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La cordata di don Salvatore

Rinaldo Gianola


A volte ritornano. Anzi, per la verità, non se ne sono mai andati. Nella stagione del «nuovo» centrodestra non vorremmo apparire pregiudizialmente anti-berlusconiani, ma poi sono i fatti, purtroppo, che ci tirano per la giacca.

Chi è il primo imprenditore a spendersi per la cordata italiana di Berlusconi per la privatizzazione di Alitalia? Salvatore Ligresti. Si poteva immaginare, e illudersi, che l’appello di Berlusconi stimolasse la mobilitazione immediata di Montezemolo, Della Valle, Benetton, Marchionne, Tronchetti Provera o almeno di Abete.

E invece niente: si parte da Ligresti. Altri, forse, si aggregheranno. Ma è il costruttore di Paternò a tracciare il solco. Non parla mai, ma quando lo fa lascia il segno.

Ora, con la crisi drammatica in cui versa l’Alitalia, non bisognerebbe guardare troppo per il sottile. Chi ci mette i soldi è benvenuto.
E poi Berlusconi deve avere un certo feeling con Don Salvatore, la cui leggenda di costruttore iniziò con la ristrutturazione di un sopralzo nella popolare Porta Genova, a Milano, e oggi arriva fino ai grattacieli «storti» di Libeskind che non piacciono allo statista di Arcore. D’altra parte se per il futuro premier e per l’amico Dell’Utri lo stalliere mafioso Mangano era «un eroe», la presenza nella cordata tricolore di Ligresti, visto il suo passato con la giustizia, è un fattore di garanzia.

Con Ligresti non siamo alla Terza Repubblica, come si illude qualche commentatore, siamo invece alla restaurazione della Prima Repubblica, alla commistione tra politica e affari come filosofia imprenditoriale e come azione di governo. Il costruttore, che vuole dare «una mano ad Alitalia, per il Paese, la compagnia, i lavoratori» forse pensando che un favore concesso oggi al premier produrrà grandi vantaggi domani quando ci sarà da costruire una città per l’Expo 2015, è da oltre trent’anni uno dei padroni di Milano.

Il suo potere non venne scalfito nemmeno negli anni di Mani Pulite, nemmeno quando il 16 luglio 1992 finì a San Vittore e ne uscì solo dopo mesi di carcere e soprattutto dopo aver firmato una deposizione in cui svelava i rapporti con Bettino Craxi, l’utilizzo delle mazzette per controllare appalti e licenze edilizie. Condannato a due anni e quattro mesi di reclusione con affidamento ai servizi sociali, poi coimputato con l’ex finanziere Sergio Cusani e lo stesso Craxi nell’inchiesta Eni-Sai, quindi scampato con patteggiamenti vari nelle inchieste per tangenti a Pieve Emanuele, per i lavori al Tribunale di Milano, per lo scandalo della vendita del patrimonio immobiliare Ipab. Sono tutti episodi che avrebbero abbattuto un mulo, ma non Ligresti. Che anzi, dopo Tangentopoli, riuscì a risollevare il suo gruppo dalle difficoltà in cui era precipitato grazie a un forte sostegno di Mediobanca, rafforzando la sua posizione nelle assicurazioni e nella finanza. D’altra parte il costruttore non è il tipo da arrendersi davanti alle inevitabili sorprese e alle disgrazie della vita: nel 1981 la moglie Antonietta Susini fu vittima di un rapimento terminato con il suo rilascio, dopo il pagamento di un riscatto.

Dei presunti rapitori, indicati all’epoca dei fatti come mafiosi, due furono assassinati, un terzo scomparve nel nulla. Con questo curriculum, arricchito da aristocratiche frequentazioni (la famiglia nera dei La Russa, dall’avvocato Antonino fino al figlio Ignazio risciacquato nelle acque di Fiuggi e oggi destinato al ministero della Difesa, e quei maghi della Borsa come Michelangelo Virgillito e Raffele Ursini da cui “acquistò” il primo pacco di azioni Sai), era naturale che fosse accolto con tutti gli onori tra i padroni del Corriere della Sera. Ligresti è stato ed è un personaggio di primissimo piano del potere: capace un tempo di stringere alleanze con Pirelli, De Benedetti, Cuccia e oggi di posizionarsi nei salotti dove si prendono le decisioni che contano. Certo, nell’assenza generale degli imprenditori tutti pronti a giurare fedeltà ad Alitalia ma nessuno disposto a scendere davvero in pista, la novità di Ligresti non va sottovalutata.

