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16/4/2008
 
Sindrome di Amleto
 

EMANUELE MANCUSO

 
Nella legislatura 1996-2001, il centrosinistra, che aveva vinto le elezioni, travagliato da crisi e difficoltà varie, espresse tre presidenti del Consiglio: Prodi, D’Alema e Amato. Nelle elezioni del 2001, segretario dei Ds Veltroni, l’Ulivo non si alleò con Rifondazione comunista, responsabile della crisi del primo governo e non candidò né Prodi, né D’Alema, né Amato. Veltroni propose come leader il sindaco di Roma, Rutelli, che ottenne il consenso della coalizione ma non degli elettori. In quella campagna elettorale l’Ulivo esaltò i risultati ottenuti dai suoi governi sul terreno del risanamento dei conti pubblici e dell’impegno internazionale (soprattutto nel Kosovo) ma non candidò nessuno dei protagonisti di quella politica. Veltroni, prima del voto, lasciò la segreteria dei Ds e si candidò a sindaco di Roma. Il Cavaliere vinse. Come sappiamo, nel 2005, Berlusconi dopo cinque anni di governo era in difficoltà, Prodi ricompose la sua coalizione includendo la sinistra radicale e per un soffio vinse le elezioni.

Ma il governo non ha retto, dopo due anni si sono sciolte le Camere e il 13 aprile abbiamo votato. Intanto era nato il Pd, Veltroni non più sindaco di Roma (si ricandida Rutelli) guida il nuovo partito impegnato subito nella campagna elettorale. La coalizione prodiana però si scompone: il Pd si allea con Di Pietro e incorpora i radicali, il Partito socialista si presenta «solo», la sinistra-sinistra si unifica nell’Arcobaleno. Ma nella campagna elettorale, come nel 2001, il presidente del Consiglio sparisce. Qual è il giudizio del Pd sull’opera del suo governo non si capisce: si recita l’Amleto dell’essere e non essere.

Tutti, Pd e Arcobaleno, pensano che la presa di distanza da Prodi, senza chiarire le ragioni, basti a superare le difficoltà. Del resto il Pd e l’Arcobaleno sono formazioni la cui identità richiama «l’essere e non essere». E il risultato è quello che conosciamo. A conti fatti, il centrosinistra, nel suo complesso, rispetto al 2005 ha perso il 5,7 per cento. Su questo dato però non si ragiona. Invece bisogna ragionare. Se la sconfitta della sinistra radicale avesse prodotto la vittoria del Pd, i leader di questo partito potrebbero parlare di successo della loro strategia. Ma le cose non stanno così: la sinistra radicale ha perso 7 punti e il Pd rispetto all’Ulivo ne ha guadagnati 3.

Alcuni giornali sommariamente hanno fatto grossi titoli dicendo che «La sinistra è fuori del Parlamento». Ma quale sinistra? È vero che Veltroni ha detto e ridetto che il Pd non è un partito di sinistra, ma non si può certo dire che in quel partito, la cui identità è incerta, non ci siano forze di sinistra! Lo stesso Veltroni ha chiesto al socialista Zapatero messaggi di auguri per le elezioni, a Roma è arrivato il sindaco di Parigi, socialista e gay, per la campagna di Rutelli, abbiamo letto dichiarazioni di appoggio al Pd dei leader del partito socialista europeo: ma il Pd non è un partito di sinistra. Tuttavia l’assenza nel Parlamento dei socialisti e della sinistra radicale, che certo non spariscono dalla società, pone dei problemi. Li pone alla sinistra radicale che non può riversare sulle spalle di Veltroni la sua sconfitta. È una spiegazione infantile. Se la tua esistenza dipende da chi non ti vuole in vita c’è qualcosa di sbagliato in come tu vivi. Lo stesso ragionamento va fatto per i socialisti. Ma il Pd non può dire: tutto questo non mi interessa.

