuovi interrogatori, arrivano a individuare un uomo della zona che quel giorno era alla scampagnata. Per questo chiedono una perquisizione nella sua «seconda casa», e là scoprono l'«altarino ». Ma i rilievi successivi, nonostante la convinzione degli agenti di Washington di avere in mano un colpevole, non sono sufficienti a un'incriminazione.

I DUE DODICENNI - Il punto da cui è ripartita l'Fbi è la discordanza tra le parole di due ragazzi che all'epoca del rapimento avevano 12 anni e che ai carabinieri avevano dato due versioni incompatibili. Il primo, Renato, ha sempre raccontato che stava scendendo verso il parcheggio per portare un pallone in macchina e Angela l'ha seguito. A un certo punto lui ha detto alla bambina di tornarsene indietro e non l'ha vista più. Un mese dopo però un secondo bambino, Luca, racconta di aver visto Renato scendere per mano con la bambina e di essersi offerto di riportarla alla madre. Ma lui avrebbe rifiutato e continuato a scendere. Le due ricostruzioni sono sempre rimaste divergenti. C'è stato il sospetto di pressioni. Particolari taciuti, o falsi, o amplificati. A riprendere in mano quel lavoro saranno ora Daniele Berteggia e Clara Moretti, gli avvocati cui si è affidata la famiglia Celentano dallo scorso gennaio. I legali proveranno a far ripartire le indagini: «Il problema di oggi — spiegano — è che manca una visione di insieme. In questi anni c'è stata una grande evoluzione delle tecniche di indagine scientifica. Non è detto che alcune piste abbandonate all'epoca non possano dare ora uno sbocco diverso».

IL COMITATO - Catello Celentano non si arrende. È uno dei promotori del comitato «Troviamo i bambini». Una battaglia portata avanti assieme alla presidente Coralba Bonazza, che spiega: «Abbiamo chiesto alle compagnie telefoniche di poter inviare mms con i volti dei bambini scomparsi, ma non ci hanno aiutato. Chiediamo spot televisivi di pochi secondi. C'è una sola speranza per l'angoscia di troppe famiglie: che più persone possibile vedano il volto del loro figlio». Diffusione massiccia delle immagini come «dovere civile di uno Stato». Unica speranza di padri e madri: le segnalazioni. Anche a rischio della delusione, anche col timore di ritrovarsi all'improvviso catapultati, inutilmente, in un circolo di aspettative abnormi. Catello Celentano racconta il caso più clamoroso: «Una mattina mi chiamarono i giornalisti, parlandomi di una segnalazione certa su Angela. Non sapevo niente, cercai i carabinieri, mi mandarono una macchina perché avevano una bambina da farmi vedere. La notizia era già finita in tv e fuori dalla caserma attraversai due ali di folla, tutti battevano le mani e festeggiavano». Poco dopo Catello chiamò la moglie al telefono: «Non è Angela», disse semplicemente. E poi fu costretto, lui, a scendere in strada per avvertire i giornalisti e i curiosi: «Mia figlia non è stata ritrovata».


Gianni Santucci
10 settembre 2007
 
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« Risposta #28 inserito:: Settembre 11, 2007, 09:59:31 pm »

In cattedra la grande truffa

Nicola Tranfaglia


Per chi vi ha passato gli anni migliori e più gratificanti della sua vita, affrontare il pasticcio dei test universitari è assai triste perché il numero chiuso è una dura necessità per gli atenei (e sono quasi la totalità) che non dispongono degli spazi e delle strutture didattiche necessarie per tutti gli studenti che aspirano a iscriversi a determinate facoltà (a cominciare da Medicina). Ma anche perché le vicende di questi giorni dimostrano che ci sono state gravi irregolarità e, in alcuni casi, reati gravi (come plichi aperti e moduli spariti) all’origine del colossale pasticcio che viene denunciato nelle università di Bari, Catanzaro e Messina.

Per chi vi ha passato gli anni migliori e più gratificanti della sua vita, affrontare il pasticcio dei test universitari è assai triste perché il numero chiuso è una dura necessità per gli atenei (e sono quasi la totalità) che non dispongono degli spazi e delle strutture didattiche necessarie per tutti gli studenti che aspirano a iscriversi a determinate facoltà (a cominciare da Medicina). Ma anche perché le vicende di questi giorni dimostrano che ci sono state gravi irregolarità e, in alcuni casi, reati gravi(come plichi aperti e moduli spariti) all’origine del colossale pasticcio che viene denunciato nelle università di Bari, Catanzaro e Messina.

Nulla può escludere, peraltro, che nei prossimi giorni si verifichi che altri casi sono avvenuti in altri atenei.

Dal punto di vista politico, c’è, da una parte, la necessità di garantire il massimo appoggio al governo e in particolare al ministro dell’Università Mussi, se, come ha già dichiarato,compirà un controllo rigoroso di quello che è avvenuto,delle responsabilità dell’istituzione universitaria, dei presidi e dei rettori che hanno sovrinteso, come la legge richiede, allo svolgimento delle prove e della loro regolarità.

