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In una scuola a Napoli
Temi choc: «La Camorra ci protegge»
«C'è gente che odia la camorra, io invece no, anzi a volte penso che senza la camorra non potremmo stare»
NAPOLI - «La camorra ci protegge, e se qualcuno vuole farci male i clan ci difendono». Parole scritte, secondo quanto pubblica il quotidiano Il Mattino, in un tema in classe da una alunna di 13 anni della scuola «Salvo D'Acquisto» di Miano, periferia nord del capoluogo campano. «Quando esco - scrive un coetaneo - vedo nel mio quartiere grandi mappaglie di persone che spacciano, ma a noi della zona ci proteggono». Temi scritti nella stessa scuola in cui è stato realizzato un fotoromanzo anticamorra. «Nel mio quartiere vedo di tutto, come droga, spacciatori ecc., ma non mi spavento. Noi cittadini siamo abituati - scrive un terzo alunno - C'è gente che odia la camorra, io invece no, anzi a volte penso che senza la camorra non potremmo stare, perché ci protegge tutti, pure il fatto che che tutti pagano il pizzo non è giusto, ma chi paga resta protetto». «Se qualcuno di un'altra zona avesse l'intenzione di farci del male o di ricattarci - scrive ancora la tredicenne - loro ci difendono, ma se c'è tra loro una discussione non guardano in faccia proprio a nessuno e ci vanno di mezzo persone innocenti».
LA DROGA - Temi che mostrano, fra l'altro, una vera conoscenza del fenomeno: «La camorra a Miano c'è e noi la conosciamo bene - scrive un altro ragazzino - perché si svolge tutto davanti a noi, come per esempio a spacciare la droga che è una cosa che noi vediamo tutti i giorni. Molti ragazzi cominciano a spacciare a 13 anni, diventano più importanti, e una volta che ci sei entrato non ne esci più e se provi a uscirne vieni ucciso».
IL RETTORE - Padre Fabrizio Valletti, rettore gesuita della chiesa Santa Maria della Speranza di Scampia, commenta così questi temi: «Non mi meraviglia. Sono elaborati del vissuto giovanile. Il sistema criminale di cui parliamo fornisce risposte concrete, spesso garantisce stabilitá economica e punti di riferimento territoriali. Bisogna partire da queste analisi, per moltiplicare punti di aggregazione e centri di formazione permanenti nelle aree di periferia». L'istituto per la verità è lo stesso dove i ragazzi hanno realizzato un fotoromanzo anticamorra per dire no alla criminalità e alle violenze striscianti che spesso subiscono solo perché studiano nel quartiere.
21 aprile 2008
da corriere.it
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ECONOMIA IL COMMENTO
Alitalia, i nomi dei colpevoli
di MASSIMO GIANNINI
ORA saranno soddisfatti. I "difensori della nazione" e i "paladini dell'occupazione". Il Pdl che ha appena vinto le elezioni e il sindacato che ha appena perso la faccia. Il ritiro di Air France significa la fine dell'Alitalia e certifica la sconfitta dell'Italia.
Si compie il destino di un'azienda depauperata e depredata da decenni di cattiva gestione finanziaria e di pervasiva "usucapione" politica. Si chiude nel peggiore dei modi un "buco nero" costato alla collettività 15 miliardi in 15 anni, 270 euro per ogni cittadino, neonati compresi.
Solo le false anime belle, adesso, possono far finta di meravigliarsi per la rottura decisa dai francesi. Cosa si aspettavano, dopo che una partita strategica come Alitalia è stata giocata strumentalmente in un'ottusa campagna elettorale, come un derby pecoreccio tra Malpensa e Fiumicino? Cosa speravano, dopo che il futuro industriale del nostro vettore aereo è stato consumato inopinatamente in un assurdo negoziato "peronista", come una banale vertenza sui taxi? In questo sciagurato Paese, purtroppo, funziona così. Ma nel resto d'Europa, evidentemente, il mercato ha ancora le sue regole, i suoi tempi, i suoi effetti.