È il segno che Berlusconi sta chiamando a raccolta gli amici fidati ai quali è pronto a chiedere oggi un sacrificio, un impegno, che sarà certo ricompensato in futuro. Fino a ora nel pasticcio della cordata berlusconiana conta molto di più l’outing di Ligresti che non l’opera del cosiddetto superconsultente, e ipervalutato, Bruno Ermolli.

Lo sforzo di Berlusconi, inoltre, non avrebbe solo la finalità di mettere una pezza al dramma Alitalia, ma vorrebbe usare questa emergenza per dimostrare la sua vocazione di una politica aperta, capace di coinvolgere tutte le forze possibili per risolvere il caso. Tanto per capirci, nell’entourage berlusconiano nessuno si sorprenderebbe se il capo chiedesse (o magari lo ha già fatto) un impegno anche a Carlo De Benedetti per Alitalia, anche se per l’Ingegnere potrebbe ripetersi il rischio di trovarsi l’opposizione della sua adorata Repubblica, come avvenne nel 2005 quando Berlusconi era pronto a investire nel fondo M&C lanciato dallo stesso De Benedetti ma poi non se ne fece nulla per la ribellione delle redazioni dei suoi giornali.

Ma le cose, in politica come negli affari, cambiano velocemente. De Benedetti, nei prossimi anni, punterà sull’energia (proprio ieri è arrivato il via libera al suo rigassificatore di Gioia Tauro) e la sanità, settori dove la politica conta molto. Alla domanda di una valutazione sull’ipotesi di una cordata italiana, ieri l’Ingegnere ha risposto con un «no comment». Ma l’asso da giocare può essere solo quello di una grande banca.

Se Berlusconi, a fronte di un piano industriale credibile che certo non può fare Ermolli e di uno sbocco internazionale, riuscisse a convincere Intesa SanPaolo o Unicredit a entrare in azione, allora il quadro potrebbe cambiare. Solo con il volenteroso Ligresti il cavaliere non andrà lontano. Anche per oggi non si vola.

Pubblicato il: 24.04.08
Modificato il: 24.04.08 alle ore 13.09   
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Poltrone

La scelta del neo senatore: continuerà a lavorare per costruire il nuovo Dna della politica del lavoro

Offerta a Ichino. Ma lui resta nel Pd

Letta propone un ministero. Il giuslavorista si consulta con Veltroni


MILANO — Già qualche giorno fa si era parlato di un'offerta di un ministero da parte di Silvio Berlusconi a Pietro Ichino, giuslavorista neo eletto nelle file del Partito democratico. E il professore aveva cortesemente declinato l'invito. Ieri la richiesta è arrivata ufficialmente attraverso una telefonata di Gianni Letta, indiscrezione ripresa da La7. Ichino ha preso tempo ma, dopo essersi consultato con Walter Veltroni, ha deciso di continuare a lavorare per il Pd, sia pure con una logica del tutto diversa da quella della vecchia sinistra.

Il tentativo di Berlusconi di avere un membro dell'opposizione nel governo evoca il caso Kouchner, l'esponente socialista nominato ministro degli Esteri dal presidente francese Sarkozy. Ma già qualche giorno fa il docente di Diritto del Lavoro aveva spiegato, sul sito www.pietroichino.it: «Un mio coinvolgimento nel governo Berlusconi non è pensabile, per le profonde differenze che dividono il suo programma da quello che ho contribuito a fondare e nelle cui liste sono stato eletto». Detto questo, però, Ichino aggiungeva: «Questo non toglie che tra la maggioranza e il Pd possano verificarsi delle convergenze su singole materie di politica del lavoro».