Qui si toccano diritti fondamentali dei giovani che già in molti casi frequentano università carenti per corsi troppo affollati e scadenti strutture didattiche. Non si può continuare a sfornare test con errori anche marchiani, come quelli decisi quest’anno per le prove di Medicina. Da questo punto di vista non dovrebbe esser difficile accertare le responsabilità di chi ha sbagliato.

A leggere alcuni quesiti cosiddetti di cultura generale che riguardavano l’Unione Europea si è avuta l’impressione che fossero sbagliati sia i quiz sia le risposte previste da chi ha dettato il quiz. E questo è veramente il colmo.

Se poi a tutto questo si aggiunge l’indagine compiuta dalla Guardia di Finanza nelle università di Ancona, Bari e Catanzaro che ha verificato l’esborso enorme a cui vengono sottoposti gli studenti che aspirano a frequentare la facoltà di Medicina e che sono di fatto da aggiungere alle tasse di iscrizioni anche pagamenti supplementari con cifre che superano gli ottomila euro il quadro che ne deriva è tragico.

Se poi si verifica che per un simile ladrocinio di massa si formano gruppi affaristici che includono tra i propri organizzatori docenti universitari e impiegati dello stesso ateneo si deve parlare senza ritegno di vere e proprie organizzazioni a delinquere.

Quando si legge ancora, nel rapporto della Guardia di Finanza, che probabilmente molti si iscrivono alle prove con l’unico scopo di far superare il test a veri studenti (che a loro volta li pagano, obbligatoriamente in nero per compiere questo vero e proprio reato) si è presi di fronte a una vera e propria angoscia di fronte a un panorama contrassegnato, soprattutto nella società meridionale, di una vera e propria vocazione alla illegalità e di profonda sfiducia nelle leggi dello Stato. Proprio negli istituti superiori che dovrebbero essere più che mai il tempio dell’uguaglianza e della legge.

Del resto, anche i risultati che fanno vedere i più alti punteggi in alcune università che pure non compaiono come tra le migliori d’Italia sul piano didattico e scientifico non è facile per gli osservatori dei nostri studi credere alla regolarità di quelle prove.

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Pubblicato il: 11.09.07
Modificato il: 11.09.07 alle ore 13.21   
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« Risposta #29 inserito:: Settembre 25, 2007, 04:24:47 pm »

CRONACA

Sorpreso dalla negoziante con un pacco di pasta e un pezzo di formaggio

E' stato perdonato: "Nel quartiere in tanti non hanno il denaro per il cibo"

Cagliari, pensionato ruba per fame

"Non ce la faccio ad arrivare a fine mese"

Pensionato ruba per fame in un minimarket a Cagliari


CAGLIARI - Vedovo, 75 anni, una magra pensione da ex artigiano come unico reddito, al 25 del mese ha sempre avuto difficoltà ad arrivarci. Alfredo appartiene a quella schiera sempre più grande di anziani che non riescono più a sbarcare il lunario. La fame ieri l'ha spinto a rubare un pacco di pasta e un pezzo di formaggio dagli scaffali del piccolo negozio di generi alimentari sottocasa, a Cagliari. Ma alla cassa la refurtiva gli è scivolata a terra.

"L'ho visto così triste", ricorda la proprietaria del minimarket. "Aveva le lacrime agli occhi. Prima era sempre stato puntuale nei pagamenti. Forse è colpa di questa crisi..." L'uomo temeva di essere denunciato, invece la proprietaria lo ha perdonato anzi ha dato vita ad una colletta fra gli abitanti del quartiere per assicurargli provviste sufficienti per le prossime settimana.

Is Mirrionis è un quartiere popolare nella periferia degradata del capoluogo. "Nelle nostre strade - confida Valentina Camba, la titolare del negozio dove ha rubato il pensionato - sono tante le famiglie, e non solo di pensionati, che non riescono ad arrivare a fine mese e molto spesso non hanno neppure il denaro per poter comprare qualcosa da mangiare".

Come ripetono da tempo le associazione dei consumatori, "un disagio profondo affligge larga parte di cittadini italiani. E' colpa dei recenti aumenti", denunciano Federconsumatori e Adusbef.

La negoziante di Is Mirrionis queste cose le sa bene: "Da anni, generazioni di famiglie di tutto il quartiere vengono a fare la spesa da noi. E capita spesso che ci chiedano di trascrivere il debito su un quaderno: pagheranno a fine mese, quando ne avranno la possibilità. Non abbiamo mai negato niente a nessuno e mai nella nostra vita lo faremo".

Non l'hanno fatto neppure ieri quando hanno scoperto che il signor Alfredo aveva rubato un pacco di pasta e un pezzo di formaggio. Anzi: hanno pensato che fosse necessaria una colletta per aiutarlo.

"La solidarietà è importante", spiega la titolare del piccolo negozio di alimentari. "Capita spesso, soprattutto quando si consegna la spesa a domicilio, d'incappare in realtà che ti fanno accapponare la pelle. A pochi isolati dal nostro - racconta la commerciante - abita un'anziana che puntualmente scoppia in lacrime perché non ha il coraggio di dire che non ha i soldi per pagare. E noi ogni volta le diciamo che non c'è nessun problema: può pagare quando vuole. In un quartiere popolare come il nostro funziona così. La solidarietà è di casa".

(25 settembre 2007)

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