Io non credo negli scenari prefigurati da Cossiga, il quale teme che a sinistra si verifichi una deriva estremista e addirittura terroristica. Ma il problema c’è. L’esigenza di incanalare movimenti, tensioni e pulsioni sociali e politiche, che possono esprimersi sul terreno extraparlamentare, nell’ambito della dialettica democratica e parlamentare, sarà un tema di questa legislatura. Insomma, pensare che la storia della sinistra si sia conclusa è un errore che può pagare il Paese. Il tema semmai è un altro: quale sinistra è possibile dopo questo risultato elettorale? Un tema su cui occorre discutere.
 
da lastampa.it

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Come sopravvivere alla coppia B&B

Roberto Cotroneo


In qualche modo bisognerà farcela. Da qualche parte una possibilità c’è. Per tutti quelli che martedì 15 aprile, come in un romanzo di Kafka, si sono svegliati, e si sono accorti, in un momento, che da ieri, l’Italia sarà di nuovo berlusconiana c’è bisogno di una terapia di sostegno, di un appoggio, di una ragione. Molti vagano increduli, altri sfogliano nervosamente vecchi giornali per ricordarsi com’era solo due anni fa, altri ancora credono che con questa maggioranza “stabile” nessuno ce la farà, perché gli anni potrebbero essere cinque, non uno di meno, e si dovrebbe camminare nella valle del regno di Berlusconi fino al 2013.

Fino al 2013 con Bossi e Cicchitto, con Fini e Maroni, con la Carfagna e Bondi, con Borghezio e Calderoli. Fino al 2013 con Gasparri, con Alemanno, con Lombardo. Fino al 2013 tutti là appassionatamente, o magari anche no, magari anche a litigare ogni tre minuti, ma certi che questa volta il potere se lo tengono stretto e si governa fino alla fine. E se qualcosa va fatto, allora non bastano palliativi facili. E ci sono una serie di strategie che si possono adottare da subito.

1. Evitare le trasmissioni televisive politiche. Innanzi tutto «Porta a Porta». Cominciare a pensare con determinazione che la politica non esiste più in quella forma, e che se ne può fare a meno. Rimuovere, se è possibile. Guardare in televisione solo film e naturalmente molto sport. Occuparsi più di calcio mercato che di toto ministri, ostentare un'indifferenza totale verso qualsiasi tipo di nomina pubblica o istituzionale, per chi vive a Roma tenersi lontani da piazza Montecitorio, perché non vengano pensieri angosciosi.

2. Darsi un'anima internazionale. Le prime tre pagine di qualsiasi quotidiano lasciarle direttamente all’edicolante. Se è opportuno munirsi di una piccola taglierina per rendere l'operazione più semplice. Almeno una volta a settimana immergersi nella lettura di Limes e occuparsi di esteri con passione e competenza. Sapere tutto dell'Africa, della Cina, del Sudamerica. Non sapere nulla della politica interna, tanto non c’è che da incavolarsi. E poi l’opposizione in Parlamento e solida e compatta, e ci penseranno loro. Ovvio. Per quanto riguarda i telegiornali, saltando i primi quindici minuti si dovrebbero evitare le cose peggiori. Dunque Tg1 e Tg5 iniziano per definizione alle 20 e 15 e il Tg2 alle 20 e 45. Desintonizzare per principio Rete 4 dal proprio televisore per non incappare neppure casualmente in Emilio Fede. Se usate internet per informarvi, è preferibile togliere dalla home page la pagina del Corriere o di Repubblica on line, e metterci quella del Paìs.

3. Pensare il meno possibile. Non è opportuno andare a riposarsi, o fare immediate vacanze, in eremi umbri e toscani, in luoghi di riflessione, o in regioni, comuni e provincie amministrate dal centro sinistra in modo particolarmente efficace. Provoca stati d’ansia. Provoca stati d’ansia anche finire in luoghi amministrati dal centro destra, perché poi si capisce cosa ci aspetta. Stare a casa propria è molto meglio. E circondarsi di feticci e simboli rilassanti e positivi. Con pochi euro e possibile farsi stampare una gigantografia di Obama da appendere in salotto, ma senza la frase «we can».