D'accordo con Walter Veltroni, Ichino aveva spiegato di essere «pronto a cooperare con la maggioranza, nel rispetto dei rispettivi ruoli per il progresso del nostro Paese».

Ieri Letta, incaricato di tessere i rapporti tra gli alleati e con l'opposizione, ha ribadito la richiesta del Cavaliere, lasciando a Ichino «tutto il tempo necessario per decidere». Il professore si è detto lusingato dell'offerta e ha chiesto qualche giorno prima di dare una risposta definitiva. Poi si è consultato con il leader del Pd Walter Veltroni e ha deciso di continuare la sua strada nel partito del centrosinistra. Agli amici ha anticipato che proseguirà nell'impegno a costruire il Dna della politica del lavoro del nuovo partito su basi profondamente diverse rispetto a quelle della vecchia sinistra.

Quella sinistra che non lo ha mai molto amato a causa del suo sostegno alla legge Biagi. Una legge sulla quale, ha spiegato, c'è stato un «fenomeno di faziosità bipartisan. Ne hanno fatto un simbolo a destra e a sinistra, come se quella legge avesse segnato una svolta epocale. Che invece non c'è stata affatto».

Polemiche aveva suscitato anche la sua richiesta di allontanare i dipendenti statali «fannulloni». A causa delle sue battaglie per la riforma del mercato del lavoro, il senatore del Pd ha subito anche minacce da parte delle Br.

Alessandro Trocino
24 aprile 2008

da corriere.it

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Una lettera a Veltroni...



On. Veltroni,

mi chiamo Walter come Lei e sono un elettore di centro destra. sono stato anche un amministratore comunale e provinciale nella mia città Novara. Walter come Lei saprà dervia dalla radice tedesca Walt (potente). Questo nome era assegnato dai padri per buon augurare il futuro ai propri figli. Lei ha avuto la potenza di spazzare via la sinistra antagonista che ha fatto per ben due volte cadere Prodi. Non é sttao mastella e tutti noi lo sappiamo bene, ma Lei ha avuto un merito che le riconosco: racchiudere l'anima degli italiani in 4 forze poltiche, lasciando sull'uscio tutti gli altri. Bene, se vorrà incere le prossime elezioni dovrà scendere dagli stereotipi della sinistra e tornare tra la gente del nord. sa perché la lega ha avuto un sacco di voti? perché la lega é l'unico partito popolare e populista rimasto.

Neanche il berlusca ha potuto tanto ed infatti, ha perso 800.000 voti. Qui da me tuti sapevano che la Lega avrebbe fatot il pieno. Primo perchè il berlusca sta sulle balle a tanti, secondo perchè i lavoratori, ed io sono uno di quelli, erano stufi di prendere le tranvate sulle gengive da parte di prodi & co. Lei avrebbe dovuto dire: faremo una patrimoniale sulle banche e faremo pagare alla banche i sacrifici dei lavoratori! Invece, Lei non l'ha detto e i settentrionali hanno votato lega, perché in questo fottuto paese il fondo lo si fa sempre ai più deboli, mai ai più forti. Lei avrebbe dovuto dire: I clandestini li mandiamo a casa, invece non l'ha detto, la Lega si! Lo sa che un clandestino si rivolge alle asl autocertifica che é disoccupato e non paga nessuna prestazione? I poveri cristi invece, si rivolgono alle asl, non hanno detrazioni e pagano tutto! bella giustizia sociale vero?

Lei avrebbe dovuto dire cose che non ha detto e si é fatto scavalcare a sinistra dalla lega! Dirà che farnetico; forse. Ho molti amici nel PD per i miei anni di militanza politica. Quest'autunno fui invitato ad un loro pre congresso e fui lasciato libero di esprimere la mia oipinione. Prefigurai, come Cassandra, la vostra sconfitta, e le sconfitte dei prossimi anni se non cambierete.