Ci sono nomi e cognomi, nell'elenco dei colpevoli di questo bruciante fallimento del Sistema-Paese. Sul fronte politico, Berlusconi ha brillato per l'insostenibile leggerezza con la quale ha maneggiato l'affare Ali-France, e per l'insopportabile cinismo con il quale ha sventolato il pretestuoso vessillo dell'"italianità" a fini di marketing elettorale. La sua crociata anti-francese non ha conosciuto confini diplomatici né limiti etici. In un vortice di annunci auto-smentiti, ha posto veti impropri. Ha inventato cordate improbabili, a metà tra il pubblicistico e il familistico. Ha messo in pista concorrenti immaginari, come l'Aeroflot dell'amico Putin, che gentilmente si è prestato al gioco nella ridente cornice sarda di Villa Certosa, dove il luogo della vacanza personale si traveste da sede della rappresentanza istituzionale. Jean-Cyrill Spinetta ha sopportato anche troppo le intemperanze del premier in pectore. Piuttosto che perdere altro tempo e farsi dire no dal nuovo governo, ha preferito giocare d'anticipo.
Sul fronte sindacale le colpe sono anche più gravi. Epifani, Bonanni e Angeletti, e con loro la colorita galassia degli "autonomi", hanno brillato per l'inaccettabile miopia con la quale hanno affrontato la drammatica crisi dell'Alitalia, alla quale hanno dato da sempre il loro fattivo contributo. Per troppi anni, dai tempi di Aquila Selvaggia, le confederazioni e i mille cobas sparsi nei nostri cieli hanno usato la compagnia come una zona franca, nella quale i livelli retributivi e le quote occupazionali erano le sole "variabili indipendenti" da tutti gli altri parametri aziendali: dall'efficienza del servizio alla produttività del lavoro. Cgil, Cisl e Uil si sono distinte per l'intollerabile demagogia con la quale hanno cercato fino all'ultimo di intralciare il piano industriale dell'unico partner di livello mondiale che aveva accettato di sporcarsi le mani nel disastro dell'Alitalia. All'insegna della più insensata difesa corporativa. Dal cargo, da salvare nonostante abbia 5 aerei con un organico di 135 piloti e fatturi 260 milioni con una perdita di 74 milioni. Ad Alitalia Servizi, da salvare grazie a Fintecna in un'operazione impensabile perfino al tempo dell'Efim e degli altri carrozzoni pubblici delle PpSs. Anche in questo caso, Spinetta non poteva continuare con questo indecoroso tira e molla. Ha preferito anticipare i tempi, con tanti saluti alla gloriosa Triplice.
Il governo Prodi non ha gestito al meglio questa privatizzazione. Ma Tommaso Padoa-Schioppa ha avuto almeno il merito di aprire la "pratica", dopo un'intera legislatura nella quale il vecchio governo della Cdl si era ben guardato dal farlo. E di avvisare tutti una settimana prima del voto: "Serve un segnale immediato - aveva detto all'Ecofin in Slovenia - perché se la decisione sull'offerta Air France viene rimandata a dopo le elezioni il commissario sarà inevitabile". Così è stato. Così sarà. Ora l'Alitalia svola verso il baratro. In cassa ci sono soldi per un altro mese, non di più. Il Consiglio dei ministri che si riunirà oggi può fare solo due cose: approvare il prestito-ponte da 100 milioni, e decidere il commissariamento della compagnia. In ogni caso, è una lezione amarissima per tutti. Per il leader del centrodestra che ora dovrà evitare almeno il fallimento, dopo aver dimostrato tutta la sua improvvisazione politica e il suo ritardo di fronte alle sfide del libero mercato. E per i leader confederali, che non sono stati capaci di cogliere "l'ultima chiamata" e hanno mostrato tutto il loro incolmabile deficit culturale rispetto alle logiche della globalizzazione.
In questa fiera delle irresponsabilità, ancora una volta, le due "caste" hanno dato il peggio di sé. Sulle spalle dell'Italia, che vorrebbero "rialzare". E sulla pelle dei lavoratori, che dovrebbero tutelare.
(22 aprile 2008)
da repubblica.it
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I ragazzi e la camorra: quelle voci lontane
Enrico Fierro
Se fossimo uomini d’onore dovremmo chiedere scusa ad Anna, Antonio ed Elisa.