4. Molta natura. La natura funziona sempre. E soprattutto non l'ha inventata Berlusconi, fino a prova contraria. Passeggiate, studio degli insetti, della flora e della fauna. Per chi ama il mare sono indicate lunghe passeggiate sulla spiaggia. Basta che non sia la Costa Smeralda.

5. Molta natura, ma evitare accuratamente le passeggiate per la pianura Padana, o lungo gli argini del Po. Si rischia di incontrare gente con l’armatura che riempie ampolle dal fiume. E vengono inquietanti pensieri.

6. Trovarsi un hobby. Può essere uno sport, ma anche no, ovviamente. Indicati sport ossessivi senza attinenza con la cronaca politica. Il calcio ad esempio non è molto indicato. Meglio il golf. E può funzionare anche il Polo. Per chi non riesce a fare a meno di pensarci, a Berlusconi e Bossi al governo, potrebbero andare bene anche gli scacchi, la dama, il backgammon, e in genere i videogiochi. Da evitare assolutamente i giochi da tavolo. Sopra ogni cosa il “Monopoli”.

7. Allontanarsi il più possibile dalla contemporaneità. Non leggere saggi sull'Italia di oggi, darsi alla magia della letteratura. Esotismo, esotismo e ancora esotismo. Imparare a ballare, per chi non sa farlo. Balli di coppia, scegliendo accuratamente partner che non siano di centro sinistra. Perché poi si finisce per parlare solo di Berlusconi. Tutti i balli vanno bene, eccetto quelli da viveur anni Sessanta. Per chi con il ballo ha dei problemi, imparare a suonare uno strumento, o perfezionarlo è un buon modo per dimenticare. Iscriversi a una stagione di concerti, rigorosamente musica classica. Rarefazione e distanza fanno bene, meglio la musica barocca. Il rigore e le geometrie di Bach fanno illudere di vivere in un Paese migliore.

8. Per chi è single, il vecchio metodo di trovarsi subito un fidanzato o fidanzata potrebbe essere di aiuto. Ma attenzione. Meglio uno straniero o una straniera. Per motivi immaginabili, non pensano troppo a Berlusconi, e non sanno quasi chi siano Bossi o Maroni. Se proprio non si può andare oltre Italia, scegliere anime gemelle nell’area dell’astensionismo. Niente politica, per favore.

9. E niente cultura. Leggere libri certo. Ma meglio non frequentare presentazioni di testi impegnati, cineforum, teatro sperimentale, o musicisti contemporanei. Finisce che ti senti di nicchia. E non va bene affatto.

10. Attendere. Con pazienza. Non c’è altra possibilità. Ascoltare la radio di notte. È raro che telefoni Berlusconi a quell’ora durante i programmi.
Uscire circospetti, provare a sorridere, nonostante tutto. Convincersi che pioverà per cinque anni, più o meno. Perché è andata così. L’importante, come dice il poeta Paolo Conte, è che piova sugli impermeabili, e non sull’anima.


Pubblicato il: 16.04.08
Modificato il: 16.04.08 alle ore 8.19   
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L’intervista

Cremaschi e il boom della Lega operaia: «Marxisti di destra. E Tremonti non sbaglia»

Il leader dell’estrema sinistra nella Cgil: l’Arcobaleno ha ottenuto zero


ROMA—«Nel 2006 Prodi diventò presidente del Consiglio grazie al voto degli operai. Gli stessi che questa volta hanno scelto in massa la Lega, mandando a Palazzo Chigi Berlusconi». Per Giorgio Cremaschi, segretario nazionale della Fiom e capo della minoranza di estrema sinistra della Cgil, «il successo della Lega era nell’aria, bastava girare nelle fabbriche».

Perché gli operai hanno scelto il partito di Umberto Bossi?

«Lo avevano già fatto nel 2001. È un voto di protesta che dice ai partiti di sinistra: "Non vi siete occupati di noi". Il segnale c’era già stato con i fischi dell’assemblea di Mirafiori del 7 dicembre 2006».