Sapete come si fa a vincere le elezioni? assumete un elettore di centro destra, uno come me, una persona semplice, del popolo e fatevi insegnare a parlare alla pancia dle paese, e poi non vi leccherete più le ferite provocate dal berlusca. Prodi ha fatto solo danni per due anni e pretendevate di farlo dimenticare mettendolo in soffitta? Sbagliato! Lo ricordavamo benissimo e lo abbiamo ricordato anche nelle urne. Non fate un PD del nord fareste l'ennesima cazzata! Io ho conosciuto personalmente Bossi, quando stava bene. E' un animale politico attento e furbo, sa quando parlare alla pancia e quando alla testa. Lei é un uomo capece ed intellegente l'ammiro sinceramente, ma é ancora troppo infarcito di buonismo di sinistra e questo paese ha bisogno di essere governato prendendo a calci nel culo un pò d'italiani che ne hanno approfittato. Impari a parlare il linguaggio della gente, come faceva peppone e tornerà a guadagnare voti, altrimenti assuma un elettore di centro destra e le faremo, gratis, un corso accelerato.

Spero di rivederla a Novara come durante la sua campagna elettorale, meno buono ma con le idee più chiare.

Arrivederci
Valter

Valter - 21-04-2008 - 20:53:47


da www.veltronipresidente.it

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25/4/2008 (6:44)

Grillo e la liberazione, l'Italia si spacca
 
Beppe Grillo in piazza San Carlo a Torino

L'appello di Napolitano: la data è solonne, manteniamo sempre viva la memoria

FLAVIA AMABILE & ALESSANDRA PIERACCI


ROMA
La campagna elettorale e l’anti-politica saranno le protagoniste di questo 25 aprile. A Milano per la prima volta si scenderà in piazza senza un sindaco fra la folla e a Roma si discute della provocazione di Luca Romagnoli della Fiamma Tricolore che chiede la cancellazione della Festa facendo insorgere il Pd e la sinistra. E così appare anche più forte il richiamo del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ricorda che il 25 aprile è «una data solenne» e chiede agli italiani di mantenere «costantemente viva la memoria» degli ideali di quell’epoca e soprattutto ai giovani di «contrastare i nuovi autoritarismi e integralismi, che rappresentano la negazione dei principi e dei valori che ispirarono la lotta per la Liberazione».

Ma intanto in tutt’Italia i riflettori mediatici saranno puntati anche su una Liberazione diversa, quella di Grillo, che sarà a Torino oggi pomeriggio. Il comico ha mobilitato 400 piazze e annuncia centomila persone per il V2-Day, una manifestazione per «una libera informazione in un libero Stato». «Il 25 aprile - spiega il comico - ci siamo liberati dal nazifascismo. Sessantatré anni dopo possiamo liberarci dal fascismo dell’informazione».

Grillo chiede ai suoi di firmare a favore di tre referendum: «per l’abolizione dell'ordine dei giornalisti, l’abolizione dei finanziamenti pubblici di un miliardo di euro all'anno all'editoria, l’abolizione della legge Gasparri e del duopolio Partiti-Mediaset», annuncia dal suo sito. A firmare accanto a tanti altri, ci sarà anche Antonio Di Pietro, ministro uscente e leader dell’Idv, sempre attento a presidiare le piazze dell’anti-politica che lo hanno premiato alle elezioni. In realtà anche tra i fans di Grillo non mancano le polemiche. A Genova gli «aggrillati» si sono divisi in due piazze con un seguito di accuse e querele e due manifestazioni distinte.

Il V2-Day contro l’informazione è stato accolto con un attacco da parte di alcuni giornali. «Il Giornale» è andato a scavare nel passato del comico, il settimanale «Panorama» ha fatto un calcolo scoprendo che da quando ha aperto il blog le sue entrate sono raddoppiate, «Il Riformista» lo accusa di «minacce in stile Br» ai giornalisti e «Repubblica» parla dell’«ennesima provocazione» nei confronti della Resistenza e che «ovunque si fronteggeranno le folle chiamate a raccolta dal comico genovese con quelle che intendono ricordare la Liberazione».