Dovremmo chinare la testa di fronte alle loro vite e alle loro angosce che non abbiamo saputo vedere, sfiorati come eravamo dalle nostre vuote certezze di cartapesta. E dovremmo farlo con l’umiltà di chi, pur avendo tutti gli strumenti (gli studi, il mestiere, il potere, la responsabilità), non si è accorto neppure della loro esistenza. «Noi» siamo i privilegiati, quelli che lavorano nei giornali, quelli che qualche libro lo hanno letto, noi siamo quelli che stanno nelle università, quelli che si sono fatti eleggere al Comune, alla Regione, alla Camera.
«Noi» siamo quelli che, in un modo o nell’altro, esercitano un potere. «Noi» siamo quelli - democratici e di sinistra, illuminati e progressisti - che dopo quel 14 aprile che somiglia sempre più ad un modernissimo e tragico 18 aprile, oggi hanno scoperto l’est e l’ovest del Nord. Con la meraviglia dell’entomologo che osserva un insetto mai visto prima, abbiamo ammesso che sì, quel pezzo d’Italia non lo conoscevamo e ne ignoravamo il malessere. «Noi» siamo quelli - nei giornali, democratici, illuminati e pure di sinistra, nei partiti che vogliono cambiare l’Italia e nei luoghi che contano - che oggi dovrebbero umilmente prendere atto del proprio fallimento. Perché sappiamo poco di un altro malessere, quello che cova nelle viscere profonde del Sud. Sappiamo poco di «loro». «Loro» (Anna, Antonio, Elisa e gli altri) sono i ragazzi e le ragazze della scuola «Salvo D’Acquisto» di Miano, che una brava giornalista, Daniela De Crescenzo ci ha raccontato su un grande giornale del Sud, Il Mattino. Daniela ha letto i temi nei quali questi ragazzi parlano della Camorra. Quella «mappaglia di persone che vedo nel mio quartiere, che spacciano ma a noi ci proteggono», come scrive la tredicenne Anna.
Miano, periferia nord di Napoli, quartiere stretto tra Scampia e Secondigliano, qui vivono 30mila persone, il 30% sono disoccupati, i giovani non possono neppure permettersi il lusso di sperare nel futuro perché il 50% di loro è senza lavoro. La gente si «arrangia», tanti mangiano il «pane» della camorra. «Molti ragazzi cominciano a spacciare a tredici anni - scrive Alberto - e diventano importanti». «Penso che senza la camorra non potremmo stare perché ci protegge tutti, pure il fatto che tutti pagano il pizzo non è giusto, ma chi paga resta protetto», si legge nel tema di Antonio. Pensieri di ragazzi costretti a vivere in quartieri dove manca tutto, con case brutte, palazzoni orrendi, quartieri dove l’unico Stato (con le sue leggi, la sua polizia, le sue tasse, le opportunità di lavoro, di arricchimento e di felicità che offre) è la Camorra. A Miano, come a Secondigliano e Scampia, pochi anni fa si è combattuta una guerra spietata tra clan - i Di Lauro e gli “spagnoli” - per il controllo del traffico di droga. Tutto sotto gli occhi di questi ragazzini. La Camorra l’hanno vista, osservata, spesso sono stati inebriati dalla sua aura di potenza, di ricchezza e di ascesa sociale. Un «palo» (l’ultimo gradino della complessa scala camorrista), uno che deve controllare che nella zona non entrino estranei («sbirri» o membri di altri clan) guadagna fino a 150 euro al giorno. Può comprarsi la maglietta «Dolce e Gabbana», svettare sul motorino, farsi una dose di coca. «Quando scendo vedo i bambini, perché sono i bambini che spacciano, in grandi macchine. Uno qualsiasi che lavora non se le può permettere», si legge in un tema. Già, a Miano - come a Scampia, Secondigliano e negli altri quartieri-stato della camorra -, chi ha la fortuna di avere un lavoro è uno «qualsiasi». Questo vedono i bambini in un quartiere grande come una cittadina di quel Nord (operoso, spina dorsale del Paese, realtà dalla quale ripartire, e vai con tutte le dotte, allarmate e ripetitive