Ma perché proprio la Lega?

«Perché assomiglia di più a un partito marxista-leninista: ha una fortissima identità ma al tempo stesso un grande pragmatismo».

Solo per questo?

«No. La Lega dà una forte risposta, sia pure di destra, a chi si sente minacciato dalla globalizzazione. E nel centrodestra il libro di Tremonti, anche se un po’ spregiudicato, è però intelligente».

Lei è d’accordo con Tremonti?

«Condivido il giudizio negativo su quello che lui chiama mercatismo e io preferisco chiamare liberismo, ma non le proposte».

Se tutti questi operai che prima votavano per la sinistra ora scelgono la Lega, significa che la Lega è di sinistra?

«No. Anche un partito di destra può essere un partito popolare».

Allora gli operai sono diventati di destra?

«No. Sono rimasti di sinistra ma hanno punito chi li ha traditi». Anche la Sinistra arcobaleno? «Era la forza politica meno credibile. Aveva portato in piazza un milione di persone su salari e precarietà, ma nel governo ha ottenuto zero. Poi ha commesso anche delle stupidaggini, come lo slogan "Anche i ricchi piangano"».

Ma non hanno votato neppure per Marco Ferrando e per i partiti della falce e martello.

«Gli operai non votano per formazioni elitarie».

Rosi Mauro, segretario del sindacato della Lega, dice che il Carroccio ha sempre interpretato i bisogni operai, ma che il suo sindacato è stato discriminato.

«Rosi Mauro me la ricordo fin da quando, molti anni fa, era una delegata della Uilm. Il Sinpa non ha mai sfondato perché fare sindacato non è una cosa semplice. Detto questo, chiunque oggi dice "Mettiamo alla prova la rappresentatività del sindacato" fa una cosa giusta. Non si deve nemmeno avere il sospetto che il gioco sia truccato».

E quindi?

«Se il governo fa una legge sulla rappresentatività sindacale, anche se per fini diversi dai miei, mi sta bene. Ci vogliono elezioni delle Rsu senza quote riservate a Cgil, Cisl e Uil. Ci vuole un rinnovo periodico delle deleghe, ogni 3-4 anni. E infine regole per garantire che il finanziamento sia trasparente».

Che linea deve avere la Cgil?

«La deve decidere un congresso. So che la mia posizione è ultraminoritaria, ma sono per una Cgil conflittuale. Ma non quella di Cofferati del 2002-2003. Non dobbiamo fare la grande opposizione politica a Berlusconi, ma tornare nelle fabbriche e batterci per il salario».

Ma dove la vede tutta questa voglia di conflitto? Il voto ha punito le forze antagoniste.

«Un operaio può votare Lega e fare tantissimi scioperi. Dopo l’autunno caldo, alle amministrative del 1970 a Mirafiori il primo partito risultò la Dc. Gli operai hanno votato Lega, ma se Berlusconi e Confindustria non aumenteranno loro i salari, il conflitto scoppierà».

Perché invece i dipendenti pubblici continuano a votare in maggioranza per il Pd?

«Perché si sentono più tutelati. Nel sindacato si deve aprire una discussione vera su questo. Non voglio fare i discorsi di Ichino sui fannulloni, ma nel mondo del lavoro convivono sacche di privilegio accanto a condizioni inaccettabili».

Il sindacato è una casta?

«Sì se ci si riferisce a un apparato di 20 mila persone e ai suoi meccanismi di autoriproduzione, no se si allude a privilegi economici. Io prendo 2 mila euro al mese e quando incontro un segretario nazionale del sindacato tedesco o inglese che guadagna 5-6 volte tanto mi prende per un pezzente».

Senta, ma non sarà che alla fine il sindacato non rappresenta più gli operai, ma soprattutto dipendenti pubblici e pensionati?

«I pensionati hanno un peso abnorme e danno al sindacato una connotazione di lobby politico-sociale alla quale non corrisponde una forza sindacale».