Dal suo blog Grillo risponde, al suo solito: «tutte str...dettate dalla paura e dagli interessi di bottega» perché «il V2-Day è la continuazione della Liberazione e non vuole fronteggiare proprio nessuno che si ispiri a quella data. I partigiani, gli operai, gli uomini liberi del 25 aprile sono nostri fratelli. Il 25 aprile non è di proprietà degli intellettuali di sinistra, una definizione corrispondente a un vuoto pneumatico».

Silvio Berlusconi ancora una volta non sarà in piazza oggi. «Lavoro, lavoro, lavoro, considerandomi in debito con gli italiani che hanno deciso di liberarci dalle dittature che incombevano sul nostro Paese». Non ci sarà nemmeno Fausto Bertinotti per la prima volta perché aveva annunciato di voler prendere qualche giorno di ferie. Ci sarà invece Gianni Alemanno, che andrà a Palidoro vicino Roma, per ricordare Salvo D’Acquisto il brigadiere dei carabinieri ucciso lì dai nazisti.

Il segretario Udc Lorenzo Cesa chiede «una riflessione» sul 25 aprile «che vada oltre le celebrazioni formali: la destra estremista e antisemita rappresenta, oggi come allora, un elemento di grave pericolo per la vita delle istituzioni» ma il riferimento al ballottaggio a Roma per l’elezione del sindaco è troppo evidente per non venire sommerso di critiche da parte di tutti i politici da Fi a An con Teodoro Buontempo che chiede: «Dica apertamente se vuole votare a sinistra».

da lastampa.it

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La sindrome di Enea


Silvano Andriani


Dopo la sconfitta elettorale del 2001, sulle colonne di questo giornale, l’avevo chiamata «sindrome di Enea». Si tratta della tendenza della sinistra italiana a ritenere di dovere andare al governo per salvare il Paese, mettersi sulle spalle il vecchio Anchise per portarlo fuori dalla città in fiamme. Salvo ad accorgersi, dopo, di aver preso sulle spalle non il proprio padre, ma il proprio avversario politico. Era capitato negli anni 70, si era ripetuto negli anni 90 ed è successo ancora.

Anche questa volta, quando ci chiederanno cosa ha fatto di significativo il governo Prodi, diremo che ha risanato il bilancio pubblico evitando al paese la catastrofe finanziaria verso la quale era stata avviata. So bene che Togliatti era un grande estimatore di Quintino Sella, ma mi appare innaturale una sinistra che sembra avere come principale vocazione quella di essere l’erede della destra storica.

Veltroni ha cercato di cambiare aria: ha parlato non di catastrofi, ma addirittura di un possibile miracolo italiano.

Se qualcuno pensava che in due mesi di campagna elettorale si potesse annullare il doppio svantaggio derivante dalla straordinaria capacità del governo uscente di perdere consenso e da un deficit culturale accumulato nel giro di molti anni, si faceva delle illusioni. Si è riuscito semplicemente a cambiare la conformazione del campo di gioco nel quale si svolgerà il confronto politico e non mi pare poco.

Quanto al deficit culturale, in esso vi è una componente tipicamente italiana che proviene dalla storia della sinistra italiana che comporta una scarsa dimestichezza col pensiero riformista del Novecento sia con quello di provenienza socialdemocratica, dei Myrdall e dei Tinberghen, sia con quello liberaldemocratico dei Keynes e dei Beveridge e che porta anche a non distinguere bene, talvolta, nel grande mare della tradizione liberale tra liberaldemocratici e liberisti. La seconda componente riguarda invece la sinistra europea.

È evidente che stiamo assistendo alla crisi della cultura della destra neo-liberista che ha dominato negli ultimi trenta anni e del modello di sviluppo nato dalle politiche da essa adottate. È fallita l’idea di potere governare il mondo imponendo un unico modello di democrazia. L’aumento delle disuguaglianze ed il conseguente irrigidirsi delle strutture della società vanifica la promessa di rendere attraverso il mercato le persone in grado di realizzare le proprie capacità e di essere valutati secondo i propri meriti. Le crisi finanziarie stanno sgretolando il mito dei mercati come meccanismi razionali e capaci di autoregolarsi ed i grandi scandali societari il mito della capacità dei mercati di controllare le imprese.