analisi di questi giorni) che non conoscevamo. Ma sappiamo cosa è diventata Napoli, eterna e tragica metafora del Sud? No, non lo sappiamo, o facciamo finta di non saperlo, perché ci siamo aggrappati alle nostre certezze e non abbiamo visto, non abbiamo ascoltato, non ci siamo allarmati di fronte alle cose che esperti, scrittori, magistrati ci dicevano. Nell’aera metropolitana che si muove attorno alla città vivono 4 milioni di abitanti (un terzo del Belgio, dieci volte più del Lussemburgo, poco meno della Nuova Zelanda), il 30% ha precedenti di polizia, la camorra conta 78 clan organizzati con 3mila affiliati, ma il numero di quanti vivono dell’«indotto» criminale è ben più alto. Franco Roberti, il procuratore distrettuale antimafia di Napoli, da tempo ci avverte che la camorra non è affatto una «emergenza», «ma è parte integrante, anche con le sue faide più sanguinose e con i suoi delitti più efferati, della storia di Napoli ed è elemento costitutivo della societa` dell’area metropolitana sviluppatasi intorno» alla città. Una camorra forte anche economicamente. In Campania il rapporto tra fatturato criminale e Pil è pari al 32% (in Sicilia siamo al 39 e in Calabria addirittura al 120%). Questa è l’Italia dove vivono Anna, Alberto, Elisa e i ragazzi di Miano. «La sera - scrive Annalisa - vedo gente che si scambiano dosi sotto al mio balcone, mia madre mi chiede di andare a buttare la spazzatura e mi trovo una montagna più alta di me». Non abbiamo visto, non abbiamo ascoltato, non abbiamo capito, chi poteva (la politica, democratica, progressista e illuminata) non è riuscita ad offrire un «pizzico» di felicità ai ragazzi di Miano. E il futuro non promette nulla di buono. È il Nord la nuova frontiera da conquistare. Napoli, il Sud, Annalisa e i ragazzi di Miano sono stati cancellati dall’agenda della politica.
Pubblicato il: 22.04.08
Modificato il: 22.04.08 alle ore 9.38
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Scelte politiche
Pasticci e paradossi
di Massimo Franco
Qualcuno ha parlato di una specie di Consiglio dei ministri per procura. Un governo di centrosinistra che decide un provvedimento voluto da Silvio Berlusconi; e per di più con il dubbio corposo che incontrerà l’ostilità dell’Unione europea. Ma non è la sola anomalia che spunta intorno alla tormentata vicenda di Alitalia. L’impressione è che Romano Prodi non volesse il commissariamento della compagnia di bandiera come ultimo lascito del proprio governo; e che Berlusconi non intendesse iniziare il terzo mandato con Alitalia sull’orlo del fallimento.
Il prestito di 300 milioni di euro concesso ieri sera da Palazzo Chigi fotografa questo pasticcio un po’ paradossale. Assicura alla società ossigeno per un paio di mesi. E concilia questi due interessi convergenti, confidando di non entrare in rotta di collisione con le direttive europee: speranza tutta da verificare. Ma per il modo in cui la polemica fra nuova e vecchia maggioranza ristagna, si intuisce che gli scenari peggiori non sono scongiurati. Ed ognuno si prepara ad attribuirne la responsabilità all’avversario.
La gravità della situazione è segnalata dalla spiegazione del prestito- ponte: «motivi di ordine pubblico». E il fronte berlusconiano proietta anche sul dopo voto le accuse preelettorali sulla trattativa con Air France. Quanto si sta delineando, insiste, è la conseguenza di una scelta compiuta maldestramente da Prodi e dal ministro dell’Economia, Tommaso Padoa- Schioppa. Il dettaglio singolare è che l’estrema sinistra sembra dare in qualche misura ragione al fronte berlusconiano, additando Alitalia come una conferma del fallimento della politica economica del Pd. Lo stesso ministro uscente Antonio Di Pietro critica il prestito deciso dai propri alleati.
