Stefano FOLLI. -

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Arlecchino:
Caso Open Arms, l’avviso di Renzi al premier

26 Maggio 2020

Il segnale più significativo riguarda Giuseppe Conte, al quale Italia Viva riserva un'insinuazione destinata a pesare

Di STEFANO FOLLI
È facile perdersi nel labirinto procedurale attraverso cui il Parlamento decide se mandare o no sotto processo uno dei suoi. E negli angoli bui del labirinto si fanno tanti giochi politici, troppi: colpevolisti e innocentisti lasciano vibrare la campana della propaganda con l'intensità delle grandi occasioni. Il caso Salvini non ha fatto eccezione. Si può dubitare che gli italiani oggi, in pieno trauma da Covid e vicini a una drammatica recessione, siano memori della nave spagnola Open Arms, soccorritrice di migranti, alla quale per alcuni giorni fu interdetto l'approdo in un porto italiano, impedendo con ciò lo sbarco dei profughi.

Qui non è tanto importante il risultato dello scrutinio in Commissione - dove il gruppo di Renzi ha salvato l'ex ministro dell'Interno - dal momento che la parola passerà tra qualche settimana all'aula del Senato e lì i giochi ricominceranno. Peraltro, nonostante l'esito, nemmeno il voto di Italia Viva è al sicuro nella tasca di Salvini. È la procedura, dove il merito dell'accusa è l'ultima cosa che interessa ai contendenti. Cosa rimane quindi della vicenda? Restano i segnali politici. Salvini canta vittoria e finge di dimenticare che siamo solo all'inizio del sentiero parlamentare. Ma il leader della Lega, come è noto, vive una fase di difficoltà nei sondaggi e sfrutta ogni circostanza. Per cui anche il messaggio di congratulazioni di Orbán diventa meritevole di un rilancio via web. Tuttavia è assai improbabile che la ripresa del Carroccio passi dal caso Open Arms: al limite potrà smuovere un po' le acque stagnanti. Ma i tempi in cui il contrasto ai migranti era tutta la politica leghista, fino a oscurare il resto, sono passati e probabilmente non torneranno.

I segnali, allora. Il primo s'incrocia con la Regione Lombardia. Sarà una coincidenza, ma è curioso che il voto renziano pro-Salvini si sia combinato con l'elezione a sorpresa a Milano di un'esponente renziana alla presidenza della commissione d'inchiesta regionale sulla tragedia del virus. In secondo luogo, sembra verosimile che Renzi abbia colto il momento di confusione nella magistratura, dal pasticcio Palamara alle ricadute delle lotte correntizie a margine del Csm, per affermare una linea più garantista. Vale a dire la stessa tenuta fino a un certo punto contro il ministro Bonafede e poi modificata per ragioni politiche al momento di votare la sfiducia individuale in Parlamento. Come dire che il senatore di Scandicci ha voluto distinguersi rispetto a una certa tradizione presente nel Pd e ancor più nei Cinque Stelle. Il tentativo si ripete da anni in forme diverse: provare a espandersi verso il centrodestra, in particolare verso Forza Italia e il suo elettorato, ripudiando le tendenze "giustizialiste".

Ma il segnale più significativo riguarda Giuseppe Conte, al quale Italia Viva riserva un'insinuazione destinata a pesare. Con linguaggio involuto, un comunicato informa che il disimpegno renziano nasce da un punto preciso: nella documentazione "non sembra emergere l'esclusiva riferibilità all'ex ministro dell'Interno dei fatti contestati". In parole povere: il premier non poteva non essere informato e quindi era consenziente, dal momento che Salvini, nei giorni della Open Arms, non è stato smentito da Palazzo Chigi. Sul piano politico questo passaggio può avere sviluppi imbarazzanti per il vertice del governo.