Un sondaggio Financial Times/Harris Poll

del Luglio scorso mostra che il consenso al processo di globalizzazione nei Paesi avanzati dell’Europa è diventato nettamente minoritario, fanno eccezione solo i Paesi nordici che hanno mantenuto un assetto di tipo socialdemocratico, mentre un sondaggio più recente ci dice che negli Usa il 58% degli intervistati valuta negativamente l’attuale processo di globalizzazione e solo il 28% lo valuta positivamente.

In questi frangenti ci si aspetterebbe che la sinistra stesse vincendo alla grande, invece in Europa perde quasi dappertutto e, se si votasse ora, perderebbe quasi certamente anche in Inghilterra. Di fronte ai fallimenti del neo-liberismo ed alla crescita di insicurezza nelle condizioni di lavoro, di vita e di ordine pubblico che la globalizzazione provoca per la maggioranza della popolazione la sinistra risulta spiazzata dal prevalere al suo interno di una cultura, anch'essa di origine anglosassone, la cosiddetta terza via, sostanzialmente acritica, se non apologetica. Quando Tony Blair ha risposto a chi denunciava la crescita delle disuguaglianze e della povertà, per le quali l’Inghilterra è ora ai massimi livelli in Europa, che riducendo i guadagni di Beckam non si risolvono i problemi del Paese, ha dato prova non solo di un certo cinismo, ma anche di incapacità a comprendere le contraddizioni ed i guasti provocati dal tipo di sviluppo in atto. Barak Obama, accusando Bill Clinton di essere stato uno degli artefici della finanziarizzazione dei sistemi economici, ha detto semplicemente ciò che altri, come il Nobel J. Stiglitz, aveva già affermato dissociandosi a suo tempo dal governo di Clinton.

Giulio Tremonti nel suo recente libro svolge una critica radicale dell'attuale modello di sviluppo. E, nel tentativo disperato di attribuirne la responsabilità alla cultura di sinistra, compie una vera e propria acrobazia intellettuale inventando perfino lo slogan «dal comunismo al consumismo». Nel libro mancano parole chiave: Reagan, Thatcher, Friedman, neo-liberismo, neo-con, tutte le parole che attestano l’innegabile matrice di destra del modello di sviluppo attuale. Il mito del mercato autoregolato e l’ideologia individualista sono tipici della cultura della destra. Il travisamento compiuto da Tremonti è tuttavia facilitato dalla subalternità che la cultura della sinistra ha dimostrato finora. Le sue conclusioni mi sembrano assai discutibili, ma egli ha ragione a vantarsi di essere stato negli ultimi anni l’unico personaggio politico italiano a svolgere una critica dell’attuale processo di globalizzazione. Qualcuno, con altro taglio, lo ha fatto anche a sinistra, ma si tratta in genere di intellettuali che non fanno più parte dell’establishment politico e sono rimasti inascoltati.

Il Partito Democratico ha inevitabilmente sinora concentrato l’attenzione sulla conformazione del sistema politico italiano e su temi di più facile comunicazione nella campagna elettorale. Da ora dovrebbe affrontare i temi più generali che sono di fronte all’impegno di rinnovare la cultura e le politiche riformiste, a cominciare dall’impegno a superare il deprimente provincialismo che ha portato ad escludere completamente la dimensione internazionale dal dibattito politico. Con i tempi che corrono il riformismo in un Paese solo mi sembra un’idea peregrina.

La rivoluzione in atto nel sistema politico italiano sta portando all’emergere di una nuova generazione di dirigenti della sinistra. Finalmente. Ma le nuove generazioni se vogliono davvero candidarsi a svolgere un ruolo politico devono farlo non semplicemente attraverso l’anagrafe, ma producendo un nuovo pensiero e, sopratutto dopo una sconfitta elettorale, una critica esplicita del passato. Mi pare sia giunto il tempo di alzare la celata e mostrare il proprio viso.

Pubblicato il: 25.04.08
Modificato il: 25.04.08 alle ore 8.10   
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