Prodi e Walter Veltroni replicano sottolineando che della cordata alternativa evocata da Berlusconi non c’è ancora traccia. Elencano le pressioni politiche che a loro avviso hanno spaventato i francesi fino a provocare l’interruzione delle trattative. Fanno notare che in nome dell’«italianità» si è detto no ad Air France, ma stranamente non si esclude un’intesa con la compagnia russa Aeroflot. In realtà, tutti sono consapevoli che si tratta di scenari aleatori.
Perché si mettano insieme dei nuovi compratori, si calcola che occorreranno mesi. Per questo, gli uomini di Berlusconi hanno invocato «risorse congrue». E «noi abbiamo aderito alla richiesta di Berlusconi», ha dichiarato ieri sera Prodi: forse anche perché il Pd non voleva trovarsi l’Alitalia commissariata mentre si vota per il sindaco di Roma. Ma non c’è soltanto il fantasma dei licenziamenti e di una sospensione dei voli: bisogna tenere conto dei vincoli di Bruxelles. Proprio ieri il presidente della Commissione, José Manuel Barroso, ha annunciato che il commissario italiano destinato a succedere a Franco Frattini avrà la delega dei trasporti.
La decisione è stata presa senza informare il governo italiano: una procedura che ha irritato Prodi, il quale forse ha indovinato un gioco di sponda col centrodestra italiano. In teoria, infatti, l’incarico a un esponente vicino al Cavaliere potrebbe aiutare palazzo Chigi a tentare un salvataggio di Alitalia assecondato dalle istituzioni europee. Il fallimento viene scansato come un epilogo estremo e remoto. Ma in realtà, ci si prepara comunque a un ridimensionamento secco. Tutti ammettono che, se per miracolo si materializzerà un compratore, tre o quattro mila persone potrebbero essere licenziate: sempre che non si arrivi all’amministrazione controllata o peggio. È probabile che fino al ballottaggio di domenica e lunedì per il Campidoglio, la schermaglia non farà passi avanti. C’è solo da sperare che dopo, il ritorno alla realtà non sia troppo traumatico.
23 aprile 2008
da corriere.it
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24/4/2008
I prodiani non esistono
ROMANO PRODI
Caro direttore,
anche se non mi sfuggono le regole che governano il mercato dei media, per cui bisogna sempre andare alla ricerca di notizie forti, di risse e di litigi perché altrimenti le vendite calano (poi, stranamente le vendite calano lo stesso, ma questo è un altro discorso…), rilevo che il «clamoroso» articolo di Geremicca sulle tensioni tra i «prodiani» e il sindaco di Bologna pubblicato ieri dal suo giornale torna su notizie più volte smentite.
Perché sia definitivamente chiaro, ribadisco ancora una volta - e spero sia l’ultima - che l’ipotesi di candidarmi a primo cittadino della mia città è del tutto lontana dai miei progetti e dai miei pensieri.
Così come mi fa piacere confermare ancora in questa occasione la mia stima per Sergio Cofferati, con il quale, a dispetto di quanti vanno sostenendo il contrario, continuo ad intrattenere rapporti improntati alla massima lealtà ed amicizia.
Colgo inoltre l’opportunità di questa lettera per una breve dissertazione.
Non sono mai intervenuto, in tutti questi anni, per correggere un vezzo giornalistico che, purtroppo, ha dilagato: quello di ricorrere, in mancanza di mie prese di posizione o di mie indicazioni su determinati argomenti, alla categoria dei cosiddetti «prodiani». Ebbene credo che sia giunto il momento, viste anche le mie recenti decisioni, che sia io oggi a dare una notizia agli amici giornalisti: i prodiani non esistono! E non esistono per il semplice motivo che io non ho voluto, quando in tanti mi esortavano a farlo, fondare un mio partito, così come non ho mai voluto che in mio nome sorgessero correnti.
Ho sempre chiesto a chi lavorava con me, ai miei più stretti collaboratori lealtà e coerenza su un solo progetto: quello del Partito Democratico. Credo di esprimere un sentimento comune a tutti quelli che, a seconda dei momenti e delle stagioni, si sono sentiti etichettare come prodiani, chiedendovi: per favore, chiamateci semplicemente «democratici».
da lastampa.it
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