Concita DE GREGORIO

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28/12/2008 12:59

La rosetta del cardinale

(il filo rosso di oggi, 28 dicembre)

Concita De Gregori.


La Chiesa supplente di un governo assente. La foto di prima pagina - il cardinale Sepe con grembiule che distribuisce pane alla mensa dei poveri - non sarebbe che un abituale gesto di carità cristiana, massimamente frequente a Natale. Beati gli ultimi, si sa. Senonché nel frattempo la "social card" (i quaranta euro al mese destinati da Tremonti agli indigenti) è risultata essere solo un inutile pezzo di plastica per centomila persone: è stata loro consegnata ma non è mai stata attivata dall'Inps, con conseguenti momenti di tremenda pubblica mortificazione dei pensionati in fila alla cassa col panettone in mano. "Credito non disponibile". Va da sé che del fatto non sia stata data notizia dai tg impegnati a illustrare il menù del cenone di queste fantastiche niente affatto austere feste.
Sui grandi quotidiani d'informazione qualcosa si trova, invece. Il Corriere della Sera per esempio dedica al fatto la sesta delle nove lettere nella pagina della Posta, la 37. Il signor Cristiano Martorella informa che "un terzo delle social card consegnate non è stato caricato" e che "non c'è stata nessuna comunicazione per chi ha avuto la carta ma non l'erogazione del denaro". Sono le centomila persone di cui sopra.

Questo giornale ha dedicato loro la copertina e il primo piano del giorno di vigilia. Sarebbe una notizia, ci pare, ma si vede che come accade all'Inps anche nelle redazioni i criteri di selezione subiscono un restringimento al momento di essere attivati. Chi si attiva, in assenza di altri soggetti titolari dell'obbligo o del diritto, è la chiesa. Il cardinale Tettamanzi annuncia la costituzione di un fondo famiglia-lavoro per chi ha perso o sta per perdere l'occupazione: dote iniziale un milione di euro. Federica Fantozzi racconta di analoghe molteplici iniziative di soccorso da parte delle Diocesi di tutta Italia. Per giunta in segno di protesta molti parroci non hanno messo il bambinello nel presepe: è un mondo che non accoglie, hanno detto. Non accoglie gli immigrati in continuo approdo, non accoglie chi si ricovera in baracche che poi bruciano. Don Mazzi scrive per noi che è un'ottima cosa il fondo Tettamanzi, però si rischia "il clientelismo di chi offre e l'obbligo di riconoscenza di chi riceve". È vero, ma d'altra parte è sempre così anche nella politica, negli appalti e negli affari come le molte inchieste in corso dimostrano. C'è qualcosa di profondamente corrotto e tollerato nel sistema.

Furio Colombo parla nell'analisi di "collasso povertà" dall'America all'Italia. L'unica social card che qui da noi davvero funziona sempre, per il momento, è la rosetta del cardinale. Il mondo laico osserva e non cessa di chiedersi se non ci sia per caso un modo altrettanto efficace ma non curiale, un modo che valga per tutti.

Marco Bucciantini nel dossier di oggi torna a Messina cento anni dopo il terremoto e trova ancora lì, intatte, le baracche dove trovarono alloggio gli sfollati un secolo fa. Cinquantamila metri quadri mai abbattuti in cui vivono gli abusivi. Nel 1990 vennero assegnati 500 miliardi per il risarcimento e la ricostruzione. Sono in larghissima parte spariti. Messina è ancora oggi una città devastata e non dal terremoto. Cent'anni di inettitudine.

da unita.it

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25/01/2009 02:05

La rotta perduta

(il filo rosso di oggi, 25 gennaio)

Incredibili le foto dei clandestini di Lampedusa che manifestano abbracciati agli isolani. La gente li ha accolti nelle case, gli ha dato da mangiare poi ha marciato con loro. Emanuele Crialese, che a Lampedusa ha girato «Respiro», dice della gente del posto: «I loro padri uscivano sui cargo coi portoricani, gli africani. Erano costretti a mantenere le famiglie girando per il mondo: anche loro». Incredibile in un paese dove chi ha la pelle nera non diventa presidente: chi ha la pelle nera fa paura. Incredibile il racconto di Claudio Camarca, che era lì ieri: «Quegli uomini vivono in duemila in un centro che ne può tenere al massimo settecento, bagni intasati e colmi di escrementi». Incredibile che sia solo Dario Franceschini (anche lui era lì) a dire: «Fermare i trasferimenti come ha fatto Maroni significa far esplodere Lampedusa: luogo simbolico, per la Lega non è nemmeno Italia. Martedì il governo firmerà un accordo con la Tunisia per far rimpatriare i tunisini 200 alla volta. Lì ce ne sono mille. Cosa pensa che faranno quando si accorgeranno che li stanno rimandando indietro?». Incredibile il commento di Silvio Berlusconi davanti alle immagini della folla a mani tese in corteo: «Stavano andando in paese come sempre, magari a bere una birra».