Da - https://rep.repubblica.it/pwa/commento/2020/05/26/news/open_arms_matteo_salvini_governo_giuseppe_conte_italia_viva_matteo_renzi-257691319/?ref=nl-rep-a-out

Arlecchino:
Commento Giustizia

Il bivio di Renzi oltre Bonafede
18 MAGGIO 2020

È evidente che se il Guardasigilli cadrà in Parlamento sotto il fuoco incrociato delle mozioni di destra e della Bonino, la ferita inferta al governo Conte sarà quasi certamente definitiva e fatale

DI STEFANO FOLLI
È evidente che se il ministro della Giustizia cadrà in Parlamento sotto il fuoco incrociato delle mozioni "giustizialista" della destra e "garantista" di Emma Bonino, la ferita inferta al governo Conte sarà quasi certamente definitiva e fatale. Ma è altrettanto chiaro che Bonafede ha discrete probabilità di attraversare indenne le forche caudine. Anzi, per come si sono messe le cose, la caduta del ministro equivarrebbe a un colpo di scena alquanto clamoroso.

Il problema riguarda, come è ormai noto, il gruppo di Matteo Renzi: il quale dispone dei numeri determinanti per far pendere la bilancia verso le dimissioni dell'imputato e soprattutto ha tutti gli argomenti per colpirlo. Renzi nei giorni scorsi è stato il più perentorio dei pubblici ministeri: ha elencato tutte le responsabilità vicine e lontane di Bonafede, dal nodo della prescrizione al caso Di Matteo fino al pasticcio dei mafiosi mandati agli arresti domiciliari.

Si possono avere varie opinioni sul ministro "grillino", personaggio cardine del M5S nel governo Conte, ma di sicuro Renzi ha sostenuto con foga la più sfavorevole, dipingendolo come il peggior Guardasigilli che abbia mai abitato le stanze di via Arenula.
Ora, sulla base delle premesse che egli stesso ha indicato, non si vede come Renzi possa esimersi dal votare la sfiducia.

Soprattutto in seguito alla recente novità, ossia la mozione "garantista" di Emma Bonino e Benedetto Della Vedova che ha cambiato lo scenario. Prima si trattava di legarsi all'iniziativa della destra, il che era effettivamente difficile per Italia Viva: si sarebbe trovata a lavorare per il re di Prussia, come si usa dire, e avrebbe innescato una crisi di governo sul terreno prescelto da Lega e FdI (mai divisi come ora, nella sostanza, e riuniti solo dall'operazione Bonafede). Nella logica renziana, una mossa poco lungimirante.

Peraltro l'ingresso in campo dell'opzione europeista ha cambiato il quadro generale e il senatore toscano non può non tenerne conto. La sfiducia al ministro assume un diverso profilo politico e nasce all'interno di quell'area liberal-democratica in cui si muovono sia i renziani, sia gli amici di Emma Bonino, sia un Calenda molto attivo in queste ore nelle sue polemiche con il rivale di Scandicci.

Detto questo, la previsione è che Italia Viva eviterà di far cadere Bonafede, travolgendo con lui il presidente del Consiglio. Non lo farà nonostante la contraddizione che diventa palese fra le critiche rivolte al ministro e la rinuncia a giungere fino alle estreme conseguenze.

Ma si capisce che Renzi non giudica ancora matura la crisi di governo. Continua a muoversi lungo un sentiero stretto, un po' da equilibrista. Di recente ha ottenuto da Conte una sorta di "riconoscimento politico", qualunque cosa voglia dire questa espressione lievemente ambigua (in concreto il premier accetta di considerare Italia Viva un interlocutore al pari degli altri partiti della maggioranza, con tutti i vantaggi che tale condiziona comporta).

Complice il virus e la faticosa ripresa, la resa dei conti è dunque spostata in avanti. Salvo colpi di scena, Bonafede ottiene l'amnistia parlamentare. E il presidente del Consiglio viene restituito al logoramento quotidiano a cui ormai è abituato, tra astuzie e gaffe che in altri tempi avrebbero fatto incespicare personaggi ben più strutturati.