Enrico Marro
17 aprile 2008

da corriere.it

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Voto, il day after sul blog: «Loro non molleranno mai, noi neppure»

Beppe Grillo attacca Veltroni «Ha riesumato Silvio, una salma politica»

Il comico genovese: «Il leader del Pd ha fatto cadere il governo: lui, non Mastella»


MILANO - Non perde la sua vena polemica Beppe Grillo nel day after delle politiche 2008. Dalle colonne del suo blog il comico genovese fa un'analisi del voto e se la prende con il leader sconfitto. «Veltroni (alias Topo Gigio, per l'occasione Grillo rispolvera un vecchio personaggio, ndr) ha fatto il miracolo», scrive il comico. Quale? «Aver riesumato una salma politica». L'accusa di Grillo a Veltroni è di aver resusciato Berlusconi (il nome del suo personaggio è testa d'Asfalto, ndr).

«MIRACOLO» - «Era l'autunno del 2007 - scrive Grillo -. Testa d'Asfalto regalava la pasta a un centinaio di pensionati in periferia di Milano. Fini e Casini lo avevano abbandonato. Una vecchia gloria sul viale del tramonto. Topo Gigio ha fatto il miracolo. Il suo primo atto politico è stato di riesumare una salma politica». Il comico ricorda gli approcci tra i due leader e «la foto della stretta di mano tra i due dopo una conversazione strettamente privata sulla nuova legge elettorale». «Sembravano Garibaldi e Vittorio Emanuele II a Teano - ironizza Grillo -. Lo psiconano aveva un'aria incredula. Non poteva immaginare che i pidini fossero così coglioni».

«VELTRONI IL MIGLIOR ALLEATO DEL PDL» - Nel governo di centrosinistra, sottolinea Grillo, Veltroni non si preoccupò di interpellare i piccoli partiti su una legge che li avrebbe fatti scomparire. «Topo Gigio - si legge sul blog del comico - è stato il miglior alleato del PDL. Ha fatto cadere il Governo: lui, non Mastella. Ha perso le elezioni in modo disastroso. Ha cancellato la sinistra e i verdi. Si può fare. Se fossi Berlusconi lo farei vice presidente del Consiglio».

LEGGE ELETTORALE - Grillo non perde occasione per ricordare che «la legge elettorale è incostituzionale». «Ci hanno trattati come bestie che possono fare solo una X su un simbolo. E la X l'abbiamo messa lo stesso perché siamo condizionati da mezzi di informazione anti democratici». «Senza libera informazione non c’è democrazia - concluide Grillo nel suo post -. Loro non molleranno mai, noi neppure».


15 aprile 2008

da corriere.it

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Voglia di legalità, così la Lega raddoppia a «Stalingrado»

Giampiero Rossi


Tra Milano e Sesto San Giovanni non c’è soluzione di continuità. Ma Sesto non è Milano, è diversa. Certo, nella Stalingrado d’Italia non ci sono più le grandi fabbriche che sfidarono il Terzo Reich, ma la città medaglia d’oro resta ancora un caposaldo del lavoro, come dimostra il flusso di pendolari equamente distribuito nei due sensi, da e verso Milano. La storica capacità di ospitare l’innovazione e un patrimonio quasi irripetibile di aree dismesse ha permesso di affrontare il nuovo secolo con una nuova pelle. E una trasformazione urbanistica di qualità ha permesso di attirare le sedi di aziende multinazionali e anche l’università statale. E chi poteva immaginarselo ai tempi in cui il tempo era scandito dalle sirene della Falck, della Breda, della Marelli?

Ma neanche queste trasformazioni economiche hanno cancellato da Sesto i tratti sociali e politici di sempre: «Una rete associativa e solidaristica formidabile, fatta di circoli, associazioni, teatri e iniziative d’ogni genere - spiega Giancarlo Pelucchi, dirigente della Cgil regionale e figlio del fondatore della storica Libreria Sestese - che rende questo Comune da tutto l’hinterland». Altro che dormitorio di Milano, insomma, Sesto è sveglissima e vivace, anche se gli operai sono assai meno. «Ma questa non è Liverpool - sottolinea ancora Pelucchi - qui c’è stato un graduale ricollocamento, la città è ripartita anche senza fabbriche». Come è possibile, allora, che anche qui le urne abbiano premiato la Lega e bocciato la sinistra? Anche le mura di Stalingrado stanno scricchiolando?