Ha poi anche promesso, il presidente del Consiglio, di mandare trentamila soldati nelle città a garantire la sicurezza dei cittadini. Trentamila soldati svuoterebbero le caserme d'Italia. Bisognerebbe dar loro poteri speciali: i militari, in base alla legge, oggi non possono neppure fermare un cittadino per strada. Pensano di dare ai soldati poteri speciali? Qual è il progetto? Achille Serra, che di sicurezza si è occupato con qualche successo, ripete che l'unico modo di intervenire è «prevenzione e solidarietà». Prevenzione. Il sindaco di Guidonia ne parla con Eduardo De Blasi. Guidonia, dove una coppia di ragazzi è stata aggredita e ridotta a un passo dalla morte, è un'altra terra di nessuno. Non nei mari d'Africa: accanto a Roma.

Il giovane italiano che ha violentato una coetanea a Capodanno è stato rimandato a casa dai giudici. Alemanno il sindaco ha attaccato la magistratura, Alfano il ministro ha mandato gli ispettori. Poi Maroni, anche lui ministro, ha detto che nelle città non c'è abbastanza luce: dopo si è corretto, non si riferiva a Roma. Non ce l'aveva col collega di coalizione. Un triste gioco di rimbalzi di responsabilità. Non saranno i soldati né le lampade a difendere i più deboli. La violenza che accalca gli uomini come bestie nelle stalle, che usa le donne come bambole gonfiabili di un videogioco criminale è nella testa di chi si sente in diritto di farlo. È nelle case prima che nelle strade. Nel palazzi prima che nelle baracche. È un lungo e difficile cammino quello che abbiamo davanti: ritrovare il seme della convivenza e del rispetto. Non serviranno le minacce e le sanzioni, non basteranno. Non trentamila soldati né centomila, non tutte le lampadine del mondo. La dissuasione è nell'etica della responsabilità, non nella minaccia. Quella, semmai, corregge la rotta di chi perde la strada. Il compito di chi governa è indicare la rotta. Dopo, solo dopo, difenderla.

Concita De Gregorio
da unita.it

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01/02/2009 14:00

La difficile rotta comune
(il filo rosso di oggi, 1 febbraio)


Concita De Gregorio.


Ho incontrato ieri Chimamanda Ngozi Adichie, trentenne nata in Nigeria e diventata donna negli Stati Uniti, cittadina del mondo, nera come l'ebano autrice di uno straordinario romanzo epico che affonda le radici nella guerra del Biafra. In una pausa della conversazione sui destini dell'Africa mi ha chiesto dell'Italia: e l'opposizione a questo vostro governo è abbastanza forte, chiara e unita nell'indicare una rotta alternativa? Una domanda così: definitiva. Non era quello il momento di addentrarsi in spiegazioni e distinguo. La ripropongo qui: per noi sì che è cruciale chiedersi se siamo in grado di uscire dall'angusto orizzonte delle lotte fratricide, dei regolamenti di conti perpetui, dei destini individuali che ipotecano le speranze collettive. L'unità con la u minuscola è la faticosa tessitura quotidiana che questo giornale, con la u maiuscola, prova a tenere ferma come linea d'orizzonte. Nonostante le ingiurie interne ed esterne, gli assalti autolesionisti di chi pensa che la sfortuna del compagno di strada sia alimento della propria fortuna e pazienza per l'obiettivo: pazienza se i fatti -motore e scopo dell'azione politica - si riducono a un inconveniente. Fin dal primo giorno abbiamo detto che questo giornale sarebbe stato il luogo di molte voci, tutte quelle che hanno in comune l'obiettivo di dare al paese un governo e un futuro migliore. Ogni giorno ne trovate un coro.

Oggi Furio Colombo rimprovera ad Antonio Di Pietro di aver sbagliato bersaglio se ha inteso mettere in discussione l'azione del Quirinale. Io stessa l'avevo fatto qui. Bisogna rispondere a quella ingenua e cruciale domanda: abbiamo la capacità di indicare insieme, nel rispetto delle diverse opinioni, una rotta comune o vogliamo procedere - dentro l'opposizione - all'autodistruzione per eliminazione reciproca? Berlusconi ne sarebbe entusiasta. È un copione già noto.