Da - https://rep.repubblica.it/pwa/commento/2020/05/18/news/governo_italia_viva_parlamento_giustizia_il_bivio_di_renzi_oltre_bonafede-257037804/?ref=nl-rep-a-out

Arlecchino:
Il disegno politico del voto di Renzi

30 LUGLIO 2020

Aver allargato il tema alla magistratura significa porsi come referente di settori comprendenti Forza Italia. Così da impedire, in caso di sviluppi politici o di crisi del governo, che il mondo berlusconiano e il centrosinistra aprano un negoziato diretto, invece di rivolgersi a lui

DI STEFANO FOLLI

Chi immaginava che Renzi - il garantista Renzi - avrebbe salvato il capo della Lega non aveva messo in conto che stavolta l'interesse del senatore di Scandicci era opposto a quello di Salvini. Sarebbe bastata un'astensione, coerente peraltro con la linea dei senatori di Italia Viva nella commissione per le autorizzazioni, invece è arrivato il "no" alla relazione Gasparri. Un "no" molto politico, mimetizzato nella tesi già sostenuta in modo efficace da Emma Bonino: le mosse di Salvini non erano dettate da una difesa "dell'interesse pubblico", bensì da un calcolo di opportunità partitica. E infatti l'intervento renziano è stato un abile gioco di prestigio verbale dai molteplici obiettivi. Il primo era appunto il "salvinismo", la filosofia politica dell'ex ministro dell'Interno. Mandare questi a processo significa, almeno nelle intenzioni, contestare l'assetto radicale dell'attuale centrodestra e magari aprire qualche inedito spazio a una forza che voglia definirsi moderata e riformista.

S'intende che Renzi e altri che ragionano come lui non sono interessati a rientrare nel Pd in qualità di nuovi "cespugli". L'ambizione è più grande, forse troppo per un piccolo partito personale che i sondaggi si ostinano a vedere intorno al 3 per cento. Ma non a caso ieri in Senato i duellanti erano i due Matteo: il Pd sembrava svanito sullo sfondo, indebolito dalle proprie incertezze, prima fra tutte non aver saputo cambiare in un anno i decreti sicurezza di Salvini. Certo, anche la posizione di Renzi risulta tutt'altro che coerente. In commissione l'astensione di Italia Viva era fondata sul principio per cui la responsabilità del ministro "non era esclusiva": vale a dire che era condivisa con il presidente del Consiglio Conte (e in subordine con l'allora responsabile dei Trasporti, Toninelli). Anche ieri Renzi ha dovuto ammettere che "nella prima parte della vicenda" Conte ha avallato la linea Salvini. Tuttavia, ha aggiunto, adesso è sul leghista che dobbiamo pronunciarci. S'intuisce un salto logico.

Dove però l'intervento renziano ha assunto rilievo politico è nell'aver richiamato in forma esplicita il rapporto tra politica e magistratura. Il che si è risolto in un attacco a una certa parte della magistratura e all'incongruenza, tra l'altro, del sistema di intercettazione fondato sull'uso del "trojan", il software che s'installa nel telefono cellulare. Questo "trojan", ha detto Renzi, si presta ad abusi di vario tipo: serve a incastrare qualche personaggio pubblico, magari alcuni politici, ma ha la caratteristica di disattivarsi quando si parla di qualcuno che non si vuole coinvolgere nelle indagini. Qui il messaggio anti-magistrati aveva molti destinatari, in primo luogo Berlusconi, molto sensibile al tema.

Ma prima o poi "la campana suona per tutti", ha insistito Renzi. Ad esempio per chi gestisce o trae vantaggio da quel ponte verso l'attività politica che sono le fondazioni e le associazioni. Riferimento indiretto ma chiaro anche a Casaleggio nel momento in cui i 5S sono più che mai ai ferri corti tra loro. Aver allargato il tema alla magistratura significa porsi come referente di settori comprendenti Forza Italia. Così da impedire, in caso di sviluppi politici o di crisi del governo, che il mondo berlusconiano e il centrosinistra aprano un negoziato diretto. Renzi, con la sua ambizione centrista, ha segnalato che a quel crocevia vorrà esserci lui, il fustigatore di Salvini.

Da - https://rep.repubblica.it/pwa/commento/2020/07/30/news/il_disegno_politico_del_voto_di_renzi-263314232/?ref=nl-rep-a-out

Arlecchino:
Diseguaglianze, quanti sono i nostri Sud
30 LUGLIO 2020
Sono i luoghi dove, in tutte le aree del Paese, la condizione di vita e di opportunità non è uguale. Questo genera sfiducia nel sistema e risentimento verso chi lo governa o ne trae vantaggio. Non si dovrebbe tornare ad essere come prima

DI NADIA URBINATI
Il mantra del "tutto tornerà come prima" ci ha accompagnato in questi mesi difficili. Si tratta di un'affermazione vuota ma carica di emotività e che dovrebbe infondere fiducia. I mutamenti che le nostre vite stanno registrando sono notevoli e nessun visionario ci può rassicurare sul futuro. In questo mare di incertezza dovremmo saper fare bene almeno una cosa: individuare le coordinate che ci facciano prendere una direzione di marcia e tenere la barra diritta. Tra queste, una soprattutto: l'eguaglianza di condizione e di opportunità.