«Leggete i numeri», è l’invito quasi sorpreso di Laura Barat, segretaria cittadina del Pd. E in effetti il voto dice che il partito di Veltroni è il primo della città con il 37,41% dei consensi contro il 32.99% del Pdl. Non è una conferma, è una conquista, perché dalla prima metà degli anni novanta era il partito di Berlusconi ad avere la maggioranza relativa. «Partivano da un 30% e grazie alla nostra capacità di coinvolgimento e siamo riusciti a crescere», insiste la dirigente democratica. Ma coinvolgere chi? «Il terreno di riferimento è sempre quello, la straordinaria rete associativa di sesto, anche se dovremo interrogarci su quella fetta di città che ha scelto la Lega».

Ecco il punto: la Lega. Anche qui. È vero, ha rastrellato meno che nel resto della provincia (10.88%) ma è pur sempre un raddoppio. Che suona ancora più come uno schiaffo se accostato al drammatico ridimensionamento della sinistra, che dal 15% della somma di Prc, Pdci e verdi passa al 5,17% di un cartello che ha coinvolto anche fuoriusciti dei Ds del calibro di Antonio Pizzinato, ex leader Cgil e sestese eccellente. «Si capiva che le cose non andavano bene - dice lui stesso - quando negli ultimi giorni ai mercati vedevi la gente andare verso i leghisti, questa è stata la manifestazione elettorale del profondo malessere che vive molta gente. Ma dovremo ricostruire un soggetto della sinistra europea del ventunesimo secolo...».

Qualcosa di simile era già accaduto nel 1994, con la prima ondata berlusconiana, ma poi la Lega ritornò a numeri meno ambiziosi. Ma che volti ha il malessere di una città di 80.000 abitanti che sta meglio di tante altre dal punto di vista economico e occupazionale e che vanta un livello di coesione sociale invidiabile? «La Lega interpreta a modo suo la preoccupazione della gente per la sicurezza - dice il sindaco Giorgio Oldrini - in una città dove il 12% della popolazione e il 20% degli iscritti alle scuole viene da tutto il mondo. Noi qui abbiamo portato da 9 a 16 milioni di euro la spesa sociale a sostegno della persona, i nostri asili e le nostre case popolari sono aperte a chi ne ha bisogno, indipendentemente dal passaporto, offriamo scuola, doposcuola, assistenza di ogni tipo agli immigrati e a tutti i cittadini che ne hanno bisogno. Però dico da “comunista di culla” - conclude indicando il prezioso ritratto di Marx, regalo di un ricco imprenditore - questo sforzo di solidarietà diventa insostenibile se non è accompagnato da risposte sul fronte della legalità e della sicurezza. Inutile girarci attorno. E sono convinto, come dimostra il voto, che il Pd si proprio la mescola di culture in grado di trovare questa sintesi senza cadere nella semplificazione leghista».

E se questa sintesi non verrà prodotta in fretta continuerà l’avanzata della Lega e della destra anche a Stalingrado? «Dovremo darci da fare perché ciò non accada - dice pacato Giovanni Bianchi, segretario provinciale del Pd che rivendica l’invenzione del concetto di “sestesità” - ma quello che si è verificato, come nel 1994, è un fenomeno arrivato dall’alto, che investe la sfera mediatica e quindi ha attecchito anche in un territorio connotato come quello di Sesto. Ma ricordo anche che già nel 1996 Pizzinato ed io riconquistammo i collegi di Camera e Senato. Quindi - conclude - anche se a volte l'immagine mangia il territorio, dopo un po’ il territorio torna se stesso».

Pubblicato il: 17.04.08
Modificato il: 17.04.08 alle ore 13.01   
© l'Unità.

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