Veltroni ha presentato ieriunpiano decennale per la «rivoluzione verde». Qualcosa di molto concreto: riqualificazione energetica degli edifici, agevolazioni fiscali, rinnovo dei mezzi pubblici con autobus a metano, ecoincentivi per elettrodomestici a basso consumo, ricerca, riciclo dei rifiuti e industria collegata. Per il fastidio dei professionisti del retroscena e per l'entusiasmo delle persone qualsiasi: ecco un progetto. Straordinario no? Qualcuno vuole sostenerlo? Esiste un'Italia che fa le cose con successo e con passione. I giornali ne parlano pochissimo, certo. La scrittrice nigeriana era premiata ieri a Percoto, Udine, dalla famiglia Nonino. Un uomo, Benito, e molte donne, Giannola le sue figlie le sue nipoti adolescenti e bambine, hanno accolto dentro alla distilleria prima al mondo il premio Nobel Naipaul, i premiati - Hugh Thomas che meglio di chiunque altro ha raccontato la schiavitù; Silvia Perez Vitoria che narra il mondo salvato dai contadini - centinaia di ospiti e amici. C'era Giovanna Marini con la chitarra che cantava, Ermanno Olmi che dava consigli per la coreografia. C'erano donne e uomini di lettere e d'impresa, manager e scienziati d'altri continenti, malgari della Carnia e pastori. Un'Italia diversa: si è brindato. Sarà un anno buono per il raccolto - ha annunciato Giannola - lo dicono i venti che solo i contadini sanno leggere. Tutti hanno sorriso. Hanno levato i calici a quei venti.

da unita.it

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21/02/2009 03:23

Partita aperta


Piero Fassino ha lavorato per Franceschini segretario. Nell'intervista che pubblichiamo in apertura del giornale spiega le sue ragioni, che sono quelle di buona parte del gruppo dirigente del Pd. Franceschini saprà rinnovare, promettono: si circonderà di volti nuovi. Ci vorrebbe una direzione di 40 persone di cui 20 siano dirigenti locali, dice Fassino: ricominciare dal radicamento nel territorio, ricostituire un partito che abbia radici nel Paese. Che il mandato di Franceschini sia questo. Una direzione, una segreteria, il tesseramento. Poi il congresso e le primarie perché farle adesso sarebbe follia: ci sono le elezioni, c'è la crisi economica, ci sono leggi in aula da approvare e non è il tempo di pensare ai plebisciti. Anche Mercedes Bresso confida che una gestione federale, che tenga in direzione i dirigenti locali, aiuterà a superare le faide; lo dice ad Andrea Carugati.

Tuttavia la partita che si apre oggi alla Fiera di Roma è aperta: un salto nel buio, un'assemblea che vede emette in gioco tutti i delegati, migliaia di iscritti, milioni di elettori. Fortissima la spinta per le primarie: dalla base, dai più giovani, damolti dei dirigenti di nuova generazione che hanno partecipato ieri al vivace Forum dell'Unità - trovate la cronaca e le loro opinioni al centro del giornale - da chi pensa come Sergio Cofferati che «la cosa più importante sia oggi motivare gli iscritti, i simpatizzanti, gli elettori». Congresso o primarie subito. Molti dei 2800 non
verranno. Sono stati convocati 48 ore fa per  sms, il messaggio diceva: «Fiera di Roma ore 10 padiglione Est. Odg: Statuto articolo 3 comma 2», anche in termini di comunicazione si poteva fare di più. Molti verranno, invece. Anche questa è un'incognita. Molti volti, molte voci, molti umori. Vittime di uno Statuto farraginoso - il «mostro», lo chiamano tutti - i delegati dovranno innanzitutto decidere se votare o no la proposta del coordinamento per l'elezione di Franceschini. Anche su questo l'incertezza è massima. Si tratterà di capire prima che aria tira, ci spiegava ieri un dirigente di lunghissimo corso. Che aria tira.