Non si tratta di un principio metafisico né moralistico; la sua radice non sta in un'utopica città futura, ma nella promessa democratica scritta nella nostra Costituzione. Il Recovery Fund e altri eventuali dispositivi dovranno essere piegati a questo principio innestato nelle nostre radici. Farlo non sarà facile, non solo perché gli interessi particolari in campo sono agguerriti e ben organizzati. Se non proprio lotta di classe, non è impossibile che si abbia una decisa contrapposizione tra modi di intendere l'eguaglianza: se in termini minimi o solo legalistici o invece anche sociali, come indica il secondo comma dell'articolo 3 della nostra Carta. Destra e sinistra si distingueranno su questo crinale. Entrambe dovranno comunque saper leggere il Paese per mettere in campo proposte non fallimentari.

Vi è una condizione che si staglia per gravità e complessità: quella identificata con "il Sud". Sud e Nord sono più che mai termini che designano contrapposizioni socio-economiche, ma in una maniera complessa e articolata. "Il Sud" sta oggi a significare l'insieme dei fattori che sono a tutti gli effetti indicativi di un livello preoccupante di diseguaglianza, con condizioni di svantaggio accumulate nel tempo che rendono irrealistico il decantato principio della libera scelta: polarizzazione socio-economica; dislivello culturale tra i ceti; diseguale orizzonte di possibilità per i cittadini in base non al loro impegno, ma a quel che sono per appartenenza cetuale, genere ed età e a dove vivono. Il fatto ancor più dirompente è che questo Sud non è né identificato con una zona geografica specifica, né è omogeneo al suo interno.

Ci sono "diversi Sud" più che "il Sud". E sono distribuiti su tutto il territorio nazionale. Pier Giorgio Ardeni nel suo recente libro Le radici del populismo (Laterza), incrociando i dati sulla distribuzione del reddito con quelli demografici e con la dislocazione territoriale dei Comuni per tipologie centro-periferia, ottiene una mappa a macchia di leopardo dei vari Sud che compongono il Bel paese.

Si tratta di una demografia che fotografa un'Italia spezzettata e dispersa, nella quale i riflettori delle eccellenze e della buona vita sono puntati su alcuni centri metropolitani, lasciando in ombra e spesso al buio tutto il resto, quel che oggi si chiama con un termine neutro "territori". I territori sono i Sud. Sono i luoghi dove, in tutte le aree del Paese, la condizione di vita e di opportunità non è per niente uguale; questo genera sfiducia nel sistema e risentimento verso chi lo governa o ne trae vantaggio.

Questi mutamenti sono andati di pari passo con la regionalizzazione amministrativa, che ha legato ancora di più le opportunità dei cittadini nei settori nevralgici (scuola, lavoro e salute) ai luoghi, facendo dei beni primari un mercato che attira clienti dai vari Sud e sedimenta le diseguaglianze.

Vi sarebbe almeno un modo per iniziare a riequilibrare questo sistema: invertire il processo di declino dell'amministrazione pubblica nazionale. La quale fu dall'unità d'Italia il tessuto connettivo di raccordo tra il "locale" e il "nazionale". La sua erosione in questi anni di regionalismo competitivo è lo specchio del degrado della vita nei luoghi altri da quelli d'eccellenza, il segno dei numerosi Sud che sono sorti in questi ultimi decenni. Non si dovrebbe tornare ad essere come prima.

Da - https://rep.repubblica.it/pwa/commento/2020/07/30/news/crisi_economica_coronavirus_recovery_fund_la_mappa_della_diseguaglianza_quanti_sono_i_nostri_sud-263301168/?ref=nl-rep-a-out

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https://rep.repubblica.it/pwa/commento/2020/09/07/news/tre_carte_contro_la_paura-266527909/
 

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