Quella che tira nel Paese è stata segnata ieri dal decreto sulle ronde: cittadini privati autorizzati da sindaci e prefetti a fare la guardia ai giardinetti. Disarmati, certo. Però basta leggere cosa scrive Achille Serra qui accanto, basta avere un poco di buon senso e immedesimarsi nel ruolo: andreste voi disarmati in un luogo buio e pericoloso a distogliere eventuali bande di criminali? Correndo quale rischio? E allora armati magari di arma bianca, per dire. E di nuovo: con quali conseguenze possibili? Di fronte al decreto il Quirinale è rimasto in un silenzio di gelo. Il
Vaticano attraverso monsignor Agostino Marchetto ha detto che così «muore il diritto». Agonizza da tempo. E sul testamento biologico, la prossima norma che il governo si prepara a portare in aula, si manifesta oggi in piazza, a Roma, con l'adesione di Beppino Englaro. Pubblichiamo il testo del testamento biologico preparato da Luigi Manconi e dall'associazione Luca Coscioni che vi abbiamo proposto qualche giorno fa, lo ristampiamo a grande richiesta con l'appello che lo accompagna. Sono tempi cupi. Bisogna vedere che aria tira, certo, ma senza aspettare troppo. Sono tempi in cui muore il diritto e nemmeno la gente a casa si sente troppo bene.

Concita De Gregori
da unita.it

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Concita De Gregorio


21/04/2009 08:53

Violenza e retorica


Siamo diventati bravissimi nella retorica dell'ipocrisia, così bravi che nessuno si domanda più l'oggetto quale sia: di cosa, davvero, stiamo parlando. Si apre a Ginevra la conferenza Onu su razzismo e xenofobia nel mondo. Il presidente iraniano dice quel che sempre dice, lo fa anzi questa volta - come il delegato vaticano nota - con insolita discrezione rispetto all'abituale sua violenza non solo retorica. Dice che Israele (senza nominarlo) «ha privato della terra un'intera nazione istituendo un governo razzista nella Palestina occupata». Risultato del prevedibile intervento: indignazione dei delegati Ue che, con l'eccezione del Vaticano, abbandonano i lavori. Come molti altri paesi, America in testa, l'Italia non si era neppure presentata allineandosi al preventivo timore di un «attacco antisemita». Risultato, come Tobia Zevi fa oggi notare: di razzismo e xenofobia nel mondo non si parla sui giornali che riferiscono del vertice. Si parla di Ahmadinejad, della sua campagna elettorale.

L'antisemitismo è una piaga purulenta e persistente che il governo italiano giustamente addita, tanto più meritoriamente trattandosi di un governo che vede tra i suoi alleati gli eredi del partito fascista. Giusto domenica scorsa il sindaco Alemanno festeggiava il Natale di Roma con l'alloro in testa, sui maxi schermi un documentario celebrativo di Mussolini. Facciamo finta che siano tutti convinti che le leggi razziali siano state una macchia e una vergogna. Spostiamo ora l'obiettivo sull'intransigenza antirazzista dentro casa. Ci perdoni chi crede che i due piani siano molti distanti ma crediamo che si debba essere ugualmente severi con chi offende e attacca i popoli e le razze. Sporco ebreo o sporco negro, per intenderci.

Allora se ci concentriamo sulle misere vicende di casa nostra osserveremo che lo stesso governo che diserta impegni internazionali in nome del giusto disprezzo dell'antisemitismo non trova il tempo nè la forza per combattere la battaglia antirazzista nei luoghi dove l'odio fiorisce rigoglioso: gli stadi. Avrete seguito la vicenda di Balotelli, l'ultima. Saprete che a causa degli insulti al giocatore la Juve giocherà la prossima partita a porte chiuse. Vi pare che basti?

Leggete le parole di Lippi, quelle d iGianfranco Zola raccolte da Malcom Pagani. In Italia non esiste una legge che punisca con sanzioni pesanti il razzismo negli stadi. In Spagna sì, per esempio: tolleranza zero. Da noi decide il giudice sportivo. Un governo capace di pensare leggi ad hoc sul testamento biologico (se ne stava facendo una per Eluana Englaro) sulla violenza sessuale (caccia ai romeni violentatori, certo), sui manager accusati di causare la morte in fabbrica (leggete cosa dice a Marco Travaglio il giudice Guariniello a proposito del processo Thyssen) ecco questo governo non è in grado di proporre una legge che recepisca la piattaforma Uefa contro il razzismo. Come mai? È un test, si accettano risposte. Buone notizie, ora. Claudia Fusani racconta delle prime lauree a L'Aquila dopo il terremoto. Sono 27, una per Lorenzo Cinì: l'ha ritirata suo padre, Lorenzo non c'è più. Ascanio Celestini scrive di «Lotta di classe»: la battaglia dei lavoratori precari dell'Atesia. La buona notizia, in questo caso, è che qualcuno ancora ne parli.

da unita.it

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